Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo V/Prefazione

Prefazione

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Tomo V Tomo V - Indice e sommario

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PREFAZIONE


Non vi ha forse alcun secolo in tutta la storia della letteratura italiana, in cui tanto io abbia incontrato di difficoltà e di ostacoli a superare, quanto in quello che ora offro a’ miei leggitori. La copia delle cose che quanto più ci avanziamo, tanto maggiori ci si presentano e più dilettevoli a ragionarne, pareva, e me ne lusingava io stesso, che spianar mi dovesse il cammino e rendermi assai più agevole la fatica. Ma le mie speranze troppo sono state deluse. Non solo la stessa ampiezza dell’argomento mi è talvolta stata d’inciampo, ma inoltre nella maggior parte degli scrittori di questo secolo ho ritrovato comunemente oscurità e inviluppo sì grande, parte per una cotal maniera di scrivere, parte per difetto delle edizioni che abbiamo per lo più guaste e scorrette delle loro opere, che spesso son rimasto dubbioso a qual opinione dovessi attenermi, e non poche volte ho dovuto lasciare alcune questioni in quella incertezza medesima, in cui aveale ritrovate. Gli autori che visser non molto lungi dal secolo di cui scrivo, avrebbon potuto recare non poca luce alle cose di quelli che dappresso gli aveano preceduti. Ma essi si mostrano spesse volte sì mal istruiti ne’ fatti, de’ quali per poco non erano stati testimonii di veduta, che si contraddicon l’un l’altro, e ci lascian dubbiosi chi fra essi dobbiam prendere a guida. Frequenti pruove ne incontrerem nel decorso di questo studio, che ci faranno bramare di vedere un giorno la storia letteraria del secolo xiv meglio illustrata. Io mi lusingo di aver fatte in essi alcune scoperte, e di aver emendati più falli di molti scrittori. Ma quanti ne avrò io commessi nel corregger gli altrui! E anche ove mi sia riuscito di coglier nel vero, quanto rimane a correggere e a scoprire! Vedrem nondimeno che alcune parti della storia di questo [p. vi modifica]secolo sono state già assai felicemente illustrate, singolarmente per ciò che appartiene alle Vite de’ tre Fiorentini che furono per comune consenso i più grandi uomini di quella età, cioè Dante, il Boccaccio e il Petrarca. Le Memorie della Vita del primo, scritte con esattezza e con erudizion singolare dal sig. Giuseppe Pelli, e la Storia del Decamerone del sig. Domenico Maria Manni, nella cui prima parte diligentemente si esamina la vita del Boccaccio, mi han giovato non poco alla cognizion della storia di questo secolo. Ma niun’opera mi è stata in questo genere sì vantaggiosa, quanto le Memorie per la Vita di Francesco Petrarca in tre tomi in quarto, scritte in francese dall’abate de Sade, e pubblicate colla data d’Amsterdam gli anni 1764 e 1767. Una diligente lettura di tutte l’opere, e singolarmente delle lettere così stampate come inedite (che sono in grandissimo numero) del Petrarca, una faticosa ricerca di tutti gli archivii e di tutte le biblioteche, onde potea sperar qualche lume, un attento studio sopra gli scrittori o contemporanei, o vicini allo stesso Petrarca, un giudizioso esame di tutti gli autori che più o meno ampiamente ne hanno scritta la Vita, e finalmente una continua ed indefessa fatica di molti anni, ci han fatto avere da questo erudito scrittore la più ampia storia che ancor avessimo avuta, non sol del Petrarca, ma si può dire di tutto quasi quel secolo: talchè ella potrebbe quasi intitolarsi Storia sacra, profana e letteraria del secolo xiv. Così non vi ha avvenimento di quell’età, che non vi si vegga almeno accennato, non personaggio in qualche modo, di cui noi vi si vegga almeno in compendio la Vita: anzi appena ei nomina città alcuna di cui non ci dia in qualche maniera la storia. La moltiplicità degli oggetti a cui l’ab. de Sade ha stese le sue ricerche, ha data a quest’opera un’estensione forse maggior del bisogno, e chi brama di saper le vicende e le azioni del gran Petrarca, non può a meno di non annoiarsi alquanto al vedersi ad ogni passo tratto fuor di sentiero per andar in cerca di cose in cui quegli appena ebbe parte. Questo difetto però è troppo ben compensato da molti lumi che l’autore ha sparsi sulla vita di questo grand’uomo, dall’emendar che egli ha fatto gli [p. vii modifica]errori di molti scrittori, dall’ordine con cui si son disposti gli avvenimenti, dalla minutezza con cui essi vengon narrati, e da molti pregevoli monumenti ch’egli prima d’ogni altro ha scoperti e pubblicati.

Ma un Italiano, e uno singolarmente che scrive la Storia della Letteratura Italiana, non può a meno di non dolersi alquanto di certi tratti che questo scrittor francese ha qua e là sparsi nella sua opera, e principalmente nella prima prefazione al primo tomo premessa, e da lui indirizzata agli eruditi Italiani. Ei ci rimprovera in somma che abbiamo finora ignorata la vita del Petrarca, e si gloria di essere stato il primo a darcene una giusta idea. Oserò io, dic’egli fra l’altre cose (p. 75), o signori, di comunicarvi il frutto delle mie riflessioni? Le mie congetture su questo argomento (cioè sullo scopo e sull’epoche delle poesie del Petrarca) sono interamente opposte a quelle di tutti i vostri scrittori (parlo di que’ soli che io ho veduti): convien necessariamente che o io, o essi siamo in errore. Non posso esprimere quale è stata la mia sorpresa nel fare questa scoperta; e vi confesso sinceramente ch’essa mi ha fatto nascer non pochi dubbi sulle mie congetture, per quanto io avessi studiato affin di accertare il vero. Se queste congetture fossero vere, ne seguirebbe che la più ingegnosa nazion d’Europa avrebbe fino al presente ignorato tutte le circostanze della vita di un uomo a cui più che ao’ogni altro debb’esser tenuta, e che più d’ogni altro le ha recato onore; ma ancor l’epoca e l’argomento delle sue poesie ch’ella già da, quattro secoli non cessa mai di leggere e d’ammirare. Ma eccovi cosa ancor maggiore e del tutto incredibile. Se le mie congetture fossero giuste, sarebbe vero che un uomo nato di là dall’Alpi con assai mediocre talento sarebbe venuto ai’insegnare a questa nazion medesima ciò che assai meglio di lui dovrebbe ella sapere; e ciò usando solo de’ libri ch’ella ha tra le mani, e di