Storia della letteratura italiana (De Sanctis 1912)/Nota/II.
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II
La prima edizione della Storia della letteratura italiana consta, come si è accennato, di due volumi, che recano entrambi la data del. 1870 (quantunque il secondo fosse effettivamente pubblicato sulla fine del 1871), «Napoli, presso Domenico e Antonio Morano»: il primo volume, che comprende i primi undici capitoli, di pp. 408 + 2 inn.; il secondo, di pp. 493 4- 3 inn.
Dopo di questa, altre due se ne fecero in vita dell’autore: la seconda, presso gli stessi editori, con la data del 1873, e nella quale il capitolo decimosecondo entrò a far parte del primo volume, che cosí raggiunse la stessa misura dell’altro (di pp. 461 il primo, di pp. 469 il secondo); e la terza, presso Antonio Morano, nel 1879 (vol. primo, pp. 459, vol. secondo, pp. 465). La terza edizione fu stereotipata, e moltiplicata nell’ultimo trentennio da frequenti tirature, peggiorando sempre di tipi e di carta.
Di queste tre edizioni, il De Sanctis rivide certamente la prima e la seconda (nella quale si notano alcune, benché lievi e rade, correzioni di forma, e appena un solo piccolo ritocco in un particolare di fatto); ma quasi certamente non rivide la terza, nella quale, se venne corretto qualche errore tipografico sfuggito nelle precedenti edizioni, se ne introdussero non pochi nuovi, perpetuati dipoi dalla stereotipia.
Contemporaneamente alla prima edizione, alcune parti del libro vennero inserite in forma di articoli nella Nuova Antologia: nel giugno 1870, le pagine sul Boccaccio e le sue opere minori; nell’agosto, quelle sul Decamerone; nel novembre, sull’Aretino; nel febbraio 1871, sulla Gerusalemme; nell’aprile, sull’Orlando furioso; nell’agosto, sul Metastasio. Sono riproduzioni integrali delle pagine relative della Storia, salvo per quelle concernenti il Metastasio, nelle quali si leggono nell’Antologia parecchi brani, che non sono nel libro1. Dei tre saggi, sul Foscolo (giugno 1871), sul Parini (ottobre) e sul Mondo epico-lirico del Manzoni (febbraio 1872), solo alcuni tratti, particolarmente di quest’ultimo, sono adoperati nella Storia.
Per questa nuova edizione ho posto a confronto tutte e tre le edizioni ora descritte (ricorrendo, per qualche punto dubbio, anche agli articoli della Nuova Antologia); e mi è stato possibile in tal modo correggere non pochi errori di stampa, e dare un testo, che credo perfettamente rispondente all’intenzione del De Sanctis. Superfluo mi è parso, avendo innanzi le stampe curate dall’autore, di ricorrere al manoscritto autografo, che servi per la tipografia e che si serba ora nel Museo nazionale di San Martino in Napoli. La punteggiatura del De Sanctis è stata di solito rispettata, ritoccandola solo dove il ritocco era un evidente miglioramento. E non parlerá dei mutamenti di disposizione meramente tipografica (capitoli a capo di pagina dispari, brani citati messi in corpo piú piccolo, e simili), che sono conformi alle generali norme tipografiche della nostra raccolta degli Scrittori d’Italia.
La fatica maggiore nella revisione del testo è stata spesa nel riscontro di tutti i brani di autori citati dal De Sanctis, dei quali la Storia non indica mai né pagine né edizioni. Per questo lavoro sono stato coadiuvato dall’amico Fausto Nicolini, che se n’è addossato la maggior parte, conducendolo in conformitá del criterio da me adottato giá nella ristampa che feci nel 1907 presso il Morano del Saggio sul Petrarca: cioè di richiamare le edizioni che il De Sanctis ebbe o potè avere tra mano, e di giovarsi soltanto in casi particolari di edizioni posteriori. Onde, per chiarire la cosa con qualche esempio, pei poeti del primo secolo ci siamo valsi, non delle edizioni critiche degú ultimi anni, ma del Manuale del Nannucci e della raccolta del Trucchi; per Dante, dell’edizione Fraticelli; per Dino Compagni, dell’edizione Carbone; e via discorrendo. In genere, il riscontro, per quanto fastidioso, è proceduto senza gravi difficoltá, e le correzioni sono consistite quasi soltanto in parole o forme, che il De Sanctis aveva alterato nel trascriverle o che aveva sostituito, citando a mente, come soleva, i poeti italiani, a lui familiarissimi per lunga e amorosa consuetudine. Ma un grosso intoppo abbiamo trovato nel capitolo sull’Aretino, nel quale quasi tutti i brani riferiti delle lettere e delle opere ascetiche, confrontati con le edizioni dell’Aretino, ci sono apparsi cosí diversi da indurci a rivolgerci per consiglio a uno specialista di cose aretiniane, ad Alessandro Luzio. Il quale, infatti, ci ha subito informato che, giá fin dal 1888, il Fradeletto, pubblicando nell’Ateneo veneto un dramma in versi di Paulo Fambri su Pietro Aretino, notava che il De Sanctis attinse al saggio dello Chasles sull’Aretino, stampato per la prima volta nella Revue des deux mondes del 1834 (e ristampato nel volume: Études sur