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da Alessandro il Grande ec. | 249 |
te:„ Aristide è stato il primo che abbia diretto il suo studio alla sola espressione, principalmente nelle passioni forti, di maniera che ha trascurato il colorito, e per ciò riuscì duro„1.
[Protogene.] §. 19. Protogene dell’isola di Rodi2, il quale fiorì circa questi tempi, sino all’età di cinquant’anni esercitossi in dipinger navi; il che non deve già intendersi che le sue pitture non rappresentassero altro che navi, ma bensì che egli abbia dipinto sulle navi stesse, cioè che abbiale ornate di pittura esteriormente, siccome usasi anche oggidì; essendovi al servigio del Papa un pittor particolare delle galee3. Il suo Satiretto o Fauno, in cui effigiar volle una tranquillità indolente, stava appoggiato ad una colonna4 con due tibie in mano, e si chiamava Anapavomenos5 (il riposantesi) a cagione di tal positura: avrà probabilmente avuta una mano sopra la testa come un Ercole, che rappresentasi in atto di riposo dalle sue fatiche, ed ha l’iscrizione ΑΝΑΠΑΥΟΜΕΝΟΣ6.
[Nicomaco.]
§. 20. Farò qui menzione di Nicomaco celebre pittore. di questi tempi, se non ad altro titolo, almeno per esser egli
Tom. II. | I i | stato |
- ↑ Il capo d’opera d’Aristide, in cui espressi vedeansi gli affetti dell’animo e i sentimenti del cuore, fu quel quadro rappresentante una madre ferita a morte nella presa di una piazza. Le stava attacato alle poppe un pargoletto, e ben vi si scorgea il timor della madre moribonda, che in vece del latte non avesse il figliuolo a succhiar del sangue. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 19.
- ↑ Di Cauno nella Caria, città soggetta a Rodi. Plinio lib. 35. c. 10. sect. 36. §. 20. princ., e ivi l’Arduino nella nota. num. 141.
- ↑ Narra Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 20., che Protogene riuscì a dipingere per caso la spuma d’un cavallo, cui non avea potuto riuscire con tutta l’arte, gettando per rabbia la spugna inzuppata di colori contro il quadro; e che lo stesso avvenne al pittore Nealce. Dione Grisostomo Orat. 64. pag. 590. D., e Sesto Empirico Pyrrh. hypot. l. 1. cap. 12. pag. 7. B. lo dicono d’Apelle.
- ↑ Strab. lib. 14. pag. 965. princ. Tom. iI.
- ↑ Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 20.
- ↑ L’opera più insigne di Protogene è stata la tavola rappresentante il cacciatore Ialiso: opera in cui impiegò sette anni. In tale stima fu essa tenuta dal re Demetrio Poliorcete che, per non distruggerla, s’astenne dall’incendiare un sobborgo di Rodi da lui assediato. Plin. lib. 7. cap. 38. sect. 39., A. Gell. Noct. att. lib. 15. c ult., & Plut. Apophthegm. oper. Tom. iI. pag. 183. B. Quintiliano lib. 12. cap. 10. ammira in lui l'esattezza, e Cicerone De clar. orat. c. 18. n. 70. lo paragona a più altri valenti pittori di que’ tempi. Apelle stesso restò grandemente sorpreso al vedere quel quadro, opera grande e maravigliosa chiamandola; in essa nondimeno non ravvisò quella grazia che a sè solo arrogavasi. Plut. in Demetr. oper. Tom. I. p. 892. F. [ il quale la dice portata in Roma, ove poi fu consunta da un incendio ], & Ælian. Var. hist. lib. 12. cap. 41. Fece altresì Protogene alcune statue in bronzo. Plin. l. 35. cap. 10. sect. 36. §. 20.