alcuni codici tratti dalle biblioteche della medesima. Un tau’uomo non potrebbe egli dire ciò che dicea Cicerone dopo avere scoperto il sepolcro d’Archimede? Una delle più grandi e delle più dotte città di Grecia (dovea dir di Sicilia) avrebbe ignorato il sepolcro del più celebre de’ suoi cittadini, se un abitante d’Arpino non fosse venuto aa’additarglielo. Egli [p. viii modifica]è ben vero che dopo questo sì amaro insulto l’ab. de Sade parla di se medesimo con tal modestia, che la maggior mai non si vide nel più cauto scrittore. No certo, o signori, dice egli, ciò non è certamente possibile. Le mie congetture debbon necessariamente esser false. Vi chieggo in grazia che vogliate attentamente e senza prevenzione esaminar le prove su le quali esse sono appoggiate. Scopritemi i miei errori, ch’io ben lungi dal tenermene offeso, riceverò le vostre critiche qual contrassegno di bontà e di stima. Ardisco di promettervi che in me troverete molta docilità, un’estrema diffidenza delle mie idee, quando singolarmente esse non s’accordano con le vostre, e una gran disposizione a riconoscer la verità, quando io vedrolla risplendere chiaramente, da qualunque parte io ne vegga venire il lume. Ma giova il credere che egli qui abbia parlato sinceramente, e che perciò, s’egli ancor vive, debba veder con piacere ch’io prenda a soddisfare in parte a’ suoi desiderii e alle sue richieste1. Nella prefazione premessa al secondo tomo [p. ix modifica]egli si duole che niuno abbia ancor pubblicata critica alcuna contro del primo già da più mesi uscito alla luce. E veramente io confesso che creduto avrei che gli eruditi Italiani dovessero riscuotersi alquanto alla lettura di una tal opera; e intraprendere la difesa del loro onore non poco in essa oltraggiato. Ma veggo insieme qual ragione possa averlo loro vietato. Le Memorie dell’ab. de Sade occupano tre gran volumi in quarto, e quindi a esaminarle e discuterle con esattezza si richiederebbe un’opera di almen doppia mole, Quanto è difficile il ritrovare chi abbia agio a tanto! E ancorchè pure un l’avesse, si può egli sperare in Italia che alcuno si addossi il carico di tale stampa? Che s’ella è impresa difficile a chicchessia, quanto più a me, che dovendo in un sol tomo ristringere tutta la Storia della Letteratura Italiana del secolo XIV, mi veggo costretto a non istendermi tanto nel ragionar del Petrarca, che anche agli altri non rimanga il lor luogo? Io non posso adunque che dare un saggio di quella critica che sì istantemente dimanda l’abate de Sade. Nel decorso di questo tomo mi avverrà spesso di rilevarne gli errori; perciocchè avendo egli voluto trattare di tutti quasi i fatti, e di tutti gli uomini di quel secolo, avrò non rare volte occasione di scoprire i falli in cui egli è caduto. Qui ne uniremo parecchi altri che nel decorso dell’opera non han potuto aver luogo, [p. x modifica]X PREFAZIONE e gli uni congiunti agli altri ci faran conoscere se F opera dell’ab. de Sade sia veramente dotata di quella esattezza a cui egli par che lusinghi di averla condotta. Due prefazioni ha premesse al primo tomo l’ab.de Sade, una indirizzata agli eruditi Italiani , l’altra a’ Francesi. Io lascio in disparte la seconda, e mi trattengo sol sulla prima. In essa ei viene schierandoci innanzi tutti quegli scrittori che ci han data o la Vita, o F Elogio del Petrarca. E io gli concederò di buon grado, che ciò che ne hanno scritto parecchi autori del secolo xiv e del xv, come Domenico di Arezzo, Coluccio Salutato, Pier Paolo Vergerio il vecchio, Secco Polentone, Filippo Villani, Leonardo Aretino e Giannozzo Mannetti, sia cosa assai superficiale e digiuna. Nè è a stupirsene; poichè altra maniera non conoscevasi allora di scriver le V ite degli uomini illustri. Nel ragionarne però che fa l’ab.de Sade, non è sempre molto felice. Egli cita una lettera a lui scritta, dic’egli, dal eli. canonico Band ini (p. 8), in cui parlando della V ita che Coluccio scritta avea del Petrarca, così diceagli: Hunc Colucii libellum nondum editum, aliasque in oras emigrati lem seplem abhinc annis versavi, deploravique. Ma queste parole in primo luogo son tratte dalla Vita di Ambrogio camaldolese scritta (dall’ab.Mehus (p. 228), che assai spesso allegheremo nel corso di questo studio. E inoltre parmi ridicola la traduzione che fa l’ab. de Sade, ove quelle parole latine: alias in oras emigrantem, egli così traduce in francese: il court le monde à présent. Egli dice che ha creduto opportuno di pubblicare ne’ monumenti aggiunti alle sue Memorie l’originale latino della Vita del Petrarca scritta da Filippo Villani, poichè esso non avea ancora veduta la luce (p. 15). Ma esso era stato già inserito dall’ab. Mehus nella Vita di Ambrogio camaldolese (p. 195, ec.) stampata cinque anni innanzi ch’ei pubblicasse il primo tomo delle sue Memorie, e ben conosciuta dall’ab. de Sade che non rare volte la cita. Ei riprende Giannozzo Manetti, perchè pone il secondo viaggio a Napoli del Petrarca quattro anni dopo il primo, e dice (p. 18) eh’ ci si è ingannato di due anni; perciocchè il primo accadde nel i34i, il secondo nel i3 j{. Ma se il Mannetti ha errato, egli nel suo errore ha compagno lo [p. xi modifica]PREFAZIONE XI stesso Petrarca, perciocché questi parlando del secondo suo viaggio a Napoli, dice: Non ea Neapolis, quam, quartus voi vi tur aniius, Ausonia* inter florentem vidimus urbes. Carm. I. a, ep. ifi. Non è ella cosa onorevole l’errar seguendo tal guida? Siegue egli poscia a parlare di altri che non molto dopo scrisser la Vita del Petrarca, cioè di Bernardo Ilicino, Antonio da Tempo, Silvano di Venafro, Girolamo Squarciafico: e io ho avuto a soffi ire grande fatica, dic’egli (p. 7.0), nel raccoglier qualche notizia di essi, per fargli in qualche modo conoscere: i vostri Giornali, i vostri Bibliografi.’, o non parlan di questi pedanti, o non ne fanno che un motto. Ma si confronti di grazia ciò ch’ei ne racconta, con ciò che detto ne aveano il Crescimbeni, il Quadrio ed altri scrittori, e veggasi se vi ha cosa nuova di qualche importanza, ch’egli vi abbia aggiunta. Ben nuova è la notizia eh"egli ci da (p. 30), quando parlando del buon gusto che in Italia si sparse sul fine del secolo xv, dice che le donne vi ebber gran parte, e singolarmente Beatrice d’Este moglie di