W. Shakespeare, Marie Stuart et l’Arétin, Paris, Amyot, 1851), e che «piú d’una volta, invece di riportare i passi originali dell’Aretino, egli preferí di ritradurli dalla traduzione francese». Indubitabile è il fatto denunciato dal Fradeletto, e da me verificato: cioè che molti dei brani dell’Aretino riferiti dal De Sanctis sono passati attraverso una liberissima (e talvolta arbitraria) traduzione francese, e hanno cangiato periodo e vocabolario; ma la conoscenza, che ho dello scrupolo col quale il De Sanctis soleva lavorare, e della personalitá morale di lui, mi ha fatto tenere impossibile che egli si fosse lasciato andare a una piccola frode letteraria. E, cercando come la cosa potesse essere accaduta, ho messo in sodo che il De Sanctis, nel preparare quel capitolo, ebbe tra mano le Commedie dell’Aretino, e almeno il primo volume delle Lettere, di cui qua e lá citò testualmente qualche brano; ma che adoperò altresí l’edizione delle Opere di Pietro Aretino, ordinate ed annotate da Massimo Fabi, precedute da un discorso intorno alla vita dell’autore ed al suo secolo (Milano, Sanvito, 1863: ristampa, Milano, Brigola, 1881), nella quale il discorso, che annunzia il frontespizio, è nient’altro che traduzione del Saggio dello Chasles. Il Fabi nella sua pessima edizione (che comprende, con quel titolo di Opere, nient’altro che l’Orazia, una commedia, pochi versi e alcune lettere orrendamente riprodotte), traducendo lo Chasles, non si die’ la pena di ripescare i brani originali, che il critico francese aveva tradotto, e li ritradusse dal francese. Il De Sanctis, giudicando che alcuni di quei brani, scelti dallo Chasles con molta intelligenza, facevano al caso suo, si valse del volume del Fabi, ignaro della frode da costui commessa, e credendo in buona fede di leggere brani testuali. Sicché si potrá ben tacciarlo, questa volta, di poco accorgimento, ma non di un mezzuccio letterario, che egli era incapace di adoperare e del quale forse stimava altri incapace, tanto da diventarne esso vittima. A ogni modo, non mi è sembrato dubbio che fosse mio dovere restituire i brani originali, valendomi dell’edizione parigina (1609) delle Lettere dell’Aretino, e, pei brani che lo Chasles aveva tolti al Mazzuchelli, della Vita di P. A. (Padova, 1741); sí perché l’errore del De Sanctis era affatto materiale, epperò di quelli che gli editori possono, in determinati casi, correggere; e sí anche per impedire che, in un libro cosí divulgato quale è questa Storia della letteratura italiana, andassero in giro brani di un autore italiano, che, in quella forma precisa, non esistono nella nostra letteratura.
Oltre il lavoro di revisione del testo e delle citazioni, mi è parso indispensabile aggiungere a ciascun capitolo della Storia un rapidissimo sommario, che ho chiuso in parentesi quadre, e altresi di suddividere i capitoli piú lunghi (il VII, sulla Divina Commedia, è di oltre cento pagine; e cosí il XIX, sulla Nuova scienza, e il XX, sulla Nuova letteratura) in capitoletti o paragrafi, distinguendoli con numeri. A me sembra che i sommari riusciranno di qualche utilitá cosí per agevolare la lettura di ciascun capitolo, come per riassumerne ad uso della memoria il contenuto; e, raccolti poi in fondo a ciascun volume, daranno a chi li scorre come una veduta complessiva di tutta la Storia. Ma essi serviranno anche a sfatare una sentenza, ossia un pregiudizio, comunemente ripetuto dai critici italiani, e che ha trovato quella sonora eco, che trovano sempre gli spropositi, anche in qualche libro straniero (p. e., nella History of criticism del Saintsbury2): che la Storia del De Sanctis non sia una vera storia, sí bene soltanto una raccolta di saggi staccati sui principali autori! ll che, se non è accaduto pel fatto che il De Sanctis adoperò i grandi nomi come simboli (p. e., c. xv, Machiavelli, e vi discorre anche del Guicciardini, e in genere del pensiero politico italiano; c. xvii, Torquato Tasso, e vi discorre di tutto il movimento letterario della Controriforma; c. xviii, Marino, e vi discorre di tutta la letteratura italiana dal Tasso agli arcadi);— se non è accaduto, insomma, perché la gente ha letto soltanto i titoli dei capitoli o da essi si è lasciata incantare; non so in quale altro modo possa essere accaduto. Certo, se vi ha una storia nella quale il protagonista sia per l’appunto la Letteratura italiana, anzi l’Italia, e i singoli scrittori siano presentati solamente come fasi dello svolgimento generale, è questa del De Sanctis. A persuadere poi dell’irragionevolezza di un’altra poco dissimile censura, e cioè che il De Sanctis taccia degli scrittori minori, gioveranno non solo i sommari, ma anche, e piú direttamente, il minutissimo indice alfabetico che ho compilato, e dal quale si vedrá che il De Sanctis ricorda al loro posto, trattandone piú o meno distesamente secondo i casi, o contentandosi della semplice menzione, gli «scrittori minori».