Rivista di Scienza - Vol. II/Rassegna di Fisica (Sulla massa elettromagnetica)

Tullio Levi-Civita

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Philosophie des sciences sociales Rassegna di Fisiologia (Teorie della funzione del cuore)
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RASSEGNA DI FISICA.


Sulla massa elettromagnetica.1


Lo schema tipico, secondo cui il metodo infinitesimale si applica allo studio dei fenomeni naturali, consta notoriamente di tre stadi:

1° - Induzione. — Dall’esame approfondito di uno o più casi semplici si desumono le così dette leggi elementari (per lo più sotto forma di relazioni differenziali), le quali caratterizzano il fenomeno, ridotto, in certo modo, ai minimi termini, limitato cioè ad un campo e ad una durata infinitamente piccoli.

A questo primo stadio, eminentemente induttivo, presiedono criteri di semplicità e di convenienza, potendosi in generale escogitare infinite leggi elementari compatibili coi fatti (integrali) dai quali si parte. Spetta agli stadi successivi confermare o infirmare le ipotesi scelte.

2° - Deduzione. — Qui interviene tutta l’efficacia dello strumento matematico, che permette di raggruppare a piacere elementi di spazio e di tempo, ricomponendo nella sua integrità ogni fenomeno comunque complesso, per cui valgono le leggi elementari.

3° - Verificazione. — Si sottopongono le previsioni del calcolo a diretto o indiretto controllo sperimentale.

Quando l’accordo è soddisfacente, le ipotesi acquistano definitivo diritto di cittadinanza nella scienza; non come astrazione metafisica, ma per quello che valgono, cioè per la giustificata fiducia che anche ulteriori eventuali applicazioni condurranno a conseguenze attendibili.

[p. 388 modifica]Tale è lo schema classico, che domina tutta la fisica matematica. Ho cercato di rispettarlo anche nel rapporto, che mi onoro di presentarvi, sulle azioni meccaniche connesse ai fenomeni elettromagnetici.


Leggi elementari e loro sintesi secondo Lorentz.

Una pallina elettrizzata, la quale si trovi in un campo elettrostatico, subisce una forza meccanica, notoriamente caratterizzata dalla legge elementare di Coulomb.

Se al campo elettrostatico si sovrappone un campo magnetico, nessuna variazione interviene nella forza che sollecita la pallina, finchè essa sta ferma. (Si esclude beninteso che la pallina sia costituita da materiale magnetico o magnetizzabile per influenza in modo sensibile). Ma quando la pallina si muove, la sua carica diviene assimilabile ad un elemento di corrente. Come tale rientra nell’ambito di un’altra legge ben nota, la legge di Biot e Savart, e subisce per conseguenza un’ulteriore forza meccanica da parte del campo magnetico.

Componendo queste due forze, si ha una legge elementare di azione meccanica, che si estende facilmente, dal caso dei due campi sovrapposti, ad un qualsiasi campo elettromagnetico.

Così generalizzata, la legge prende opportunamente il nome di legge di Lorentz.


Cariche puntiformi.

La legge elementare di Lorentz si riferisce beninteso a cariche, che occupano un volume infinitesimo.

Per questa ragione la legge stessa trova applicazione immediata in tutti e soli quei casi, in cui è lecito prescindere dalle dimensioni della carica, ossia, come si suol dire, si tratta di cariche puntiformi.

In generale questo passaggio al limite non è affatto lecito, come ora constateremo; ma non c’è alcuna difficoltà concettuale a tener debito conto dell’estensione delle cariche.

Basta scindere in elementi infinitesimi: la corrispondente forza meccanica si valuta per ciascuno di essi nel modo accennato, e non c’è che da sommare (o, se si vuole, da integrare) i singoli contributi.


Riflessioni critiche.

Cerchiamo di renderci conto dei limiti, entro cui una particella elettrizzata, che si muove in un campo elettromagnetico, può essere assimilata ad una carica puntiforme.

[p. 389 modifica]Diciamo S lo spazio effettivamente occupato dalla carica in un istante generico. Manifestamente è necessario e basta che, fra i vari punti di S, non vi sia distinzione sensibile, nè di posizione, nè di velocità, nè di comportamento elettromagnetico.

Le prime due condizioni, di carattere cinematico, sono quelle solite, sotto cui il moto di un corpo riesce sufficientemente caratterizzato da quello di un suo punto qualsiasi. Su queste condizioni non è il caso di indugiarsi. Possiamo senz’altro supporre che esse siano largamente soddisfatte, e fissare la nostra attenzione sul comportamento elettromagnetico.

Se si potesse asserire che, entro S, sono trascurabili le variazioni del campo elettromagnetico, più precisamente che la massima, variazione di forza elettrica entro S è trascurabile di fronte alla minima intensità, che ivi le compete, e analogamente per la forza magnetica, si sarebbe in diritto di riportarsi al caso limite della carica puntiforme. Ma disgraziatamente le variazioni del campo entro S sono tutt’altro che trascurabili; ed ecco perchè.

Il campo elettromagnetico può pensarsi dovuto alla sovrapposizione di due altri:

1° - Quello che si avrebbe indipendentemente dalla carica considerata: per es. il campo di un’elettro-calamita o di un condensatore a faccie piane, il campo magnetico terrestre, o addirittura un campo nullo, secondo le condizioni dell’ambiente, in cui ha luogo il movimento di S.

Lo diremo il campo esterno.

2° - L’autocampo, cioè il campo generato dalla carica, che si considera.

Nel caso particolare di una carica immobile, esso si riduce, come è ben chiaro, ad un semplice campo elettrostatico. Quando S si muove, la convezione provoca più generalmente un campo elettromagnetico (variabile).

Il campo esterno, a prescindere da situazioni eccezionali (come l’immediata vicinanza di punte o di spigoli, o più generalmente di sedi di elettricità o di masse magnetiche) può tranquillamente ritenersi costante entro lo spazio S: basta supporre in ciascun caso che le dimensioni di tale spazio siano abbastanza piccole.

Ma ciò non basta punto per l’autocampo. Già un esempio semplicissimo, quello in cui S sia una sfera immobile con carica uniformemente distribuita, ci fa toccare con mano che la variazione dell’autocampo entro S è tutt'altro che trascurabile. Dicansi infatti e la carica e R il raggio della sfera. È ben noto (e del resto evidente per ragione di simmetria) che la forza elettrica nel centro della sfera è nulla. Sul contorno, essa vale invece , come [p. 390 modifica] se tutta la carica fosse raccolta nel centro. La variazione è così , addirittura uguale all’intensità massima in S; di più, a parità di carica, essa tende a crescere indefinitamente, quando si fa rimpicciolire il raggio R della sfera.

Analogo è naturalmente il comportamento qualitativo anche nel caso generale di una carica in moto, comunque distribuita.


Generalità sul moto dell’elettricità.

Ne consegue che, per lo studio delle forze agenti sopra una determinata quantità di elettricità, non si può procedere secondo le tradizioni della meccanica ordinaria, perchè manca la semplificazione corrispondente al punto materiale.

Volendo prendere la questione di fronte, senza ricorrere a scappatoie, bisognerebbe discutere addirittura il movimento di una massa continua di elettricità, ciascun elemento essendo solidale cogli altri per lo scambio di azioni elettromagnetiche.

Ognun vede come un tale problema, preso nella sua generalità, debba essere notevolmente complicato. A prescindere da difficoltà specifiche, sarebbe come se, nella meccanica ordinaria, si dovesse cominciare dall'analisi del continuo (sistemi deformabili).

