Storia di Torino (vol 2)/Libro I/Capo VI

Libro I - Capo VI

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Capo Sesto


Cittadella. — Maschio. — Prigioni. — Tortura. — Duelli. — Pietro Micca. — Suo sublime sacrificio. — Genealogia di questo eroe. — Uomini illustri sepolti nella chiesa della cittadella, il conte de la Roche D Allery, Pietro Giannone. — Famosa cisterna convertita in sepolcro.


Prima di cominciare le nostre corse retrospettive per le strade di Torino, rivolgiamo per un momento lo sguardo alla cittadella, splendida creazione di Emmanuel Filiberto, per lunghi anni e con altri ordini di guerra, famoso propugnacolo della nostra indipendenza, della salute d’Italia.

Abbiam già notato che la cittadella fu delineata dal celebre Francesco Pacciotto d’Urbino, e cominciata nel 1564. Addì 17 marzo del 1568, Emmanuel Filiberto vi fe’ condurre 25 cannoni, armi e munizioni, e recatovisi egli stesso coll’arcivescovo Gerolamo della Rovere e col gran cancelliere Langosco, [p. 110 modifica]dopo la celebrazione del santo sagrifìcio, ne die il governo a Giuseppe Caresana, vercellese.1

Varcate lo oblique opere esteriori e il lungo ponte, torreggia robusto e nereggiante il mastio, sulla cui porta vedevasi altre volte lo stemma di Savoia di bronzo, di squisito lavoro, opera di Mario d’Aluigi, Perugino, statagli allogata il dì 8 di gennaio del 1568.2

Il maschio serviva altre volte di prigion di Stato per uomini di rilevata condizione, e fu perciò testimonio di lunghi dolori, e secondo la tristizie dei tempi, anche d’inestimabili crudeltà.

Nel 1692, Vittorio Amedeo ii era impegnato in pericolosa guerra con Francia, e faceva gli estremi sforzi per riscuoter sé e la patria da quella molesta e vergognosa dipendenza, in cui volea tenerla Ludovico iv. I Francesi possedevano Pinerolo, ed aveano occupato altre città del Piemonte. In pericolo estremo i rimedii erano estremi; e Vittorio usava del dritto che compete a ogni sovrano, pigliandosi maggior porzione, che non soleva, delle sostanze de’ sudditi. Un ufficiale del duca, il referendario Gian Giacomo Truchi di Savigliano (di famiglia diversa del general di finanze), dovendo dispensare certa quantità di grano ai soldati, ne fe’ incetta al prezzo di lire 3 e mezza l’emina, e non potè ottenerne il rimborso a maggiore slima di soldi quarantotto. Avendo inoltre pagato qualche spia per essere informato de’ progetti [p. 111 modifica]del nemico e salvar il paese, non n’ebbe mercede. Truchi era di quelli che l’aritmetica, e non la virtù spinge al bene; che prima di farlo cabalizzano sul quanto potrà fruttare. Vedendosi ingannato, concepì nell’animo grave amarezza. Disse dapprima tra sé: O perchè logoro io la mia sostanza per un ingrato! poi essendo i suoi beni soggetti alle devastazioni dei Francesi, scrisse a monsieur d’Herville, governatore di Pinerolo, per avere una salvaguardia. I Francesi cominciarono a dire che la sua condotta era stata fino a quel tempo tale da non meritar favori. Conducendosi meglio, si troverebbe la via di contentarlo. Appiccata una volta la pratica, da un discorso si entrò in un altro; e in breve si giunse a tal segno che l’infelice Truchi si lasciò tirare ad essere consenziente al nefando progetto d’eccitare a rivolta i contadini della provincia di Mondovì ne’ quali già covavano mali umori e semi di malcontento, mentre i Francesi venuti per mare a Portomaurizio, scenderebbero per la Briga e per Tenda, e s’accozzerebbero cogli altri destinati ad accorrere da Pinerolo.

