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capo sesto 111

del nemico e salvar il paese, non n’ebbe mercede. Truchi era di quelli che l’aritmetica, e non la virtù spinge al bene; che prima di farlo cabalizzano sul quanto potrà fruttare. Vedendosi ingannato, concepì nell’animo grave amarezza. Disse dapprima tra sé: O perchè logoro io la mia sostanza per un ingrato! poi essendo i suoi beni soggetti alle devastazioni dei Francesi, scrisse a monsieur d’Herville, governatore di Pinerolo, per avere una salvaguardia. I Francesi cominciarono a dire che la sua condotta era stata fino a quel tempo tale da non meritar favori. Conducendosi meglio, si troverebbe la via di contentarlo. Appiccata una volta la pratica, da un discorso si entrò in un altro; e in breve si giunse a tal segno che l’infelice Truchi si lasciò tirare ad essere consenziente al nefando progetto d’eccitare a rivolta i contadini della provincia di Mondovì ne’ quali già covavano mali umori e semi di malcontento, mentre i Francesi venuti per mare a Portomaurizio, scenderebbero per la Briga e per Tenda, e s’accozzerebbero cogli altri destinati ad accorrere da Pinerolo.

In dicembre, 1692, l’avvocato Stefano Truchi, figliuolo del referendario, giungeva a Mondovì, e si recava poscia a Montaldo da un tale Matteo Mussi, che doveva essere uno dei capi della ribellione. Alcune sue parole imprudenti furono risapute, onde egli e il padre furono presi e chiusi nel maschio della citladella di Torino. Una commissione, composta