Storia della letteratura italiana (De Sanctis 1912)/Nota/III.
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stesso ero costretto a reputare non insufficiente. Se non che, da quell’attenta rilettura, anzi da quella fervida partita di caccia agli errori, mi è accaduto tornare con la carniera quasi vuota, nella quale appena qualche povero magro uccellino dibatteva le sue aiucce ferite. Il cacciatore è stato inesperto, o il posto indicato non è ferace per quella caccia?
Nelle ottocentocinquanta fitte pagine di questo libro del De Sanctis si può notare qualche lieve svista o qualche erroneo dato di fatto in materie per lui del tutto secondarie, o qualche poco fondata opinione attinta all’erudizione del suo tempo; ma si deve al tempo stesso lodare la diligenza dell’autore, il quale conosceva magnificamente gli scrittori dei quali recava giudizio, e si giovava, come si è visto, nello scrivere la sua opera, dei sussidi che gli offriva la Biblioteca nazionale di Firenze. Uno studio sui libri adoperati dal De Sanctis non è stato ancora fatto (sebbene io, qua e lá, in altri miei lavori, abbia dato alcune indicazioni in proposito); e lo consiglierei a qualche giovane diligente, che preferisca un’utile ricerca a un brillante e inutile articolo da giornale. All’occorrenza, il De Sanctis sapeva ritrovare e leggere in una edizione cinquecentesca la Commedia dell’anima, della quale appena un magro cenno avevano fatto il Palermo e il Klein, o procurarsi la trascrizione della inedita e importante rappresentazione del Monaco che andò al servizio di Dio, o mettere la mano sopra quella tra le edizioni delle Maccheronee del Folengo che la critica ha poi dovuto riconoscere come fondamentale, pur essendosi «impuntata», anche dopo il De Sanctis, «a gabellarla per una ciurmeria»1.
A ogni modo, offro ai lettori i risultati del mio esame, indicando insieme non solamente le rare e leggerissime sviste del De Sanctis, ma anche quelle opinioni che egli trovava presso gli eruditi del tempo e che ora la critica contesta, o quelle che sono state contestate al De Sanctis, quantunque a torto. Questo elenco si potrá forse accrescere, ma di ben poco.
Volume I , i: «Ciullo d’Alcamo»: il De S. tace dei dubbi sul nome, che, del resto, a quel tempo erano appena cominciati a sorgere, e che non hanno dato alcun frutto. — p. i0 : «I Reali di Francia, le novelle arabe»: da intendere con larghezza, senza riferirsi precisamente alla compilazione di Andrea da Barberino e alle Mille e una notte. — p. 13: «Guido, dottore o, come allora dicevasi, giudice»: i due titoli non erano identici.— pp. 15-6: il Borgognoni (Studi d’erudizione e d’arte, Bologna, 1877, pp. 130-2) se la prende col De Sanctis perché mette l’Intelligenzia fra le cose dei siciliani «nell’opera che gli piacque intitolare Storia della letteratura italiana» [evidentemente, per cosi grosso peccato, l’opera del De Sanctis meritava di essere squalificata come «storia», e denominata «romanzo»!]: il curioso è, che lo stesso B. a p. 287 conclude, per l’Intelligenzia, che «qualcosa di siciliano v’è; vi sono, come oggidí si direbbe, alcuni elementi siciliani»! — p. 17: lo stesso B. (op. cit., n, 93) dichiara sdegnosamente (era amico del Carducci e abituato a codesti sdegni e disdegni) «cosa non seria il timido tentativo del De Sanctis di regalare alla Nina il sonetto adespoto dello ‘sparviere’». Ma l’attribuzione era del Trucchi; e il De Sanctis la ripeteva in questa cautissima forma: «e se il sonetto dello ‘sparviere’ è della Nina, se è lavoro di quel tempo, come non pare inverisimile...». Del resto, intorno a quei primi rimatori il De S. stesso (p. 17) fa una cautèla generale, osservando che: «anche oggi, dopo tante ricerche, non hai che congetture, oscurate da grandi lacune». — p. 24: «Alesso di Guido Donati»: è del Trecento, e giá il Trucchi, a cui si attenne il De S., dubitava che fosse del Dugento.