Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo XIV.
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Mogoro - Chiesa del Carmine (fianco).
CAPITOLO XIV.
MONUMENTI DEL TERZO GRUPPO — LE CHIESE DEL DONORATICO IN IGLESIAS.
CATTEDRALE DI VILLA DI CHIESA — MADONNA DI VALVERDE.
CHIESA DI SANTA MARIA DEL PORTO IN CAGLIARI.
CHIESA DEL CARMELITANI IN MOGORO.
Colla morte del giudice Costantino II di Cagliari s'inizio nella nostra isola l'azione intensa, talvolta violenta, delle più nobili famiglie di Pisa. Morto questo giudice senza discendenti maschi, Oberto, marchese di Massa e giudice di Corsica, e Tedice, conte di Donoratico, ottengono d'impalmare due sue figliuole, mentre la primogenita andava sposa a Pietro di Torres.
Sorse fra questi e Barisone, fratello di Costantino, una lotta fierissima per il giudicato di Cagliari: Genova, la di cui supremazia negli altri due giudicati di Arborea e di Torres non le impediva di tener fisso lo sguardo sulla città più fiorente, s'elevò a sostenere le ragioni di Pietro ed alla schermaglia diplomatica avrebbe certamente fatto seguire l'azione più efficace delle sue soldatesche, se Oberto di Massa che vantava dritti corrispondenti al giudice di Torres, con abile mossa non l'avesse prevenuta, invadendo nel 1180 la provincia cagliaritana.
Le unioni matrimoniali delle più illustri famiglie italiane colle discendenze femminili dei giudici si fanno più frequenti e la Sardegna, ravvivata da queste fresche energie, s'avvia a quel moto fecondo di trasformazione, che non dovea tardare a rimettere a nuovo le forze sociali dell'isola.
Le pretese di governo di queste famiglie e le loro imprese guerresche rinnovano, scrive il Solmi, i vecchi giudicati con le forze inesauste della giovine civiltà, di cui erano emanazione e fattori; í Visconti si impiantano nella Gallura e nel Logudoro, i marchesi di Massa, i conti di Donoratico. i da Capraia intrecciano, nel vasto e fiorente giudicato cagliaritano ed in Arborea, una intricatissima rete di rapporti dominatori. Queste vaste consorterie nobiliari del continente, gittate nel più fitto dei contrasti ormai suscitati fra i giudici, rappresentavano per Genova e per Pisa, le due eterne rivali, il cuneo più rigido e potente, che finì per minare e per scalzare la vecchia compagine sarda. Perchè quelle famiglie non si contentarono di allargare in Sardegna il cerchio dei loro interessi, ma subito, forti delle unioni matrimoniali e stringendone altre pretesero alla successione nel governo dei giudicati1. Così i Visconti imparentati coi giudici di Cagliari, avendo un Eldigio Visconti sposato una figlia di Pietro di Pluminos, invadono le terre e le città del giudicato cagliaritano e della Gallura, affermando poscia col matrimonio di Adelasia e di Ubaldo Visconti le loro pretese sul giudicato di Torres. La partenza dei Doria s'afferma nel Logudoro colle nozze tra Manuele Doria e Giorgia di Lacon e poi con quelle tra Andrea Doria e Susanna di Lacon.
Una fittissima rete di cupidigie e d'intrighi avvolge le esauste dinastie della Sardegna: sotto larvate concessioni di terre, di miniere, di saline l'isola è suddivisa in tante parti, in cui queste famiglie esercitano atti e dritti di vero dominio, amministrano, promulgano leggi, battono moneta ed innalzano castelli e baluardi.
E già altre cupidigie acuivansi verso l'isola, che il fiorire dei commerci genovesi e pisani ne aveano palesato le recondite ricchezze, quando, Pisa che avea veduto nel trionfo dei suoi cittadini il mezzo per garantire la sfera della sua influenza politica e commerciale in Sardegna, fattasi capace e pronta a una diretta dominazione, profitta degli interni ed esterni dissidi, che si agitavano fra le famiglie pretendenti, e sostituisce a quelle signorie famigliari i propri rappresentanti immediati2.
Ed il gran fatto s'effettuò per opera di un forte e valoroso cittadino di Pisa. Era il 1257: Guglielmo conte di Capraia e giudice d'Arborea, stringeva vigorosamente d'assedio la rocca di Cagliari difesa dalle soldatesche di Genova e dai sardi che ancor teneano fede ai giudici di Cagliari.