Lodovico Sforza duca di Milano, Io vorrei a tanti altri pregi di questa gloriosissima stirpe aggiugnere questo ancora, e nominar Beatrice fra quelli che da essa uscirono a vantaggio e ad onor delle scienze. Ma per quanto io abbia cercato, non mi è avvenuto di trovar altri finora che l’ab. de Sade, il quale le attribuisca tal lode. Tutti gli autori di que’ tempi ci dicon bensì gran cose della protezione da Lodovico Sforza accordata alle lettere, ma di Beatrice non fanno parola, Io lascio in disparte l’enumerazione ch’egli fa delle altre Vite del Petrarca, cioè di quella del \ ellutello, del Gesualdo e di altri, migliori delle precedenti, ma pur esse ancora non abbastanza copiose ed esatte per darci una giusta idea di questo grand’uomo. Ma non posso già ommettere ciò che appartiene a quella che ne scrisse Lodovico Beccadelli arcivescovo di Ragusi. L’ab. de Sade confessa (p..40) ch’ella è la migliore di quante comparvero nel secolo xvi; ma poscia, seguendo il giudizio ili M. de la Bastie (p 43)* dice ch’ella è troppo ristretta, che la cronologia,non [p. xii modifica]XII PREFAZIONE è esatta, che l’autore ommette molti pubblici avvenimenti, i quali han connessione con la vita del Petrarca, e che non dice parola della sollecitudine da lui usata nel raccoglier P opere degli antichi. io negherò che in questa \ ita sian corsi alcuni errori, i quali per altro si riducono ad assai pochi, e che ella sia forse troppo ristretta e concisa; benchè per altro assai poco vi manchi di ciò che si può dir necessario. Ma è certo ch’essa è comunemente esattissima; che non vi è cosa degna di special ricordanza, la qual non vi si vegga almeno accennata; ch’ella è tutta fondata sulle stesse opere del Petrarca, le quali ad ogni passo si allegano; che l’autore ha corretto non pochi falli degli scrittori precedenti; che ha scoperta l’impostura delle Lettere pubblicate sotto il nome di Sennuccio del Bene, di Cino da Pistoia e d’altri, delle (quali altrove ragioneremo; che intorno alla nascita di Laura e aU’innamor a mento del Petrarca ha detto ciò ch’allora dir si potea di più accertato; che giustissimo è il carattere dell’indole e de’ costumi di esso, ch’egli ci ha fatto, e che in somma la Vita ch’egli ne ha scritta, potrebbe.si col cambiamento e con l’aggiunta di poche cose proporre anche al presente come il più esatto compendio che aver si possa delle azioni e delle virtù del Petrarca. Come poi han potuto affermare i due suddetti scrittori francesi che il Beccadelli non dica motto della sollecitudine del Petrarca nel raccoglier libri? Potean pur essi leggere in questa Vita eh’eglifu diligentissimo in cercar V opere degli autori antichi, e n ebbe alcune che oggidì sono smarrite y come furono tra le altre i li Ini de Gloria di Cicerone (p. 51, ed. di Pad. i - \i). Poche parole, è vero, secondo il costume del Beccadelli, ma che bastano a darci idea di ciò che in questo fece il Petrarca. Più lungamente si stende l’ab. de Sade nel ragionare di tre Vite del Petrarca, che in questo secolo abbiamo avute, cioè di quella del Muratori premessa all’edizione di questo poeta fatta in Modena nel 171 i, di quella di M. de la Bastie inserita nelle Memorie dell’Accademia delle Belle Lettere e Iscrizioni di Parigi, e di quella premessa da Luigi Bandini all’edizione del Petrarca fatta in Firenze nel 1748. E quanto alla [p. xiii modifica]PREFAZIONE XIII prima, io concederò all’ab. de Sade ch’ella non corrisponda abbastanza all’erudizione e alla fama del suo autore, e che vi sian corsi più errori che da un uom sì erudito non poteansi aspettare. Ma lo scrittor francese non si mostra qui molto intendente della lingua italiana; perciocchè dicendo il Muratori ch’egli avea scritto queste osservazioni sul Petrarca in villa, f ab. de Sade lo riprende (p. 57) perchè abbia scritta in villa e senza il necessario ajuto dei libri la Vita del Petrarca: il che dal Muratori non sì è mai detto. La Vita scrittane da M. de la Bastie, benchè onorata di grandissimi elogi da’ giornalisti francesi, piace nondimeno sì poco all al), de Sade, che afferma (p. 63) ch’ei si è ingannato in quasi tutti gli avvenimenti della vita del Petrarca. Niuno s’aspetterà, io credo, che mi faccia a difendere uno scrittor francese contro un suo nazionale che lo accusa di gravissimi falli. Contendano essi tra loro, quanto lor piace; e noi passiamo frattanto a parlar della terza delle mentovate V ite, cioè di quella scritta da Luigi Bandini. L’ab. de Sade, benchè confessi che molte notizie ci ha egli date pregevoli assai, e che ha pubblicati alcuni utili monumenti, vi trova nondimeno parecchi errori ch’egli ci viene schierando innanzi (p. 65). Ma perchè ha egli dissimulato che molti di tali errori già erano stati avvertiti, appena fu pubblicata tal Vita, nelle Novelle letterarie di Firenze (1748 p. 593, ec., 609, ec.)? L"ab. de Sade le ha pur vedute; poichè a questo luogo medesimo le cita egli stesso. Perchè dunque ci dice solo ch’esse ricolmaron di elogi la Vita del Bandini, e non ei dice che ne rilevarono i falli, e alcuni singolarmente di quelli ch’egli stesso rileva? Pretende egli forse di farci credere che niuno innanzi alni gli avesse avverti ti? Sembra, a dir vero, che l’ab. de Sade si arroghi più spesso ancora che non converrebbe la gloria di far nuove scoperte. Ei riprende a ragione il Bandini (p. ()68), perchè differisce fino all’anno 1364 la restituzione che al Petrarca fecero i Fiorentini de’ suoi beni paterni, il che avvenne nel 1351. E voi, dice egli, la troverete nelle mie Memorie rivestita di tutte le. sue circostanze che con mio grande stupore non ho trovate in alcuno de’ vostri storici. Poteva però egli aver lette tutte queste [p. xiv modifica]XIV PREFAZIONE circostanze medesime pubblicate già dall’aitate Mehus (Vita Ambr. camald. p. i {3) - il quale prima di lui ha data in gran parte alla luce la lettera che a tal fine per mezzo del Boccaccio l’inviarono i Fiorentini. È vero che il Mehus non ne ha fissato precisamente l’anno; ma avvertendo egli che ciò seguì poco dopo la fondazione fatta nel 1348 dell’università di Firenze, con ciò solo dimostra che pochi anni appresso ebbe il Petrarca la restituzion de’ suoi beni. Io non voglio da tutto ciò inferire che gran lode non debbasi all’ab. de Sade. Egli ha sminuzzata, per così dire, e