Roveto ardente/Parte terza/I

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Parte terza Parte terza - II

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Nulla, assolutamente nulla, era cambiato, in dieci anni, nell'andamento della famiglia Gualterio.

Dalla morte del piccolo Romolo, i giorni, più lunghi o più corti, più caldi o più freddi a se conda delle stagioni, si erano succeduti con tale uniformità, che Flora, per raccapezzarsi tra un anno e l'altro, doveva richiamarsi alla memoria il vario colore dei vestiti indossati nei diversi tempi. Si ricordava di un vestito di panno color amaranto, guernito di passamanteria nera e che le stava tanto bene da richiamare in istrada l'at tenzione generale sopra di lei; e poiché Giorgio le comperava la stoffa di un vestito di panno ogni inverno e poiché dall'abito amaranto altri quattro ne aveva indossati scuri e pesanti, ella giungeva cosi a stabilire di essersi- invecchiata di quattro anni dall'epoca di quel vestito. [p. 264 modifica]Volgendosi indietro col pensiero, Flora scor geva una grande massa di nebbia avvolgente tutte le cose, e la nebbia si faceva sempre più fitta, e i contorni delle cose sempre più vaghi, senza che mai un raggio di sole scendesse a dissipar quei vapori, o un colpo di vento giungesse a spaz zarli via.

Il cavaliere era stato ammalato di polmonite I inverno precedente, e del periodo della malattia lunghissima, Flora rammentava l'odore dei medi cinali nell'aria greve della camera, e rivedeva, sopra un angolo del cassettone, la bottiglia del cognac con dipinta una croce rossa sull'etichetta. II ricordo di quella bottiglia, unitamente al ri cordo della pioggia che cadeva assidua, battendo sui cristalli delle finestre sempre chiuse, le produ ceva il senso di tristezza plumbea, che si prove rebbe quando si rimanesse, per secoli, chiusi dentro una bara, senza sovvenirsi del passato, senza misurare il tempo, nel più perfetto oblio della vita, ma nella coscienza completa della si tuazione presente.

Un altro grande avvenimento, in quei dieci anni, era stato la partenza di Renato per Torino, dove il giovane avrebbe, tra pochi mesi, conse guita la sua laurea d'ingegnere.

Dopo percorso il liceo e frequentati a Roma i due primi anni della facoltà di fisica e mate matica, Renato aveva voluto recarsi a Torino e Flora rammentava, sbadigliando, le interminabili lamentazioni di suo marito durante i pasti.

In che cosa Torino valeva più di Roma? E perchè correre il mondo quando si sta bene a casa propria? Un giovane lontano dalla famiglia non è forse esposto a mille pericoli, e il mante[p. 265 modifica]mmento suo non costa, forse, due, tre, dieci volte di piu?

Renato invariabilmente rispondeva: «Carissimo papà, io voglio andare a Torino.» E (xiorgio si era deciso ad accompagnare il ragazzo per vedere le cose con gli occhi suoi. bloia esalava un sospiro lungo di sollievo ogni qualvolta ripensava a quelle dodici notti di bea titudine, quando ella, trovandosi sola nell'ampio letto matrimoniale, si sforzava a rimanere sveglia per assaporare il piacere ineffabile di non vedere la testa grigia del marito sopra il guanciale, e non udire il grosso respiro di lui negli intervalli del sonno. In dieci anni di matrimonio quelle notti di solitudine erano state le uniche veramente felici.

Il cavaliere, dopo aver messo in bilancio per fino il centesimo, aveva assegnato a suo figlio una somma mensile di novanta lire, che spediva egli stesso puntualmente il primo giorno del mese, al tocco, uscendo di casa per tornare all'ufficio.

Flora, in parte con la complicità di Anna Maria, in parte senza parlarne a nessuno, inviava al fi gliastro frequenti lettere raccomandate; Renato spediva subito alla giovane matrigna una bella cartolina illustrata, che il cavaliere disponeva con cura, dentro un grosso album, senza sospettare quanto i piccoli cartoncini rettangolari gli costas sero salati.

E cosi i giorni erano sfilati sonnolenti, scialbi, monotoni, incappati di grigio, uniformemente,senza una sosta, senza una corsa, sospingendosi con muto gesto e immergendosi accidiosi nello stillicidio freddo dell'ombra.