Gualduccio di Pisa con potente naviglio solcava il mare e nel borgo di Lapola avea eretto un formidabile baluardo, fornito di macchine potenti e di uomini provati in arme. Sedici galee genovesi, riuscite a forzare la linea guardata da Gualduccio, sbarcarono le truppe, che il podestà di Genova inviava non tanto per rialzare le sorti del giudicato, quanto per scongiurare un'occupazione per parte della repubblica nemica. Contro di esse Guglielmo di Capraia spinse con impeto i suoi, percotendole e debellandole in modo che dovettero frettolosamente e disordinatamente riparare coi loro legni ed abbandonare alla loro sorte i difensori del Castello di Cagliari, i quali cadenti, per fame e per inedia e non più sostenuti dalla speranza di pronto soccorso, si arresero al forte condottiero delle armi collegate di Pisa e di Arborea.
In tal modo Pisa, allorchè esausta per le lotte con Lucca e con Genova e per le discordie civili s'avviava rapidamente a quel disfacimento, di cui la morte del conte Ugolino costituisce l'episodio più lugubremente noto, vide avverato il sogno che due secoli prima avea concepito, intraprendendo la spedizione contro Mogehid e coronati i suoi sforzi e le secolari sue aspirazioni.
Così cadde definitivamente la signoria dei giudici cagliaritani, l'origine dei quali si perde nel buio dell'alto medioevo, e poco dopo ebbero la stessa sorte gli altri giudicati, ad eccezione di quello di Arborea che mantenne per altri due secoli ancora la sua indipendenza con lotte, nelle quali rifulsero colle arditezze di principi di gentil sangue latino le virtù e l'eroismo di Eleonora d'Arborea, figura di gentildonna quanto mai affascinante e suggestiva.
L'antico giudicato Cagliaritano, fu diviso in tre provincie, dove esercitarono loro governo le famiglie che maggiormente aveano contribuito alla fortuna di Pisa in Sardegna: una di esse venne data all'ardito Cattedrale d'Igliesias.condottiero delle soldatesche pisane. Guglielmo di Capraia; i Visconti di Gallura ebbero il castello di Ghirra e l'Ogliastra: i Donoratico comandarono in Villa di Chiesa (Iglesias), in Domusnovas, in Giosa Guardia, in Villa Massargia, in Gonnesa e nelle regioni del Cixerro. Cagliari col formidabile Castrum Kallaris restò alla città di Pisa, il che implicitamente valse ad affermare l'alta supremazia sulle terre possedute dai suoi illustri concittadini.
Il governo di questi e del Comune Pisano nel giudicato di Cagliari fu tutt'altro che pacifico: cruente lotte tormentarono le terre, una volta così tranquille sotto la patriarcale dominazione dei giudici; le vicende di questo periodo sanguinoso in Sardegna si ripeterono tragicamente nelle belle contrade di Pisa.
Le nostre chiese e i nostri baluardi nei tersi paramenti ci tramandano con le armi gentilizie, con le iscrizioni il ricordo, attraverso secoli di straniera signoria, dello spirito italiano che trovò eco così potente nell'animo del grande fiorentino.
Giovanni Villani ci dice che Mariano d'Arborea fu uno dei più grandi e possenti cittadini d'Italia, tenente in Pisa numerosa corte e codazzo di cavalieri. Due iscrizioni ricordano che la Cattedrale dell'antica Villa di Chiesa, venne eretta dal Conte Ugolino, il tragico personaggio della cantica Dantesca. Nelle alte mura del castello di Serravalle in Bosa sono incise le armi di Corrado Malaspina, l'affettuoso amico del gran poeta e le rocche del Logudoro e della Gallura rievocano le figure di Fra Comita, di Michele Zanche e di quel Nino di Gallura, a cui Dante dirige l'affettuoso e gentile canto dell'amicizia.
Mai l'isola nostra fu avvinta al pensiero ed alla vita italiana, come nello scorcio del secolo XIII. I ricordi nostri nell'opera dantesca, anche se cosparsi di sangue, ei rinnovellarono il battesimo d'italianità. Quando Gherardu, generale dei Camaldolesi, volle raccomandare in Sardegna il vicario di S. Nicolò di Trullas si rivolse a domino Currado marchioni Malaspinae, domino Branche de Aurea, donno Comite Matao, domino Parazone de Murchio, domino archiepiscopo Turrino3. In una sola lettera col nome dei tre primi personaggi Corrado Malaspina, Brancaleone Doria e Donno Comita sono evocate le più potenti cantiche del gran poema. In un sacello di S. Francesco di Cagliari erano deposte le ossa di quel Lapo Saltarelli cui Dante move per la vita dissoluta aspre censure, pur non sconfessandone gli atti politici, quando gli succedette nel priorato4.