analizzata la vita del Petrarca; ei l’ha animata ancora coll’inserirvi spesso bellissimi passi delle lettere e dell’altre opere di questo grand’uomo; egli ha (fissate meglio e più fermamente accertate l’epoche di alcuni avvenimenti; egli ha corretti i falli di molti altri scrittori. Ma se io avessi agio ad entrare in un più minuto esame, parmi che potrei mostrar chiaramente che quasi ogni fallo da lui scoperto ed emendato in alcuno , era già stato scoperto ed emendato da qualche altro scrittor italiano, e che quasi ogni cosa di qualche momento da lui narrata, era già stata almeno accennata da alcuno de’ nostri. Ciò che tutto a lui deesi, si è l’aver finemente decisa la gran quistione intorno alla famiglia e alla condizione di Laura, che egli ha svolta tanto felicemente, e comprovata con sì autentici monumenti, che più non rimane luogo a disputarne. Ma qual maraviglia, che niuno prima di lui sia in ciò riuscito? L’archivio di sua famiglia, da cui egli ha tratte le carte che decidono questa contesa, non era già aperto agl’Italiani , nè potevan questi perciò scoprire e definire con sicurezza chi fosse Laura. Egli solo ha avuta la sorte di averne tutti i monumenti sott’occhio; ed egli solo perciò ha finalmente potuto decidere tal contesa. Ma passiamo omai a vedere se le Memorie dell’abate de Sade sian tanto esatte e fedeli, quanto ei pretende che sien difettose e mancanti le Vite che del Petrarca hanno scritto gli autori italiani. Io ripeto che non intendo di chiamare ad esame ogni passo di quest’opera sì voluminosa; ma sol di raccogliere, come per saggio, alcuni non piccioli errori ne’ quali mi &ouo / [p. xv modifica]PREFAZIONE XV avvenuto leggendola, oltre quegli in assai maggior numero clic ne dovremo rilevare nel decorso di questo tomo. E primieramente l’ab. de Sade si mostra in più luoghi assai mal informato della storia e della geograiìu a Italia, e del merito degli scrittori di cui ragiona. La contessa Matilde era, secondo lui (t. 1. p. 5), uscita dalla casa de’ marchesi d’Este. Ma basta leggere ciò che ne scrivono i più esatti storici, e singolarmente il Muratori (Antich. est. t. 1, c. 23), per riconoscere che assai dubbiosa è cotal discendenza. Giovanni Villani, secondo lui (l.c.p. 8), è uno storico, la cui verità e‘I cui candore avrebber dovuto servire di modello agli altri. Ma poco dopo (p. i5, no Li a), il V Mani, dice, era Guelfo , e la testimonianza di lui è sospetta. Dice (p. 11 , nota b) che Corso Donati era della famiglia de’ Cancellieri, mentre i Cancellieri erano pistojesi, e nulla aveano a far coi Donati (G. Vill. l. 8, c. 37). Parlando del primo viaggio che il Petrarca ancor fanciullo fece ad Avignone co’ suoi genitori, afferma eli’ essi (p. 20) si posero in barca a Livorno. È egli possibile che l’ab. de Sade, sì versato nella lettura degli autori italiani, non sa pesse che solo nel secolo xvi cominciò Livorno ad aver qualche nome, e che allora non era certamente tal luogo ove sperar occasione d’imbarco (a)? All’occasion degli studj legali che il Petrarca fece in Montpellier, ricorda T ab. de Sade la scoperta che nell’XI secolo si fece nella Puglia del Codice, dic’egli, di Giustiniano (p. 37, nota d). Ma non vi ha alcuno mediocremente versato in cotali studi, che non sappia i.° che non già il Codice, ma le Pandette si dicon trovate in Amalfi; 2.w che cotal tradizione è assai incerta e dubbiosa; 3.u che quando pure ella si ammetta per vera, essa accadde non nell’ xi ma nel xii secolo. (a) Assai bene si è qui difeso V ah. de Sade nella sua apologia ms. osservando che benché Livorno non fosse allora si celebre e sì opportuno porto, come è «al predente, era porto nondimeno. JNon credo però eh’ei possa provare che ivi o non altrove s1 imbarcasse il Petrarca. Ma ciò poco monta alla fctoria. [p. xvi modifica]XVI PREFAZIONE Poco appresso egli afferma (p. 41 come cosa certissima, che il celebre Giovanni tf Andrea nacque in Mugello: e noi parlando di questo celebre professore mostreremo che nacque in Bologna, e insieme scopriremo più altri falli che l’ab. de Sade ha commesso nel ragionarne. Leggiadro è poi l’anacronismo in cui cade l’ab. de Sade parlando dell’origine della poesia italiana (p. 80, 81)• £1 dice che, mentre la poesia provenzale era giunta nel secolo xii alla sua maggior eleganza, Ciullo d’Alcamo, il giudice Guido da Colonna, e Jacopo da Lentino gracchiavano nella Sicilia, e che i primi versi leggiadri che ivi si udissero, furono a’ tempi di Federigo II verso l’an 1220. Or Ciullo e Jacopo vissero verso questo tempo medesimo, e toccarono in parte il regno di Federigo. Guido poi visse molti anni dopo, e sin verso la fine del secolo XIII. Veggasi ciò che di essi abbiam detto nel quarto tomo. Assai più grave è l’error geografico di questo scrittore, quando dicendo che al Petrarca riusciva grave il recarsi da Milano a Venezia, come Giovanni Visconti bramava, ne adduce fra le altro ragioni che conveniva traversar le montagne dimezzo verno (t. 3, p. 345). Ci dica egli di grazia quai sian le montagne che incontransi sul cammino da Milano a Venezia. Recando dal latino in francese alcuni versi nei quali il Petrarca accenna, nominando le loro patrie, i poeti che cantaron d’amore , cioè quel di Verona, quello dell’Ombria e quel di Sulmona, pel secondo l’ab. de Sade intende Orazio (ib. p. 45). Ma non v’ha chi non sappia che il poeta dell’Ombria non può esser altri che Properzio, e che Orazio era natio di Venosa nella Puglia (a). Nuova è ancor la notizia che ci dà questo scrittore affermando che i professori delle università a’ tempi di cui trattiamo, in vece di dettare le lor lezioni spiegavano un libro (ib. p. 129). E nondimeno nel decorso di questo studio vedremo innumerabili pruove dell’uso di dettare comune tra’ professori di questa età. Finalmente egli attribuisce a un religioso agostiniano la Cronaca italiana di Bologna pubblicata dal Muratori (l. 2, p. 421) » (fi) L1 ab. de Sade ha confessato questo suo sbaglio nella sua apologia nis. [p. xvii modifica]PREFAZIONE XVII quale, come avverte il medesimo editore (Sci ipt. Her. ital. vol 18), è opera di un francescano (a). Ma ciò di che 1 ab. de Sade singolarmente si pregia, si è di aver corretti gli errori degli scrittori della Vita del Petrarca e di avere fissato l’epoche de’ diversi