Tutto era rimasto dunque immutato nella fa[p. 266 modifica]miglia Gualterio, eppure Flora non somigliava più alla creatura mite di un tempo.

Destatasi dal torpore in cui l'aveva tenuta, per mesi e mesi, la morte del bimbo, ella si era sen tita un'altra e aveva provato una irrequietezza, come una sete inestinguibile, il bisogno, non bene definito, di attingere con le labbra a una fonte misteriosa ch'ella non sapeva dove fosse, non sa peva nemmeno se esistesse, ma che sola avrebbe potuto dissetarla e placare il bruciore di qualche cosa che le si consumava in fondo al petto, la sciandole talvolta supporre di essere in preda a una febbre malvagia che le ardesse nelle vene e le tenesse l'anima in combustione. Oh! poter at tingere una volta a sazietà alla fonte arcana, rin tracciare fra il verde denso di un bosco il sen tiero che ad essa conduce, tendere l'orecchio a pregustarne la voce canora, arrestarsi un attimo a mirare affascinata lo scherzoso zampillo iride scente nei giuochi della luce, e poi curvarsi e bere e bere, finché nelle vene fosse tutta una fre scura e dal cuore sbocciasse il fiore della gioia.

Per far tacere tale inesplicabile ansia perenne, Flora si era data a leggere romanzi sfrenatamente, dal giorno in cui, riordinando i libri del figliastro, aveva trovato in una scansia tutt'i ro manzi storici di Dumas padre.

Evidentemente il ragazzo li aveva comperati di nascosto e di nascosto li aveva letti.

Plora fece altrettanto, perchè il mistero aggiun geva sapore al godimento acuto, talora spasmo dico, ch'ella aveva gustato fin dalle prime pagine, sentendosi subito lanciata lontano, oltre i confini del possibile.

La Regina Margot, le Due Diane, i Tre mo[p. 267 modifica]schettieri, il Visconte dì Bragelonne, erano stati per lei altrettanti mondi sospesi nell'azzurro e po polati di esseri sovrumani, belli meravigliosamente.

La stanza deserta di Renato dava sopra un cortile silenzioso; e Flora, appena libera, correva a chiudersi in quella stanza, dove nessuno en trava mai. 11 cortile era pieno di sole durante i fugaci pomeriggi invernali; un canarino invisibile gorgheggiava senza posa; un ciufio di verde oscil lava presso il tetto e un suono di flauto giun geva fievole di lontano, quasi a richiamo di morte speranze.

Flora apriva il libro, divorando le pagine. La forza ingenua della sua fantasia trasfondeva intensa vita a quei personaggi, mentre la sua to tale ignoranza cronologica li collocava in un'at mosfera fluttuante, rendendoli simili alle figure sacre che il pittore rappresenta natanti fra cielo e terra, con la parte inferiore del corpo sommersa entro le nubi che si ammassano sotto e d'intorno. Flora viveva della loro vita e palpitava del palpito dei loro cuori. La quieta stanza si popo lava per lei di uomini belli e audaci, stretti negli smaglianti giustacuori, coi berretti piumati sulle chiome prolisse, col braccio sinistro inarcato sull'anca a sostenere il succinto mantello di vel luto. Il collo, eretto con atto di sfida, usciva da un'ampia arricciatura candida, e i baffi a punta schiaffeggiavano l'aria spavaldamente. Le donne, vestite di broccati, con lunghi veli scendenti dal capo sugli omeri, con le mani sottili uscenti da maniche a sbuffi, con la punta della scarpina ra sata affacciantesi appena dalle pieghe massicce delle gonne seriche, erano tutte belle, tutte inna morate, tutte infelici. [p. 268 modifica]Flora udiva un bisbigliar sommesso di voci, un tremolar di sospiri, un mormorio di baci, un gemere represso di singhiozzi; vedeva lembi di vesti svolazzare furtivi, al chiaror della luna, tra gli alberi annosi di un bosco, ovvero seguiva tre pida una damigella trascinante per mano, attra verso il labirinto di lunghi corridoi, un cavaliero bendato. E il cavaliero nascondeva la persona entro un fosco mantello e la guidatrice sosteneva con la destra una lucerna di argento.