A quest'espandersi di vita italiana non corrispose un adeguato sviluppo artistico: distrutti gli antichi giudicati, nei quali la limitata coltura dei re e dei maiorales facilmente fece trascendere la religione in superstizione, di cui giovaronsi il clero e gli ordini monastici per ottenere donazioni e chiese in cui il prestigio dell'arte era incitamento a più doviziose largizioni, i patrizi pisani che sostituirono i giudici nel governo, erano troppo spregiudicati ed adusati alle contese, talvolta sanguinose, contro l'invadentismo del pontificato per lasciarsi da questo influenzare e per esser munifici verso il clero e gli ordini monastici, quando da interessi particolari a ciò non fossero indotti.
Siamo ben lungi dai tempi in cui i giudici erigevano chiese pro remedio et salute anime mee e donavano ricche donnikalie e libbre d'argento ai vescovi ed ai priori per il condono delle più turpi consuetudini e dei più feroci delitti.
Alla fine del XIII ed al principio del XIV secolo abbiamo indubbiamente nell'isola una sosta nel movimento artistico. I ricchi mercanti di Castello di Cagliari, è vero, ampliano ed abbelliscono con rinnovate forme la cattedrale, dedicata come il Duomo di Pisa alla Gran Madre di Dio, innalzano al cielo le fulve torri che, sorte per aspre lotte, ora imprimono alla nostra Cagliari una suggestiva nota d'arte, ma gli artefici non sono più chiamati ad erigere mirabili chiese e fulgidi cattedrali come quelle che, inghirlandate di colonnine e rivestite di marmi multicolori, nel secolo precedente adornarono le antiche e turrite città.
Le manifestazioni d'arte di questo periodo storico non eccellono per grandiosità di forme e per ricchezza d'ornamenti. Sono per lo più chiese di ristrette dimensioni che traggono il loro pregio da poche linee decorative svolte con innato sentimento d'arte. Dal punto di vista stilistico alcune sono tarde manifestazioni delle forme del primo gruppo; altre s'inspirano ai motivi architettonici svolti nelle chiese del secondo gruppo; ma oltre queste, ve ne sono alcune, finora completamente sfuggite agli studiosi, le quali hanno un impronta particolare con caratteri stilistici ben definiti e possono comprendersi in un terzo gruppo.
Queste chiese rappresentano il periodo di transazione nell'isola fra lo stile romanico ed il gotico. In esse sopra la struttura decorativa ed architettonica romanica che per niente differisce da quella delle chiese già studiate, svolgonsi le forme nuove archiacute che già sino dal principio del secolo XIII erano apparse in Toscana, raggiungendo colla Chiesa di S. Galgano tale perfezione organica e tale bellezza da non esser superate dalle posteriori e più ricche costruzioni del XIV e XV secolo.
A chi dobbiamo l'introduzione di queste nuove forme gotiche in Sardegna? Forse una certa influenza fu svolta a questo riguardo dal l'ordine Iglesias — Chiesa di N. S. di Valverde (facciata).cisterciense che sappiamo esser stato in Italia propagatore della architettura gotica e che in Sardegna ebbe i monasteri di S. Maria di Cabu-abbas presso Sindia, di S. Maria di Paulis, di S. Maria di Coros c di S. Maria d'Ardarello, dei quali non rimangono che informi traccie e così alterate da non poter fare alcuna congettura.
Le chiese di questo terzo gruppo in cui recisamente appaiono le prime forme gotiche, sono quasi tutte nell' antica provincia di Cagliari e vennero costrutte quando, soppresso il governo nazionale dei giudici, spadroneggiavano nell'isola le più notabili famiglie toscane, mentre Pisa crasi riservato il formidabile Castrum Kallaris.
Le particolarità stilistiche di queste chiese consistono in un'intima fusione dell'organismo architettonico romanico con forme gotiche le quali si estrinsecano per mezzo di finestre archiacute e di fascioni trilobati ascendenti nei frontoni. Quest'ultimo è anzi il motivo dominante e caratteristico.
Queste chiese, a quanto io mi sappia, non hanno riscontro alcuno in Toscana e nelle sistematiche ricerche da me eseguite in Pistoia, in Prato, in Lucca, in Pisa e nei loro dintorni una sola chiesa — l'Oratorio di S. Giulio in Lucca — presenta con esse una qualche analogia.
Infatti anche in questa al primo ordine abbiamo le forme costruttive romaniche, mentre superiormente si svolgono le lince decorative gotiche per mezzo di archetti trilobati rincorrentisi sotto il frontone e per mezzo della bifora campeggiante nella facciata liscia.
Ma le analogie sono più apparenti che sostanziali. Nelle chiese sarde le forme gotiche appaiono organiche e costituiscono tutt'una cosa coll'organismo costruttivo, mentre nella Chiesa di S. Giulia la parte decorativa appare superficiale, tale che potrebbe rimoversi per adattarne un'altra. E ciò ha la sua ragione nelle fasi costruttive di quest'oratorio: la sua prima fondazione risale forse agli ultimi del VIII secolo, ma, cadente per venustà, venne restaurata nel 1295, lasciando disadorna la facciata che venne incastrata degli attuali marmi nel 1344.