La vera posizione del problema rimane tuttavia quella accennata; essa va tenuta presente, non foss’altro come sicuro criterio direttivo. Dirò di più che soltanto incamminandosi risolutamente per la via maestra sembra ormai possibile un vero progresso teorico.

Ma di ciò ci renderemo conto più innanzi. Conviene intanto precisare i termini della questione, e prendere conoscenza dei risultati già acquisiti, seguendo — mi si consenta l’immagine topografica — dei sentieri, che, se non toccano ancora la sommità, hanno però raggiunto più posti, donde si domina un largo orizzonte.


Intervento del principio fondamentale della dinamica.

Riprendiamo la nostra particella elettrizzata, la quale occupi uno spazio S di estensione finita. La carica totale della particella, che può essere positiva o negativa, sia e in valore assoluto.

In un generico elemento di volume dS risiederà una certa carica elementare de e inoltre una certa massa materiale dm; (naturalmente non è escluso che de o dm possano talora esser nulli).

Consideriamo le forze agenti sull'elemento, mettendoci per un momento nelle condizioni più generali possibili. Così potremo meglio apprezzare la portata delle varie ipotesi semplificatrici.

[p. 391 modifica]Avremo anzitutto la forza f, dovuta al campo elettromagnetico esterno (f=0, se il campo elettromagnetico è interamente creato dalla carica e); poi la forza φ dell’autocampo, cioè quella che de subisce da parte degli altri elementi costituenti la carica: poi finalmente un’ulteriore forza ψ, in cui intendiamo compendiate tutte le altre azioni a priori possibili (per es.: peso, azioni molecolari, reazioni provenienti da eventuali vincoli, ecc.). f, φ, ψ, designano altrettanti vettori. La loro somma

f + φ + ψ

rappresenta, per definizione, la forza totale, che si esercita in dS.

Detta α l’accelerazione dell’elemento, avremo, per il principio fondamentale della dinamica,

(1) dm • α = f + φ + ψ.

Sommiamo questa relazione vettoriale con tutte le analoghe relative agli altri elementi di S. Nel primo membro, designando con m la massa totale situata entro S, e con a l’accelerazione del baricentro, si ottiene, come è ben noto,

m • a.

Se poi si chiamano: F la risultante delle forze f, dovute al campo elettromagnetico esterno, Φ la risultante delle forze φ dell’autocampo, Ψ la risultante delle forze complementari ψ, si ha la formula

(2) m • a = F + Φ + Ψ,
da cui prenderemo le mosse per la nostra discussione.


Teoria elementare (di Schuster).2

Nel caso particolare di una carica immobile (del resto comunque distribuita)

Φ = 0.

Infatti le azioni elettrostatiche φ fra le varie cariche elementari sono caratterizzate dalla legge di Coulomb, e quindi a due a due eguali ed opposte.

Quando si tratta di una carica in moto, le forze φ dell’autocampo non seguono più in generale il principio della reazione eguale ed opposta all’azione, perchè la propagazione da un elemento ad un altro esige un certo tempo, ciò che, in regime variabile, turba di regola il compenso.

[p. 392 modifica]In una trattazione rigorosa, bisogna dunque tenere esatto conto di Φ. In prima approssimazione si può tuttavia ragionare come segue: Dacchè Φ è nulla, quando l’elettricità sta ferma, si conserverà, per ragioni di continuità, poco diversa da zero, finchè la velocità sia abbastanza piccola, e allora risulterà trascurabile di fronte ad F.

Se poi si tratta del movimento di una carica nel vuoto o in un gas molto rarefatto, si potrà ritenere ogni ψ, e quindi Ψ, eguale a zero. Infatti peso e pressione risultano in tal caso trascurabili, e non c’è alcuna ragione perchè si debba preoccuparsi d altre forze. Del resto, anche senza escludere a priori eventuali azioni ulteriori, basta che esse verifichino il principio di reazione, perchè riesca Ψ = 0.

Rimane pertanto

(3) m • a = F,
dove F va esplicitato a norma della legge di Lorentz.

Ricordiamo che l’ostacolo essenziale a trattare una carica come puntiforme proveniva dall’autocampo. Essendone scomparsa ogni traccia, nella (3), nulla più vieta di assimilarvi la particella ad un unico punto elettrizzato.

Ciò ha perfetto riscontro in quanto si fa correntemente pei corpi celesti, salvo che allora si ritiene valido in ogni caso il principio di reazione, e quindi non è ipotesi approssimata, ma conseguenza del postulato, il porre eguale a zero il termine corrispondente a Φ (risultante delle attrazioni newtoniane di origine interna).

Nel caso, particolarmente interessante per le applicazioni, di un campo elettromagnetico (esterno) costante, la (3) si integra in modo affatto elementare.


Ricerche sui raggi catodici.3

Un’applicazione importante di questo modo di vedere è stata fatta ai raggi catodici, in quanto si risguardino costituiti da sciami di particelle elettrizzate, proiettate dal catodo di un tubo di Crookes; e si ammetta la validità della (3) per ogni singola particella.

Ponendo a raffronto le conseguenze della (3) colle circostanze di fatto, si rende subito conto del normale andamento rettilineo dei raggi catodici; supponendo poi — ciò che fu sperimentalmente [p. 393 modifica] dimostrato da Perrin4 — che la carica sia negativa, si spiegano perfettamente tutte le deviazioni, che si osservano, quando si porta il tubo in un campo elettrostatico o in un campo magnetico (uniformi e normali all’asse del tubo), oppure lo si sottopone all’azione combinata di due tali campi.

Da questi raffronti si ricava in particolare la determinazione di due elementi importanti: il rapporto fra la carica (più precisamente il valore assoluto della carica) e la massa delle varie particelle costituenti la radiazione; la loro velocità media.

Quest’ultima risulta compresa fra e della velocità della luce. Il rapporto si trova essere (come media, delle varie determinazioni) 1800 volte η, essendo η la così detta costante di Faraday.

Si rammenti che tale costante η è il rapporto fra carica e massa materiale, caratteristico dei fenomeni elettrolitici. Se, in uno qualunque di questi, l’ione idrogeno migra ad un elettrodo, si ha sempre η come rapporto fra la carica trasportata convettivamente e la corrispondente massa. Per un altro qualsiasi gruppo, messo in libertà dall’elettrolisi, l’analogo rapporto vale (ν equivalente chimico del gruppo).


Raggi affini ai catodici - Discussione dei risultati sperimentali e conseguente abbandono della teoria elementare.

Le leggi fondamentali dell’elettrolisi diventano intuitive, se si suppone che ogni atomo materiale sia suscettibile di trasportare una carica ben determinata, dipendente soltanto dalla sua costituzione chimica.

Questa ipotesi mal si concilia colla precedente spiegazione dei raggi catodici.

Infatti le particelle, che li costituiscono, sarebbero, secondo le cose esposte, dotate di un nucleo materiale, e questo dovrebbe ragionevolmente provenire da sostanze, che si trovano nel tubo di Crookes. Si tratterebbe quindi del gas, che vi è stato rarefatto, o di frammenti tenuissimi del catodo.

Ma in tal caso sarebbe strano che i vari atomi di sostanza fossero capaci di cariche molto superiori a quelle, che essi comportano nelle migrazioni elettrolitiche (circa 1800 volte maggiori, se si tratta di atomi di idrogeno).

[p. 394 modifica]E ciò tanto più che le stesse leggi di Faraday suggeriscono spontaneamente un’ipotesi atomica anche per l’elettricità: la costanza di rapporto fra carica e massa rende infatti plausibile l’esistenza di un quantum primordiale di elettricità (elettrone), indivisibile al pari dell’atomo materiale.