— p. 27: «Guido Guinizelli nel 1270 insegnava lettere nell’universitá di Bologna»: la svista del De S. è nata dal leggere in fretta un poco felice periodo del Nannucci (Manuale, i, 32): «Guido, dice Benvenuto da Imola, che insegnava lettere umane nell’universitá di Bologna l’anno 1270, fu uomo saggio e facondo», ecc. — p. 32: «Di’, Maria dolce...»: il Nannucci l’attribuiva a Iacopone, ma non è di lui. — p. 43. Che Brunetto fosse maestro del Cavalcanti e di Dante, era opinione di vecchi eruditi: tutto sta ad intendersi su quel che si vuol chiamare «maestro», e se nella parola è compresa la panca della scuola. — p. 44: «Cino, maestro di Petrarca e di Bartolo...»: di Bartolo si, del Petrarca no. — p. 48: che il Cavalcanti scrivesse una Grammatica e un’Arte del dire è anche notizia di vecchi eruditi (cfr. Nannucci, i, 266), derivata da inesatta interpetrazione di un passo di Filippo Villani. — p. 60: la Filosofia, nel Convito, non è Beatrice.— p. 72: Matteo Spinelli: il De S. credeva autentici i {w|Diurnali|Diurnali}}, quando giá l’anno prima il Bernhardi aveva ripreso la tesi della falsificazione, che poi trionfò nel 1872 con la memoria del Capasso. E neppure pel Malespini il De S. era informato (e in parte non poteva) dei dubbi sorti sulla autenticitá della sua cronaca di Firenze: questione, del resto, non ancora del tutto chiarita. — p. 84: il «cavaliere di Malta»: a voler sottilizzare, avrebbe dovuto dire: «cavaliere di San Giovanni» (di Malta, divennero poi).— p. 77: il Fiore de’ filosofi non è, ma era un tempo attribuito al Latini. — p. 78: «Egidio Colonna, patrizio napoletano»: corr.: «romano». — p. 109: «Dante... aveva trentatré anni», nel 1300: trentacinque, se si accetta la data di nascita del 1265. — p. 88: «la compagnia del Confalone»: notizia dei vecchi storici del teatro, riferita altresí dal Klein: si è poi discusso se, invece che nel 1264, fosse stata fondata nel 1260, e se rappresentasse o no sin da principio la Passione. — p. 103: «il Purgatorio di san Patrizio di frate Alberico»: voleva dire: «il Purgatorio di san Patrizio e la visione di frate Alberico». — p. 117: il De gestis Henrici o Historia augusta del Mussato è in 16 e non in 14 libri e il De gestis Italic. in 15 e non in 12: del resto, secondo i modi di calcolare. — p. 119: «Martin Sanuto»: è Marin Sanudo [Torsello]. — 119: il De S. ignora (per fortuna!) la questione di Dino Compagni, la quale, per altro, quando egli scriveva, non si era accesa davvero, perché non era stata ancora pubblicata la memoria dello Scheffer Boichorst. Come si sa, si è ormai tornati all’antica fede. — p. 122: Dante, legato a Bonifacio ottavo: cosí dicevano gli antichi biografi; e poi si è discusso del fatto (e di quale particolare della biografia di Dante non si è discusso?); ma molti tengono pel sí. — p. 131: il De monarchia, dedicato a Enrico settimo: cosí il Boccaccio. — p. 238: pare alludere a che Dante fosse andato all’universitá di Parigi: altro tema d’infinite discussioni. — p. 249: «Bonati» è il padovano Bonatino, sul quale cfr. Tiraboschi, V, iii, 3-4.— p. 276: che Dante studiasse a Bologna, è notizia del Boccaccio. — p. 277: il Boccaccio «venuto a Napoli a ventitré anni»: ma il B. stesso dice di esservi venuto «nella sua puerizia»: dunque, prima dei quattordici anni. — Ivi: «7 aprile 1341»: data dall’innamoramento del Boccaccio, secondo i vecchi eruditi; ma ora si suole variamente anticiparla.— Ivi:ora non si crede piú che la Vita di Dante sia un lavoro giovanile. — p. 297: «lettera a Niccolò Acciaiuoli, che il Petrarca chiamava Simonide»: la lettera del Boccaccio, che parla dell’Acciaiuoli, è diretta a Francesco Nelli, detto dal Petrarca Simonide. — p. 284: la materia del Filocolo, tratta da un «romanzo spagnuolo»: il De S. voleva dire che la scena del racconto, in parte, è in Ispagna. — p. 366: la Tavola rotonda e le «tradizioni normanne»: voleva dire «bretoni».