È sufficiente la menzione di queste date per convincersi che non è possibile alcun confronto fra questa chiesetta sorta per la pietà della famiglia degli Allucingoli e le nostre chiese del terzo gruppo. Nè a più concreti risultati porterebbe il confronto fra queste e le chiese di S. Michele in Borgo e di S. Caterina in Pisa. Queste hanno tra loro tali analogie decorative da ritenerle di uno stesso autore, quel Fra Gugliemo, allievo di Nicola che le cronache del Convento di S Caterina chiamano magister in sculptura peritus, multum laboravit in augmentandum conventum5.
Anche in queste le forme gotiche appaiono timidamente negli archi trilobati che invece di quelli a tutto sesto costituiscono le gallerie, di cui s'inghirlandano le facciate. Ma qui è tutto, giacchè le rinascenti lince non differiscono da quelle del Duomo e di S. Paolo in Ripa d'Arno che in Sardegna non ebbero svolgimento alcuno.
Questa mancanza di riscontri potrebbe far pensare ad altre influenze artistiche per parte dei maestri che non trassero la tecnica e l'arte costruttiva dai cantieri di Toscana, se non che esse hanno una grazia tutta toscana, per cui anche senza conoscere i modelli si devono ritenere per opere d'artefici pisani.
Queste chiese sono l'ultima espressione della loro influenza artistica, il canto del cigno dei discendenti di Buschetto, di Diotisalvi e di Guidetto, essendo state erette agli ultimi del XIII secolo ed ai primi del XIV secolo, poco prima che lo stendardo d'Aragona, sventolando sulle belle torri che Pisa eresse a rinforzo del Castello di Cagliari, desse il segnale di un nuovo reggimento politico e di altre finalità artistiche.
Colla facciata della Cattedrale d'Iglesias, restituita in questi ultimi anni alle linee primitive, s'iniziano queste forme di transizione.
Al primo ordine abbiamo la porta architravata con arco di scarico, che non differenzia dal tipo costantemente seguito dagli artefici medioevali nelle chiese di Sardegna.
A lato del piedritto a destra è un masso di arenaria in cui collo stemma della famiglia della Gherardesca è scolpita la seguente iscrizione mancante della data per esser abrase le due linee che doveano contenerla: . . . . . . . . . . LO MAGNIFICO SIGNORE | MESSER PIETRO CANINO | PODESTA Per LO SIGNORE RE E DOMINE CONTE UGOLINO DI | DONERATICO SEGNORE DE LA | SEXTA PARTE DE LO REGNO | DI KALLARI E ORA Per LA DIO GRATIA | POTESTA DI PISA EXISTENTE | PIETRO DI BERNARDO OPERAIO.
Quest'iscrizione è d'attribuirsi al periodo dall'Ottobre 1285 ai primi del Luglio 1288, in cui Ugolino fu podestà di Pisa.
In un'altro muro della chiesa è incastrato un marmo in cui leggesi quest'altra iscrizione: ✠ AnNo DomiNI MILLesimo CCLXXXV INDictione XII | HOC OPUS FECIT FIERI PETRus OPerARIUS RE | GNAnTE GVIDONE DE SENTATE POTEST | ATE ARGEnTARIE VILLE ECCLEsiE DOMUSusNO | VE Et SEXTE PARTIS REGNI KALLERET | ANI Pro MAGNI FICO E POTENTE VIRO DomiNO COMITE VGOLINO DE DONERATICO.
Questa è anteriore all'altra epigrafe scolpita nella facciata e probabilmente dovea esser murata in uno dei muri laterali.
Quando si ampliò la chiesa, eseguendo le aperture delle arcate nei muri laterali, si volle conservare tanto preziosa memoria, murando il marino nel lato esterno a destra della porta minore in cornu evangelii.
Queste due epigrafi attestano che nel 1285 la chiesa, che poscia venne elevata a dignità episcopale, era ultimata ad eccezione della facciata costrutta fra il 1285 ed il 1288.
Nel secondo ordine della facciata abbiamo tre arcate a sesto acuto finamente intagliate che ricordano le gallerie delle chiese del secondo periodo. L'arcata centrale contorna una finestra circolare con modanature di ovoli, di listelli e di guscie che palesano un nuovo sentimento nel sagomare.