Talvolta era un cozzar di spade presso qual che buio quadrivio.

Un cavaliere prestante ed eroico teneva fronte col valore prodigioso del braccio a torme di sicari appostati nell'ombra; una lettiga giaceva abbandonata poco discosto, e dalla lettiga si af facciava il viso stellante, per cui il cavaliere, dal feltro a larghe ali calato sulla faccia e dagli sti valoni flosci aprentesi a imbuto fin sopra il gi nocchio, si batteva contro la turba con disperato valore. Lo scalpitar di un cavallo risuonava nella notte sinistramente, apportatore, con la rapidità del baleno, di messaggi di morte, e il bagliore delle faci rischiarava ad un tratto il suolo coperto di sangue.

Flora chiudeva gli occhi un momento per non vedere la carneficina; ma rimontava bentosto in groppa della sua chimera, per galoppar senza freno dietro fantastiche avventure di armi e di amori.

L'eroina sua prediletta era la duchessa della Vallière. Luigia era bionda, era timida, forse le somigliava. Flora s'identificava tanto con la sen timentale cortigiana da struggersi di vera pas sione per Luigi XIV; e quando, proprio nel punto [p. 269 modifica]in cui D'Artagnan sollevava Luigia svenuta ai piedi dell'altare per trasportarla a briglia sciolta nelle braccia del regale amante, Flora sentiva gi rar la chiave nella toppa della porta di casa e riconosceva il passo pesante di suo marito, ella provava lo stordimento che si prova, se taluno ci sveglia con brutalità da un sonno profondo.

Nascondeva il libro in fretta ed usciva dalla stanza fatata con le palpebre brucianti e le tempie che le martellavano.

Il cavaliere, sempre più pingue, si sfilava la giacca a fatica e chiamava Anna Maria perchè gli togliesse le scarpe e gli tenesse pronte le pan tofole.

Flora guardava inebetita il grosso corpo del marito sbuffante sopra una seggiola e la grossa macchia scura che faceva sul pavimento la per sona di Anna Maria, intenta all'umile ufficio di scalzare il padrone.

E un dialogo, sempre il medesimo, s'intavo lava. Il cavaliere diceva:

--- Speriamo che l'arrosto di oggi non sia fi laccioso come quello di ieri. Tutta la notte sono stato tormentato da un pezzettino di carne che mi si è cacciato dentro l'ultimo dente. Può an che darsi che il dente sia cariato e bisognerà che io vada dal dentista.

Anna Maria non aveva preparato l'arrosto; aveva preparato un buon fritto di pesce; ma il fritto era pesante per lo stomaco malandato del cavaliere, il quale domandava con acredine a sua moglie come mai non avesse tenuto conto di tale circostanza nell'ordinare il pranzo ad Anna Maria.

Flora rispondeva distratta ch'ella non aveva ordinato niente, che Anna Maria aveva disposto [p. 270 modifica]da sè, e allora il cavaliere domandava se è giusto che una padrona di casa abbandoni ogni respon sabilità nelle mani di una estranea.

Ma Anna Maria, dopo venticinque anni di ono rato servizio, non voleva essere chiamata un'estra nea ed alzava la voce per protestare contro l'in giurioso appellativo; il cavaliere tempestava an che lui, finché si calmava immediatamente, ricor dandosi che il dottore gli raccomandava ogni giorno di non riscaldarsi la bile.

Dopo di ciò cominciava per Flora l'ineffabile supplizio del desinare.

Giorgio mangiava a piccoli bocconi, che non finiva mai di masticare, e beveva spesso, a sorsi, indugiandosi a forbirsi le labbra con meticolo sità.

Per ogni pezzettino di carne che si tagliava, aveva cura di guardarlo da ogni verso, tenen dolo sospeso nella forchetta prima di portarselo alla bocca; e mangiava narrando a Flora i pic coli episodi della sua giornata di ufficio. Il capo della divisione lo aveva chiamato per affidargli il disbrigo di una pratica eccezionale; un suo di pendente, un giovinastro da poco entrato in pianta, si permetteva di leggere il giornale, e un giornale sovversivo per giunta, durante le ore di ufficio.

Flora ascoltava silenziosa, annuendo sempre, dandogli ragione sempre, con tale idiota docilità, che Giorgio finiva per arrabbiarsi. Che diamine! desinando si ama discutere, e come si può discu tere con una persona che risponde invariabil mente di sì?