In dicembre, 1692, l’avvocato Stefano Truchi, figliuolo del referendario, giungeva a Mondovì, e si recava poscia a Montaldo da un tale Matteo Mussi, che doveva essere uno dei capi della ribellione. Alcune sue parole imprudenti furono risapute, onde egli e il padre furono presi e chiusi nel maschio della citladella di Torino. Una commissione, composta [p. 112 modifica]del gran cancelliere, d’un primo presidente, dell’uditor generale di guerra, li esaminò e li sentenziò. Il 26 di gennaio del 1693, si lesse agli infelici la condanna; doveano strangolarsi, appiccarsi poscia i cadaveri per un piede e lasciarsi ventiquattr’ore, spiccarsi quindi le teste dal busto e porsi sulle forche a Mondovì; spianarsi la loro casa in Savigliano, senzadio si potesse più ricostrurre. Ma questa non era la parte più spaventosa. Spaventoso invece fu il tormento dato per un’ora intiera a Gian Giacomo Truchi, onde rivelasse i complici. Egli d’età già provetta (54 anni), legato alla corda, alzato e trabalzato per aria, tormentato poi anche coi dadi, invano alternava i gemiti e le strida co’ versetti de’ salmi, con cui chiamava pietosamente Dio in soccorso e in testimonio, invano lo pregava ad aumentar il dolore, se vero fosse che avesse qualche complice, invano protestava di non voler dannar l’anima propria, nominando un innocente. I giudici non persuasi, ordinavano di dargli uno sguazzo, e l’infelice affranto, boccheggiante per l’atroce dolore, gridava Gesù, Gesù misericordia. Ho detto la verità. Signor gran cancelliere, io pregare per lui a S. Divina Maestà. Domine Dominus noster quam admirabile est nomen tuum in universa terra. Mi facciano calare, non posso più. Anime del purgatorio assistetemi...! Si onori la sua costanza. Non nominò nessuno.

Io per me quante volte considero l’atroce error [p. 113 modifica]di logica che fu la tortura, e penso al lungo spazio che durò, ed al gran numero di giudici dabbene ed intemerati e pietosi che l’applicarono, sento una grande commiserazione per la meschina specie umana, a cui un error comune potè per tanti secoli tener luogo di dritto; medito allora sulle presenti condizioni, e cercando se mai vi fosse ancora alcune di quelle pratiche fondate su principio assurdo e crudele; che una mente sana a prima giunta respinge; che le future generazioni (e giova sperarlo più sagge), riguarderanno come una labe dell’età nostra, come noi riguardiamo la tortura, trovo che non è un error di logica meno atroce, men funesto della tortura, il duello.3

Il giorno 1° settembre del 1704, sulle undici ore del mattino, una lugubre processione usciva dal maschio della cittadella; era preceduta da uno stendardo su cui si vedeva dipinto uno scheletro col motto, manus Domini tetigit me. Sfilava nera e rapida sul ponte, cantando, con voce cupa ed interrotta, le preci degli agonizzanti. Erano i confratelli della Misericordia ravvolti dentro al nero loro sacco, col volto coperto dal cappuccio dello stesso colore. Seguitava in mezzo alle guardie, sostenuto da più religiosi, il signor Bernard de Corbilly, comandante del forte di Sta Maria di Susa, condannato a perder la testa per aver ceduto la piazza ai Francesi, appena la breccia fu aperta, senza aspettar l’assalto. L’intervallo [p. 114 modifica]delle ventiquattr’ore che dividono la notiflcazione della condanna dal supplizio, le ventiquattr’ore che chiamansi di cappella, o di confortatorio, pe’ miseri condannati non sono la morte, ma vita peggior della morte. Le più crudeli passioni dell’anima da cui sia stato uom travagliato in una vita travagliatissima ne conquidono il pensiero; mille diversi orizzonti si succedono con rapida ed incessante vicenda nella sua mente: ma tutti illuminati da una luce sanguigna, e in tutti si drizza, atroce vista, un palco. Alcuna volta per istrazio maggiore il pensier si ritrae su qualche fiorita scena della sua giovanezza. Ecco la casa paterna ove conobbe le dolcezze ingenue de’ primi fanciulleschi trastulli: le aiuole di fiori che giovanetto educava per l’amata fanciulla; il campanile della chiesa ove prima fu ammesso a gustare il pane degli angioli,- dove pianse e pregò sul feretro di sua madre... A quella vista, due lagrime di tenerezza bagnano la secca ed affossata sua pupilla e scendono come soave rugiada sul cuore. Ma repente una memoria per un momento obbliata l’invade e si tramette con violenza a quelle care imagini. Fra le campestri delizie egli vede, o veder crede, il palco, la mannaia, il carnefice; sente i ferri che gli stringono il piede, e crede d’udir il sommesso bisbigliar della turba che s’accalca ed aspetta avidamente il crudele spettacolo.