— p. 374: il Toscanelli, amico e suggeritore del Pulci per la figura dell’Astarotte: il De S. attinse questa notizia dal giudizio del Foscolo sul Morgante, riferito nella prefaz. all’ed. Le Monnier del poema (1853), e nel Foscolo era una congettura ispiratagli dai noti accenni che Astarotte fa agli antipodi.— p. 375: l’Alberti, fiorentino, nato a Venezia: cosí si credeva, e ora si crede che nascesse invece a Genova; e, insomma, non si sa bene.— p. 376: i Rudimenti della pittura: sono i tre libri Della pittura. — Ivi: l’Amiria e le Efebie, pubblicate dal Bonucci come di L. B. Alberti, si vuole ora che siano del fratello di lui Carlo. — p. 399: nel ricordare alcuni dei tanti poemi cavallereschi del Cinquecento, il De S. si valse del Cantú (Storia della lett. ital., Firenze, 1865, pp. 224-5): il Bernia è soprannome di Mario Teluccini (cfr. Quadrio, iv, 583); i poemi del Pescatore sono due. La morte e la Vendetta di Ruggiero, quelli del Lodovici, che cantano di Carlo Magno, sono anche due: l’Anteo gigante e I trionfi di Carlo Magno. — p. 401: l’elogio del naso, la Nasea, del Caro, è in prosa: il Casa cantò burlescamente il forno, il bacio, la stizza, il martel d’amore, ecc.; ma la «gelosia» fece argomento di un grave sonetto. — p. 402: «Adriano sesto spagnuolo»: ho corretto: «fiammingo». — p. 407: il «decamerone», che il Molza si proponeva di scrivere, non andò oltre quattro novelle. — p. 413: le novelle del Morlino non sono ottanta, ma ottantuno. — p. 418: Simone Porta e Simone Porzio: erano un duplicato per iscorsa di penna, e io ho tolto uno dei due.— Vol, II, p. 2: Ariosto, nato nello stesso anno che Michelangelo, il 1474: la data di nascita di Michelangelo è il 1474, secondo il computo fiorentino ab incarnatione; il 1475, secondo il nostro. — pp. 43-4: l’accenno che guida negli studi al Folengo fosse «un tal Cocaio» è tolta dalla prefazione premessa da Vigaso Cocaio alla sua ediz. delle Maccheronee, «una pappolata che è davvero un impasto d’ inesattezze e d’incongnienze» (Luzio, i. c., p. 366). — p. 46: «la Maccheronea usci in luce nel 1521»: senza tener conto del primo abbozzo, pubblicato nel 1517; «in quattro anni se ne fecero sei edizioni»: calcolo non del tutto esatto. — p. 111: la Storia d’Italia del Guicciardini «si stende dal 1494 al 1532», o, come esattamente soggiunge il De S., fino all’elezione di papa Paolo terzo: ho corretto, dunque, la scorsa di penna in 1534. — p. 113: Le notizie poco esatte sulla madre dell’Aretino sono attinte allo Chasles, Études cit., p. 395; dal quale il De S. prese parecchi particolari, p. e. la descrizione del ritratto dell’Aretino (p. 118: cfr. Chasles, p. 382), che lo Chasles aveva preso a sua volta dal Mazzuchelli. — p. 120: «Giovanni dei Medici... morendo gli disse, ecc.»: veramente si trattò d’una celia: «tosto che mi vidde, cominciò a dirmi che piú fastidio gli dava il pensare ai poltroni che al male, cianciando meco» (Lettere, i, f. 7). — p. 147: il Cellini, morto nel 1570: ho corretto: 1571. — p. 182: «nel 1527, sotto Enrico III di Francia»: errore di stampa; ho corretto: 1577:— Ivi «la parte del Dottore si rese celebre dal Graziano»: «Graziano» era veramente il nome della maschera: l’attore, cui forse qui si allude, si chiamava Luzio Burchiella. — p. 193: il Boccalini, «caduto sotto il pugnale spagnuolo», come si credeva un tempo: ora si crede che morisse di colica e febbre. — p. 207: Daniello Bartoli «è stato in ogni angolo quasi della terra»: bisogna intendere, non di persona, ma con l’immaginazione. — p. 243: «Parigi bruciava Vanini»: piú esattamente «Tolosa». — Ivi: «i loro carnefici li dissero atei»: è vero del Vanini, non del Bruno. — p. 252: il Newton nacque non nel 1642, ma nel 1643: altra varietá derivante dal modo di calcolare l’anno. — p. 222: pel Bruno, il De S. non aveva notizia della Vita che di lui pubblicò nel 1868 il Berti: onde