Stanze de messer Angelo Politiano cominciate per la giostra del magnifico Giuliano di Pietro de Medici/Libro II

Libro II

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Libro I


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LIBRO SECONDO.


 
     1Eran già tutti alla risposta attenti
I parvoletti intorno all’aureo letto;
Quando Cupido con occhi ridenti,
Tutto protervo nel lascivo aspetto
Si strinse a Marte, e con gli strali ardenti
Della faretra gli ripunse il petto,
E colle labbra tinte di veleno
Baciollo, e ’l fuoco suo gli mise in seno.

     2Poi rispose alla madre: E’ non è vana
La cagion, che sì lieto a te mi guida,
Poichè ho tolto dal coro di Diana
Il primo conduttor, la prima guida;
Colui, di cui gioir vedi Toscana,
Di cui già insino al ciel la fama grida,
Insin agl’Indi, insin al vecchio Mauro,
Giulio minor fratel del nostro Lauro.

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     3L’antica gloria e ’l celebrato onore
Chi non sa della Medica Famiglia?
E del gran Cosmo Italico splendore,
Di cui la patria sua si chiamò figlia?
E quanto Petro al paterno valore
Aggiunse pregio, e con qual maraviglia
Dal corpo di sua patria rimosse abbia
Le scellerate man, la crudel rabbia?

     4Di questo, e della nobile Lucrezia
Nacquene Giulio, e pria ne nacque Lauro,
Lauro, che ancor della bella Lucrezia
Arde, e dura ella ancor si mostra a Lauro;
Rigida più che in Roma già Lucrezia,
O in Tessaglia colei, ch’è fatta un Lauro;
Nè mai degnò mostrar di Lauro agli occhi,
Se non tutta superba, i suoi begli occhi.

     5Non prego, non lamento al meschin vale;
Ch’ella sta fissa, come torre al vento,
Per ch’io lei punsi col piombato strale,
E col dorato lui, di che or mi pento;
Ma tanto scoterò, Madre, queste ale,
Che foco accenderogli al petto drento:
Richiede ormai da noi qualche restauro
La lunga fedeltà del franco Lauro.

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     6Che tutt’or parmi pur veder pel campo
Armato lui, armato il corridore
Come un fier Drago gir menando vampo,
Abbatter questo e quello a gran furore.
L’arme lucenti sue sparger un lampo,
Che faccian tremar l’aere di splendore,
Poi fatto di virtute a tutti esempio,
Riportarne il trionfo al nostro tempio.

     7E che lamenti già le Muse ferno,
E quanto Apollo s’è già meco dolto;
Ch’io tenga il lor Poeta in tanto scherno;
Ed io con che pietà suoi versi ascolto;
Ch’io l’ho già visto al più rigido verno
Pien di pruina i crin, le spalle e ’l volto
Dolersi con le stelle, e con la luna
Di lei, di noi, di sua crudel fortuna.

     8Per tutto il mondo ha nostre laudi sparte,
Mai d’altro, mai, se non d’amor ragiona,
E potea dir le tue fatiche o Marte,
Le trombe, e l’arme, e ’l furor di Bellona:
Ma volle sol di noi vergar le carte,
E di quella gentil, che a dir lo sprona,
Ond’io lei farò pia, madre, al suo amante,
Che pur son tuo, non nato d’adamante.

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     9Io non son nato di ruvida scorza,
Ma di te madre bella, e son tuo figlio,
Nè crudele esser deggio, ed ei mi sforza
A riguardarlo con pietoso ciglio:
Assai provato ha l’amorosa forza,
Assai giaciuto è sotto ’l nostro artiglio,
Giusto è ch’ei faccia omai co’ sospir tregua,
E del suo buon servir premio consegua.

     10Ma il bel Giulio, ch’a noi stato è ribello,
E sol di Delia seguito ha il trionfo,
Or drieto all’orme del suo buon fratello
Vien catenato innanzi al mio trionfo:
Nè mostrerò giammai pietate ad ello,
Finchè ne porterà nuovo trionfo,
Ch’io gli ho nel cuor diritta una saetta
Da gli occhi della bella Simonetta.

     11E sai quanto nel petto e nelle braccia,
Quanto sopra il destriero è poderoso:
Pur mò lo vidi sì feroce in caccia,
Che parea il bosco di lui paventoso,
Tutta aspreggiata avea la bella faccia,
Tutto adirato, tutto era focoso:
Tal vid’io te là sovra el Termodonte
Cavalcar, Marte, e non con questa fronte.