A lungo andare a Flora non bastò più leg gere romanzi; bisognava che ella li rivivesse, [p. 271 modifica]ed aveva presa l'abitudine di fare lunghissime passeggiate in luoghi solitari, dove potesse fan tasticare a suo agio.

Il cavaliere in parte ignorava, in parte tolle rava le prolungate assenze della moglie,- limitan dosi a dire che le sciocchezze si- scontano ama ramente, anche quando si sono pagate molto care.

In quel pomeriggio, era di ottobre e Flora aveva dal marzo varcata la trentina, i passi di lei si erano volti verso il Campo Verano, dove si recava spesso, perchè quel luogo tranquillo, popolato di statue, quasi tutte mollemente ada giate sul fianco in posa di abbandono, le appa gava l'occhio e le blandiva il pensiero.

Flora, intenta in quel momento a foggiarsi a suo modo nella fantasia, la storia di una donna morta giovane e di cui aveva letto il nome soave inciso su di una pietra, percorreva a lenti passi il magnifico viale del centro, olezzante di verzura e fiancheggiato di marmi fulgenti, quando senti dietro di sè scricchiolare la ghiaia sotto la pres sione di un passo energico ed affrettato.

Si fermò per lasciarsi precedere dall'impor tuno, annoiata di sentir camminare sulle sue tracce.

L'importuno passò, si voltò vivamente, fissan dola, e gli occhi di Flora rimasero sopraffatti da un rapido abbarbagliarrrento di fiammelle multi colori.

Sognava ella o quel signore, alto e forte, che l'aveva fissata con tanta pertinacia, era veramente Germano Rosemberg?

No, non si trattava di un sogno, e Germano Rosemberg, sicuro oramai del fatto suo, si avan zava verso di lei, togliendosi il cappello. [p. 272 modifica]Mi pareva e non mi pareva — egli disse, ridendo di un riso aperto e giocondo. — Ma adesso l'ho riconosciuta benissimo. proprio lei.

— Già, sono proprio io - rispose Flora, che, dominato il primo attimo di stordimento, si sen tiva calma e padrona di sè.

--· Cosa viene a fare qui tra i morti, con que sta magnifica giornata? — egli domandò, scru tandola dal capo alle piante, forse per parago narla alla Flora di undici anni prima.

--: Cosa vengo a fare? — disse Flora, chinando il capo sotto lo sguardo intento di lui. — Non so bene. Esco tutti i giorni ed oggi sono venuta qui. Lei piuttosto come si trova a Roma?

Germano si strinse nelle spalle con gesto di noncuranza. A Roma egli ci veniva spessissimo per divertimento o per affari. Si hanno sempre tante faccende da sbrigare, e nello stesso tempo, si ama di rompere qualchevolta la monotonia della vita.

— Capisco — disse Flora, sempre a capo chino — ma intendevo domandarle come si trova in questo luogo — e sollevò la piccola mano guan tata di chiaro ad abbracciare col gesto il sacro recinto.

Egli esitò, poi confessò schiettamente. — Vuole che le dica la verità? Avevo pran zato e stavo tranquillamente fumando un sigaro, quando l'ho vista passare. Capirà — egli continuò sorridendo — ho provato una certa impressione, sebbene, lì per lì, dubitassi d'ingannarmi. Allora l'ho seguita in lontananza, e mi fa piacere, sì, debbo dirglielo, mi fa molto piacere di rivederla. Flora tracciava tanti piccoli geroglifici sulla ghiaia con la punta deH'ombrellino. [p. 273 modifica]E Balbina? — ella domandò, sollevandogli in volto i grandi occhi azzurri, con un lampo di malizia schernitrice.

Ma egli non si scompose affatto. Balbina stava come un dio. Si era ingrassata, quantunque fosse in moto dalla mattina alla sera. Dopo la morte della nonna aveva preso la direzione della casa con mano di ferro e quelle canaglie dei contadini tremavano davanti a lei.

Parlando così, con placida convinzione, egli seguitava a guardare Flora curiosamente.

Anch'ella lo guardava adesso con occhio tran quillo e rimanevano l'uno di faccia all'altra, in terrogandosi con lo sguardo per rintracciare a vicenda l'immagine tanto amata e tanto sognata altra volta.