fatti di essa dagli altri o non ben avvertite, o malamente confuse. Nè io negherò ch’egli non sia in ciò stato molte volte felice, e che noi perciò non gli siam de-* bitori di molto. Ma se molti errori egli ha scoperti negli altri, mi lusingo io pure d’averne in lui trovati non pochi. Nel decorso di questo studio vedremo che l’ab. de Sade suppone in un luogo che il Petrarca ancora fanciullo fosse per qualche tempo in Firenze, mentre è certo che non vi fu che Tanno i35o; elicgli dà per suo maestro in Pisa quel Convenevole, alla cui scuola non fu veramente che in Francia; ch’egli afferma che il Petrarca trovò le Istituzioni di Quintiliano nel tornar che facea da Roma, mentre è certo ch’ei ritrovolle quando vi andava; ch’egli dà per maestro al Petrarca in Bologna Cino da Pistoja, il quale probabilmente non tenne mai ivi scuola; ch’egli contro ogni verisomiglianza fa intraprendere il lunghissimo viaggio da Avignone fino a Bologna al padre del Petrarca solo per togliergli dalle mani Cicerone e Virgilio; che non pare che sia stato molto felice nel fissar l’epoca della morte de’ genitori dello stesso Petrarca; che poco esattamente ancora egli ha parlato della dignità di arcidiacono, che questi ebbe in Parma; clic egli gli fa fare un viaggio dall* Italia in Avignone l’an 1344 * *1 (IMal 1,011 sembra abbastanza provato. Questi e più altri errori verremo di mano in mano scoprendo, e confutando, secondo il bisogno. Ma qui conviene avvertirne alcuni altri, de’ quali abbiam lasciato di ragionare nel seguilo della Storia per non interroin(«) Qui M. de Sade si c felicemente difeso; perciocché egli ha osservato che il passo ove ei cita la Cronaca di Bologna , parlando «lolla pestilenza «lei 1^7, si può credere sonilo ila un religioso agostiniano, il quale anche dal Muratori è staio probabilmente credulo autore di qualche parie della medesima Cronaca. TlKABOSCHl j Voi. F. h [p. xviii modifica]XV III PREFAZIONE perne troppo spesso il filo con noja de’ leggitori. L’abate de Sade parlando de’ viaggi che il Petrarca fece sulle coste marittime della Spagna e della Bretagna, dice (l. 2,p. 335)) ch’ei non ha potuto scoprire il vero motivo di cotai viaggi. Ma se egli avesse esaminati con attenzione i versi del Petrarca, in cui di essi ragiona (Carm. l. 1, ep. 7), avrebbe veduto che chiaramente egli dice che a ciò lo spinse il desiderio di estinguere l’amorosa fiamma di cui sentiasi divorato. Il Petrarca parla in una sua lettera al cardinale di Cabassole (Senil. l. 14, ep. 15) che un viaggio ch’ei fece alla grotta di Santa Maria Maddalena presso Marsiglia con uno, cui egli chiama viro fortunae majoris quam prudentiae, e dice che ciò era accaduto trcntaquattro anni addietro. L’ab. de Sade afferma (L cil. p. 374) che il compagno del Petrarca in questo viaggio fu il delfino Umberto, e eh’esso accadde nel 1338, poichè la lettera, dic’egli, fu scritta l’anno i3y"2. Ma nulla di ciò io veggo da lui comprovarsi con buoni argomenti; e quelle parole con cui egli disegna il compagno del suo viaggio, troppo mi sembrano generali, perchè si possa inferirne a chi esse appartengano. L’arrivo del Petrarca a Parma l’anno 1341, dopo la sua coronazione, si dice dall’abate de Sade (t. 2, p. 14) avvenuto poco prima che quella città cadesse sotto il dominio de’ Correggeschi. Ma, come narra egli stesso, essi se ne renderon padroni a’ 21 di maggio, e il Petrarca non vi entrò che a’ 23, come raccogliesi dalla lettera che in quel giorno stesso egli scrisse segnata 10 cal. Junii, cioè a’ 23 di maggio, e non a’ 22 come traduce l’ab. de Sade. Questi racconta (ib. p. 61) che l’anno 1342 un gran personaggio venuto essendo in Avignone , e avendo bramato di veder Laura, cui i versi del Petrarca avean renduta sì celebre, ella non gli parve di tal bellezza che meritasse sì grandi elogi. Ma l’unica pruova di cotal fatto si è un sonetto del Petrarca ivi riportato dall’ab. de Sade, in cui egli dice che quando egli prese ad amar Laura, ella era più bella assai che non a quel tempo. Ma basta egli ciò a provarci la venuta di un gran personaggio? Io non posso parimente seguire l’opinione dell’ab. de Sade nel fissar l’epoca de’ due trattati dal Petrarca composti, l’uno de Vita solitaria, [p. xix modifica]PREFAZIONE XIX l’altro de Otio Religiosorum, i quali, come egli stesso afferma (praef ad l. de Vita sol.), furono scritti un anno l’un dopo l’altro. Or l’ab. de Sade afferma che il primo fu cominciato l’anno 1346 benchè compito solo venti anni appresso nel 1366 (t. 2,p. 270); e che il secondo fu scritto nel 1347 in cui egli afferma che il Petrarca fu alla Certosa, e vi vide il fratello Gherardo religioso già da cinque anni ib. p. 314)• E che Gherardo avesse già passato il quinto anno di religione, quando ebbe la prima visita del fratello, è certo da una lettera del Petrarca citata dall’ab. de Sade. Maio affermo che il Petrarca non prese a scrivere il trattato de Otio Religiosorum che all’occasione della seconda visita ch’ei fece al fratello l’anno 1353, come narra lo stesso ab. de Sade (t. 3, p. 289): e che Quello de Vita, solitaria era stato da lui cominciato 1 anno precedente (a). E a dir vero riflettasi attentamente. Il Petrarca indirizzando il suo libro de f ita solitaria a Filippo di Cabassole prima vescovo di Cavaillon, e allora patriarca di Gerusalemme, lo prega a scusarlo, se ha differito, non già venti, come dice l’ab, de Sade, ma dieci anni a compirlo e ad inviarglielo. Tu igitur... dilationem ipsam jam decennem boni consule. Dunque se il Petrarca cominciò quel trattato nel 1.346, come vuole l’ab. de Sade,ei dovette compirlo nell’anno i35(i. IVla (piando il Petrarca gl’inviò questo libro, Filippo era stato fatto di fresco patriarca di Gerusalemme, perciocchè egli dice di aver posto in fronte a quel libro non praesens patriarchae nomen sed episcopi; neque hanc tuam novam, sed antiquam illam apposi farri dignilalem, e Filippo per confessione dello stesso ab. de Sade (t. 3 , p. 737) non fu eletto patriarca che l’anno 1361. Dunque solo dopo questo anno il Petrarca indirizzogli quel libro. E solo dieci anni prima, cioè circa il 1352, avealo incominciato. Dunque se il libro de Otio Religiosorum fu scritto un anno dappoichè il Petrarca avea scritto quello de Vita solitaria, come abbiamo diuio(<*) Assai lungamente