Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo XIII.
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Sassari S. Michele di Plaiano (fianco)
CAPITOLO XIII.
CIHESA DI S. PIETRO DI SIMBRANOS NELL'AGRO DI BULZI.
S. MICHELE DI PLAANO.
S. MICHELE DI SALVENEROS — S. ANTONIO IN SALVENERO.
ANTICA CATTEDRALE DI OTTANA.
La Chiesa di S. Pietro di Simbranos, che apparteneva all'ordine dei benedettini, sorge nella fertile Anglona a pochi chilometri da Bulzi e da Perfugas. È conosciuta col nome di S. Pietro delle Immagini per alcune rozze figure scolpite sopra l'architrave.
Un laconico documento logudorese del 1113, che riporta il Gattola nella sua storia dell'abbazia di Monte Cassino, ci fa conoscere come questa chiesetta passò alla dipendenza di quest'ordine.
Auxiliante domino deo etc. Ego Gostantine de Carbian et muliere meam Iorgiam de Fzorri ci la fazzo ista cartam cum botuntute de Deus, et de su domnu meum iudice Gostantine bocatibo nomine da Laccon, et de xa muliere domna Marcusa dicta nomine de Gunale, et cum boluntate de archiepiscopum domnum Azzu, et de Dominum Nicolaus episcopum, et de totu fiios meos, lu affilio assantum Petrum de Simbranos sa clesiam mea assantum Benedicto de Monte Cassinum pro appatila in potestate sua a parte de Sanctum Benedictu et fazzatinne cala bolet, appatila benedicta Sanctum. Amen.
Documenti posteriori ci fanno conoscere che Costantino di Garvia fu uno dei più influenti maiorales del giudicato di Torres e consanguineo del giudice Costantino.
Il pontefice Callisto II con bolla del 16 settembre 1123 riconfermava colle altre chiese che l'ordine dei Benedettini di Monte Cassino aveva Sardegna anche ecclesia S. Petri de Simbrano.
Quest'elargizione, largamente encomiata dal continuatore di Leo Ostiense, fu poi nel 1147 confermata da Gonnario di Torres, allorchè, di ritorno dalle crociate, soffermossi per alcuni giorni nel monastero di Monte Cassino1.
Nella Chiesa di S. Pietro abbiamo una variante genialissima delle linee architettoniche, svolte nelle due Chiese di Saccargia e di Tergu. Al primo ordine tre arcate poggiano sui pilastri angolari e su esili colonnine e l'arcata centrale più ampia ed ornata circoscrive la porta. che non differisce dalle solite porte delle chiese medioevali di Sardegna se non per tre figure rozzamente scolpite nella lunetta sopra l'architrave.
Sopra il primo ordine rincorre una fascia elegantemente ornata con fogliame e con caulicoli, sovra la quale poggiano le basi delle colonnine del secondo ordine; in questo non abbiamo il motivo delle ampie arcate impostantisi su colonnine e su pilastrini come a Sorres, a Saccargia, a Tergu e ad Ottana, ma rincorre orizzontalmente una serie d'archetti a sesto acuto poggianti alternativamente su mensoline e su colonnine.
Nel centro abbiamo una finestra circolare contornata da una fascia sagomata. Nel frontone la indipendenza dalle forme solite decorative è ancor più spiccata: gli archetti sono più piccoli e sono in numero di sei per ciascun lato con tre colonnine, due piccole eguali e la centrale posta con arditezza di concezione nell'asse della facciata. Anche negli ornati abbiamo una maggior libertà di linee, pur attenendosi alle forme classiche.
Queste varianti non hanno pur tuttavia tale portata da modificare l'impressione di gioconda eleganza che si prova davanti le chiese del secondo periodo.
E quest'eleganza festosa è data anche dall'alternatività dei filari di trachite nera e di calcare bianco nell'apparecchio in pietra da taglio, dal quale distaccansi le forme rilevate in calcare bianco.
Nei fianchi rincorrono gli archetti pensili poggianti su mensoline; il restante del paramento è di trachite scura senza rilievi e senza decorazioni salvo alcune strette lesene che dallo zoccolo si elevano alla cornice superiore.
La chiesa apparisce costrutta in due periodi: infatti nei muri laterali e specialmente in quello a destra si rileva un vivo distacco fra il paramento superiore e quell'inferiore che da terra perviene alla prima fascia ornata della facciata: in quello si ha una lavorazione più finita con cantoni trachitici regolari e di dimensioni maggiori di quelli usati per la parte inferiore.
Da questo e da altri elementi si può ritenere per certa l'esistenza di un'anteriore chiesetta che s'elevava un poco più su della prima fascia. Posteriormente s'elevarono i muri laterali e si esegui la bella facciata, costruendo a nuovo l'abside e le cappelle laterali.