Egli la trovava, forse, anche più bella, certo moltissimo cambiata.

I capelli biondi, non più svolazzanti, uscivano, sul mezzo della fronte, in ciuffo massiccio di sotto una corona di pallide roselline, secondanti il garbo del cappello grigio, rialzato a sinistra, nella falda, e scendente con grazia sul davanti. Il volto, leg germente velato di cipria, era più tondo, più espressivo; ma una piega di stanchezza amara, scendeva presso gli angoli della bocca, pur così fresca e fine, e la veletta bianca a punti neri, schiacciava alquanto la punta del naso, alterando tutta la fisonomia.

Nella persona, Germano la trovava più alta, meno esile e gli produceva uno strano effetto in vedersela davanti abbigliata all'ultima moda, con le anche nitidamente disegnate dalla gonna di lana grigia e la vita sottile stretta nella cinta di seta bianca, sopra cui la stoffa leggera del cor[p. 274 modifica]

petto ricadeva in molli pieghe. Era incantevole

e deliziosa, un vero gioiello da custodirsi come

una reliquia; ma non era più la Flora della casa

bianca, la Flora amata da lui forsennatamente e

per la quale aveva sofferto tante pene.

Germano non era altrettanto cambiato. Le spalle

più solide, i capelli più ravviati, i baffi assai più

folti, qualche cosa di più disinvolto, quasi di bru

tale, nelle maniere, ed ecco tutto; ma Flora, guar

dandolo, paragonava il signore tranquillo che le

parlava di Balbina con tanta orgogliosa soddisfa

zione, al giovane disperato, che ella, undici anni

prima, aveva veduto fuggire sotto la pioggia,

come perseguito da una maledizione, e si sentiva

offesa dal contegno di lui.

Il ricordo di Germano era stato per lei, du

rante tanti anni, come un solido castello entro

cui si rifugiava spesso nel disdegno del pre

sente, ed ecco che il castello crollava di schianto,

sollevando nuvoli di polvere. Migliaia di volte

ella si era finto nel pensiero un improvviso in

contro con Germano, e sempre la fantasia accom

pagnava tale incontro chimerico di catastrofiche

circostanze, e invece la realtà non aveva nulla

di apocalittico. Germano stava li, vicino a lei, si

guardavano, si parlavano, e il sole non si oscu

rava per questo, nè il mondo piombava nel caos per così poco.

— Come si cambia! — esclamò Germano, quasi suo malgrado.

,

— Oh! sì, molto si cambia — mormorò Flora, e un sospiro profondo di rammarico le uscì dal petto.

Quel sospiro trovò eco immediata nel cuore di Germano, che sospirò anche lui. [p. 275 modifica]Per mutare discorso parlarono del dottor Giani.

Cosa faceva il dottor Giani? Invecchiava, natu ralmente; ma, invecchiando, non diveniva più calmo.

Durante l'ultima quaresima un predicatore in tollerante aveva scagliato, dal pulpito della chiesa parrocchiale, vituperi di ogni genere contro il li beralismo e il dottore, nel bel mezzo di un ser mone più furibondo degli altri, aveva cominciato a lanciare insulti all'idrofobo predicatore; e poiché il frate, spenzolante col busto fuori del pulpito, aveva gridato: «Fedeli, cacciate dal tempio que sto pubblicano» il dottore era salito in piedi sopra un banco e, con la piccola, tozza persona piantata sulle gambe solidamente inarcate, aveva chiamato buffone quel focoso servo del .Signore.

Una risata lunga e argentina squillò nel silenzio. Oh! Flora vedeva la piccola persona del dottore agitarsi in piedi sopra un banco della chiesa!

Quel buon dottore! Non le aveva più scritto, non aveva più voluto saperne di lei; ma ella gli voleva ancora bene! E la risata argentina mori in un altro sospiro, e gli occhi azzurri si velarono di tristezza, mentre la fossetta cupa del mento s'increspava tuttavia nella contrazione del riso. Qualche cosa di vivo si agitò ed ebbe un bri vido nel petto di Germano. Egli cominciava a ri conoscere Flora, la sua Flora.