Inoltrata è l’ultima notte. La mente rotando, trabalzando per mille fosche imaginazioni, visioni, paure, [p. 115 modifica]cade in una dolorosa spossatezza. Il fremilo, lo spasimo, la febbre feroce dell’anima vien meno. L’infelice chiude gli occhi e s’addormenta. Ma qual sonno, gran Dio! e quai fantasmi!

La brezza mattutina penetra nel freddo carcere. Ei si sveglia: la chiarezza dell’alba comincia a vincere il lume della fioca lampa che gli arde dappresso. Quella luce che rallegra la terra, che ogni creatura saluta, è la vista la più crudele al cuor del condannato; perchè quella luce è l’ultima ch’egli vedrà. Allora un tremito generale gli scuote le membra. Le sanguinose imagini che l’agitavano il giorno innanzi più feroci e più rapide gli trasvolano in mente, coll’impeto di fiotti rovinosi, di cui l’un l’altro incalza, sempre varii e sempre continui.

Succede a queste ambasce un annientamento morale che non è morte, solo perchè non esclude la conscienza di ciò che succede. E quando l’esecutore, inginocchiato innanzi al Crocifìsso, chiede perdono al pazien te dell’omicidio a cui la legge lo sforza, e quando gli stringe le mani colla fune, ogni forza morale è perduta, se provvida e pietosa la religion noi sostiene.

Per tutte queste ambasce era passato Bernard di Corbeville; la processione uscita dalla cittadella si era altelata attorno ad un palco che si levava innanzi alla porta della medesima, e sul quale era disposta la macchina, che assai più tardi si chiamò Guigliotina. Il condannato appoggiandosi sui religiosi aveva [p. 116 modifica]montalo l’ultimo gradino della scala che non doveva più ridiscendere; quando giunse con tutta la velocita del suo cavallo dalla via di Sta Teresa un offiziale agitando un fazzoletto bianco. Era il conte Foschieri, maggiore della piazza di Torino, che recava la grazia falla dal duca ad intercessione di monsieur Hill, ministro d’Inghilterra. Pubblicala fra i plausi del popolo, Corbeville fu ricondotto in cittadella col medesimo accompagnamento, cantando la compagnia il Te Deum laudamus.4

Speditici oramai da queste tristi memorie, varchiamo il portone che corre sotto al maschio ed entriamo nel recinto della cittadella. Vedremo a destra la casa ove dormì Pio vi quando i rivoluzionarii francesi lo trassero in esiglio; a sinistra la stanza del governatore e la chiesa parrocchiale; e alquanto più in» là il sito dell’antica parrocchia ora convertila in quartiere. Di prospetto nella mezzaluna a ponente il luogo dove Pietro Micca compì l’eroico sacrifizio.

Questo grande, degno d’essere paragonato co’maggiori eroi dell’antichità, era figliuolo di Giacomo Micha e d’Anna Marlinazzo e nipote di Giovanni.

Nasceva il 6 di marzo, 1677, in Andorno Sagliano presso a Biella, ed era battezzato col nome di Giovanni Pietro.