Quando si eseguirono questi ampliamenti? 1 documenti riguardanti la Chiesa di S. Pietro di Simbranos, vanno sino al XII secolo, ma indubbiamente essi si riferiscono all'antica chiesetta, di cui abbiamo rilevate le traccie.
L'essersi nei lavori d'ampliamento seguite le forme architettoniche di Saccargia e di Tergu con una libertà ed indipendenza, che non si riscontra nelle altre chiese e la forma a sesto acuto degli archetti del secondo ordine della facciata, nonchè altre particolarità stilistiche ci fanno attribuire l'ampliamento della chiesa al XIII secolo.
Nè sminuisce quest'ipotesi l'arte puerile più che rozza, con cui vennero scalpellate le tre figure della lunetta, giacchè la forma di questo bassorilievo e le sue dimensioni lasciano presumere che esso sia un frammento dell'antica chiesa che si volle conservare nella nuova. E questa fo una consuetudine degli artefici medioevali. Per non parlar d'altri e per non uscire dalla nostra isola gli architetti delle due porte laterali della Cattedrale di Cagliari riempirono le lunette di marmi ornati dell'antica chiesa che in parte venne demolita.
Convalida quest'assegnazione un'epigrafe, scritta sul minio in uno dei cavalletti della copertura. Tentai una decifrazione completa, ma mi fu resa impossibile dall'oscurità che avvolge i sottotetti e dall'incomoda e pericolosa posizione a cavalcioni su di una trave.
Potei pur tuttavia leggere queste parole: HOC OPUS FACTUm FUIT. . . . . . SVB. . . . . . IOH. . . . . . EPiscopVS AMPVrie. Per quel rigore al quale inspiransi le nostre ricerche, tengo però a dichiarare di non poter deporre sull'esattezza di questi frammenti. Se Bulzi — S. Pietro di Simbranos (disegno di ripristinamento della facciata).questa parziale trascrizione corrispondesse effettivamente a quanto è scritto sul trave si potrebbe concludere con certezza che le opere d'ampliamento della Chiesa di S. Pietro, comprendente anche il rinnovo della copertura. vennero eseguite, quando reggeva la diocesi d'Ampuria il vescovo Giovanni, ricordato in documenti della prima metà del XIII secolo.
Ad ogni modo, qualunque sia la vera interpretazione di questa epigrafe, la forma delle lettere è incontestabilmente del XIII secolo, il che conferma le conclusioni cui siamo pervenuti esaminando le forme stilistiche della chiesa.
L'interno ha la stessa forma di croce latina delle chiese di Saccargia e d'Ottana e niente di particolare ha da rilevarsi. L'abside è slanciata ed è ripartita esternamente in cinque scomparti da strette lesene. Le finestrine sono strette ed alte con archi a sesto acuto ricavati in cantoni di calcare, che spiccano sul nero paramento di trachite. Nella strombatura del piccolo arco della finestrina collocata nel centro dell'abside è in rilievo una foglia ornamentale.
Questa chiesetta fino a pochi anni or sono era in più che deplorevoli condizioni per essersi in tempi recenti addossate alcune casupole alla facciata, per cui le belle forme restavano affogate fra le informi costruzioni. Ma ciò fu ben poco di fronte ai danni causati dai ricercatori di tesori che, per una delle tante fiabe che pullulano sugli antichi edifici, procedettero a tentativi di scasso nel pilastro angolare a destra che sarebbe certamente crollato se la pietà dei fedeli non vi avesse opposto un pesante ed informe sperone che deturpò, è vero, ancor più le belle forme, ma salvò il monumento da un crollo inevitabile.
Nel 1902 il Ministro dell'Istruzione Pubblica vi fece eseguire gli occorrenti lavori di consolidamento, ch'ebbi l'onore di dirigere e che, ridando all'edificio l'antica e solida struttura, permisero di ripristinare le originarie forme architettoniche.
Pochi cenni si hanno sopra la chiesa che in logudorese è chiamata S. Miali de li Plani e nei più antichi documenti in volgare Scu Migali de Plaianu.
Il Condaghe di S. Pietro di Silki al Kertu di cui al N. 74 della trascrizione fattane dal Bonazzi ricorda Petru Cambella ki temi corona cum Therkis de Carbia e cum Donotho de Gorare, pro Ianne Plana, e prossa sorre Maria, e bincindelos in corona de Iudiche Gosantine in scu Migali Plaianu2.
Da questo passo risulta che al tempo del giudice Costantino di Torres (1113-1120) la chiesa esisteva già ed apparteneva al capitolo della Cattedrale di Pisa, giacchè nell'archivio di questo si conserva l'atto di concessione feudale ed enfiteutica del Convento di Plaiano, a cui era annessa la chiesa, ai monaci vallombrosani di S. Zenone.
Questi dati, messi a riscontro cogli elementi stilistici dell'edificio, c'inducono a ritenere che la Chiesa di S. Michele venne costrutta alla line del XI secolo.