ha difesa l’ah. do Sade l5 epoca da lui fissala di questi duo opuscoli del Petrarca5 •• mi sembrano di qualche peso le ragioni perciìS da lui allegate. Ma la cosa Don e di taulo momento che vaglia la pena di disputarne più olire. [p. xx modifica]XX PREFAZIONE strato, esso fu scritto l’anno 1353. Che se l’ab.de Sade avea ragioni per attenersi all’epoca da lui seguita, dovea egli almeno far motto di queste difficoltà, e recarne lo scioglimento. Lo stesso vuol dirsi della rigorosa rivista che il Petrarca fece delle sue opere, molte delle quali gittò severamente alle fiamme, coni’ egli stesso racconta (praef ad Epist. famil.). A me sembra ch’egli parli in modo che c’indichi chiaramente essersi ciò da lui eseguito l’an 1348, all’occasion del rapirgli che la morte avea fatto non pochi amici. Nondimeno l’ab.de Sade la differisce (t. 3, p. 101) all’anno 1351 senza recarcene ragione alcuna (o). La minutezza finalmente con cui l’ab. de Sade si è prefisso di raccontare tutti i viaggi del Petrarca, mi dà occasione di rilevare due altri errori da lui commessi. Ei parla del lungo soggiorno che il Petrarca fece in Venezia Panno i 3G3 (ib. p. 630, ec.); ma non avverte che o al fine di settembre, o al principio di ottobre da Venezia fece ritorno a Padova. E nondimeno egli stesso cita in un altro luogo (ib. p 6c)8) una lettera che il Petrarca scrisse in quest’anno da Padova al 13 di ottobre (Senil. l. 3, ep. 3). Afferma poscia (l. cit. p. 648) che nel mese di maggio del 1364 ei tornossone a Venezia. E nondimeno egli stesso confessa (ib. p. 733) che fu scritta nel primo di marzo di quelP anno una lettera che certamente fu da lui scritta in Venezia (Senil. l. 3, ep. (6), ove perciò convien dire ch’ei fosse allora già ritornato. Nè io mi stupisco che questi e. più altri errori sien corsi nell’opera erudita per altro ed esatta di questo valoroso scrittore; perciocchè egli si mostra spesso poco felice nel cogliere il vero senso dell’opere del Petrarca e di altri scrittori, della cui autorità egli suole valersi. Rechiamone alcuni esempj. Il Petrarca parlando di Convenevole suo maestro, allora già morto, (a) L’ab. de Sade nella sua apologia ms. ha poi prodotte alcune buone ragioni a provare elle il Pelrarca non potè fare la rivista delle sue opere prima del i35i , e quella singolarmente che nella lettera in cui ragiona di questa rivista, egli accenna le lettere da sé scritte a Seneca, a Vairone, a Virgilio, die appartengono al i34o, o al i35o. [p. xxi modifica]prefazione XXI (lice J# | e„ ,) ch’egli avea tenuta scuola di gramatiug pt,| (.0;s0 ,11 sessant’anni, e Fab. de Sade ci* J ilo passo medesimo (t. 1. p. 30) afferma che Petrarca recossi ancor fanciullo a Carpen/enevolc già da sessantanni crasi impiegato nell’esercizio della scuola (a). L’ab. de Sade pretende leene ri de’ genitori del Petrarca trasportate fosIT Avignone a Firenze (ib. p. 54, note 6). E su Ibndameiito? Sii quelle parole che usa il Petrarca nella celebre sua canzone alF Italia (par. 1, canz. 29): 1 Non è questa la patria in ch’io mi fido , Madre benigna e pia Che cuopre l’uno e l’altro mio parente? Come se essi si dicessero in sua propria persona dallo stesso Petrarca. Ma non è egli evidente che questo altro non è che un pensiero a cui egli brama che pongan mente gl"Italiani per animarsi a difendere la comune lor patria, riflettendo ch’essa chiude nel suo seno le ossa de’ lor genitori? E a dir vero non sarebbe ella cosa ridicola, se il Petrarca parlasse qui de’ suoi genitori, il soggiugnere che fa tosto? Questo per Dio la mente Talor vi mova, ec. Come se il sapere che in Italia sono sepolti i genitori del Petrarca dovesse riscuotere gli animi degl’italiani, e metter loro l’armi tra mano, per sostenerne la libertà e F onore. Più leggiero è un altro errore commesso dall’ab. de Sade, il quale citando la lettera del Petrarca alla posterità, in cui dice che gli cadde in pensiero di comporre il poema dell’Africa sexta qua(Ioni feria majoris hebdomadae. egli traduce il sabato santo (l. c.it. p. 4o3) (b). Poco esatta ancor panni (a) L1 ab. de Sade nella sua apologia ras. riconosce questo suo errore; ma afferma ch’io ho errato quando poro prima ho accennato ciò che poscia altrove ragiono, che Convenevole fu maestro al Petrarca in Carpentras solamente, non anche in Pisa. Ma come ei di ciò non adduce veruna pruova , io non ho che rispondergli. (J>) Anche questo picciolo errore si confessa dall’«ih. de Sade nella sua apulo^ia ms., e così pur l’altro nella traduzione delle parole: trecca.’0a et septem decies. [p. xxii modifica]XXII PREFAZIONE P interpretazione eh’ci dà ad un passo di Svetonio, ove questi dice che parum abfuit che Caligola non facesse togliere da tutte le biblioteche le opere e i ritratti di Virgilio e di Livio, le quai parole a me sembra che dir ci vogliano che poco mancò che Caligola non pubblicasse un tal ordine. E nondimeno l’ab. de Sade le interpreta (ib. p. 443) come se dir volessero che Caligola fece ogni sforzo per eseguire questo suo pazzo disegno. E Petrarca scrivendo al cardinale Bernardo vescovo di Rhodez, e lodandone la felicità non ordinaria di verseggiare , dice: Versus brevis hora trecentos Et septem dccics cxrudit. Carni. I. a, cp. 4A me pare che non faccia d’uopo di grande erudizione latina per intendere che il Petrarca qui vuol dire trecento settanta versi. E nondimeno l’ab. de Sade traduce trois cents dixsept (t. 3, p. 108, 110). Anche nell’interpretare le antiche iscrizioni non è l’ab. de Sade troppo felice. Ei reca la celebre iscrizion padovana, creduta già dello storico Livio: T. Livius Liviae T. F. Quartae L. Halys, ec. E la lettera L. che non v’ ha chi non sappia voler qui dire libertida lui s’interpreta Lucius (t. 3, p. 108, 110). Che direm noi delle Rime del Petrarca da lui recate in versi francesi? O, a meglio dire, che ne direbbe lo stesso Petrarca, se si vedesse così guasto e malconcio? Rechiamone due soli saggi, onde giudicare del rimanente; e il primo sia uno de’ più leggiadri sonetti che abbia questo poeta. Movesi ’l vecchia rei canuto e bianco Dal dolce loco ov’ ha sua età fornita , E dalla famigliuola sbigottita Che vede il caro padre venir manco. Indi traendo poi V antico fianco Per V estreme giornate di sua vita, Quanto più può col buon voler s’aita Rotto dagli