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     12Quest’è, madre gentil, l’alma vittoria,
Quinci è ’l mio travagliar, quinci è ’l sudore.
Così va sopr’al ciel la nostra gloria,
Il nostro pregio, il nostro antico onore;
Così mai cancellata la memoria
Di te non fia, nè del tuo figlio Amore.
Così canteran sempre e versi e cetre
Gli stral, le fiamme, gli archi e le faretre,

     13Fatta ella allor più gaia nel sembiante
Balenò intorno uno splendor vermiglio,
Da fare un sasso divenire amante,
Non pur te Marte: e tale ardea nel ciglio,
Qual suol la bella Aurora fiammeggiante:
Poi tutto al petto si ristringe il figlio,
E trattando con man sue chiome bionde,
Tutto il vagheggia, e lieta gli risponde.

     14Assai, bel figlio, il tuo desir m’aggrada,
Che nostra gloria ognor più l’ale spanda;
Chi erra, torni alla verace strada,
Obbligo è di servir chi ben comanda:
Pur convien che di nuovo in campo vada
Lauro, e si cinga di nova ghirlanda:
Che Virtù negli affanni più s’accende,
Come l’oro nel foco più risplende.

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     15Ma in prima fa mestier, che Giulio s’armi
Sì, che di nostra fama il mondo adempi,
E tal del forte Achille or canta l’armi,
E rinova in suo stil gli antichi tempi,
Che diverrà testor de’ nostri carmi
Cantando pur degli amorosi esempi,
Onde la nostra gloria, o bel figliuolo,
Vedrem sopra le stelle alzarsi a volo.

     16E voi altri miei figli al popol Tosco
Lieti volgete le trionfanti ale,
Gite tutti fendendo l’aer fosco,
Tosto prendete ognun l’arco, e lo strale:
Di Marte il fier ardor se ’n venga vosco,
Or vedrò, figli, qual di voi più vale;
Gite tutti a ferir nel Toscan Coro
Avrà chi prima fere un arco d’oro.

     17Tosto al suo dire ognuno arco e quadrella
Riprende, e la faretra al fianco alloga,
Come al fischiar del comito sfrenella
La nuda ciurma, e remi mette in voga.
Già per l’aer ne va la schiera snella,
Già sopra alla città calan con foga:
Così i vapor pel bel seren giù scendono,
Che paion stelle mentre l’aer fendono.

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     18Vanno spiando gli animi gentili,
Che son dolce esca all’amoroso foco;
Sopr’essi batton forte i lor fucili
E fangli apprender tutti a poco a poco:
L’ardor di Marte ne’ cuor giovenili
S’affige, e quelli infiamma del suo gioco;
E mentre stanno involti nel sopore
Pare a’ giovan far guerra per Amore.

     19E come, quando il Sole i Pesci accende,
Di sua virtù la terra è tutta pregna;
Che poscia Primavera fuor si stende,
Mostrando al ciel verde e fiorita insegna:
Così ne’ petti, ove il lor foco scende,
S’abbarbica un disio, che drento regna,
Un disio sol d’eterna gloria e fama,
Che l’infiammate menti a virtù chiama.

     20Esce sbandita la viltà d’ogni alma,
E ben che tarda sia, pigrizia fugge,
A libertate l’una e l’altra palma
Legan gli Amori, e quella irata rugge:
Solo in disio di gloriosa palma
Ogni cuor giovenil s’accende, e strugge,
E dentro al petto sopito dal sonno
Gli spiriti d’amor posar non ponno.

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     21E così, mentre ognun dormendo langue,
Ne’ lacci è involto, onde giammai non esce,
Ma come suol fra l’erba il picciol angue
Tacito errare, o sotto l’onde il pesce;
Sì van correndo per l’ossa e pel sangue
Gli ardenti spiritelli, e ’l fuoco cresce:
Ma Vener, come i presti suoi corrieri
Vide partiti, mosse altri pensieri.

     22Pasitea fè chiamar del Sonno sposa,
Pasitea delle Grazie una sorella,
Pasitea, che dell’altre è più famosa,
Quella che sopra tutte è la più bella:
E disse, muovi o Ninfa graziosa,
Trova il consorte tuo veloce e snella,
Fa che mostri al bel Giulio tale immago,
Che faccia dimostrarsi al campo vago.

     23Così le disse: e già la Ninfa accorta
Correa sospesa per l’aria serena;
Quete senza alcun rombo l’ale porta,
E lo ritrova in men che non balena:
Al carro della notte facea scorta,
E l’aria intorno avea di sogni piena
Di varie forme, e strani portamenti,
E facea racquetare i fiumi, e i venti.