Il gorgheggio di quella voce, gli occhi azzurri così dolci, quel modo tanto particolare di tirar su lentamente il respiro come dal fondo del cuore, tutto egli cominciava a riconoscere, e il volto di lui assumeva un atteggiamento grave, quale di chi veda balenar nel fondo della propria memoria [p. 276 modifica]la traccia di una figura che si credeva cancellata o risenta la eco di un suono che si credeva spento.

Flora fece 1* atto di avviarsi verso 1' uscita; ma Germano la trattenne.

Egli non conosceva campo Verano; nelle sue gite a Roma non aveva mai pensato a visitarlo; gli servisse ella di guida.

Il Rosemberg diceva questo per paura di ve dersela scomparire; ma egli se ne rideva dei mo numenti, non ricordandosi di aver mai visitato un museo in vita sua.

— Allora andiamo al Pincetto — disse Flora, volgendo con moto lento il capo verso di lui, che si era collocato alla sua sinistra.

— Andiamo dove lei vuole — rispose Ger mano, notando che, veduta di profilo, ella somi gliava ancor di più a se stessa.

— Mi conduca dove crede. Purché si tratti di andar lontano; purché lei non mi fugga.

Un fiotto di sangue salì alle gote di Flora e la bocca tremò impercettibilmente.

Ella, raffinata adesso dalle sue letture c dalle consuetudini della vita cittadina, trovava le pa role di lui alquanto rozze; ma, in pari tempo, sen tiva che quella voce era la stessa che le aveva susurrato negli antichi giorni radiosi tante inef fabili dolcezze d'amore.

Cominciarono a salire in silenzio la gradinata che conduce al Pincetto. Evitavano di guardarsi, evitavano di parlarsi. Provavano, inconsapevoli, il sentimento di ansia paurosa che un ricercatore di morte cose prova allorché qualche tesoro sta per tornare alla luce dopo secoli e secoli di sepoltura. Una forma appare, tuttavia incerta fra la terra [p. 277 modifica]smossa, e la mano che vorrebbe protendersi avida ad afferrare, rimane sospesa, trattenuta dal terrore di veder cadere in polvere la preziosa reliquia.

A mezzo della gradinata Flora si arrestò e si volse a indicare il colossale angelo di marmo, che sembra voler raccogliere sotto le grandi ali del suo perdono le passioni e il delirio di coloro che vissero.

Germano, rimasto un pochino indietro, sostò invece a contemplare Flora, la quale, a tre gra dini più in alto di lui, gli appariva come sopra un piedestallo. Il sole di autunno stendeva dalla cima al fondo della gradinata un velo tramato d'oro; tre monache scendevano bisbigliando preci, e un vecchio curvo, dalla bianca chioma fluente e scapigliata, immergeva faticosamente la zappa nella terra, per ivi scavare una fossa. Tra la gio condità del cielo e l'austera melanconia delle pietre sepolcrali, la gentile persona di Flora ri maneva come isolata all'occhio attonito di Germano.

Egli non l'aveva veduta mai così bella, mai, nemmeno in quel mattino di estate, durante l'opera della mietitura; nemmeno in quel pomeriggio di autunno, quando gli era apparsa nella candida veste di convalescente ed egli aveva pianto nelle sue mani.

Anche Flora si ricordò in quel momento di quelle lacrime, e ciascuno di essi sapeva ciò che l'altro pensava, e senza volerlo, dipanavano il filo del passato, e il filo del passato si svolgeva sot tile e tenace ad arretirli.

Dopo molti giri fra il meandro dei viottoli, so starono presso un piccolo monumento adorno di un medaglione, raffigurante una donna fiorente di venustà giovanile. [p. 278 modifica]Si chinarono entrambi, con moto simultaneo, a leggere la scritta e il braccio di lui sfiorò la spalla di Flora, che indietreggiò spaventata e che rimase poi confusa e vergognosa del suo spa vento.

— Bisogna che io vada a casa — ella disse, misurando a un tratto il pericolo e avvertendo già la vertigine dell'abisso che l'attirava.

— Bisogna che io vada a casa. E' tardi; e mio marito torna alle sei.

Germano provò l'impressione di un secchio di acqua gelata che gli avessero buttato sulla schiena. Che imbecille! Egli ridiventava ragazzo!