L’andamento quantitativo dei fenomeni elettrolitici non sarebbe altro che l’aspetto macroscopico del fatto elementare che ogni atomo materiale è atto ad assumere uno ed un solo elettrone per ciascuna valenza.

Perchè, nei raggi catodici, la facoltà, diciamo così, assorbente degli atomi diverrebbe di tanto maggiore? E perchè ancora sarebbe variamente alterata secondo la natura chimica dell’atomo, sì da portare al medesimo livello per tutti, mentre, quando si tratta di fenomeni elettrolitici, questo rapporto è inversamente proporzionale all’equivalente chimico?

Si noti che una circostanza, sperimentalmente accertata in più modi, è l’identico comportamento dei raggi catodici (per un dato stato di rarefazione), qualunque sia la natura del gas e degli elettrodi. Se vi fosse quel certo bombardamento di particelle materiali, una qualche differenza secondo la sostanza dei proiettili dovrebbe pur rendersi sensibile.

Ecco infine un altro elemento di giudizio, assai significante.

La (3) può applicarsi anche ad altri tipi di radiazioni: per es. ai raggi — studiati da Righi5, Lenard6, J. J. Thomson7 — i quali vengono emessi da superficie metalliche elettrizzate negativamente, quando sono esposte alla luce ultravioletta, oppure da filamenti di carbone, resi incandescenti nell’idrogeno.

Considerando anche in questi casi le radiazioni come dovute a bombardamenti di particelle negative, si trovano per il rapporto valori sempre prossimi a quello che corrisponde ai raggi catodici (1800 η).

Da tutto questo emerge che la (3), senza trovarsi in aperta contradizione con fatti osservati, non porge però un’immagine soddisfacente delle più immediate induzioni che i fatti stessi suggeriscono.

Non è il caso di meravigliarsene, attesa la approssimazione [p. 395 modifica] un pò troppo semplicista, in base alla quale abbiamo supposto Φ = 0, estendendo al caso di una carica in moto il compenso delle azioni interne, che ha luogo in elettrostatica.

Conviene perciò approfondire l’influenza dell’autocampo.


Ricerche di Abraham8 e di Sommerfeld9 - Movimenti quasi-stazionari.

Riprendiamo la formula

2) m • a = F + Φ + Ψ,
senza trascurarvi alcun termine. Nel primo membro sta il prodotto della massa materiale m della carica e, che si considera, per l’accelerazione del rispettivo baricentro.

Il secondo membro è assai più complicato: specialmente il termine Φ, che è la risultante delle azioni mutue dei singoli elementi de. Si tratta di azioni, che dipendono dalla posizione e dalla velocità, con l’aggravante che neppure si possono considerare stati di moti sincroni per tutti gli elementi, ma si deve tener presente che l’azione di un generico elemento potenziante impiega del tempo a propagarsi, e quindi, per arrivare in un certo istante all’elemento potenziato, deve essere partita con debita anticipazione. Φ dipende insomma dallo stato di moto dei singoli punti della carica, non solo nell’istante attuale, ma anche in un intervallo di tempo ad esso anteriore; certo assai breve, date le dimensioni, generalmente molto piccole, della carica e la grandi velocità di propagazione, ma pur sempre finito.

In queste condizioni, non si può pretendere di trarre a fil di logica da una sola relazione di insieme, come è la (2), alcuna previsione concreta sull’andamento del moto.

Il problema, preso nella sua integrità, esigerebbe la considerazione simultanea di tutte le (1) per ogni punto geometrico dello spazio occupato dalla carica.

Per semplificare e per sfruttare la (2) nel miglior modo, ricorreremo all’artificio di introdurre qualche ipotesi complementare, intuitivamente accettabile senza ripugnanza.

A dir il vero, un primo tentativo in questo senso lo abbiamo già fatto, provandoci a supporre che seguiti a sussistere il principio di reazione (Φ = 0); ma abbiamo riconosciuto che l’ipotesi [p. 396 modifica] non è sostenibile. Si tratta ora di esperirne qualche altra, meno grossolana.

Un criterio perfettamente ragionevole è il seguente:

Immaginiamo che la carica mobile possegga un nucleo materiale e che questo sia costituito da un coibente solido.

Allora il modo di distribuzione della carica entro il solido non si altera durante il movimento. L’elettricità, al pari della materia, si muove come se i vari elementi fossero rigidamente collegati fra loro.

Ci si trova per conseguenza ridotti a caratterizzare il moto di un sistema rigido, coll’unica complicazione, rispetto agli ordinari problemi di questo tipo, che le forze vengono ora a dipendere anche dalla storia anteriore del mobile. Il problema ha sei gradi di libertà, nel senso che tutto è esprimibile in funzione di sei parametri: tre, che servono a fissare la posizione nello spazio di un punto del solido, diciamo il baricentro; e tre, che individuano l’orientazione del solido attorno a questo punto.

Per determinare questi sei parametri in funzione del tempo, basta procurarsi sei equazioni, che non contengano ulteriori incognite.

Nelle (1), valide per ciascun elemento, appariscono le ψ, le quali compendiano tutto ciò, che non ha origine elettromagnetica. Dato il tipo di problemi, che vogliamo studiare, basterà attribuire alle ψ significato di reazioni provenienti dai vincoli di rigidità. Esse si eliminano, formando le solite combinazioni, dette delle quantità di moto (o del moto del baricentro) e dei momenti (equazioni cardinali, secondo Maggi).

Le tre combinazioni, esprimenti il principio del moto del baricentro, sono compendiate dalla (2), colla avvertenza che va posto eguale a zero l’ultimo termine Ψ (risultante delle azioni vincolari), sicchè resta

(4) m • a = F + Φ.

Le altre tre combinazioni (dei momenti) si compendiano anch’esse in una relazione vettoriale, che indicherò brevemente con

(5) M = 0.

Lo studio rigoroso delle (4), (5) si deve specialmente10 al signor Sommerfeld, che ha superato con ingegnosi artifici notevoli [p. 397 modifica] difficoltà analitiche, sviscerando il caso di una sfera elettrizzata uniformemente, con distribuzione sia di volume che superficiale.

Prima ancora di queste ricerche di Sommerfeld, il sig. Abraham aveva avuto un’idea felice, che gli permise di semplificare enormemente la trattazione del problema, pur raggiungendo tutta la desiderabile approssimazione.

Abraham ha trovato, per dir così, un giusto mezzo fra il computo rigoroso dell’autocampo e l’arbitraria estensione del principio di reazione (dal caso elettrostatico, in cui vale rigorosamente, al caso generale).

Il criterio direttivo si può sintetizzare come segue:

La risultante Φ e così il momento risultante delle forze dell’autocampo si possono presentare (Poincarè)11 sotto forma di derivate esatte, rispetto al tempo, di due certi vettori Q e K (risultante e momento risultante delle così dette quantità di moto elettromagnetiche). Q e K dipendono a rigore, al pari delle forze elettromagnetiche, da stati di moto, che spettano a punti della carica, anche in istanti precedenti a quello generico, che si considera.

Ma non si commette un grave errore, valutando questi due vettori come se il movimento della carica fosse stazionario, colle caratteristiche, che gli competono nell’istante attuale. Ottenuti in tal modo Q e K, si lascia cadere l’ipotesi provvisoria della stazionarietà, e si deriva rispetto al tempo, riguardando variabili, come generalmente sono, le caratteristiche del moto rigido.

È ben naturale di chiamare quasi-stazionari quei movimenti, ai quali è applicabile codesto procedimento con approssimazione sufficiente. Abraham ne ha fissato i limiti in modo preciso. Noi non lo seguiremo nella sua analisi, accontentandoci di mettere in luce l’ingegnosità dell’artificio.