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     24Come la Ninfa a’ suoi gravi occhi apparve,
Col folgorar d’un riso gliele aperse,
Ogni nube dal ciglio via disparve,
Che la forza del raggio no ’l sofferse:
Ciascun de’ sogni dentro a le lor larve
Le si fe’ incontro, e ’l viso discoperse:
Ma poich’ella Morfeo tra gli altri scelse,
Lo chiese al Sonno, e tosto indi si svelse.

     25Indi si svelse, e di questo convenne
Tosto ammonirlo, e partì senza posa,
Appena tanto il ciglio alto sostenne,
Che fatta era già tutta sonnacchiosa;
Vassen volando senza muover penne,
E ritorna a sua Dea lieta e gioiosa:
Gli scelti Sogni ad ubidir s’affrettano,
E sotto nuove forme si rassettano.

     26Quali soldati, che di fuor s’attendono,
Quando senza sospetto par che giacciano,
Per suon di tromba al guerreggiar s’accendono;
Vestonsi le corazze, e gli elmi allacciano,
E giù del fianco la spada sospendono,
Grappan le lance, e i forti scudi imbracciano,
E così divisati i destrier pungono
Tanto, che la nemica schiera giungono.

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     27Tempo era, quando l’Alba s’avvicina,
E divien fosca l’aria, ov’era bruna,
E già il carro stellato al coro inchina,
E par nel volto scolorir la Luna:
Quando ciò, ch’al bel Giulio el Ciel destina,
Mostrono i Sogni, e sua dolce fortuna,
Dolce al principio, al fin poi troppo amara,
Però che sempre dolce al mondo è rara.

     28Parli veder feroce la sua Donna
Tutta nel volto rigida e proterva
Legar Cupido alla verde colonna
Della felice pianta di Minerva,
Armata sopra alla candida gonna,
Che ’l casto petto col Gorgon conserva;
E par che tutte gli spennacchi l’ali,
E che rompa al meschin l’arco e gli strali.

     29Aimè quanto era mutato da quello
Amor, che mò tornò tutto gioioso!
Non era sopra l’ale altiero e snello,
Non del trionfo suo punto orgoglioso:
Anzi mercè chiamava il meschinello
Miseramente e con volto pietoso,
Gridando, ah Giulio, miserere mei,
Difendimi, o bel Giulio, da costei!

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     30E Giulio a lui dentro al fallace sonno
Parea risponder con mente confusa:
Come poss’io ciò far, dolce mio donno,
Che nell’armi di Palla è tutta chiusa?
Vedi i miei spirti, che soffrir non ponno
La terribil sembianza di Medusa,
Il rabbioso fischiar delle Ceraste,
E ’l volto, e l’elmo, e ’l folgorar dell’aste.

     31Alza gli occhi, alza, Giulio a quella fiamma,
Che come un Sol col suo splendor t’adombra;
Quivi è colei, che l’alte menti infiamma,
E che de’ petti ogni viltà disgombra:
Con essa a guisa di semplice damma
Prenderai questa, ch’or nel cor t’ingombra
Tanta paura, e rinvilisce l’alma,
Ch’ella ti serba sol trionfal palma.

     32Così dicea Cupido: e già la Gloria
Scendea giù folgorando ardente vampo:
Con essa Poesia, con essa Istoria
Volavan tutte accese del suo lampo:
Costei parea che ad acquistar vittoria
Rapisse Giulio orribilmente in campo,
E che l’arme di Palla alla sua donna
Spogliasse, e lei lasciasse in bianca gonna.

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     33Poi Giulio di sue spoglie armava tutto,
E tutto fiammeggiar lo facea d’auro,
Quando era al fin del guerreggiar condutto,
Al capo gli intrecciava oliva, e lauro.
Ivi tornar parea sua gioia in lutto,
Vedeasi tolto il suo dolce tesauro,
Vedea sua ninfa in trista nube avvolta
Dagli occhi crudelmente essergli tolta.

     34L’aria tutta parea divenir bruna,
E tremar tutto dell’abisso il fondo,
Parea sanguigna in ciel farsi la luna,
E cader giù le stelle nel profondo:
Poi vedea lieta in forma di fortuna
Sorger sua Ninfa, e rabbellirsi il mondo,
E prender lei di sua vita governo,
E lui con seco far per fama eterno.

