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guendo, senza esitare, la voce inesorabile del suo destino.

Nel varcare l'indomani il ponte di ferro, vide una ressa di persone accorrenti e udi un gemere alto di pianti.

Un uomo si era gettato dalla ringhiera del ponte, e una donna, in lacrime, chiamava soccorso disperatamente, indicando con le braccia protese un viluppo nero che si dibatteva sulla superficie dell'onda, e che subito scomparve, ingoiato dai vortici.

Flora torse il capo per non vedere, e si affrettò verso piazza San Pietro, dove Germano già l'aspet tava, battagliando rabbioso con un cicerone dal l'aspetto famelico.

— Ma quando le dico che non me ne im porta 1 — esclamava il Rosemberg. — Che il portico della piazza sia del Bernini o del Bernoni, che la cupola di San Pietro sia di Miche langelo o di Raffaello, per me fa lo stesso. Mi lasci dunque tranquillo!

Il cicerone si allontanò tristamente, a spalle curve, scorgendo Flora apparire e Germano cor rerle incontro. La sua vecchia esperienza gl'insegnava che le coppie desiderose d'istruirsi sono quelle che arrivano pacifiche insieme e per la stessa via, non quelle che si formano sul luogo, arrivando guardinghe per opposte direzioni.

Germano e Flora entrarono nel tempio senza quasi barattar parola; ma sospiravano a intervalli, e mentre i sospiri si mescevano, gli occhi si cer cavano avidi, quegli azzurri di lei fuggenti e timidi, quelli neri di lui voraci ed ostinati.

I tesori d'arte raccolti nel tempio non li inte ressavano affatto. Stavano li, sotto quelle volte