Dimenticava di avere trentasei anni; dimenti cava che Flora ne aveva più di trenta, che era maritata e a un marito vecchio per giunta.

Glielo aveva riferito il dottor Giani, con pa role di furore, e ricordava benissimo che Balbina, apprendendo la notizia, aveva esclamato:

— Flora ha preso un marito vecchio? Gliene farà vedere delle carine!

Infatti poteva anche darsi che quel povero ma rito avesse dovuto vederne di ogni risma. Flora era bellissima e aveva una testa esaltata, non facile a tenersi in briglia.

Comunque, egli l'aveva amata fervidamente, e quell'incontro inaspettato, l'ora del tempo, il luogo, l'insorgere tumultuoso dei ricordi gli avevano dato, per un'ora, una solenne ubbriacatura di poesia.

Intanto una tristezza grigia e tetra scendeva ad avvolgere l'anima di Flora.

Era il bimbo, di cui ella aveva evitato la pic cola tomba coperta di fiori, che si rivoltolava dentro la bara e che aveva freddo sotto la terra? [p. 279 modifica]O seguiva ella nel cervello di Germano il pullu lare degl'ingiusti pensieri?

Vicino al grande cancello dell'uscita, si fermò, congiunse le mani guantate e, fissando gli occhi negli occhi del Rosemberg, disse con accento di preghiera e di rimprovero:

— Non pensi male di me! Si, mi sono sposata nemmeno dopo un anno. Che cosa dovevo fare? — e affrettò il passo, perchè egli non vedesse il pianto che le tremolava sul ciglio.

La chiaroveggenza sentimentale di Flora colpì Germano; la sincerità accorata delle sue parole lo sconvolse.

Ciò che ella diceva era vero. Che cosa avrebbe potuto fare la poverina?

L'idea di quel marito vecchio, che pochi mi nuti prima lo aveva fatto ridere tra sè beffarda mente, adesso lo moveva a sdegno. Immaginò una serie di piccole sevizie, una tirannia di ogni minuto, che fece divampare in lui unaspecie di furore.

Salirono nella carrozza elettrica e sedettero di faccia.

Le imprudenti parole di Flora, con le quali aveva riconosciuto in Germano quasi il diritto di sindacare la sua vita, avevano gettato un ponte tra il passato e il presente.

A piazza dei Cinquecento egli la trattenne an cora con accento supplice e imperioso.

— No, non vada via, sia buona. Non voglio che lei mi lasci così!

- ^ tardi — ripeteva Flora smarrita. Quelle parole che egli le diceva a bassa voce, con respiro anelante, la sconvolgevano. Provava un senso di vergogna, provava un senso di ter rore, ma non le era possibile di fuggire. [p. 280 modifica]Una bicicletta, che veniva da piazza dell'Indi pendenza a tutta velocità, fu sul punto di travol gerla.

Il Rosemberg afferrò Flora per un braccio e la trasse a sè.

Rimanevano muti, sbalorditi, fra tutto quel via vai, e la luce bianca delle lampade elettriche li abbagliava.

E' giusto, ha ragione — egli diceva — questa sera non posso trattenerla; ma domani bi sogna che io la riveda.

— Dove? — chiese meccanicamente Flora, come suggestionata.

— Dove vuole. Un fugace risveglio avvenne nella coscienza di lei. — No, no, non è possibile. Non dobbiamo ri vederci più. Egli ebbe una esclamazione di protesta irosa. — Lei sogna. Io la cercherei in capo al mondo. Mi dica piuttosto dove ci rivedremo domani — e la teneva stretta per il polso, deciso a non la sciarla, finché non le avesse strappato la pro messa formale di un appuntamento. A Flora pareva che tutt'i passanti si volges sero per guardarla. — Domani, alle tre; nella chiesa di San Pietro — ella disse in fretta, e svincolando il polso dalla mano di lui, scomparve tra gli alberi fiancheg gianti il giardino. Ma egli la seguiva, ed avrebbe schiaffeggiato tutti coloro, che giravano il capo ad ammirare la figura snella di Flora. Era bella, era bellissima! Era sempre lei, anzi cento volte migliore. [p. 281 modifica]Da chi aveva appreso quel modo così leggero di camminare, quel dondolìo appena percettibile della persona, quel gesto così aggraziato della mano nel sollevare lo strascico della gonna?