Un'altra e più ampia conferma per parte del capitolo di S. Maria di Pisa ai monaci di S. Zenone risulta da altra scrittura del 1129, esistente nell'archivio dell'ordine.
Bulzi — Chiesa di S. Pietro di Simbranos (facciata).D'allora in poi la chiesa ed il monastero rimasero ai vallombrosani, che riconobbero in ogni tempo i dritti riservatisi dal capitolo pisano, fra i quali quello di eleggere l'abate.
Il monastero ebbe periodi di splendore ed un suo abate intervenne alle corti celebrate del re Pietro IV d'Aragona nel 1305. Dopo l'abbandono dei monaci l'antica badia, come le altre più insigni di Saccargia, di Tergu, di Salvenero ecc. decadde. Crollarono le mura del convento e fu ventura se da tanta rovina si salvò la chiesa, la quale da Giulio II con la bolla del 81 Dicembre 1503 venne unita alla mensa vescovile di Ampurias e poscia con bolla pontificia del 17 Giugno 1585 applicavasi al tribunale del S. Ufficio di Sardegna.
Infine i suoi redditi assegnavansi con altra bolla del 7 Novembre 1769 allo spedale di Sassari, che vendette chiesa, monastero e terreno a privati, dai quali per non effettuato pagamento passò al Credito Fondiario Sardo, che usa la chiesa per deposito di attrezzi e per magazzeni.
E fu un bene che si pensasse d'usufruire l'antica chiesa, giacchè altrimenti, crollato il letto, sarebbero cadute anche le murature e di esse non si avrebbe avuto più alcuna traccia.
Nei pressi della chiesa sono imponentissimi ruderi, che attestano dell'importanza dell'abbazia, ina essi sono ridotti in tal stato da non esser sufficienti a dar una idea anche pallida della disposizione dei locali.
Queste vestigia e la chiesa sono in un piano fertilissimo fra Sorso e Sassari, irrigato da acque fresche, provenienti da una sorgente o meglio da un deposito ch'era nell'ambito del monastero.
La facciata della Chiesa di S. Michele di Plaiano ha alcune forme architettoniche, che ricordano le chiese del primo gruppo ed altre che sono incontestabilmente il prodotto delle influenze schiettamente toscane, che si svolsero nella costruzione delle chiese di Saccargia, di Tergu, di Sorres e d'altre del secondo periodo.
Al primo ordine è un ampia arcata centrale raccordata con i pilastri d'angolo per mezzo di due arcate più piccole. È il motivo architettonico della facciata della Chiesa di S. Giusta. che trae da antiche tradizioni bizantine che perdurarono attraverso il primo stadio dell'architettura romanica.
Il frontone venne sguarnito malamente; manca la cornice di cornamento nei due lati: furono strappate le colonnine e rotta la bifora centrale. Malgrado ciò sono rimaste tante traccie da poter integrarne le linee decorative che non differiscono sostanzialmente da quella di Saccargia e di Sorres. Negli sfondi delle arcate, a casaccio, sono diverse ornamentazioni ad intarsio con intrecci geometrici. Mancano le lastrine l'intarsio, che doveano esser di marmi e di porfidi preziosi.
Malgrado la finitezza di questi ornati, in S. Michele di Plaiano sono forme più robuste e più solide di quelle che abbiamo rilevato nell'architettura del secondo gruppo. La porta riducesi alle sole lince costruttive ed in essa manca la cornicetta che di solito, liscia od intagliata, contorna l'arco di scarico.
Per questi caratteri stilistici l'architettura della chiesa di Plaiano si può considerare come di transizione fra il periodo arcaico ed il secondo, giacchè, mentre al pianterreno sono forme che vedemmo in S. Giusta ed in altre chiese del giudicato d'Arborea, nel frontone s'iniziano le nuove forme, che poscia con tanta eleganza si svolsero in Saccargia ed in Tergu.
Anche i muri laterali hanno subito non lievi alterazioni: sopraelevando il tetto si rimossero le cornici e s'innalzarono i muri, per cui l'archeggiatura romanica perdette della sua sveltezza. Il fianco a sinistra, che è meno guasto dell'altro, è diviso in quattro campi da lunghe e strette lesene ed in essa sono aperte tre finestre: due più antiche, larghe e con strombatura a riseghe, attestano forme anteriori al XII secolo; l'altra ha il solito tipo di feritoia con archetto a sesto acuto, il che fa presumere che venne aperta posteriormente, forse agli ultimi del XIII secolo.
Delle due porte una è di recente costruzione e l'altra è originaria con due piedritti senza capitelli, sui quali poggia l'architrave monolitico.