Trattare il movimento come stazionario (cioè trascurare l’accelerazione) in tutto il computo delle forze elettromagnetiche sarebbe press’a poco quanto trascurare addirittura l’autocampo. (Infatti, in ogni moto traslatorio uniforme, risultante e momento risultante delle forze dell’autocampo riescono rigorosamente nulli).

Col procedimento di Abraham, le forze vengono valutate tenendo conto, almeno parzialmente, anche dell’accelerazione.

Per i movimenti, che si possono riguardare quasi-stazionari, le equazioni (4) e (5) perdono il carattere funzionale, che le rende così poco maneggevoli.

Infatti anche i secondi membri vengono in tal caso a dipendere dal moto, soltanto pel tramite delle velocità e accelerazioni [p. 398 modifica] dei punti del sistema, relative all’istante generico, che si considera. Ci troviamo insomma di fronte ad un ordinario problema di dinamica del solido, in cui le forze dipendono anche dalla accelerazione. Per verità, negli esempi più comuni, le leggi delle forze dipendono esclusivamente dalla posizione e dalla velocità; non è però senza precedenti il fatto che intervenga anche l’accelerazione.

Basta pensare al caso del mòto di un solido entro un liquido perfetto.

Le pressioni del liquido sulle pareti del solido danno luogo a forze addizionali (oltre a quelle direttamente applicate), che dipendono dalle accelerazioni delle molecole fluide, cioè in definitiva (essendo il moto del liquido subordinato a quello del solido) dalle velocità e accelerazioni del solido. In queste condizioni si presenta un fenomeno tipico, del resto ben prevedibile. L’influenza del liquido circostante aumenta l’inerzia del solido; ad es., nel caso di una sfera in moto rettilineo, le cose vanno come se il movimento (sotto l’azione delle forze applicate e di quelle che agirebbero sul liquido spostato) avesse luogo nel vuoto, essendo però aumentata la massa della sfera di una metà della massa del liquido spostato.

Questo richiamo idrodinamico ci lascia presumere analoghi effetti da parte delle forze dell’autocampo.


Massa elettromagnetica longitudinale e trasversale.

Cerchiamo di precisare, mettendoci nelle circostanze più semplici.

Supponiamo che si tratti di una sferetta omogenea, elettrizzata uniformemente.

Sotto condizioni, che, per brevità, tralascio di specificare, si può supporre il moto puramente traslatorio. Per la sua determinazione basta allora la (4), la (5) risultando identicamente soddisfatta. Il vettore Φ si esplicita senza difficoltà. Dicendone ΦT la sua componente tangenziale o longitudinale (cioè nel senso del moto), e Φn una componente normale o trasversale (cioè secondo una qualsiasi direzione perpendicolare alla velocità), si trova:

ΦT = — m0χ1(β)aT
Φn = — m0χ2(β)aN
dove aT ed an sono le analoghe componenti dell’accelerazione; β è il rapporto fra la velocità (in generale variabile) della sfera e la velocità c della luce; χ1 e χ2 sono due funzioni del solo [p. 399 modifica] argomento β, le quali si riducono all’unità per β = 012; infine
(6)
(e valore assoluto della carica in unità elettrostatiche, R raggio della sfera).

Ciò premesso, proiettiamo la relazione vettoriale (4) nella direzione del moto e in una generica direzione ortogonale, designando con FT, Fn le relative componenti del vettore F (risultante delle forze provenienti dal campo elettromagnetico esterno). Ove si ponga per brevità

(6´)
m1 = m + m0χ1(β).
m2 = m + m0χ2(β).
(7) FT = m1aT.
(8) Fn = m2an.

Come si vede, il rapporto fra forza (esterna) e accelerazione vale m1 nel senso del moto, e vale invece m2 per una generica direzione perpendicolare.

Nella meccanica ordinaria (quando cioè non intervengono forze di origine elettromagnetica e non c’è quindi autocampo), il rapporto fra forza e accelerazione è sempre il medesimo in qualsiasi direzione: la massa, carattere intrinseco del mobile, indipendente in particolare dalla velocità.

Qui abbiamo invece, per usare la terminologia di Abraham, una massa longitudinale m1 e una massa trasversale m2, distinta in generale dalla prima. Entrambe poi dipendono essenzialmente dalla velocità, oltre che da caratteri intrinseci della carica mobile (la massa materiale m, la carica e, il raggio R).


Caso particolare già previsto da J. J. Thomson13 - Applicazione ai raggi catodici ed affini - Opportunità di escludere qualsiasi intervento di materia ponderabile.

Per velocità piccolissime rispetto a quella della luce, β è sensibilmente zero, ed m1, m2 si riducono entrambe al valore comune e costante m + m0.

[p. 400 modifica]Questo caso limite, cui si è condotti da intuizioni molteplici14, ha più stretta analogia col moto di una sfera in un liquido perfetto.

L’effetto dell’autocampo equivale in definitiva ad una inerzia addizionale di origine elettromagnetica, misurata dalla espressione (6) di m0.

L’equazione vettoriale (4), o le equivalenti (scalari) (7), (8), riprendono di conseguenza la forma tipica

(4´) (m + m0)a = F.

Soffermiamoci un momento su queste velocità limitate, per cui χ1 e χ2 si possono confondere coll’unità. Anzitutto va notato che la cosa è lecita in un ambito abbastanza largo. Basta per es. che si tratti di velocità non superiori ad un terzo della velocità della luce (che è precisamente il massimo ordine di grandezza, già trovato per i raggi catodici, quando si trascurava l’autocampo) perchè l’errore resti al disotto del 5%.

La (4´) differisce dalla (3) soltanto per questo: il coefficiente m, che compare nella (3), è sostituito nella (4) da m + m0.

Ricordiamo che, ammessa la validità della (3), nel caso dei raggi catodici ed affini, eravamo giunti alle conclusioni seguenti:

a) I fatti sperimentali sono benissimo rappresentati dalle formule;
b) La velocità delle particelle è compresa fra e della velocità della luce;
c) II rapporto fra la carica e la massa materiale è (in media) 1800η, cioè 1800 volte quello corrispondente ai fenomeni elettrolitici.

L’intervento dell’autocampo (ridotto a quel minimo, di cui ora ci occupiamo) lascia evidentemente sussistere le conclusioni a) e b), e modifica la c), fornendo il valore 1800η per il rapporto anzichè per .

La modificazione è eccezionalmente importante perchè toglie lo stridente contrasto della c) colla concezione atomica della materia, e rende pressochè incontestabile la conclusione che i raggi catodici ed affini provengono dal trasporto di cariche elettriche negative senza nucleo materiale.

Proviamoci infatti ad ammettere che un nucleo materiale vi sia. Le cose andrebbero ancor peggio di quando si trascurava [p. 401 modifica] l’autocampo. Se allora era 1800η la carica per unità di massa materiale, la stessa carica spetterebbe adesso all’unità di massa apparente m + m0. Ma, per m + m0 = 1 ed m0 non addirittura trascurabile, la massa materiale m, cui compete la carica 1800η, risulta più piccola dell’unità; la carica specifica sarebbe perciò maggiore di 1800η.

L’inconveniente di dover attribuire ad atomi materiali cariche di gran lunga superiori a quelle, di cui li indicano capaci i fenomeni elettrolitici, scompare immediatamente tosto che si rinunci ad attribuire alla carica mobile un substrato materiale, ammettendo invece che l’inerzia sia tutta di origine elettromagnetica.

Allora il rapporto

non ha più nulla a che fare colla materia ponderabile, ma soltanto, in virtù della (6), colla carica e colle sue dimensioni.

Sostituendo per m0 il valore (6), abbiamo dalla precedente espressione di ,

(9) .