Addì 29 d’ottobre del 1704, e così di ventisette anni e sei mesi, dava la mano di sposo a Maria del fu Guglielmo Pasquale Bonini dello stesso luogo, la [p. 117 modifica]quale undici mesi dopo partoriva un figlio maschio. Era marito il Micca ed era padre, due dolcissimi nomi, coi quali molti velando la viltà dell’animo si studiano di sottrarsi al debito di cittadino. Pure nelle prime ore del giorno 30 d’agosto del 1706 avendo, come si è già narrato, i Francesi sorpresa la mezzaluna presso la porta di soccorso della cittadella di Torino, ed essendo già entrati nella galleria alta e pervenuti alla porta che mette nella galleria inferiore, avrebbero avuto libero accesso nella piazza, se Micca ed un suo compagno minatore prontamente non la chiudevano. Era la porta a capo della scala che metteva nella galleria inferiore, sotto al primo gradino erasi apparecchiata una mina. 1 Francesi tempestavano la porta a colpi di scure, ne v’era tempo di preparar la traccia di polvere che dà spazio al minator di salvarsi. Micca dice al compagno che teneva in mano la miccia di dar fuoco alla mina. Vedutolo esitare, lo prende per un braccio e lo allontana dicendo: Tu sei più lungo d’un giorno senza pane: fuggi e lascia fare a me, e tolta la miccia pose il fuoco alla mina.

Il suo cadavere fu gittato a quaranta passi di distanza, ma con lui saltarono in aria tre compagnie di granatieri nemici ed una batteria di quattro cannoni.

Il generale d’artiglieria, conte Solaro della Margarita, che scrisse il giornale di quell’assedio e [p. 118 modifica]registrò questi particolari, non potè risaperli che dal compagno del Micca che si salvò. Ed è l’azione del Micca di tanta bellezza, che al paragone vien meno la gloria degli eroi più famosi e di Grecia e di Roma, imperocché il sacrifizio di quelli compivasi in modo solenne, al cospetto del mondo, in condizioni che importavano una morale ebbrezza che ne accresceva la forza. Micca, di notte, solo in un sotterraneo dava la vita per la patria. Quelli antivedevano nelrultim’ora celebrarsi dalle presenti e future generazioni la loro virtù, essere in perpetua benedizione il loro nome. Micca non poteva avere speranza che il suo sacrifizio potesse mai essere noto al mondo. Semplicissima gli parve quell’azione; e tanto semplice che comandava al compagno di farla, e solo potè accorgersi che non fosse azione così volgare, dar la vita per la patria, quando lo vide esitare. Ed anche allora che sublimità di coraggio in quella piacevolezza: Tu sei più lungo che un giorno senza pane! Ed insieme qual fraterna carità, qual riguardo nel non voler supporre che temesse la morte, nell’accusarne la lentezza e non la paura!... Era ben degno questo grande che per noi s’ingemmassero queste pagine di più particolari notizie intorno alla sua famiglia. La genealogia che qui si inserisce, compenserà il mondo di tanti oscuri e fiacchi alberi genealogici, non per altro notabili che per vedervisi un signor conte, figliuolo di un signor conte, e padre [p. 119 modifica]d’un signor conte; titoli degni di riverenza sol quando distinguono utili cittadini, o la loro non tralignante progenie.5 Ed utili cittadini che illustrarono colla nobiltà delle opere la nobiltà del sangue, la storia nostra ne conta pur molti.

Giovanni Micha d’Andorno Sagliano
con
Bartolomea
       
Giacomo n. 13 d’aprile 1655
con
Anna Martinazzo del fu Fabiano
       
Giovanni Pietro n. 6 marzo 1677
† 30 agosto 1706
con
Maria fu Guglielmo Pasquale Bonini
il 29 ottobre 1704
† 21 febbraio 1740
       
Giacomo Antonio n. 26 settembre 1705
con
Maria fu Carlo Zorio il 20 giugno 1728
       
       
Pietro Onorato
n. il 29 ottobre 1729
(si spatriò e non se n’ebbe
più notizia
)
Pietro Antonio
n. il 13 novembre 1731
† 7 marzo 1803
sine liberis
in lui finì la discendenza dell’eroe
Pietro Micca.