Le mensoline su cui s'impostano gli archetti pensili sono di diversa fattura e scolpite con arte primitiva. In una di esse dovea esser effigiata una donna completamente nuda, di cui ora non rimane che un mozzicone informe colla parte superiore delle gambe e del busto.
Bulzi — Chiesa di S. Pietro di Simbranos (abside e fianco).
Nel cortile è depositata una colonnina di marmo che dovea appartenere a qualche accessorio della chiesa, pulpito, altare o ciborio; non alla facciata giacchè i capitelli del frontone, essendo di calcare del posto, fanno presumere che anche i fusti fossero dello stesso materiale.
All'altro fianco si addossarono i caseggiati rustici; l'abside venne demolita e con essa la facciata posteriore della chiesa; la navata interna venne suddivisa in due parti da solaio di voltini laterizi poggianti su travi di ferro. Mentre che nel vano inferiore coll'intonaco e colla coloritura si è steso uno strato uniforme sulle pareti, eliminando ogni traccia di antico, nello scomparto superiore abbiamo invece tutt'ora il bel paramento in pietra da taglio, dal quale sporgono le sottomensole su cui poggiavano le travi dei cavalletti che sostenevano la copertura.
La chiesa ha i muri con le pareti rivestiti di cantoni di calcare bianco, molto morbido e facile alla lavorazione.
L'abbagliante ed originario candore di queste belle pietre venne raddolcito ed ingentilito da una patina dorata, deposta dal sole e dall'aria in più che ottocento anni.
Il monaco vallombrosano Eugenio Flammini nella sua Cronaca racconta che il fondatore dell'Ordine, S. Giovanni Gualberto, per richiesta avutane inviò dieci monaci in Sardegna ed in Corsica, i quali nelle regioni di Plaiano e di Salvencro fondarono due monasteri dedicati all'arcangelo S. Michele3.
La narrazione del pio annalista non collima coi testi medioevali, i quali ci attestano di tutt'altra versione: la chiesa di S. Michele di Plaiano, come vedemmo, venne ceduta dai canonici del Duomo di Pisa ai monaci di S. Zenone con atto avente la data del 6 Novembre 1116. La chiesa di S. Michele di Salvenero apparisce in documenti posteriori come appartenente all'ordine vallombrosano: la prima menzione si ha in una bolla di Innocenzo II del 25 Maggio 1139 che ricorda l'abate Mauro di S. Michele di Salvenero. Papa Anastasio IV con bolla del 22 Novembre 1153 pose sotto la protezione della Santa Sede i monasteri vallombrosani esistenti in Sardegna e cioè Monasterium S. Pauli Pisani, Monasterium de Plaiano et S. Venesi in Sardinia4, il quale ultimo non è che il monastero di Salvenero. Questo in breve venne arricchito di terre e di concessioni, per cui gli abati acquistarono nel giudicato di Torres una grandissima influenza, che solo avea confronto con quella del vicino monastero di Saccargia.
Le vicende dell'ordine vallombrosano in Sardegna non sono molto note, per cui ci sia possibile determinare quando il monastero di Salvenero venne abbandonato. Certo è che serie degli abati continua fino a tutto il XIV secolo. Ritengo che i vallombrosani, come i benedettini ed i camaldolesi, dovettero ritirarsi dall'isola di fronte all'invadentismo ed all'influenza sempre più crescente degli ordini dei mendicanti, spalleggiati dal governo aragonese, propenso a rimovere ogni istituzione che rammentasse ai sardi i rapporti avuti con Pisa e colla madre patria.
La chiesa di S. Michele di Salvenero non venne eretta dai vallombrosani, ma sussisteva alla sua inclusione nell'ordine. Chi sia stato il donatore s'ignora; tutto induce a ritenere che questi fosse il giudice Costantino Sassari — S. Michele di Plaiano (facciata).che per la pietà sua e della consorte Marcusa di Gunale si rese benemerito verso gli ordini religiosi d'Italia.
Il Fara (Chorographia Sardiniae, parlando delle ville della soppressa diocesi di Ploaghe nomina Salvenero, ubi est antiquae structurae templum a Mariano Iudice conditum, et divo Micaeli sacrum, Abbatia Vallis-Umbrosae.... nunc a Monachis deserta5.
Indubbiamente il Mariano, cui si riferisce il Fara, fu il primo di tal nome che visse agli scorci del XI secolo.
L'assegnazione data dal Fara ha una certa quale conferma nei condaghi di recente trascritti dal Bonazzi, il che attesta ancor una volta quanto fosse scrupoloso ed esatto questo storico, che trasse dalle genuine fonti, molte delle quali sono ormai perdute, le notizie sugli uomini e sulle cose inserite nei suoi annali De rebus Sardois e nella Chorographia Sardiniae. Infatti al Comporu di cui al N. 312, riferentisi al Condaghe di San Quirico di Sauren i confini del salto acquistato incominciano daue sa ficu de scu Migali de Saluennor..... 6,
Tenendo conto dell'ordine cronologico di questi atti, così bene determinati dal Prof. Besta, questo conporu risulta eseguito sotto il giudice Mariano I. durante il giudicato (sec. XI) del quale esisteva già la Chiesa di S. Michele.