     35Sotto cotali ambagi al giovanetto
Fu mostro de’ suoi fati il leggier corso,
Troppo felice, se nel suo diletto
Non mettea morte acerba il crudel morso.
Ma che puote a fortuna esser disdetto,
Ch’a nostre cose allenta, e stringe il morso?
Né val perch’altri la lusinghi, o morda,
Ch’a suo modo ci guida, e sta pur sorda.

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     36Adunque il tanto lamentar che giova?
A che di pianto pur bagnar le gote?
Se pur convien ch’ella ne guidi; e muova?
Se mortal forza contra lei non pote?
Se con sue penne il nostro mondo cova,
E tempra, e volge, come vuol, le rote?
Beato qual da lei suoi pensier solve,
E tutto dentro alla virtù s’involve.

     37O felice colui, che lei non cura,
E che a’ suoi gravi assalti non s’arrende,
Ma, come scoglio, che incontro al mar dura,
O torre, che da Borea si difende,
Suoi colpi aspetta con fronte secura,
E sta sempre provvisto a sue vicende:
Da se sol pende, in se stesso si fida,
Nè guidato è dal caso, anzi lui guida.

     38Già carreggiando il giorno aurora lieta
Di Pegaso stringea l’ardente briglia,
Surgea del Gange il bel solar Pianeta
Raggiando intorno con l’aurate ciglia:
Già tutto parea d’oro il monte Oeta,
Fuggita di Latona era la figlia,
Surgevan rugiadosi in loro stelo
I fior chinati dal notturno gelo.

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     39La rondinella sopra il nido allegra
Cantando salutava il nuovo giorno;
E già de’ sogni la compagna negra
A sua spelonca avea fatto ritorno,
Quando con mente insieme lieta ed egra
Si destò Giulio, e girò gli occhi intorno:
Gli occhi intorno girò tutto stupendo
D’Amore, e d’un desio di gloria ardendo.

     40Pargli vedersi tuttavia davanti
La gloria armata in su l’ali veloce,
Chiamare a giostra i valorosi amanti,
E gridar Giulio Giulio ad alta voce:
Già sentir pargli le trombe sonanti,
Già divien tutto nell’armi feroce,
Così tutto focoso in piè risorge,
E verso il ciel cotai parole porge.

     41O sacrosanta Dea figlia di Giove,
Per cui il tempio di Giano s’apre, e serra,
La cui potente destra serba e move
Intero arbitrio e di pace, e di guerra;
Vergine santa, che mirabil prove
Mostri del tuo gran nome in cielo e ’n terra,
Che’ valorosi cuori a virtù infiammi,
Soccorrimi or Tritonia, e virtù dammi.

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     42S’io vidi dentro alle tue armi chiusa
La sembianza di lei, che me a me fura:
S’io vidi il volto orribil di Medusa
Far lei contro ad Amor troppo esser dura;
Se poi mia mente dal tremor confusa
Sotto il tuo schermo diventò secura;
S’Amor con teco a grandi opre mi chiama,
Mostrami il porto, o Dea, d’eterna fama.

     43E tu, che dentro l’infocata nube
Degnasti tua sembianza dimostrarmi,
E ch’ogni altro pensier dal cor mi rube,
Fuorchè d’Amor, dal qual non posso aitarmi,
E m’infiammasti, come a suon di tube
Animoso caval s’infiamma all’armi,
Fammi intra gli altri, o Gloria, sì solenne,
Ch’io batta insino al ciel teco le penne.

     44E s’io son, dolce Amor, se son pur degno
Essere il tuo campion contra costei,
Contra costei, da cui con forza e ingegno,
Se ’l ver mi dice il sonno, avvinto sei;
Fa sì del tuo furor mio pensier pregno,
Che spirto di pietà nel cor le crei:
Ma virtù per se stessa ha l’ali corte,
Perchè troppo è il valor di costei forte.

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     45Troppo forte, Signor, è ’l suo valore,
Che come vedi, il tuo poter non cura.
E tu pur suoli al cor gentil Amore
Riparar, come augello alla verdura:
Ma se mi presti il tuo santo furore,
Leverai me sopra la tua natura;
E farai, come suol marmorea rota,
Ch’ella non taglia, e pure il ferro arrota.

     46Con voi men vengo, Amor, Minerva, e Gloria,
Che ’l vostro foco tutto il cor m’avvampa:
Da voi spero acquistar l’alta vittoria,
Che tutto acceso son di vostra lampa:
Datemi aita sì, ch’ogni memoria
Segnar si possa di mia eterna stampa,
E faccia umil colei, ch’or mi disdegna,
Ch’i’ porterò di voi nel campo insegna.