Se noi parliamo con predilezione dell’illustre azione di Micca, non è che manchino, abbondano invece [p. 120 modifica]altre gloriose memorie, e d’un marchese d’Aix, che ferito gravemente nelle due gambe, ne potendo più star in piedi, si fa sostenere da due granatieri, e sta saldo al suo posto, e vuol vedere il fin della battaglia; e d’ufficiali che fanno scudo del proprio petto al loro principe, e ricevono il colpo mortale che gli era destinato; e di semplici soldati che ammalati in uno spedale, fuggono la vigilia d’una battaglia onde non esser frodati dell’onor di combattere.6

Un altro illustre difensore della cittadella, il conte Pietro de la Roche d’Allery, che n’ebbe il comando al tempo dell’assedio, moriva il 14 d’ottobre del 1713, e veniva sepolto nella sagrestia della chiesa parrocchiale di Sta Barbara, nel sito appunto ove si legge l’iscrizione che lo riguarda.7

Nel 1748, a’ 17 di marzo, mancava pure di vita nella cittadella, dov’era in cortese prigion ditenuto, il celebre scrittore avvocato Pietro Giannone, della città di Napoli, autore d’una famosa storia d’esso regno scritta in quel senso tutto regio ed antipapale, che prevaleva in molte scuole storiche dello scorso secolo, con non minore oltraggio della verità che della religione. Giannone pendeva al protestantismo, e noi negano i suoi medesimi fautori. Ma ritrattò i suoi errori; morì pentito e cattolico per le affettuose cure del padre Giambattista Prever, della congregazione dell’Oratorio. Fu sepolto nella chiesa vecchia, [p. 121 modifica]dove ora si è fabbricalo un quartiere, a breve distanza dalla parrocchiale.8

Una delle rarità, non solo della cittadella, ma dell’Italia, era la stupenda cisterna, così vasta, e con tal arte disposta, che i cavalli per opposte rampe scendevano all’abbeveratoio e risalivano. Un pozzo simile a questo era stato prima fatto in Orvieto da Antonio da San Gallo per ordine di papa Clemente vii.9 La cisterna torinese fu dagli Austriaci, nel 1800, riempiuta di cadaveri, e convertita in sepolcro.


Note

  1. [p. 126 modifica]Notizie del Vernazza nella Guida di Torino del 1781. Il prezzo dell’opera fu di 600 scudi d’oro, oltre alla provvista del metallo e un dono a discrezion del Duca. L’iscrizione che segue era sotto allo stemma:

    EMM. PHILIBERTVS DVX SAB. X VARIIS POST AMISSVM

    A SVIS AVITVM SOLIVM LABORIBVS EXANTLATIS

    PARTA TANDEM CHRISTI NOMINE IN BELGIS

    VICTORIA ET MARGARITA FRAN. REGIS SORORE

    IN MATRIM. DVCTA RECEPTISQVE PROVINCIIS HANC

    ARCEM PVB. SECVRITATI A FVNDAM. EREXIT

    AN. CIƆIƆLXV.