Il monastero di S. Michele coll'annessa chiesa è situato nel ciglio di quell'altipiano roccioso che poscia degrada con ripido pendio nella vallata, nella quale ergesi la chiesa di Saccargia colla sua alta e svelta torre campanaria.
Ho detto monastero, ma più propriamente avrei dovuto scrivere gli avanzi, giacchè di esso non rimangono che poche mura e qualche testata di fabbricato, che ci dicono pur tuttavia della sua estensione ed imponenza.
Le muraglie sono solide e sono rivestite nelle che parti con conci di trachite nera che imprimono a questi ruderi qualche cosa di tetro, che si confà con la rude campagna e col burrone su cui prospettano gli antichi muri. Fra queste scure rovine col gaio paramento di calcare, rotto da lari di trachite nera, s'erge la Chiesa di S. Michele che ora è una filiale della Parrocchia di Ploaghe nel cui territorio è situata.
La chiesa oggi esistente non è certo quella primitiva, di cui si parla nel condaghe di S. Quirico e ciò appare all'evidenza da un semplice sguardo alla sua architettura.
È perfettamente orientata secondo le regole liturgiche colla facciata a ponente: la sua pianta ad una sola navata è crociforme con tre absidi circolari, di cui la più ampia corrisponde alla nave longitudinale. Originariamente questa era coperta da tetto sostenuto da cavalletti in legno a vista, ma ai primi dello scorso secolo si coprì con una pesante volta in muratura, rimovendo la bella armatura in legname e riducendo l'interno della chiesa allo stato attuale, artisticamente e storicamente deplorevole.
L'esterno invece della chiesa andò esente da gravi ed irreparabili manomissioni, benchè le sue condizioni statiche e di conservazione sieno tutt'altro che buone. Non più centro di vasti e fertili possedimenti che molto rendevano all'ordine che l'ufficiava, la chiesa venne abbandonata e vennero quindi trascurate quelle annuali e piccole riparazioni che avrebbero impedito i non lievi deterioramenti. Questi se imprimono all'edificio qualche cosa di pittoresco, porteranno, se non vi si porta riparo, alla rovina di questa chiesa che ha non lieve importanza artistica, giacchè offre uno dei più interessanti e caratteristici esempi dell'architettura romanico-toscana del secondo periodo.
La facciata della chiesa è costrutta con piccoli cantoni di calcare schistosa e presenta l'organismo a false gallerie con arcate a piccolo rilievo, senza ornamenti. È un insieme piuttosto meschino ed inelegante, che certo non può stare a confronto colla parte posteriore e coll'abside d'architettura toscana svolta con padronanza d'arte e di tecnica. Non essendo ammissibile che gli antichi costruttori abbiano dedicato le cure più delicate ed i migliori operai a quelle parti dell'edificio che di solito sono architettonicamente più trascurate. lasciando che la facciata venisse eretta con concetti meschini e con artefici più che mediocri, devesi ritenere che l'antico prospetto, crollato per vetustà o per altro, Ploaghe — Chiesa di S. Michele di Salvenero (facciata).sia stato sostituito con quella facciata in cui è un tentativo di ripristino delle antiche forme. Forse venne rifatta quando il monastero decadeva e mancavano i mezzi per restituirlo all'antico splendore sia rinnovando l'architettura originaria sia ricostruendola con le nuove e ricche forme gotiche.
Nella facciata sono visibili accenni ad un portichetto, che, come quello di Saccargia e di Bisarcio, dovea precedere l'ingresso alla chiesa.
Nei muri laterali abbiamo la caratteristica decorazione romanica cogli archetti pensili poggianti su mensoline.
Il paramento liscio di questi muri è rotto da finestrine feritoie, ora in parte murate.
L'abside centrale ha la parete esterna rivestita con grossi cantoni in pietra da taglio. L'apparecchio costrutto con tecnica medioevale è analogo a quello delle chiese più accuratamente eseguite. Gli archetti sagomati con listelli e gola dritta poggiano su lesene, ottenendosi un insieme armonico e di gradevole effetto.
Nel frontone posteriore si ha l'alternatività dei filari in pietra chiara e scura: questa ottenuta colla trachite, di cui è ricca la regione, quella con massi calcarei ricavati dagli estesi banchi terziari, che nel territorio di Ploaghe s'alternano alle masse vulcaniche.
Questa chiesa ci prova ancora una volta quanto influiscano le condizioni geologiche di una regione sull'aspetto sull'architettura dei monumenti che sono in essa.