anni e del cammino stanco. E viene a Roma seguendo ’l desio, Per mirar la sembianza di c(dui Ch’ancor lassù nel Ciel vedere spera. Così lasso talor vo’ cercando io, Donna , tpurnt è possibile, in altrui La desiata vostra forma vera. [p. xxiii modifica]PItEFAZ ONE XXIII Or eccone la traduzione che ne fa l’ab. de Sade (t. 1, p. 204). Un viellard plein d’impatience Quitte sa femme en pleurs , ses amis, ses enfans; Traine à Rome un vieux corps affaissé per les ans, Pour contempler la rassemblance De ce divin Sauveur que bientot de plus près Il verra dans le Ciel sans ombre et sans nuage. Pour moi, loin de ce beau visage, Dont l’amour a gravé, dans mon coeur tous les traits, Laure, par tout je cherche votre image, Et je ne la trouve jamais. L’altro il trarremo da una delle più belle canzoni, di cui però per isfuggire lunghezza recheremo due sole stanze. Spirto gentil, che quelle membra reggi Dentro alle qua’ peregrinando alberga Un signor valoroso accorto e saggio, Poi che se’ giunto all’onorata verga Con la qual Roma e suoi erranti correggi, E la richiami al suo antico viaggio, Io parlo a te , però ch’altrove un raggio Non veggio di vertù eh* al mondo è spenta f Nè trovo chi di mal far si vergogni. Che s1 aspetti non so, nè che s agogni Italia che suoi guai non par che senta. Vecchia, oziosa e lenta Dormirà sempre, e non fia chi la svegli 0 Le man V avess’io avvolto entixi a.’ capegli! Non spero che giammai dal pigro sonno Mova la testa per chiamar ch’uom faccia Sì gravemente è oppressa e di tal soma. Ma non senza destino alle tue braccia, Che scuoter forte e sollevarla ponno , È. or commesso il nostro capo Roma. Pon man in quella venerabil chioma Securamente, e nelle treccie sparte. Sì che la neghittosa esca dal fango. I’ che dì e notte del suo strazio piango , Di mia speranza ho in te la maggior parte; Che se ’l popol di Marte Dovesse al proprio onor alzar mai gli occhi, Parmi pur ch’a’ tuoi dì la grazia tocchi. [p. xxiv modifica]XXIV PREFAZIONE Udiamone ora la traduzione dell al», de Sade (ib. p 277)Ne voyant parmi les humains Ni-tnaeurs moeurs ni vertu, ni courage, Jeune héros, vaili un! et sage , Je m’adresse à vous; dans vos mains Rome par le Ciel inspirée A remis la verge sacrée Qui doit reformer les fìornaiits. Qu’attend l’indolente Italie ’? Dans le sommi il ensevelic, Elle perd jusq’au souvenir Du triste etat qui l’humilie. Ah! si je pouvois la tenir! Mais non! U Ile est son indolence; Je crie et je soupire en vain. Vous ètes ma seule espérance; Rome en vous met sa confiance. Vous allez changer son destin. Sur cette tête vénérable, Jadis au monde rédoutable. Portez votre bras vigoureux, Et rassemblant sa vielle tresse Tirez-la du bourbier affreux, Où par le lux e et la molesse La virent tomber nos ayeux. Confessa egli stesso modestamente (t. 2. pref p. 21) che le sue traduzioni non sono state accolte con molto plauso, e che da parecchi egli era stato esortato a tradurre in prosa anzi che in versi le poesie del Petrarca, ch’ei credesse di dover inserire nelle sue Memorie , e si duole di non essere stato in tempo a seguir tal consiglio, se non in parte. Ma io credo che assai meglio stato sarebbe, se quasi niuna ne avesse in esse inserita. Perciocchè qual vantaggio ci arrecano finalmente in un’opera storica tanti sonetti e tante canzoni, le quali altro per lo più non c’insegnano, se non ciò che già altronde sappiamo, cioè che il Petrarca era innamorato di Laura. E il tempo che in ciò egli ha gittato, sarebbe stato speso meglio nel ragionare di alcune opere dello stesso Petrarca, di cui mi stupisco che l’ab. de Sade non abbia fatto alcun motto. [p. xxv modifica]PREFAZIONE XXV Nulla a cagion d’esempio ci ha egli detto de’ due Dialogi della vera Sapienza; nulla del libro intorno all’amministrazione della Repubblica da lui indirizzato a Francesco da Carrara; nulla de’ quattro libri delle Cose memorabili; nulla delle Vite degli Uomini illustri continuate poi da Lombardo da Serico; nulla dell’Itinerario della Siria; nulla dell’Apologia ch’egli scrisse contro le calunnie di un Francese che avea impugnata la lettera da lui già scritta ad Urbano V per esortarlo a ricondurre in Italia la sede Apostolica; nulla finalmente di alcune altre operette di minor conto, delle quali pure sembra che dovesse almeno far qualche cenno un uomo a cui qualunque minutissima cosa appartenente al Petrarca è sembrata degna di aver luogo nelle sue Memorie. Di niuna cosa però maggiormente si gloria I* abate de Sade, quanto di avere scoperto gli errori degli scrittori italiani nel fissar F epoca e F argomento di alcune poesie del Petrarca. E che? die’ egli parlando della canzone, Spirto gentil, ec. (t. 1, nota 10, p. 62), l’Italia intera, la più ingegnosa nazion di Europa, idolatra del Petrarca, e che già da tre secoli è. tutta occupata in interpretarlo, sarà ella ancora alV oscuro sulV argomento della più bella canzone, e sul nome dell’eroe, a cui ella è indirizzata? Io non posso crederlo; e non lo comprendo io stesso, e nondimeno mi accingo a provarlo. La temerità di questa impresa mi riempie di raccapriccio. Ma non importa. Dirò ciò che penso con quella libertà di cui si dee godere nella repubblica delle lettere. Questo tratto, a cui più altri somiglianti ne abbiamo nelle Memorie dell’ab. de Sade, non sa egli alquanto di pedantismo? Io non nego che sia stato felice più della maggior parte degl’interpreti nello stabilir l’argomento di cinque o sei componimenti italiani del Petrarca. Ma parmi che maggior lode avrebbe ei riportata, se non avesse menato sì gran rumore. E forse, se io avessi agio di scorrere tutta F immensa folla de’ comentatori del Petrarca, troverei che poche cose ci ha egli dette che già non si fosser da altri asserite. Ma senza gittare il tempo in sì nojosa e inutil fatica, io veggo che lo stesso ab. de Sade, mentre rimprovera Tiraboschi, Voi. V. b [p. xxvi modifica]XXVI PREFAZIONE agl’Italiani la loro ignoranza. mostra eh* ella non é poi sì universale, com’ei vorrebbe Far credere. Egli a cagion d" esempio , parlando della citata canzone che per lo più credesi indirizzata al celebre Cola di llienz.o, pruova con assai forti ragioni che in essa il Petrarca si volge non già a Cola, ma a Stefano Colonna. Egli stesso però avea poc’anzi avvertito che nella diversità