Se ne trae una conseguenza interessante, ove si accetti la concezione atomistica dell’elettricità, secondo cui la carica elettrica primordiale ed indivisibile è l’elettrone (carica dell’ione elettrolitico monovalente) e le particelle costituenti le radiazioni (catodiche ed affini) sono altrettanti elettroni.

L’e della (9) ha allora invariabilmente il valore 3•10— 10 (in unità elettrostatiche), proprio dell’ione elettrolitico.

Si noti che la concezione atomistica è fortemente suffragata dal fatto che la carica degli ioni gasosi si riscontra pressochè identica a quella degli ioni elettrolitici15.

Posto nella (9) e = 3•10— 10, ove si tenga conto che, in unità elettrostatiche, η vale 9660 • 3 • 10— 10, o, in cifra tonda, 104 c, si trova:

,


[p. 402 modifica] ossia 10-13 cm. come ordine di grandezza delle dimensioni di un elettrone.

Le dimensioni di un atomo di materia ponderabile si valutano invece dell’ordine di 10-8 cm.16, talchè la concentrazione dell’elettricità negativa, sciolta da ogni vincolo materiale, risulta circa 100000 volte maggiore di quella, che essa possiede quando è carica atomica.

La piccolezza delle dimensioni degli elettroni rispetto agli atomi ponderabili rende ragione intuitiva della penetrazione dei raggi catodici ed affini attraverso la materia, specialmente allo stato gasoso.

Infatti nei gas le molecole sono molto spaziate, il rapporto fra il volume degli interstizi e quello occupato dalle molecole potendosi ritenere dell’ordine di 10417.

Le coorti dei minutissimi elettroni possono così passare quasi indisturbate.


Raggi di elettricità positiva.

La nostra attenzione è stata finora rivolta a radiazioni di elettricità negativa. Sorge spontanea la domanda: Esistono fenomeni analoghi per l’elettricità positiva? Tali fenomeni sono stati effettivamente constatati (per quanto meno stabili e meno cospicui di quelli dovuti all’elettricità negativa): ad es. i raggi-canale di Goldstein, che si formano durante la scarica elettrica nei gas molto rarefatti, i raggi emessi da un filo rovente, previamente caricato di elettricità positiva, una delle tre specie di radiazioni caratteristiche dei corpi radioattivi (i così detti raggi α).

[p. 403 modifica]Wien18, Ewers19, J. J. Thomson20 e Rutherford21 hanno studiato questi tipi di radiazioni coi criteri già esposti per i raggi catodici ed affini. Confermato che si tratta di cariche positive, hanno stabilito (col solito criterio delle deviazioni elettrostatiche e magnetiche) che il valore di , diciamo più precisamente di , immaginando di tenere il debito conto dell’autocampo, è dell’ordine di η, anzi spesso più piccolo (molto prossimamente le metà per i raggi α), mentre si è visto che, per le radiazioni negative, è circa 1800 volte maggiore.

Inoltre — riferiamoci per es. ai raggi-canale — è stato trovato che varia colla natura degli elettrodi e del gas nel tubo di scarica. In questa condizione di cose, vengono meno le ragioni, che, nel caso delle radiazioni di elettricità negativa, avevano indotto ad escludere ogni intervento di materia ponderabile. Qui anzi (data la accennata dipendenza delle radiazioni dalle sostanze in cui presenza si producono), l’ipotesi più probabile è che si tratti di vere e proprie particelle materiali, cariche di elettricità positiva.

Un valido argomento a favore sta nella circostanza che il valore — diciamo η1, — di , pur variando da caso a caso, fu riscontrato sempre minore di η, come esige l’ipotesi atomica. Infatti, secondo tale ipotesi, dovrebbe essere (ν equivalente chimico del nucleo materiale); perciò . Ma è anche più piccolo di quindi a fortiori ≤η.

Dato per es. che si tratti di particelle di idrogeno, l’ipotesi atomica porge . Eliminando m dalla , si ottiene

,

[p. 404 modifica]

ovvero

.

Ci troviamo quindi in grado (associando le due ipotesi che nei raggi positivi vi sia un nucleo materiale e che l’elettricità abbia struttura atomica), non soltanto di assegnare la complessiva massa apparente m + m0, ma anche di distinguere in essa quanta parte si deve all’inerzia ordinaria e quanta parte all’inerzia elettromagnetica.


I raggi β del radio e le esperienze di Kaufmann.22

Una delle più brillanti applicazioni della teoria di Abraham è stata fatta da Kaufmann alle sue celebri esperienze sui raggi β del radio.

Delle esperienze preliminari avevano lasciato supporre che si trattasse di radiazioni di elettricità negativa, dotate di velocità superiori a quelle dei raggi catodici, anzi abbastanza prossime alla velocità della luce.

La semplificazione di attribuire all’autocampo un puro effetto di inerzia, risguardando m1 = m2 = m + m0, non era dunque in alcun modo lecita. Kaufmann interpretò le sue esperienze adottando per la forza dell’autocampo l’espressione più completa, che figura nelle (7) ed (8).

Il materiale di osservazione risultò in eccellente accordo colle formule, ritenendovi addirittura m = 0.

Le corrispondenti velocità degli elettroni si trovarono comprese fra i 2/3 e i 9/10 della velocità della luce.

Fu appunto in seguito a tali significanti constatazioni che Kaufmann e Abraham annunciarono cinque anni or sono, e tutti oggi risguardano assodata, la costituzione puramente elettromagnetica dei raggi negativi, con esclusione d’ogni materia ponderabile, e pur con effetti di inerzia: identici agli ordinari finchè la velocità è abbastanza piccola, crescenti indefinitamente in grandezza e variabili in direzione al crescere della velocità stessa.


Le varie meccaniche degli elettroni.23

Non dimentichiamo il punto di partenza dei raffronti sperimentali e delle conseguenti induzioni.

[p. 405 modifica]Inizialmente abbiamo ammessa un’ossatura materiale rigida e coibente (con che la distribuzione dell’elettricità in ciascuna particella doveva senz’altro ritenersi invariabile durante il movimento), e abbiamo preso a considerare il caso di una sfera uniformemente elettrizzata.

Per rispecchiare le condizioni di fatto, siamo poi stati tratti ad adottare l’ipotesi limite che l’ossatura materiale sia evanescente.

La forma sferica e la distribuzione omogenea non sono, come ognuno intende, che ipotesi di comodo, atte ad agevolare il calcolo effettivo per giungere rapidamente ai numeri.

Concettualmente più significante è la rinuncia ad ogni substrato materiale. Finchè ce n’è uno, per quanto tenue, basta supporre, come abbiam fatto, che esso sia costituito da sostanza solida e coibente, perchè l’indeformabilità della carica, durante il movimento, si presenti come necessaria conseguenza.

Ma quando scompare la materia coibente, e l’elettricità, è libera di obbedire ad ogni eventuale sollecitazione dinamica, non c’è a priori alcuna ragione perchè il moto debba proprio avvenire senza deformazione.

L’ipotesi della rigidità, come un’altra qualunque che introduca deformazioni di carattere prestabilito, lascia manifestamente insoddisfatti, e provoca la domanda: Donde provengono (quando si esclude ogni traccia di materia) questi vincoli cinematici? o, ciò che è lo stesso, come mai si introducono, per ciascun elettrone, forze vincolari di natura elettromagnetica, mentre si è ammesso «he la forza elettromagnetica (totale), agente sopra un elemento generico, sia definita dalla legge di Lorentz? Per togliere la contraddizione, bisognerebbe considerare non un elettrone isolato, ma un gruppo, e supporre che, per un generico individuo J del gruppo, le forze vincolari siano precisamente quelle provenienti dagli altri elettroni (le forze esterne provenendo da cause addirittura estranee al gruppo, e l’autocampo dal solo elettrone J). Allora le cose andrebbero, come se si trattasse di elettroni isolati, sottoposti a legami (immateriali).