  2. [p. 126 modifica]Miolo, Cronica latina inedita della biblioteca del conte Balbo.
  3. [p. 126 modifica]Due istituzioni potrebbero in breve trionfar di questo stolido pregiudicio che pone sovente i più eletti difensori della patria nella dura alternativa di mancare alle leggi religiose e civili, ed al buon senso; o di patire, secondo le opinioni volgari, una qualche macchia nell’onore.
    Vi vorrebbe cioè un tribunal d’onore composto di ciò che v’ha di più valoroso e più puro nell’esercito; al cui giudizio dovessero necessariamente riservarsi tutte le offese che possono essere cagion di duello, con facoltà di prescrivere le ammende necessarie, sicchè da ambe le parti rimanga sempre intatto l’onore.
    [p. 127 modifica]Gioverebbe poi immensamente una società per l’abolizion del duello, come quella testé stabilita in Inghilterra, che novera fra i capi i più notabili dell’aristocrazia inglese, e fra gli altri 280 uffiziali di terra e di mare. In questo novero sono 17 ammiragli e 20 generali. Degno sarebbe dell’alto senno e della soda virtù del Re Carlo Alberto rinnovar l’esempio dato dal suo grand’avo Amedeo vi, quando fondava l’ordine del Cigno nero nel 1350 col fine principalmente d’impedir le guerre private.
    Ecco un articolo d’un giornale inglese che riferisce utili particolarità intorno alla società per l’abolizion del duello, e che debbo ad un gentile anonimo ch’io qui vivamente ringrazio:
    «Un secondo rapporto dell’associazione per sopprimere il duello è stato pubblicato ultimamente, e ci induce a dirigere la mente ad una associazione la quale tranquillamente e con giudizio, dentro la sfera del suo operare, lavora efficacemente ad una grande e morale riforma.
    «Questa associazione ora consiste di più di 500 membri, che tutti nel diventare tali hanno dichiarato d’astenersi dal duello. Tra essi si trovano i seguenti, — il Duca di Manchester, i Lordi, Westminster (Lord) — Eldon (Lord) — Effingham (Lord) — Burlington (Lord) — Robert Grosvenor (Lord) — Teignmouth (Lord) — Glenelg ( Lord ) — Stourton (Lord) — Arundel e Surrey (Lord) — Ebrington (Lord) — Sandon (Lord) — Ashley (Lord) — e Morpeth (Lord) — Sir Robert Inglis M. P. — Sir Thomas Acland — Sir Thomas Baring — Sir Harry Verner — Sir Launcelot Shadwell — Sir William Couper (membro del Parlamento) — Sig. Childers (membro del Parlamento) — Sig. Pusey (membro del Parlamento) — e C. Verner (membro del Parlamento).
    «Il duello è un vizio della moda, e quando tra i suoi opponenti trovansi tali nomi, evvi da sperare che la stessa moda coopererà alla guarigione.
    «È un fatto notabile che non meno di 280 membri sono uffiziali dell’esercito e della Real Marina, inclusi 17 ammiragli e 20 generali. Una simile associazione forte di nomi di alto grado e riputazione, diviene lo stromento per effettuare codesta riforma tanto desiderata. Il suddetto rapporto somministra alcune particolarità interessanti, relative alla maniera in cui opera nella marina il nuovo articolo di guerra contro il duello, sopra la cui riuscita molte persone nutrivano tenui speranze. Esso porge i procedimenti di due consigli di guerra tenuti durante quest’anno. In uno fu congedato un luogotenente dal suo vascello per aver cercato di provocare a duello un signore che era a bordo non uffiziale di marina; — nell’altro tre uffiziali, cioè i principali ed un padrino in duello, furono congedati dal loro vascello, e messi in fondo della lista d’uffiziali dei loro rispettivi gradi. Ma l’esempio più interessante e utile del modo in cui agisce il nuovo regolamento è quello della decisione data da una corte d’inchiesta tenuta in conformità al terzo [p. 128 modifica]de’ nuovi articoli, che esprime l’approvazione di Sua Maestà riguardo alla condotta d’uffìziali i quali sottomettono affari di dispute alla decisione de’ loro superiori.