Nell'abside abbiamo un'accurata lavorazione e pregi di disegno che, posti a riscontro delle deficenze della facciata, attestano anche ad una superficiale disamina la non coevità delle due più importanti parti della chiesa vallombrosiana.
È probabile che essa in origine fosse ad una sola navata senza il transepto e senza le due absidi.
Una porta architravata con arco di scarico, semplice senza decorazione alcuna, si apre nella testata del braccio sud del transepto. Essa è la così detta Porta santa e veniva aperta tutti gli anni al 25 settembre con speciali cerimonie dall'abate accompagnato dai monaci, dal clero e dai maiorales dei paesi vicini.
Alla chiesa propriamente detta sono addossate due camere, una in prossimità alla facciata e l'altra presso la testata a nord del transepto, da cui dista pochi centimetri. La prima è una costruzione senza importanza, aggiunta in tempi recenti che si dovrebbe demolire per lasciar libero il fianco; l'altra che si scambiò da alcuni scrittori con l'antica sagrestia, costituisce invece quanto rimane della torre campanaria, crollata come la maggior parte dei campanili delle chiese medioevali dell'isola.
Che questa costruzione sia il basamento della torre campanaria risulta dalla struttura architettonica simile a quella dei campanili di Saccargia, di Ardara e di Bisarcio: larghe pilastrate agli angoli e lesene intermedie a ciascun lato della costruzione, la cui pianta è rettangolare, quasi quadrata.
Nel lato di questo mozzicone di torre esposto a tramontana sono una a fianco dell'altra due finestrine, una crociforme e l'altra rettangolare a doppia strombatura colla parte superiore arcuata.
La regione che è dominata per un lato dalle colline, su cui s'adagiano gli abitati di Muros, di Cargeghe, di Florinas e di Codrongianus e per l'altro dall'altipiano del Coloru terminante a mezzogiorno con una collina calcarea sulla quale si adagia il prospero paese di Ploaghe, si presenta interessantissima sotto il punto di vista dell'architettura religiosa. Ploaghe — Chiesa di S. Michele di Salvenero (facciata).Nella fertile vallata di Saccargia o di Saccaria, come anticamente era denominata, è la Chiesa della S.S. Trinità con i ruderi dell'antica e ricca abbazia dell'ordine camaldolese. In prossimità a Cargeghe è la chiesetta di S. Maria di Contra dello stesso ordine menzionata nelle carte camaldolesi, più in su S. Maria di Cea, un romitorio dell'ordine di Vallombrosa. In prossimità a Ploaghe è la Chiesa di S. Michele di Salvenero, che abbiamo testé esaminato. Nella stessa regione esistevano, oltre la Chiesa di S. Antino, di cui sono tuttora i ruderi, le due chiese dell'ordine camaldolese ecclesiae sancti Iohannis et sancti Symeonis menzionate nelle bolle pontificie di conferma delle chiese e dei monasteri del detto ordine religioso. Anche di quest'ultima sono tutt'ora visibili le rovine che, poste a breve distanza dalla Chiesa di Salvenero, non presentano interesse alcuno dal lato archeologico od artistico.
In migliori condizioni è la Chiesetta di S. Antonio, posta ancor essa a breve distanza dell'abbazia di S. Michele di Salvenero in una prominenza che rasenta la strada carrozzabile che da Ploaghe conduce a Codrongianus.
Niente si sa di questa chiesetta; essa indubbiamente dovea essere un romitorio annesso al monastero di Saccargia oppure a quello di Salvenero, forse più a questo che a quello, giacchè nei libri d'amministrazione dei beni della Chiesa di S. Michele di Salvenero all'anno 1762 si trovano menzionate las Iglesias San Antonio y San Antimo dela Villa olim di Salvennero.
Stilisticamente non ha d'interessante che l'abside in pietra concia a filari alternati di trachite rossiccia e' di calcare, originariamente bianco, ma ora isabellino per la bella patina.
Nel frontone posteriore rincorrono, seguendo la pendenza del tetto, gli archetti romanici ed in mezzo è aperto un finestrino crociforme.
I documenti medioevali tacciono completamente sulla Chiesa di S. Nicolò d'Ottana: non un cenno nelle vecchie carte, non un segno, non un'iscrizione sulle antiche mura che possano far luce sulla sua origine.
Ottana era anticamente sede del vescovado ottanense, ma prima che in questa città la diocesi era stabilita in Orotelli, la di cui chiesa parrocchiale conserva molte parti medioevali dell'antico duomo. Nel condaghe della consacrazione della Chiesa di Saccargia fra i maiorales ed i vescovi che intervennero a quella festa dell'arte e della religione, è menzionato anche su episcopu de Ortilen7.
Ugo, Ortilensis ecclesie episcopus, dona nel r139 al monastero di S. Salvatore di Camaldoli la Chiesa di S. Pietro in Ollin con tutte le sue pertinenze8.