Nel frontone abbiamo le linee decorative che caratterizzano le chiese di questo terzo periodo. Una serie ascendente di archetti trilobati segue la pendenza del tetto. Questi archetti goticamente sagomati poggiano su fascioni che continuano verticalmente il motivo degli archetti e che non poggiano come nelle chiese degli altri due periodi su fasce orizzontali ma seguono colle estremità inferiori l'andamento delle arcate.
La facciata è quanto ci rimane dell'antica chiesa fatta erigere dal Cagliari — Chiesa di S.ta Maria del Porto.Conte Ugolino. Posteriormente si demolì il tetto che era a cavalletti scoperti, e si gettarono ardite volte gotiche che, pregevoli per la tecnica e per le forme architettoniche, ricordano le costruzioni della Francia meridionale e della Catalogna.
Altre aggiunte senza pregio alcuno vennero eseguite posteriormente, per cui il Duomo d'Iglesias si presenta oggi come un ammasso informe delle più disparate ed ineleganti costruzioni, fra le quali sorride la facciata in cui artefici toscani impressero le grazie della loro arte.
Le spinte della volta, le arcate, le rotture di muro eseguite per gli ampliamenti, tutti questi lavori eseguiti senza criteri d'arte o di tecnica resero pericolante la chiesa che fu per alcuni anni chiusa al culto.
Oggi mercè l'opera patriottica e coraggiosa del Comune d'Iglesias, che, accogliendo il grido d'allarme di artisti e di studiosi, s'oppose ad una turba d'improvvisati edili, per cui l'ideale della bellezza si raggiunge con rettilinei limitati da alti caseggiati bucati come vespai, l'antica chiesa che rievoca il triste canto in cui la poesia raggiunse cime inarrivabili, venne salvata dalla demolizione, e la facciata, consolidata e restituita alle prische forme, ci narra colle armi dei Donoratico la tragedia che insanguinò la città di Pisa.
In antico a lato della chiesa dovea lanciare in alto l'ardita cuspide la torre campanaria, di cui oggi non rimane che un mozzicone informe reso ancor più ridicolo dai lavori d'intonacatura. Da questo campanile dovea chiamare i fedeli al tempio una bella campana fusa a Pisa da Andrea Pisano e regalata alla città d'Iglesias da Pietro d'Arborea: A. D. MCCCXXXVII DUS PETRVS VICE COMES DE BASSO DEI GRA JUDEX ARBOREE ANDREA PISANVS FE.
La medesima fusione di elementi romanici con forme gotiche si ritrova nella facciata della Chiesa di S. Chiara, deturpata nel secolo XVII con la demolizione del timpano e colla costruzione in sua vece di un barocco ed informe sostegno di campane.
Al primo ordine abbiamo con forme romaniche la ricorrenza di archetti poggianti su mensoline e su due strette lesene che inquadrano nobilmente la porta toscana con architrave monolitico, in cui è abbozzato un delicato ornato a fiorami di classica fattura. L'arco di scarico è contornato da una cornice sagomata poggiante su due mensoline. Nel seicento la lunetta venne intonacata, incastrandovi uno stemma ed una epigrafe contornata da una cornice rettangolare aperta ad un lato.
Sopra la caratteristica cornice ad archetti era aperta — e tutt'ora ne sono visibili i graziosi contorni — una bifora gotica che campeggia nel paramento liscio. Posteriormente si tolsero i trafori e la colonnina, chiudendo il vano con WI muro in cui poscia s'apri una finestrina rettangolare.
Altre due finestrine vennero aperte nel liscio paramento.
Malgrado tanti vandalismi i pochi ma eleganti avanzi dell'antica facciata ci dicono della sua squisita architettura in cui timidamente appaiono le forme gotiche.
Tutto fa presumere che nel frontone si svolgesse il motivo decorativo dei fascioni trilobati ascendenti, quale abbiamo, riscontrato nella cattedrale d'Iglesias. La demolizione del fastigio della facciata costituisce, come si disse, uno dei tanti vandalismi che deturparono la chiesa la quale è ad ogni modo un ricordo prezioso dell'antica Villa di Chiesa degno di menzione e di studio.
Nella Chiesa della Madonna di Valverde queste forme di transizione si svolgono nella loro integrità.
Al primo ordine la porta dal tipo toscano subì alcuni restauri che ne alterarono l'originaria struttura: gli stipiti e gli architravi, indubbiamente monolitici vennero rimossi e sostituiti da stipiti in rilievo e da nuovo architrave in cantoni. Queste modifiche non sono per fortuna tali da alterare l'aspetto della porta la quale si presenta nelle sue forme romaniche con lunetta contornata dall'arco di scarico, limitato esternamente da una cornice finamente intagliata, impostantesi su due graziose mensoline.
Nel secondo ordine campeggia, anzi trionfa, nel terso paramento in pietra da taglio una grandiosa bifora archiacuta, in cui la porta arcuata s'innalza occupando parte del frontone.