Sono questioni che, debitamente approfondite, riportano a quella posizione rigorosa del problema, che avevamo voluto evitare.

Si ricordi infatti che l’ipotesi del nucleo rigido coibente era stata introdotta per arrivare a previsioni concrete, utilizzando in parte la teoria, senza attenderne il completo svolgimento deduttivo, che appariva irto di difficoltà.

Alla stessa stregua conviene considerare le altre ipotesi complementari, che possono sostituire quella testè ricordata; per es. ogni ipotesi cinematica circa il comportamento degli elettroni, risguardati a priori come pura elettricità.

[p. 406 modifica]Stando così le cose, una discussione in astratto non avrebbe ragione di essere. Basta assicurarsi che si tratta in ogni caso di ipotesi non discoste dal vero. Si può allora legittimamente presumere che saranno altrettanto attendibili le loro conseguenze qualitative, e, quanto all’ordine di grandezza, anche i risultati numerici.

Per renderci conto delle varie ipotesi cinematiche, che sono state effettivamente proposte, consideriamo un generico elettrone in movimento. Supponiamolo di dimensioni tanto piccole (rispetto a quelle del campo in cui si svolge il moto) da poterlo senza errore sensibile trattare come infinitesimo.

Supponiamo d’altra parte — com’è perfettamente naturale in prima approssimazione, quando si tratta di movimenti aventi andamento continuo e regolare — che la deformazione, cui eventualmente sottostà l’elettrone durante il moto, possa anch’essa trattarsi come infinitesima.

Supponiamo infine, per fissar le idee, che l’elettrone abbia forma sferica all’inizio del movimento.

In queste condizioni — insegna la cinematica — l’elettrone non può far altro che assumere forma ellissoidica (vicina in ogni caso alla forma sferica), per quanto dipendente, in modo a priori incognito, dalle circostanze del moto. Qualunque ipotesi su tale dipendenza, purchè la deformazione si mantenga entro limiti abbastanza ristretti, può essere ragionevolmente esperita.

Di qua le diverse meccaniche degli elettroni.

Se si ammette la rigidità, si ha la teoria di Abraham, su cui già ci siamo intrattenuti, presentandola come caso limite di legami realizzati da una guaina solida e coibente. L’unica differenza sta nel punto di vista. Quello originale dell’A. — come del resto ogni meccanica degli elettroni — esclude a priori qualsiasi intervento di materia ponderabile.

La teoria di Lorentz24 si ha supponendo che l’elettrone si schiacci alquanto nel senso del moto: precisamente, detto R il raggio della sfera iniziale, che esso divenga un ellissoide di rivoluzione, avente ancora R per raggio equatoriale, e per raggio polare (β rappresenta sempre il rapporto fra la velocità dell’elettrone e quella della luce).

Bucherer25 e Langevin26 considerano elettroni incomprimibili soggetti alla contrazione lorentziana: R1, R2 essendo i raggi [p. 407 modifica] equatoriale e polare dell’elettrone deformato, si deve avere per l’incompressibilità R12R2 = R3, il rapporto assumendosi eguale a , come nell’elettrone di Lorentz. Se ne trae

Infine Poincaré27 ha considerato un tipo di legame, che comprende tutti i precedenti come casi particolari. Egli ha discusso i vari casi sotto diversi aspetti, in special modo alla stregua di una certa trasformazione analitica, scoperto da Lorentz28, che rispecchia (in senso alquanto più esteso dell’ordinario) il principio di relatività29: indipendenza dei fenomeni elettromagnetici da una traslazione di insieme.

Rispetto a queste varie teorie, sarà opportuno osservare che l’elettrone rigido di Abraham si presenta, assieme alla variante Bucherer-Langevin, più soddisfacente dal punto di vista energetico dell’elettrone di Lorentz.

Infatti, tanto per l’elettrone rigido, quanto per quello incomprimibile di Bucherer-Langevin, c’è accordo fra l’espressione della massa longitudinale, ottenuta per via energetica, e quella che risulta come rapporto fra forza e accelerazione.

Se si adotta invece l’ipotesi di Lorentz, l’accordo può essere raggiunto solo ammettendo che l’elettrone, oltre all’energia di origine elettromagnetica, possegga una certa provvista supplementare di energia intrinseca (di cui non si saprebbe assegnare la provenienza).

Viceversa l’ipotesi di Lorentz ha, su tutte le altre30, il vantaggio di rispettare il principio di relatività (in senso esteso, come [p. 408 modifica] si è già accennato, cioè previa introduzione del tempo locale e della contrazione lorentziana nella direzione del moto).

L’importanza fondamentale di questo principio sta nel fatto che esso spiega a priori, in base alla teoria elettromagnetica della luce, il risultato negativo di tutte le esperienze ottiche tendenti a mettere in evidenza la traslazione terrestre.


Ultime esperienze di Kaufmann31 - Desiderati di future ricerche - Loro relazione colla teoria di Larmor32.

Come si vede, nessuna delle varie ipotesi cinematiche soddisfa senza riserve; viceversa (nei limiti di approssimazione, che si possono ragionevolmente pretendere) si trova che esse rappresentano tutte egualmente bene le esperienze di Kaufmann del 1902-1903, su cui fu saggiata, per la prima, la teoria di Abraham.

Nell’intento di decidere fra le varie teorie, Kaufmann stesso intraprese nel passato anno una serie di nuove e più delicate esperienze.

Queste sembrerebbero più favorevoli alle teorie di Abraham e di Bucherer-Langevin (senza notevoli differenze fra le due) che non alla teoria di Lorentz, compromettendo così implicitamente il principio di relatività e riaprendo la questione di un riconoscimento del moto assoluto mediante esperienze elettromagnetiche (o, in particolare, ottiche).

Tuttavia non bisogna dimenticare che le varie ipotesi sottoposte a controllo hanno tutte un carattere provvisorio e approssimativo.

Il fatto che esperienze più affinate rispondono meglio ad una piuttosto che ad un’altra va giudicato cogli stessi criteri di approssimazione, che hanno suggerito le ipotesi.

Per conseguenza non è il caso di ragionare come se l’elettrone, soggetto a vincoli cinematici, rispecchiasse rigorosamente la realtà fisica. In particolare cade così ogni illazione contraria al principio di relatività, che, a prima vista, sembrerebbe di poter trarre dalle ultime esperienze del Kaufmann.

Giova piuttosto assurgere ad una conclusione di massima. Ed è che i mezzi sperimentali si trovano già ora così perfezionati da superare in esattezza l’ambito comune alle varie ipotesi cinematiche.

D’altra parte esse sono tutte un po’ gratuite, per quanto preziose in una prima approssimazione, come mezzo euristico.

[p. 409 modifica]Non è dunque il caso di appellarsi all’esperienza per scegliere fra esse, ma sembra invece giunto il momento di abbandonare gli artifici di prima approssimazione, cercando di riprendere la teoria esatta, per attingervi approssimazioni ulteriori.

Un primo esempio di soluzione rigorosa è stato dato recentemente33. Esso lascia sperare che se ne troveranno anche altre rispecchianti le caratteristiche salienti del moto di un elettrone isolato, almeno quando questo è così piccolo che, tranne nei riguardi dell’autocampo, è assimilabile ad un punto.

La questione, così semplificata, dovrebbe essere accessibile, per via asintotica: considerando cioè una carica, la quale tenda a concentrarsi in un punto geometrico (mobile) e determinando l’espressione asintotica dell’autocampo.

