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capo sesto 113

di logica che fu la tortura, e penso al lungo spazio che durò, ed al gran numero di giudici dabbene ed intemerati e pietosi che l’applicarono, sento una grande commiserazione per la meschina specie umana, a cui un error comune potè per tanti secoli tener luogo di dritto; medito allora sulle presenti condizioni, e cercando se mai vi fosse ancora alcune di quelle pratiche fondate su principio assurdo e crudele; che una mente sana a prima giunta respinge; che le future generazioni (e giova sperarlo più sagge), riguarderanno come una labe dell’età nostra, come noi riguardiamo la tortura, trovo che non è un error di logica meno atroce, men funesto della tortura, il duello.3

Il giorno 1° settembre del 1704, sulle undici ore del mattino, una lugubre processione usciva dal maschio della cittadella; era preceduta da uno stendardo su cui si vedeva dipinto uno scheletro col motto, manus Domini tetigit me. Sfilava nera e rapida sul ponte, cantando, con voce cupa ed interrotta, le preci degli agonizzanti. Erano i confratelli della Misericordia ravvolti dentro al nero loro sacco, col volto coperto dal cappuccio dello stesso colore. Seguitava in mezzo alle guardie, sostenuto da più religiosi, il signor Bernard de Corbilly, comandante del forte di Sta Maria di Susa, condannato a perder la testa per aver ceduto la piazza ai Francesi, appena la breccia fu aperta, senza aspettar l’assalto. L’intervallo

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