    «Non crediamo di essere indiscreti nel diffondere più estesamente i nomi di due uffiziali che si sono comportati nel modo saggio, dignitoso, e veramente onorevole, come è descritto nell’estratto qui appresso: —
    «Durante l’anno scorso, mentre la squadra esperimentale dei bricki era in crociera, il capitano Matson scrisse una lettera al costruttore del di lui bastimento il Daring dando un ragguaglio del suo esito, e della superiorità di esso in paragone d’alcuni suoi competitori, e facendo anche alcune asserzioni abbassanti l’Osprey. Il costruttore del suddetto bastimento, esultante sul contenuto di questa lettera, la fece pubblicare in un giornale di Portsmouth senza chiederne il permesso al capitano Matson. Il comandante dell’Osprey, capitano Patten, indispettito della pubblicazione di codeste critiche, principiò una corrispondenza col capitano Matson, e dopo il contraccambio di parecchie lettere dispiacenti, ne indirizzò una contenente un deciso insulto.
    «Il capitano Matson, in circostanze tanto diffìcili, non dimenticò il suo dovere come cristiano ed uffiziale, neppure nell’ansietà che un uomo di sì alto animo naturalmente sentirebbe per guardare illibato il suo onore. — Dopo aver consultato alcuni suoi amici, ubbidì letteralmente alle prescrizioni dell’ammiragliato, e scrisse all’ammiraglio della stazione, chiedendo una corte d’inchiesta per decidere sulla disputa accaduta così disgraziatamente tra lui ed il suo camerata. L’ammiragliato subito nominò una corte d’inchiesta da tenersi a Devenport.
    «I membri di questa erano, il capitano Hope del Firebrand, il capitano Mannex dell’Actxon, ed il capitano Wilford del San Josef. La corte volle la presentazione della corrispondenza, ed esaminò tutte le circostanze che vi ebbero relazione, e poi pronunziò una sentenza specificando i termini con cui cadauna parte dovea ritrattarsi reciprocamente. In ubbidienza a questa decisione, ognuno di essi firmò un foglio indirizzato al presidente. L’uno esprimeva il suo rammarico d’aver dato origine ad un cenno proprio a cagionare del dispiacere ad un camerata, riguardo ad un oggetto che porge da per sé materia a discussione, come sono le qualità veleggiami di un bastimento. L’altro esprimendo il suo rammarico di aver permesso al calor del suo sentire d’indurlo a servirsi d’espressioni che, dopo più maturo riflesso, scorge aver oltrepassato la provocazione ricevuta.
    «La corte aggiunse l’assicuranza che il procedimento ch’essa ordinò lasciava l’onore di ambedue le parti intatto e senza macchia».
  4. [p. 128 modifica]Denina e Saluzzo, e gli scrittori francesi chiamano questo comandante del forte di S. Maria monsieur de Corbeville. Il Soleri nel Diario ms. già citato, registrando il fatto che abbiam narrato lo chiama monsù Bernardi. [p. 129 modifica]Forse Bernard era il nome suo di famiglia; e Corbeville quello della terra da lui posseduta. Ad ogni modo non v’ha dubbio che si tratta della stessa persona.
  5. [p. 129 modifica]Copia degli atti di battesimo, di matrimonio, di morte mi fu spedita dal molto Rev.° prevosto di Sagliano Giacomo Marchisio, per cortese interposizione dell’egregio e zelantissimo vescovo di Biella monsignor Giovanni Pietro Losana.
  6. [p. 129 modifica]S. E. il cavaliere Cesare Saluzzo, cavaliere dell’Annunziata, grande scudiere di S. M., quando governava la Regia Accademia Militare, avea raccolto una gran quantità di tali gloriose memorie, che destinava alla stampa onde accendere a nobile emulazione la generosa gioventù alle sue cure affidata.
  7. [p. 129 modifica]Ut ubi immortalitatem sibi potissimum fecerat inter trophaea sua quiesceret. Così l’iscrizione.
  8. [p. 129 modifica]Il sig. avvocato Don Pietro Gianone della città di Napoli in questa cittadella detenuto, munito de’ SS. Sacramenti è morto li 17 marzo 1748 e li 18 del medesimo è stato sepolto nella chiesa vecchia di questa parrocchiale. — Libri de’ morti di S. Barbara della cittadella.
  9. [p. 129 modifica]Milizia, Memorie degli architetti, i, 217. edizione di Parma.