Tale concetto non è nuovo, trovandosi già nell’opera di Larmor34 (associato ad una rappresentazione meccanica dell’etere e all’ipotesi che tutto sia governato dal principio della minima azione).

Però il Larmor non ha spinto la sua indagine fino alle ultime conseguenze matematiche, limitandosi ad un grado di approssimazione, che non supera quello comune alle varie ipotesi cinematiche.

È al di là di questo grado di approssimazione che importa ormai far giungere le ricerche teoriche.


Modello elettromagnetico della materia.

Mi sia consentito anche un accenno alle nuovissime speculazioni di J. J. Thomson35 sulla costituzione degli atomi ponderabili. Secondo questo autore, un modello adeguato della molecola si ha immaginando una specie di nebulosa (molto rarefatta) di elettricità positiva, in cui si trovino immersi uno o più elettroni negativi (di carica complessiva eguale ed opposta a quella della nebula).

Un tale modello si giustifica come segue:

Dal numero degli elettroni negativi e dalla loro configurazione statica (o più generalmente dal carattere del loro moto stazionario) dipendono le diverse specie di materia ponderabile.

Le piccole vibrazioni attorno alle posizioni di equilibrio (o agli stati di moto stazionario), colle loro frequenze caratteristiche, fanno riscontro al comportamento delle linee spettrali.

[p. 410 modifica]Le collisioni catastrofiche di questi microcosmi elettrici e il loro atteggiarsi a nuove forme di equilibrio (o di moto stazionario) provocano i fenomeni chimici, rimanendo così aperto l’adito anche alle ipotetiche trasformazioni iperchimiche.

Se le collisioni, anche senza essere catastrofiche, sono accompagnate da vibrazioni impulsive o mettono in libertà degli elettroni, si hanno fenomeni di radioattività.

Le forze molecolari (sensibili soltanto a distanza piccolissima) trovano poi ovvia spiegazione nelle attrazioni e repulsioni elettromagnetiche. Queste risultano infatti trascurabili quando le molecole sono distanti (rispetto alle proprie dimensioni), perchè la carica totale di ogni molecola è nulla; possono invece esplicarsi in modo vario ed intenso (come si riscontra per le azioni molecolari) quando le molecole sono abbastanza vicine.

Tutto ciò, e altro ancora che potrebb’essere aggiunto, è senza dubbio brillante e suggestivo. Ma, se si cerca di precisare, sorgono numerose difficoltà.

Ravvicinamenti felici e punti deboli sono chiaramente riassunti, e discussi con larghe vedute nel libro già citato di Oliviero Lodge36. Non possiamo neppur sfiorare una tale critica, che mette in campo così larga varietà di fenomeni fisico-chimici.

Limitiamoci ad approfondire l’aspetto meccanico della questione.

Nei primi entusiasmi per la così detta spiegazione elettromagnetica dell’universo, si potè accontentarsi di una conclusione semplicista. Ecco qual era.

Una carica e, uniformemente distribuita entro una sfera di raggio R possiede, come abbiamo visto, una massa elettromagnetica, che, per velocità piccole rispetto alla velocità c della luce, si comporta in tutti i fenomeni meccanici come un’ordinaria massa materiale.

Essa ha per espressione

(6) .

Per forme e distribuzioni generiche (supposte condizioni tali che sia possibile un moto puramente transitorio, e velocità abbastanza piccole rispetto a quella della luce), si avrà ancora una massa elettromagnetica, che si comporta come una massa ordinaria. Designando con R il raggio della sfera di volume eguale a quello occupato dalla carica, si troveranno espressioni del tipo

(10) ,
[p. 411 modifica]
dove k, per ragione di dimensioni, è un puro numero, e può quindi dipendere da rapporti di grandezze (non da alcuna grandezza in sè): nella fattispecie, dalla forma geometrica dello spazio occupato dalla carica e, e dalla legge, con cui essa vi è distribuita.

Il modo più ovvio di rappresentarsi l’inerzia ordinaria come una manifestazione elettromagnetica sarebbe senz’altro di identificare il punto materiale ad una generica carica di dimensioni piccolissime, la massa rimanendo definita dalla (10).

Ma un tale procedimento è troppo superficiale. Una grave obbiezione, che mi fu messa in vista da Enriques, risiede nel fatto che esso non rispecchia la proprietà additiva della massa.

Possiamo riconoscerlo, considerando un caso particolare qualunque. Immaginiamo per es. una carica e, conformata a cubo e omogeneamente distribuita.

La (10) porge , avendo k ed R determinati valori numerici. Prendiamo altri sette cubi identici, e formiamo un cubo di lato doppio. Avremo una nuova carica 8e, collo stesso fattore di forma k, mentre R dovrà essere sostituito con 2R.

Detta M0 la massa di questo nuovo cubo, sarà, a norma della (10),

(10´) ,

Se valesse la proprietà additiva, dovrebbe invece risultare M0 = 8m0.

Rimane dunque escluso che si possa rappresentarsi la materia ordinaria come una carica elettrica pura e semplice. In verità il modello di J. J. Thomson è già più raffinato; l’obbiezione seguita però a sussistere.

All’incontro può darsi che, considerando l’atomo ponderabile come un sistema complesso di moltissimi elettroni (secondo Thomson, non sarebbe così, ma ogni atomo consterebbe di un numero di elettroni comparabile al peso atomico), intervenga nella massa, definita elettromagneticamente, un qualche compenso statistico, che ristabilisca la proprietà additiva.

Ma queste non sono che vaghe congetture; sarebbe prematuro appoggiarvi una conclusione qualsiasi.

Per mio sentimento, lo confesso, sono piuttosto scettico, e allaccio una pregiudiziale.

Supponiamo per un momento che un modello elettromagnetico del tipo accennato si possa costruire senza contraddizione.

Avremo veramente realizzato un progresso speculativo, paragonabile a quelli, di cui la meccanica ci ha fornito i più luminosi esempi?

[p. 412 modifica][Cito, per fissar le idee, la subordinazione delle leggi di Kepler alla più semplice e comprensiva legge di attrazione universale].

Si vede subito che le condizioni sono diverse.

Una spiegazione elettromagnetica della meccanica ordinaria dovrebbe rispondere a questo schema:

Si parte da principi elettromagnetici, indipendenti, o almeno distinti dai soliti postulati della meccanica, e poi questi si ritrovano come aspetto particolare o limite di conseguenze più generali.

[È con questi criteri che si intende la spiegazione delle leggi di Kepler: si adotta in lor vece un unico principio generale — legge di Newton — e da questo si ricavano in particolare le tre leggi come risultati di prima approssimazione].

Nella meccanica elettromagnetica, come è ora costituita, si invoca invece ad un certo punto proprio il principio fondamentale della meccanica ordinaria: forza = massa × accelerazione, ponendo soltanto il secondo membro eguale allo zero.

Trarre da questi principi una spiegazione elettrica della materia non mi pare incoraggiante; direi anzi che si rasenta il circolo vizioso.

Sarà possibile evitarlo con un qualche spostamento nel modo di porre la questione?

L’onere della prova incombe a chi afferma.

Università di Padova, Settembre 1907.