La sobria ed in pari tempo elegante sagomatura, la leggera strombatura ed i frammenti tutt'ora visibili del traforo accennano ad una manifestazione gotica toscana.
L'eleganza di questa bifora oggi disgraziatamente più che intravedere devesi immaginare, avendo i cappuccini, che fino a pochi anni funzionavano in questa chiesa, rotto il bel traforo e murata la grandiosa apertura per aprirne un'altra meschina e piccola nel muro di chiusura.
Ritengo che, rimovendo queste murature, si rinverrebbero tali e tanti frammenti dell'antica colonnina e della bifora da permetterne una sicura ricostruzione.
Nel frontone svolgesi la decorazione caratteristica dei fasci trilobati ascendenti e seguenti la pendenza delle due falde. Essi poggiano colle piccole basi su una ricorrenza orizzontale, ad eccezione dei tre che sovrastano la bifora. Il centrale poggia direttamente sulla cornicetta che contorna l'arco e gli altri due su mensoline sporgenti dal muro.
Originariamente questa chiesa dovea avere la copertura colle incavallature scoperte: più tardi, forse nel XV secolo, seguendo i nuovi e più arditi sistemi costruttivi introdotti dagli artefici aragonesi, s'incastrarono nelle murature i caratteristici pilastri polistili e su di essi si gettarono le belle volte a crociera colle nervature sagomate intersecantesi in più rosoni anulari in cui sono scolpiti simboli e sacre figure. Nel coro, coperto da una bella volta, i costoloni sagomati s'intersecano for mando i più svariati intrecci: nell'anulare centrale è scolpita una madonna e nel contorno è inciso il nome del costruttore: ANTIOCO SPANO.
Il muro laterale a destra mantiene in buona parte l'antica struttura e cioè la caratteristica cornice romanica cogli archetti poggianti in parte su mensoline ed in parte su strette lesene. L'altro lato è incorporato nelle costruzioni che nel seicento addossaronsi alla chiesa.
Ignoransi non solo l'origine ma anche le vicende di questa chiesa: anticamente era sotto la poetica invocazione della Madonna di Valverde: vennero poscia nuovi tempi: si strapparono le gentili forme che poteano evocare altre genti e di essa s'impossessarono i cappuccini, l'ordine religioso che sempre si dimostrò aborrente da ogni manifestazione d'arte. Coll'affogarla fra massiccie costruzioni, col chiudere e rompere la bella bifora si tolse alla chiesa il primitivo e leggiadro aspetto e con esso anche il nome poetico che ora non vien ricordato se non per tradizione.
Le particolarità stilistiche di questa chiesa colla Cattedrale d'Iglesias sono tali e tante da doverla ritenere costrutta come questa agli scorci del XIII secolo.
L'annesso viale che in Cagliari dalla stazione delle Ferrovie Secondarie conduce al Camposanto, è terminato ad una estremità da un magazzeno, di cui il Comune servesi come deposito di materiali e che costituisce quanto rimane dell'antica Chiesa di S. Bardilio.
Niente a prima vista si presenta in queste informi costruzioni che possa destare l'attenzione dello studioso e dell'artista, ma chi non SI accontenta di un superficiale esame ed estenda le ricerche anche dalla parte interna non tarderà ad intravedere nell'intonaco sgretolato certe modanature, certe particolarità stilistiche che ad un occhio non profano palesano l'organismo di una bella chiesa medioevale.
Infatti la chiesa è molto antica e la si dice anzi più antica di quel che non sia effettivamente, giacchè si vuole ch'essa sia stata eretta nello stesso sito dove S. Paolo pose per la prima volta il piede approdando nell'isola e predicò il Vangelo ai sardi: sono le solite leggende che valgono tanto quanto i simulacri di S. Luca di cui abbondano le chiese cattoliche, non esclusa la nostra Cattedrale.
Le carte del monastero di S. Vittore di Marsiglia, nell'enumerazione dalle chiese dipendenti dal priorato di S. Saturnino, accennano ad una chiesa sotto il titolo di S. Maria in Portu Salis, che tutto la presumere Mogoro — Chiesa del Carmine (facciata).sia l'attuale chiesa di S. Bardilio che le carte pisane menzionano anche come S. Maria del Porto.
Nè questa presunzione è contradetta dalle forme costruttive rimasteci, giacchè nella facciata e nei fianchi sono svolte forme romaniche che possono attribuirsi ai primi del XII secolo se non ad epoca anteriore.
