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112 | libro primo |
del gran cancelliere, d’un primo presidente, dell’uditor generale di guerra, li esaminò e li sentenziò. Il 26 di gennaio del 1693, si lesse agli infelici la condanna; doveano strangolarsi, appiccarsi poscia i cadaveri per un piede e lasciarsi ventiquattr’ore, spiccarsi quindi le teste dal busto e porsi sulle forche a Mondovì; spianarsi la loro casa in Savigliano, senzadio si potesse più ricostrurre. Ma questa non era la parte più spaventosa. Spaventoso invece fu il tormento dato per un’ora intiera a Gian Giacomo Truchi, onde rivelasse i complici. Egli d’età già provetta (54 anni), legato alla corda, alzato e trabalzato per aria, tormentato poi anche coi dadi, invano alternava i gemiti e le strida co’ versetti de’ salmi, con cui chiamava pietosamente Dio in soccorso e in testimonio, invano lo pregava ad aumentar il dolore, se vero fosse che avesse qualche complice, invano protestava di non voler dannar l’anima propria, nominando un innocente. I giudici non persuasi, ordinavano di dargli uno sguazzo, e l’infelice affranto, boccheggiante per l’atroce dolore, gridava Gesù, Gesù misericordia. Ho detto la verità. Signor gran cancelliere, io pregare per lui a S. Divina Maestà. Domine Dominus noster quam admirabile est nomen tuum in universa terra. Mi facciano calare, non posso più. Anime del purgatorio assistetemi...! Si onori la sua costanza. Non nominò nessuno.
Io per me quante volte considero l’atroce error