di logica che fu la tortura, e penso al lungo spazio
che durò, ed al gran numero di giudici dabbene
ed intemerati e pietosi che l’applicarono, sento
una grande commiserazione per la meschina specie
umana, a cui un error comune potè per tanti secoli
tener luogo di dritto; medito allora sulle presenti
condizioni, e cercando se mai vi fosse ancora alcune
di quelle pratiche fondate su principio assurdo e
crudele; che una mente sana a prima giunta respinge; che le future generazioni (e giova sperarlo più sagge), riguarderanno come una labe dell’età
nostra, come noi riguardiamo la tortura, trovo che
non è un error di logica meno atroce, men funesto
della tortura, il duello.3
Il giorno 1° settembre del 1704, sulle undici ore del mattino, una lugubre processione usciva dal maschio della cittadella; era preceduta da uno stendardo su cui si vedeva dipinto uno scheletro col motto, manus Domini tetigit me. Sfilava nera e rapida sul ponte, cantando, con voce cupa ed interrotta, le preci degli agonizzanti. Erano i confratelli della Misericordia ravvolti dentro al nero loro sacco, col volto coperto dal cappuccio dello stesso colore. Seguitava in mezzo alle guardie, sostenuto da più religiosi, il signor Bernard de Corbilly, comandante del forte di Sta Maria di Susa, condannato a perder la testa per aver ceduto la piazza ai Francesi, appena la breccia fu aperta, senza aspettar l’assalto. L’intervallo