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114 | libro primo |
delle ventiquattr’ore che dividono la notiflcazione della condanna dal supplizio, le ventiquattr’ore che chiamansi di cappella, o di confortatorio, pe’ miseri condannati non sono la morte, ma vita peggior della morte. Le più crudeli passioni dell’anima da cui sia stato uom travagliato in una vita travagliatissima ne conquidono il pensiero; mille diversi orizzonti si succedono con rapida ed incessante vicenda nella sua mente: ma tutti illuminati da una luce sanguigna, e in tutti si drizza, atroce vista, un palco. Alcuna volta per istrazio maggiore il pensier si ritrae su qualche fiorita scena della sua giovanezza. Ecco la casa paterna ove conobbe le dolcezze ingenue de’ primi fanciulleschi trastulli: le aiuole di fiori che giovanetto educava per l’amata fanciulla; il campanile della chiesa ove prima fu ammesso a gustare il pane degli angioli,- dove pianse e pregò sul feretro di sua madre... A quella vista, due lagrime di tenerezza bagnano la secca ed affossata sua pupilla e scendono come soave rugiada sul cuore. Ma repente una memoria per un momento obbliata l’invade e si tramette con violenza a quelle care imagini. Fra le campestri delizie egli vede, o veder crede, il palco, la mannaia, il carnefice; sente i ferri che gli stringono il piede, e crede d’udir il sommesso bisbigliar della turba che s’accalca ed aspetta avidamente il crudele spettacolo.
Inoltrata è l’ultima notte. La mente rotando, trabalzando per mille fosche imaginazioni, visioni, paure,