Poco dopo la sede dovette trasportarsi ad Ottana, giacchè domnu Zaccaria, non più vescovo d'Orotelli ma episcopus de Otha, firma una remissione di censo che nel 1175 Alberto arcivescovo di Torres fece ai priori del monastero di Nurchi9.
Da questi pochi elementi la congettura più attendibile è quella della costruzione della cattedrale di Ottana verso la metà del XII secolo quando i vescovi trasferironsi alla nuova sede.
La sede vescovile da Ottana venne poi trasferita alla città d'Alghero con bolla degli 8 Dicembre 1503 da Giulio III.
Con la traslazione della diocesi vennero portati ad Alghero tutti i pregevoli oggetti d'arte che ornavano l'antica chiesa: sfuggì solo un bel polittico trecentista che forse ai vescovi d'Alghero, avvezzi alle nuove forme del rinascimento, parve misera cosa e che io rinvenni dimenticato e misconosciuto in una parete della Chiesa di S. Nicolò.
Dopo la traslazione della diocesi la chiesa perdette l'antico splendore, ma la struttura solidissima datale dalle belle trachiti la difese dell'azione delle intemperie e dalle incurie degli uomini.
Oggi, fra i tanti casolari rovinanti, è il solo edificio che rimanga dell'antica città di Ottana. E queste condizioni tristissime erano ancora al XVI secolo, giacchè il Fara menzionando questa diocesi riferisce: Diocesim habet Mediterrancam Sorrensi conterminam Ottanensem appellatam ab Ottana civitate non procul a Tyrso, quam hostinum incursiones populationesque adeo deformarunt, ut nihil supersit memorabile, nisi templum S. Nicolao dicatum ubi erat sedes episcopalis ad Algariensem Ecclesiam Alexandri VI et Iulii III diplomatis traslata10.
Nell' organismo costruttivo e decorativo della facciata dell'antica cattedrale di S. Nicolò di Ottana sono contenute le linee fondamentali della facciata della Chiesa della S.S. Trinità di Saccargia, prima che a questa venisse addossato il bel portichetto.
Malgrado ciò nei dettagli è tanta la diversità dal dover senz'altro eliminare l'ipotesi, che gli stessi artefici abbiano costrutta l'una e l'altra.
Nella Chiesa di Saccargia la struttura architettonica, svolta con la eleganza di una vaghissima ornamentazione, con gli effetti sapientemente ottenuti da due pietre da taglio, la trachite cioè ed il calcare, con lo slancio e la leggerezza risultanti da belle gallerie sopportate da esili colonnine la il fascino dell'arte toscana nel periodo più brillante, mentre nella Chiesa di S. Nicolò d'Ottana predominano linee severe, ampie, quasi solenni.
Ottana — Chiesa di S. Nicolò (facciata).
Elevantesi fra misere catapecchie di un paese, un di fiorente ed ora destinato a sparire, in una pianura greve, malarica, contornata da brulle montagne da una parte e dall'altra dalle acque nel Tirso, essa produce un senso di tristezza che aumenta ancor di più quando si rileva che l'area dell'antica canonica è destinata senza cinta e senza ripari all'inumazione dei cadaveri, alcuni dei quali vidi solo per metà sepolti.
Al primo ordine abbiamo tre arcate ampie, delle quali la centrale inquadra una porta architravata a fil di muro.
Gli archi sono sagomati a forti rilievi e poggiano su pilastrini organicamente collegati colla struttura muraria.
Nell'ordine superiore si ha un egual numero di arcate, per cui riescono della stessa ampiezza di quelle del primo ordine, essendo però meno alte e quindi più tozze. Nel frontone si svolgono le arcate ascendenti ancor esse impostantisi su pilastrini di differente lunghezza.
Questi pochi cenni dimostrano quante e quali analogie costruttive siano fra questa facciata e quella di Saccargia.
Al primo ordine abbiamo lo stesso scomparto architettonico e gli stessi ornati con rombi degradanti nelle lunette: solo che nella Chiesa di Saccargia invece di pilastrini a sezione rettangolare si hanno esili colonnine.
Al secondo ordine abbiamo in Saccargia cinque campi ornati mentre, sono tre in Ottana, ma in ambedue le chiese l'arcata centrale inquadra una bifora poggiante per mezzo di un pulvino su di un esile colonnina.
Nel frontone si ha lo stesso scomparto costruttivo, differendo solo nei sostegni che nella Chiesa della S.S. Trinità di Saccargia sono colonnine e sono invece pilastrini nella Chiesa d'Ottana.
Se le analoghe costruttive non sono nè poche nè lievi, ben diversi sono i motivi ornamentali ed i criteri decorativi cui inspiraronsi i costruttori delle due chiese.