Sotto il nome di S. Maria del Porto si ha il primo ricordo di questa chiesa in una pergamena dell'Archivio di Stato di Pisa. Le disposizioni del Breve Portus Kallaretani e gli statuti inediti della Città di Pisa accennano a questa chiesa, come a quella intorno alla quale si raccolse il primo nucleo di quei navigatori e di mercanti che aveano scelta Cagliari a centro della loro colonizzazione e dei loro commerci.
Anche dopo la costruzione del bel castello S. Maria del Porto resto la chiesa dei mercanti e dei marinai. Nel suo altare doveano giurare i carmelenghi del porto e per l'opera di S. Maria il capitano di ciascuna nave entrata nel porto di Cagliari, dovea sborsare una certa somma: Allonore della beata vergine maria. Noi consuli siamo tenuti di far dare dal padrone di catuno legno, loquate sinauleggiasse impisa u in cullari per loporto, loquale caricasse da I pondi ingiuso soldi V. daguilini. e da. I. pondi in suso, soldi X. dagnilini minuti al cormalingo ouero operaio. del dicto porto incallari. li quali si debbiano dare indellopra della ecchiesa disanta maria di porto, auolontà e ordinamento dei consuli delli mercatanti del sopra scripto porto di callari6.
In questa chiesa i mercanti ed i marinai del porto di Cagliari festeggiavano solennemente l'annunziazione in Maria: Itemfaremo fare etenere in della festa di santa Maria anunsiata del mese di marso. appo la ecchiesa disanta maria diporto. luminara ditucti gliomini. jurati del porto soprascripto di Kallari. sidegli artefici come dimercatanti. la cera della quale luminara. faro uenire alle mani di colui che piacera al consiglio. del soprascritto porto dicallari per lasoprascripta ecclesia7.
Nella sera del di 8 Aprile 1263 in questa chiesa, allora annessa ad un convento di frati minori, discese, appena sbarcato, l'arcivescovo pisano Federico Visconti, venuto in Sardegna come primate e legato pontificio in Sardegna8.
Abbandonata dai frati minori che costrussero nel borgo di Stampace un altro e più grandioso convento, la Chiesa di S. Maria del Porto, le di cui vicende erano intimamente collegate a quelle dei mercanti pisani di Castello di Cagliari, perdette l'antico splendore. Fu poi officiata sotto l'invocazione di S. Bardilio dai monaci trinitari che l'abbandonarono nel 1761.
D'allora in poi la chiesa ridotta a magazzeno fu adibita a diversi usi profani.
Nella Chiesa di S. Maria del Porto sono accennate le stesse forme costruttive, che abbiamo rilevato nella Chiesa della Madonna di Valverde ad Iglesias: la stessa porta architravata con arco di la grandiosa bifora trionfante nel secondo ordine, elevantesi coll'arcata gotica, ed occupante parte del frontone. In questo infine è accennato il caratteristico motivo degli archi trilobati ascendenti secondo le falde del tetto.
Di differente non abbiamo se non la serie orizzontale degli archetti poggianti su mensoline.
Questi archetti che rincorrono anche nei muri laterali, attestano una costruzione anteriore a quella che può desumersi dalle attuali linee.
Posteriormente a mio giudizio verso la fine del XIII secolo i Pisani vollero ampliare ed ornare la loro antica chiesa per la quale ebbero grandissima venerazione: sopraelevarono i muri laterali e la facciata, decorando questa con le forme che già vedemmo svolgersi nelle chiese di Villa di Chiesa, e cioè con una grandiosa bifora goticamente disegnata e con il caratteristico frontone a fasci trilobati.
Quindi in questa chiesa la differenza stilistica non deve, come nella Chiesa di Valverde, ritenersi audace espressione di una scuola artistica, ma dimostra che le forme gotiche vennero aggiunte ad una chiesetta di stile lombardo e vennero aggiunte con tanto magistero d'arte da risultare un insieme armonico di grazia toscana senza contrasti e senza durezze.
Pur ispirandosi alle forme decorative che contradistinguono le chiese di questo terzo gruppo, la Chiesa del Carmine a Mogoro presenta più spiccate e più intense le forme gotiche.
La porta è architravata ed un arco di scarico a fil di muro contornato da una cornice sagomata l'alleggerisce dal peso sovraincombente. Lateralmente alla porta, di puro stile romanico-toscano, s'innalzano due pilastrini esili e sagomati con tori e cavetti. Superiormente questi sono terminati da capitellini gotici da cui dipartonsi gli archetti trilobati che si svolgono sotto la fascia sagomata, limitante inferiormente il frontone.
La serie degli archetti è interrotta dalla bifora gotica centrale che, come nelle chiese di Valverde in Iglesias e di S. Maria del Porto in Cagliari, campeggia nel paramento sovrastante la porta, occupando colla parte arcuata parte del frontone.