Davanti alla fontana di piazza delle Terme, un signore, assai elegante, mormorò una frase ammi rativa all'indirizzo di Flora e Germano, dovette farsi violenza per non insultarlo.

Flora giunse a casa pochi minuti prima di suo marito e si gettò senza fiato sopra una poltrona, chiedendo ad Anna Maria di portarle un bicchier d'acqua, che bevve di un sorso. Aveva una sete da morire 1 Durante il desinare si studiò di mostrarsi di sinvolta e di ridere alle barzellette del cavaliere, il quale, caso strano, era quella sera di buon umore!

Ma, appena le fu possibile, corse a svestirsi ed a rifugiarsi al buio sotto le coltri.

Voleva pensare. L'incontro col Rosemberg, ap parsole nei primi istanti del colloquio di una lo gica insignificante, assumeva adesso proporzioni di una grandiosità fantastica; e Germano le ap pariva sotto le spoglie di uno di quei cavalieri di Walter Scott, i quali tornano da Terra Santa, dopo gesta meravigliose e lustri di assenza, per varcare al galoppo il ponte levatoio di un ca stello turrito, dove un barone feroce tiene in la crimosa prigionia la dolce castellana. Germano era tornato. La gioia squillava trionfatrice nel cuore di lei ed ella rimaneva supina, cogli occhi sbar rati a invocare nelle tenebre i particolari dell'in contro.

Non pensò neppure per un attimo di sottrarsi alla promessa dell'appuntamento accordato, se[p. 282 modifica]guendo, senza esitare, la voce inesorabile del suo destino.

Nel varcare l'indomani il ponte di ferro, vide una ressa di persone accorrenti e udi un gemere alto di pianti.

Un uomo si era gettato dalla ringhiera del ponte, e una donna, in lacrime, chiamava soccorso disperatamente, indicando con le braccia protese un viluppo nero che si dibatteva sulla superficie dell'onda, e che subito scomparve, ingoiato dai vortici.

Flora torse il capo per non vedere, e si affrettò verso piazza San Pietro, dove Germano già l'aspet tava, battagliando rabbioso con un cicerone dal l'aspetto famelico.

— Ma quando le dico che non me ne im porta 1 — esclamava il Rosemberg. — Che il portico della piazza sia del Bernini o del Bernoni, che la cupola di San Pietro sia di Miche langelo o di Raffaello, per me fa lo stesso. Mi lasci dunque tranquillo!

Il cicerone si allontanò tristamente, a spalle curve, scorgendo Flora apparire e Germano cor rerle incontro. La sua vecchia esperienza gl'insegnava che le coppie desiderose d'istruirsi sono quelle che arrivano pacifiche insieme e per la stessa via, non quelle che si formano sul luogo, arrivando guardinghe per opposte direzioni.

Germano e Flora entrarono nel tempio senza quasi barattar parola; ma sospiravano a intervalli, e mentre i sospiri si mescevano, gli occhi si cer cavano avidi, quegli azzurri di lei fuggenti e timidi, quelli neri di lui voraci ed ostinati.

I tesori d'arte raccolti nel tempio non li inte ressavano affatto. Stavano li, sotto quelle volte [p. 283 modifica]auguste, tra quei marmi e quelle colonne, senza curarsene, senz'arrestarsi, andando da una navata all'altra come sonnambuli e facendo brevi soste davanti a qualche gruppo, solo perchè la eco dei loro passi copriva il sordo martellare dei loro cuori, ed era per essi una delizia acre udire a vicenda il rapido ansar dei sospiri.

Per alcuni giorni peregrinarono così, quali cie chi, intenti solo a ribadire ogni ora di più la loro catena, finché, dopo suppliche infinite e infiniti dinieghi, dopo avere studiato e messo in pratica un complicato piano strategico, Flora aderì di recarsi a Tivoli con Germano.

Sarebbero partiti la mattina, sarebbero tornati nel pomeriggio e il cavaliere Gualterio non avrebbe potuto sospettare di nulla.

Nel rincasare, in seguito a tale concessione, Flora giurò a sè stessa che avrebbe mancato all'appuntamento, e invece, all'ora precisa, si tro vava alla stazione e saliva col Rosemberg in uno scompartimento di prima classe.