Note

  1. Rapporto presentato al primo congresso della Società italiana per il progresso delle scienze (Parma, Settembre 1907).
  2. The discharge of electricity through gases, «Proc. of the Royal Society», 47, 20 Marzo 1890.
  3. J. J. Thomson, On cathode rays, «Phil. Mag.», (5), 44, Ottobre 1897; inoltre Kaufmann, Lenard, Wiechert, Simon. Cfr. gli «Annalen der Physik», vol. 61 a 69, 1897-1899, oppure la collezione «Ions, électrons, corpuscules», Paris, Gauthier-Villars, 1905.
  4. Cfr. per es. l’art. Électrisation des rayons cathodiques, ecc., nel T. 2° della collezione testè citata.
  5. Sui fenomeni elettrici provocati dalle radiazioni, «Nuovo Cimento», (3), volumi 24 a 27, 1888-1890. — Sulla convezione elettrica, «Rendiconti dei Lincei», (4), 6, 2 Marzo 1890. — Sulle traiettorie percorse nella convezione fotoelettrica, ibidem, 3 Agosto 1890.
  6. Erzeugung der Kathodenstrahlen durch ultraviolettes Licht, «Annalen der Physik», (4), 6, 1900.
  7. On the mass of the ions ecc., «Phil. Mag.», (5), 48, Dicembre 1899.
  8. Theorie der Elektricität, vol. II (Elektromagnetische Theorie der Strahlung), Leipzig, Teubner, 1906, Cap. III.
  9. Zur Elektronentheorie, I, II, III, «Göttinger Nachrichten», 1904-1905. — Simplified Deduction of the field, ecc., «Ak. van Wetenschappen te Amsterdam», Proceedings.... (ediz. inglese), Novembre 1904.
  10. Va pur ricordato un lavoro del Sig. Schwarzschild, Über die Bewegung des Elektrons, «Göttinger Nachrichten», 1903, che ha lo scopo precipuo di discutere matematicamente l’influenza della rotazione sul moto di una carica elettrica. La conclusione è che, nei limiti delle attuali esperienze, si può tranquillamente prescindere dalla rotazione, senza commettere sensibili errori.
  11. Cfr. per es. Électricitè et optique, Paris, Carrè et Naud, 1901, pag- 448-51; oppure Abraham, loco cit., pag. 23-36.
  12. ,
    .
  13. On the electric and magnetic effects produced by the motion of electrified bodies, «Phil. Mag.», (5), 11, Aprile 1881.
  14. Ad es. per via energetica, come si può vedere in J. J. Thomson, Elettricità e materia, (traduzione italiana di G. Faè, Milano, Hoepli, 1905), pag. 24; o più diffusamente nella memoria del Prof. Righi, Sulla massa elettromagnetica, «Nuovo Cimento», (5), 12, 1906.
  15. La effettiva determinazione di tale carica — che Sir Oliver Lodge (Electrons, London, Bell, 1906, pag. 79), non esita a dichiarare uno dei più brillanti risultati della moderna fisica sperimentale — è dovuta ai Sigg. J. J. Thomson e C. T. R. Wilson, e fu poi perfezionata e semplificata dal Sig. H. A. Wilson (A determination of the charge on the Ions, etc., «Phil. Mag.», (6), 5, Aprile 1903). Tutte queste ricerche sono fondate sopra uno speciale fenomeno: la condensazione e conseguente precipitazione del vapor acqueo, che si produce in aria purissima, soprasatura, quando venga attraversata da scariche o da radiazioni elettriche.
  16. Cfr. per es. Jeans, The dynamical theory of gases, Cambridge, University Press, 1904, pag. 340-341.
  17. Ammesso infatti, per una molecola, 10-8 cm. come ordine delle dimensioni lineari, il volume sarà dell’ordine di 10-24 cm.3. D’altra parte, detta mH la massa di un atomo di idrogeno, si ha , da cui, sostituendo per e ed η i loro valori (3.10-10, 104c), risulta mH = 10-24 gr.
    Se N è il numero delle molecole per unità di volume, 2mH.N misura la massa dell’unità di volume, cioè la densità, che per l’idrogeno vale all’ingrosso 10-4. Dall’eguaglianza 2mH.N = 10-4 ricaviamo N = 5.10-19 (in buon accordo col valore fornito dalla teoria cinetica dei gas). Ciascuna molecola avendo un volume comparabile a 10-24 cm.3, la frazione dell’unità di volume effettivamente occupata da idrogeno, è N.10-24, cioè appena Per gli altri gas, si ha un rapporto del medesimo ordine, dacchè N rimane lo stesso, conformemente all’ipotesi di Avogadro.
  18. Untersuchungen über die elektrische Entladung in verdünnten Gasen, «Annalen der Physik», 65, 1898.
  19. Zur Mechanik der Kanal- und Kathodenstralen, «Annalen der Physik», 69, 1899.
  20. Conduction of electricity through gases, Cambridge, University Press, 1903; pag. 119. — Rays of positive electricity, «Phil. Mag.», (6), 13 e 14, Maggio e Settembre 1907.
  21. The mass and velocity of the α particles.... — Mass of the α particles of Thorium (in collaborazione con O. Hahn), «Phil. Mag.» (6), 12, Ottobre 1906.
  22. Über die elektromagnetische Masse der Elektronen. «Göttinger Nachrichten», 1902 e 1903.
  23. Nelle considerazioni che seguono, si può intendere per «elettrone» anche una generica carica elettrica, considerata a sè, senza pretendere che l’ammontare complessivo di essa sia proprio eguale al quantum elementare (carica dell’ione elettrolitico), già definito come elettrone.
  24. Electromagnetic phenomena in a system moving, ecc., «Akademie van Wetenschappen te Amsterdam», Proceedings.... (ediz. inglese), Aprile 1904. — Abraham, loco cit., § 22.
  25. Mathematische Einführung in die Elektronentheorie, Leipzig, Teubner, 1904; pag. 57.
  26. La physique des èlectrons, «Revue gènèrale des Sciences», 30 Marzo 1905.
  27. Sur la dynamique de l’électron, «Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo», 21, 1906.
  28. Loco citato, oppure Poincaré, loco citato, § 1; sotto forma più elegante in Marcolongo, Sugli integrali delle equazioni dell’elettrodinamica, «Rend. dei Lincei», (5), 15, 1 Aprile 1906.
  29. Cfr. le interessanti considerazioni sintetiche su questo principio istituite dal Sig. Einstein (Zur Elektrodynamik bewegter Körper, «Annalen der Physik», (4), 17, 1905). Per quanto concerne la elettrodinamica dei corpi in movimento, queste considerazioni mostrano che le ipotesi di Lorentz sono le sole compatibili col principio esteso di relatività (si sa che, nel senso ordinario, ci sarebbe soltanto la teoria di Hertz, atta a rispettarlo). — Va poi notato che il Sig. Cohn (Über die Gleichungen des elektromagnetischen Feldes für bewegte Körper, «Göttinger Nachrichten», 1901) era pervenuto da qualche tempo, con felice intuizione formale, ad equazioni differenziali, che equivalgono (interpretazione a parte) alla teoria di Lorentz. Veggasi in proposito: Cohn, Zur Elektrodynamik bewegter Systeme (due note), «Berliner Berichte», 1904.
  30. Cfr. Poincaré, loco cit., § 7.
  31. Über die Konstitution des Elektrons, «Annalen der Physik», (4), 19, 1906.
  32. Aether and matter, Cambridge, University Press, 1900, cap. VI e appendice A.
  33. Cfr. la nota Sur le mouvement de l’électricité sans liaisons, ni forces extérieures, «Comptes Rendus», 19 Agosto 1907.
  34. Loco citato. Cfr. in particolare la pag. 265.
  35. Cfr. la già citata Elettricità e materia, cap. V, e due memorie del «Phil. Mag.», (6), 7, Marzo 1904; (6), 11, Giugno 1906. — È poi annunciata come imminente la pubblicazione di un apposito volume: Corpuscolar Theory of Matter, London, Constable, 1907.
  36. Electrons, cap. XV e seguenti.