braccio un mortai fendente sul capo d’un Turco, il
quale, caduto a terra, tenta rialzarsi, appoggiando
la destra al suolo, e colla sinistra cerca, ma invano,
di ripararsi dal fato che gli sovrasta. Appiè dell’eroe
giace un altro Turco, vittima della tremenda sua
spada; e come nel primo si vede espresso mirabilmente
il sentimento di giovin guerriero che, vedendosi
venir addosso la morte, non si smarrisce, non
la teme, ma teme l’onta della sconfitta, nè s’arrende,
ma fa l’estremo di sua possa e resiste; così nel secondo,
il capo spinto all’indietro, i muscoli del volto
irrigiditi, gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, il
petto rialzato, le membra abbandonate lo dimostrano
già interamente fatto preda di morte. Tutte le teste
sono antiche, son greche, e se Pelagio Palagi ha
consentito a vestir di maglia i suoi guerrieri, la
maglia non ne occulta, ma ne adombra le perfettissime
forme; ed anche gli scudi e gli elmi ritraggono
dei tipi greci, sebbene l’esimio scultore, devoto
alla verità storica, abbia sulle armature musulmane
innestato varie sentenze del Korano. Non v’ha poi
parola di laude che superar possa il magistero con
cui questo gruppo è composto; talchè si può dire
che la principale difficoltà di tali monumenti, che è
appunto la sapiente ed armonica distribuzione delle
diverse figure, è stata con singolare felicita superata.
Questo classico lavoro è eminentemente degno
d’una capitale, e d’una capitale italiana.