qualche lieve inesattezza (il Bruno nacque nel 1548; prima di recarsi a Ginevra, soggiornò alcuni mesi a Genova e a Venezia; si recò prima a Lione e poi a Tolosa; prima del Candelaio — sebbene nello stesso anno — aveva pubblicato il De umbris; ecc.). — p. 234: il sonetto: «Poi che spiegate ho Tali al bel desio» nella prima edizione era dal De S. attribuito al Bruno, conforme alla credenza allora comune; nella seconda, lascia in dubbio l’autore. Ma del Bruno non è di certo, e pare indubbio che sia del Tansillo, col cui nome si trova stampato e al quale il B. fa dire esplicitamente negli Eroici furori: «feci questo sonetto». — p. 245: pel Campanella il De S. si valse del lavoro del D’Ancona: ora, dopo le ricerche dell’Amabile, non solamente la sua vita, ma anche l’interpetrazione delle sue idee religioso-politiche, è alquanto mutata. — p. 246: il De investigatione (che non ci è pervenuto né fu pubblicato) non «successe», ma precedette di parecchi anni il De sensu rerum. — p. 248: inesatto che il Campanella conoscesse il Galilei a Firenze nel 1592, e che questi lo raccomandasse al granduca per la cattedra. — p. 263: Botero e Paruta, nati entrambi nel 1500: evidente errore di stampa: ho corretto: 1540. — p. 276: il Serra, in prigione perché complice del Campanella: cosí si credeva allora da tutti gli eruditi, e cosí diceva il Cantú, dal quale il De S. toglieva la notizia: ora si sa che stava in carcere sotto l’accusa (probabilmente calunniosa) di falsa moneta. — pp. 276-7: per queste pagine, il De S. si valse del Cantú (Storia cit., pp. 375-92), col riscontro del quale ho corretto «Ranieri» in «Rondoni», «Viletti», in «Ziletti», «Foletti» in «Falletti», «De pandectis» in «De legibus», errori di stampa o lievi sviste. Ma non ho voluto correggere l’errore, che è anche del Cantú, onde il Falletti è fatto ferrarese, dal secolo decimosesto trasportato al decimosettimo, attribuendoglisi una storia, che mai non scrisse, invece del poema De bello sicambrico. Anche al Cantú si deve il lieve spostamento cronologico del Garzoni, e quello, piú grave, del Sassetti. Ho corretto «Carreri» in «Careri» (Gemelli-Careri), e «a piedi» in «per terra», come dice il Cantú, dal De S. seguito in queste notiziole. — p. 287: Vico «di matematica sapeva non oltre di Euclide»: veramente, il Vico scrive che s’innoltrò «fino alla quinta proposizione di Euclide». — p. 311: il Giannone nel Triregno non voleva demolire il «regno celeste», stabilito da Cristo, ma il «regno papale», deformazione di quello. Ma il De S. dichiarava di non conoscere il Triregno (che allora non era stato pubblicato e si ha ora nell’assai cattiva edizione del Pierantoni) se non dai «sunti», del Panzini e forse del Ferrari («a volerne giudicare da’ sunti»). — p. 351: «usci a Parigi la Tartana degli influssi»: in realtá, a Venezia con la falsa data di Parigi. — p. 366: «Parini nacque il 22 maggio»: nacque il 23, come ho corretto. — p. 399: gli Inni del Manzoni uscirono veramente il 1815, ma non quello sulla Pentecoste, aggiunto qualche anno dopo. — p. 410: «Michele Bellotti, Giuseppe Maffei, il traduttore ecc.»; sviste, che ho corretto: «Felice Bellotti, Andrea Maffei».
Può darsi che alcuno giudicherá mediocremente insulso, e non mediocremente irriverente, aver messo tale infilzata d’inezie in calce a un libro, come questa Storia della letteratura italiana, consacrato ad altissimi problemi, la cui meditazione, innalzando e ingrandendo gli animi, li rende incuriosi delle piccinerie, alle quali tanto esagerata importanza fuori luogo attribuiscono gli eruditucoli, soliti a guardare non al lavoro di un uomo che lavora, ma ai peli che sono sul suo vestito. Né io sono giá di diverso avviso; — ma in chiesa coi santi, e in pedanteria coi pedanti.
- ↑ Alessandro Luzio, nella Nota alla sua ediz. delle Maccheronee (condotta per l’appunto sulla Vigaso Cocaio, adoprata dal De S.), ii, 366.