In S. Nicolò d'Ottana il paramento trachitico è d'un cono uniforme: le sagome non staccano se non per gli aggetti; le stesse forme rombiche degradanti che in Saccargia ed in Sorres assumono una vivacità luminosa per gl'intarsi di trachite scura sul calcare bianco e per le ciottole iridescenti, in S. Nicolò d'Ottana non s'avvertono se non per le forti rientranze.
Nè a movimentare, a vivificare la struttura decorativa valgono le poche ciottole sparse nel frontone.
Un maggior slancio si riscontra nella facciata posteriore ed a ciò contribuisce in modo speciale l'abside circolare alto e ben proporzionato.
Sotto la cornice di coronamento dell'abside si svolgono gli archetti pensili romanici poggianti alternativamente su strette lesene e si mensoline. Gli stessi archetti rincorrono secondo le due falde inclinate del frontone e nella sommità dei muri delle cappelle laterali.
Il muro laterale a sinistra è diviso in sei comparti da strette lesene, mentre nell'altro fianco abbiamo i ruderi della torre campanaria che indubbiamente dovea elevarsi altissima per quanto si può desumere dallo spessore delle muraglie.
In questo fianco si nota una particolarità che dimostra ancora una volta quanto aborrissero da regole e da formule dogmatiche gli architetti medioevali. Il campanile divideva questo fianco in due parti: in una di esse si svolge sulla sommità la caratteristica cornice romanica coi piccoli archetti pensili poggianti su mensoline: nell'altra invece si ha uno scomparto decorativo di ampie arcate, come quelle della facciata, impostantisi su alti ed esili pilastrini. Questo motivo architettonico, derivato da tradizioni bizantine, rappresentanti l'influenza locale nelle costruzioni inspirate allo stile pisano, si svolge unicamente in detto muro, dalla facciata al campanile, senza che compaia in alcun'altra parte dello edificio.
Ignorasi e non è possibile indovinare il motivo di sì bizzarra trovata. Non è ammissibile l'ipotesi di un pentimento, giacchè i muri della chiesa soglionsi elevare contemporaneamente a strati orizzontali e quindi le stesse arcate avrebbero dovuto svolgersi anche nell'altro muro laterale.
L'interno della chiesa è a forma di croce latina con due cappelle laterali e con una sola nave longitudinale. L'impressione del tetro è ancor più forte dentro che fuori. Le pareti rivestite con cantoni di trachite scura, la copertura in cui spesseggiano le travi annerite dal tempo, la poca luce trapelante dalle strette feritoie sembrano incombere gravemente sugli sparuti fedeli che la malaria e la miseria rendono d'aspetto cadaverico.
Non si può assistere senza fremere ad una funzione religiosa di Ottana: il sacerdote legge con voce smorzata le sacre pagine ed a lui rispondono i fedeli con preghiere che sono singulti, che sono gemiti, mentre dalla porta aperta s'intravedono nel piazzale gli stinchi di cadaveri non ancora decomposti: anche le campane sonano a morte in quel povero paese.
Oh! come si ricordano e si rievocano in Ottana le giocondità delle vive ornamentazioni di Sorres, la sveltezza della torre campanaria di Saccargia, dalla quale i lieti rintocchi delle campane si spandono attraverso la campagna verde solcata da fresche acque.
Non è possibile, in base ai soli elementi stilistici, determinare l'epoca della costruzione di S. Nicolò d'Ottana. Essa fu tutta eseguita a nuovo e non si ha traccia di presistente edificio. Ha una certa analogia con S. Frediano c con S. Pierino di Pisa, ma da ciò non è prudente trarre alcuna conclusione, come pure sarebbe arrischiato l'asserire che essa sia anteriore alla Chiesa di Saccargia, sol perchè le linee decorative e costruttive di questa chiesa sono svolte in S. Nicolò d'Ottana con forme più grossolane e con arte meno evoluta.
Come semplice congettura derivante da impressione più che da analisi, io ritengo potersi assegnare al XII secolo la costruzione di questa chiesa che fra tanti difetti oggi ha un pregio grandissimo e cioè di essersi conservata nelle originarie forme senza manomissione e senza restauro alcuno.
- ↑ Tola, Cod. Dipt. Sard., Sec. XII, pag. 216.
- ↑ Dott. Giuliano Bonazzi, Il Condaghe di S. Pietro di Silki, Sassari, Tip. Dessì, pag. 21.
- ↑ Martini, Storia Ecclesiastica di Sardegna, Vol. III, pag. 426. Cagliari, Stamperia Reale 1841.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sardo, Sec. XII, pag. 219.
- ↑ Fara, De Chorographia Sardiniae. pag. 81.
- ↑ Bonazzi, Condaghe di S. Pietro di Silki, pag. 73.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sard., Sec. XII, pag. 193.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sard., Sec. XII, pag. 213.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sard., Sec. XII, pag. 240.
- ↑ Fara, De Corographie Sardinige, pag. 85.