Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/24

PItEFAZ ONE XXIII Or eccone la traduzione che ne fa l’ab. de Sade (t. 1, p. 204). Un viellard plein d’impatience Quitte sa femme en pleurs , ses amis, ses enfans; Traine à Rome un vieux corps affaissé per les ans, Pour contempler la rassemblance De ce divin Sauveur que bientot de plus près Il verra dans le Ciel sans ombre et sans nuage. Pour moi, loin de ce beau visage, Dont l’amour a gravé, dans mon coeur tous les traits, Laure, par tout je cherche votre image, Et je ne la trouve jamais. L’altro il trarremo da una delle più belle canzoni, di cui però per isfuggire lunghezza recheremo due sole stanze. Spirto gentil, che quelle membra reggi Dentro alle qua’ peregrinando alberga Un signor valoroso accorto e saggio, Poi che se’ giunto all’onorata verga Con la qual Roma e suoi erranti correggi, E la richiami al suo antico viaggio, Io parlo a te , però ch’altrove un raggio Non veggio di vertù eh* al mondo è spenta f Nè trovo chi di mal far si vergogni. Che s1 aspetti non so, nè che s agogni Italia che suoi guai non par che senta. Vecchia, oziosa e lenta Dormirà sempre, e non fia chi la svegli 0 Le man V avess’io avvolto entixi a.’ capegli! Non spero che giammai dal pigro sonno Mova la testa per chiamar ch’uom faccia Sì gravemente è oppressa e di tal soma. Ma non senza destino alle tue braccia, Che scuoter forte e sollevarla ponno , È. or commesso il nostro capo Roma. Pon man in quella venerabil chioma Securamente, e nelle treccie sparte. Sì che la neghittosa esca dal fango. I’ che dì e notte del suo strazio piango , Di mia speranza ho in te la maggior parte; Che se ’l popol di Marte Dovesse al proprio onor alzar mai gli occhi, Parmi pur ch’a’ tuoi dì la grazia tocchi.