d’opinioni, in cui sono su ciò gl’interpreti italiani , alcuni han detto eh! essa polca riferivi a Giordano Savelli, o a Stefano Colonna. Non è dunque sì nuova l’opinione dell’ab. de Sade, ch’ei nel proporla debba riempirsi di raccapriccio. Lo stesso dicasi della canzone: Italia mia, ec.; perciocchè, se si confronterà r opinione dell’ab. de Sade colle due del Gesualdo, (ib. nota. 11), ch’egli medesimo riferisce, e singolarmente colla prima in cui ne fissa l’epoca circa il i34(3, vedrassi chiaro quanto leggera differenza passi tra l’una e T altra. La spiegazione che dà l’ab. de Sade della canzone O aspettata in Ciel, ec., e del sonetto: IL successor di Carlo, ec. (nota 9), era già stata, com’egli stesso confessa, adombrata in parte dal Tassoni. E quindi, benchè a questo diligente scrittor francese si debba la lode di avere con assai maggiore esattezza, che non si fosse ancor fatto, esaminata l’epoca di alcune poesie del Petrarca, parmi però ch’ei non abbia occasion d’insultar cotanto, come fa, benchè con apparenza di non ordinaria modestia, a’ nostri scrittori italiani. Io son venuto finora non già esaminando minutamente l’opera dell’ab. de Sade, che a ciò fare si richiederebbe più agio ch’io non ho al presente, ma dando un saggio non men de’ pregi che l’adornano , che de’ difetti che la rendon men bella, S’ei vive ancora , non potrà più dolersi che gl* Italiani ahbian quasi mostrato di non aver notizia dell’opera da lui pubblicata, e che niuno ne abbia fatta la critica, come egli avea istantemente richiesto. Spero ch’ei non avrà luogo a lagnarsi ch’io non abbia fatto di essa quel conto che le é do\ uto; giacché non ho lasciato di esaltarne l’esattezza e l’erudizione. Che se ho di essa scoperti forse più falli che egli non si aspettava, desidero ch’egli non me lo ascriva a colpa, e nol reputi effetto [p. xxvii modifica]PREFAZIONE XXVII tf invidia o d’animo pregiudicato. Egli ha invitati gl’italiani a scoprirli i suoi errori. Io ne ho accettato l’invito, e se nell’additare i passi nei quali egli è caduto in fallo, ho errato io stesso, sarò sempre pronto a cambiar sentimento, ove si mostrin gli errori in cui io sia inciampato. Converrebbe ora aggiugnere alcuna cosa intorno alla Vita di Dante pubblicata di fresco in Francia da M. de Chabanon. Non vi ha diligenza ch’io non abbia usata per averla tra le mani; ma finora inutilmente. Nè ho potuto vederne altro che gli estratti non troppo favorevoli che ce ne han dati gli autori delle Efemeridi di Roma e delle Novelle letterarie di Firenze, ove, fra le altre cose, si osserva essere certamente cosa assai strana ch’ei volendo scriver la Vita di Dante non abbia avuta notizia alcuna delle diligenti ed esatte Memorie che ne ha pubblicate già da più anni il sig. Giuseppe Pelli. Io non posso dunque dirne per ora più oltre; ma forse in altro luogo e in altra occasione mi si aprirà campo a parlarne (a). Io debbo avvertire per ultimo, che in questo e ne’ seguenti tomi non troverassi 1* indice delle migliori edizioni di quegli autori de’ quali nel decorso dell’opera si è ragionato. Troppo comincia a crescere il loro numero , e troppo son note in Italia cotali edizioni , perchè io debba omai credere necessario quest’indice, il quale riguardo a’ tempi antichi poteva essere di qualche vantaggio. (a) Ciò che io avea qui accennato, è stato poscia da ine ese* gnito nell1 estratto della Vita di Dante scritta da M. Cliabanon inserito nel t. io, p. i, ec. di questo Giornale ili Modena. Ivi potrà vedersi quanto poco istruito si mostri delle rose di Dante chi ha pur voluto illustrarne la Vita; e dal saggio che se n’è ivi dato, si conoscerà chiaramente, che meglio avrebbe fatto M. Cliabanon, se ad altri argomenti avc*>c rivolto il j>uo ingegno e il suo studio,

  1. L’ab. de Sade viveva ancora quando si pubblicò questo tomo della mia Storia, ee’ebbe tempo non sol di leggerlo, ma anche di scrivere una lunga risposta alle obbiezioni ch’io avea fatte alle sue Memorie del Petrarca. Aveane anzi egli già cominciata la stampa, quando fu sorpreso dalla morte; e allora se ne interruppe l’edizione. Io ne fui avvertito, e mi si risveglio tosto nell’animo un vivo desiderio di aver nelle mani questa apologia. Ma forse non l’avrei ottenuta, se il sig. cardinal Luigi Valenti Gonzaga non mi avesse data una luminosa pruova della sua munificenza verso le lettere. Volle egli stesso comprare a ben caro prezzo il ms. originale dell’ab. de Sade; e avutolo nelle mani mi permise l’usarne a tutto mio agio. Io ho dunque letta attentamente quest’apologia divisa in tre grossi quaderni, e in due lunghissime lettere, ch’egli a me medesimo avea dirette. Nella prima di esse, dopo aver onorata di troppe più lodi, ch’essa non meritasse, la mia Storia, si trattien lungamente in cose generali che niuna immediata relazione han col Petrarca, nè co’ particolari errori che nelle sue Memorie ho rilevati. Quindi passa aa’annoverar sette errori, ne’ quali soli confessa egli che la mia critica è giusta. Negli altri ei si vanta di aver tali ragioni a difendersi, ch’io debba darmegli vinto; e questi son l’argomento della seconda assai più prolissa lettera. In essa però ei confessa di esser caduto in alcuni altri errori, oltre quelli che nella prima lettera avea riconosciuti. Degli altri ei proccura di difendersi; e in alcuni confesso sinceramente ch’ei si è difeso assai bene; e che il torto è mio. Ma nella maggior parte le sue risposte son deboli per tal maniera, ch’io son persuaso che, se questa apologia si pubblicasse, gli uomini eruditi conoscerebbono ch’io gitterei inutilmente il tempo in rispondergli. Poichè l’opera è inedita, io sarò pago di accennare di mano in mano le cose, nelle quali ei si difende per modo, che mi costringe a cambiar sentimento. Delle altre cose, delle quali a me sembra che la sua apologia non esiga che io diamegli vinto, non farò motto; che troppo a lungo mi condurrebbe il voler dissertare su ogni punto. Vuolsi anche avvertire che benchè sembri che l’ab. de Sade con quelle due lettere abbia compito il suo lavoro, ei però non ha risposto che alla più picciola parte de’ falli che io nelle sue Memorie ho notati; giacchè son poco oltre a venti gli errori ne’ quali ei cerca di difendersi, e ognun può vedere quanto maggior numero ne abbia io rilevato.