Dobbiamo però rilevare una variante alla caratteristica decorazione che abbiamo rilevato nelle chiese di questo periodo: in queste la decorazione pisana d'archetti poggianti su colonnine isolate venne modificata con fasci sagomati sui quali s'impostano gli archetti trilobati; nella chiesa del Carmine invece rincorrono sotto i due lati inclinati del frontone archetti trilobati ascendenti e poggianti su mensoline.
Malgrado questa diversità stilistica la Chiesa del Carmine ha tali analogie colle chiese precedentemente esaminate da doverla includere nello stesso gruppo.
La cornice coi sottostanti archetti trilobati rincorre anche nei muri laterali. In quello a sinistra è aperta una graziosa porta gotica con arco acuto poggiante su capitelli ornati.
Abbiamo in questa chiesa le forme gotiche pronunciatissime, ma d'altra parte la struttura architettonica è sempre la romanica. Cambiamo gli archetti trilobati in altri a pieno sesto, la bifora gotica in altra a tutto sesto senza trafori e con colonnina sormontata da pulvino e questa del Carmine a Mogoro non differenzierà dalle altre chiese incluse pei primi due gruppi.
Questa chiesa venne poscia annessa ad un convento di carmelitani, d'origine relativamente moderna. Per tradizione si ritiene che originariamente fosse la parrocchia di Mogoro. Non so quanto in ciò ci sia di vero, giacchè non si conosce nessun documento che la riguardi e gli storici non ne fanno menzione.
Nell'architrave è incisa un'iscrizione che non è possibile decifrare per esser interamente abrasa. Per le linee stilistiche, per i motivi gotici, e per le forme di alcune lettere dell'iscrizione ritengo che la costruzione di questa chiesa possa attribuirsi ai primi del XIV secolo.
Queste forme decorative dovettero alla fine del XIII ed ai primi del XIV secolo estendersi nell' isola ed in special modo nella provincia di Cagliari.
Fra i pochi frammenti dell'antica chiesa di S. Francesco di Ca- gliari che tutt'ora ci rimangono internati in private costruzioni, è il frontone dell'antica facciata. In esso si svolge la caratteristica decorazione di fasci sagomati in cui gli archetti trilobati seguono la pendenza dei lati inclinati, mentre le basi poggiano sopra una cornice orizzontale.
Nella Cattedrale di Cagliari si riscontra nel prospetto della testata a sinistra della nave trasversale lo stesso motivo architettonico: probabilmente, a quanto si può congetturare da alcuni avanzi, questo svolgevasi anche nella facciata principale.
Malgrado ciò, non è il caso d'includere in questo terzo gruppo la nostra cattedrale, Sa Seu, come con termine catalano la si usa chiamar tutt'ora, giacchè questo nostro massimo tempio, che i mercanti pisani dedicarono alla Gran Madre di Dio quasi ad evocare nei Castel di Castro l'immagine della Madonna fulgente nella loro primaziale, presenta tante e tali particolarità architettoniche da non poter includersi in alcuno dei tre gruppi in'ora studiati.
Questa chiesa cui si connettono le vicende più importanti della nostra storia, merita una particolare disamina che in parte feci anni or sono9, e che ora, dopo che estesi lavori eseguiti nella facciata e nell'episcopio misero a luce nuovi ed importanti frammenti, ritengo opportuno completare.
- ↑ Solmi, La Costituzione Sociale e la proprietà fondiaria in Sardegna in Archivio Storico Italiano, pag. 55, Disp. 4. del 1904.
- ↑ Solmi. La Costituzione Sociale e la proprietà fondiaria in Sardegna in Archivio Storice Italiano, pag. 57.
- ↑ F. PATETTA., Notizie di Storia Sarda tratte dal registro delle lettere scritte nel 1278 da Gherardo, generale dell'Ordine Camaldolese in Archivio Storico Sardo, pag. 131, Vol. I, Fascic. 1-2. Cagliari Tip. Dessì 1905.
- ↑ Nissardi Filippo, Lapo Saltarelli a Cagliari in Archivio Storico Sardo, pag. 210, Vol. I, Fascic. 3.
- ↑ Cronaca del Convento di S. Caterina di Pisa pubblicata dal Bonaini in Arch. Storico Italiano, Vol. VI. Parte II, Seg. III, pag. 467.
- ↑ Tola, Breve Partus Kallavetani, pubblicato nel Cod. Dipl. Sard., Sec. XIV, pag. 645.
- ↑ Tola, Breve Partus Kallavetani, pubblicato nel Cod. Dipl. Sard., Sec. XIV, pag. 649.
- ↑ Tola, Cod. Dipl. Sard., Sec. XIII, pag. 380.
- ↑ D. Scano, La Cattedrale di Cagliari. Cagliari, Tip. Dessì.