Pesi proporzionali dedotti dalla libbra romana, merovingia e di Carlomagno

Vincenzo Capobianchi

1892 Indice:Rivista italiana di numismatica 1892.djvu Rivista italiana di numismatica 1892

Pesi proporzionali dedotti dalla libbra romana, merovingia e di Carlomagno Intestazione 11 dicembre 2023 100% Numismatica

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PESI PROPORZIONALI


desunti dai documenti


della


LIBRA ROMANA, MEROVINGIA E DI CARLO MAGNO





I.


Sopra nessun altro argomento della numismatica medioevale i pareri dei dotti furono tanto discordi quanto sul vero peso intrinseco della libra instituita da Carlo Magno, e sulle fasi per le quali passò la trasformazione del vecchio nel nuovo sistema monetario. Varie furono le cagioni di queste discordanze: primieramente la poca chiarezza dei documenti in materia di peso: secondariamente l’insufficienza del trovato per le ricerche troppo limitate: infine l’incerto e variante risultato ottenuto dal peso intrinseco dei singoli denari d’argento, unico mezzo dal quale venne finora desunto il peso della nuova libra di Carlo Magno.

L’importanza di questo argomento mi spinse a trattarne nuovamente con nuovo metodo, cioè, non ripercorrendo la incerta e già tanto esplorata via del peso dei denari, ma indagando nuovamente e più accuratamente i documenti dai quali poteva solo emergere qualche lume.

Credere che la libra romana, alla quale tanto eransi abituati tutti i popoli, fosse andata in oblio per quella nuova di Carlo Magno è errore. La libra romana seguitò ovunque ad essere usata egualmente, ed un sicuro indizio l’abbiamo nella necessità del suo ritorno. Se la [p. 80 modifica]nuova libra di Carlo Magno eccedè nel peso la romana, con una minor quantità di once se ne aveva l’equivalenza: se il denaro carolino fu più pesante di quello romano, per ogni soldo o libra di conto troviamo che se ne dava una minor quantità; e fu precisamente in questo modo del tutto eccezionale che durante quella riforma la libra romana sopravvisse e seguitò ad essere usata.

Le ricerche di queste proporzioni nei documenti, ed il dimostrare la esistenza di queste, spesso o anzi quasi sempre espresse quando trattasi di moneta, formano il tema del presente ragionamento.


Due fasi risultano dai documenti italici del passaggio dal vecchio sistema in uso sotto i longobardi nel nuovo sistema monetario franco. La prima di queste fasi è determinata dalla cessazione del soldo d’oro mediante la sostituzione del denaro d’argento, 12 dei quali formarono il soldo e 240 la libra romana in argento. La seconda fase è nella cessazione del precedente denaro per quello nuovo istituito da Carlo Magno, 12 dei quali denari egualmente costituivano un soldo e 240 la nuova libra: questo nuovo denaro in origine fu detto ancora denaro grosso, perchè aveva maggior peso e valore di quello precedente.

Divenuto Carlo Magno signore d’Italia nell’anno 774, colla disfatta di Desiderio, non cambiò immediatamente il sistema monetario, perchè trascorsero otto anni circa prima che il denaro d’argento fosse introdotto nella Lombardia (782)1, e ventitre, in Lucca (797);2 anzi in [p. 81 modifica]quest’ultima città, col nome di Carlo Magno, furono coniati, fino a quell’epoca, tremissi d’oro di tipo e di peso eguali a quei di Desiderio3, emergendo da questo fatto che nessuna legge fino allora imponeva all’Italia il cambiamento della moneta. Non apparisce così per il secondo e più recente cambiamento del nuovo sistema carolino che fu regolato invece da una legge generale, la quale determinava il tipo ed il peso delle monete, ed in seguito stabiliva ancora il luogo in cui dovevano esser coniate.

Che la coniazione della nuova moneta fosse regolata da una legge generale. ce lo dimostrano i contratti, anche colà ove i pagamenti erano facoltativi, con moneta di qualsiasi delle tre officine italiche, cioè di Pavia, di Milano e di Lucca «Denarios grossi et expendivilis de moneta de Pupia et Mediolano seu Lucana».

I romani Pontefici dovettero andare esenti da questa legge generale, perchè la zecca di Roma rimase sempre in loro potere e sotto la giurisdizione loro, e le monete che ivi si coniarono, benchè fossero secondo la prescrizione stabilita dalla nuova legge, non ebbero corso comulativo come quelle delle suddette officine collegate, rimanendo per uso del solo ducato romano. Questo fatto verrebbe a confermare in parte l’opinione di coloro che negano ai re di Francia l’assoluta autorità sopra Roma, da molti pretesa.

L’introduzione della nuova legge carolina per Lucca e Roma avvenne immediatamente dopo l’anno 800 coll’incoronazione e proclamazione di Carlo Magno ad imperatore dei romani4: mentre in Milano e in Pavia era in uso già da qualche anno (796)5. [p. 82 modifica]

Allorchè la nuova legge carolina andò in vigore in Italia, accadde quello che accader suole sempre ed ovunque quando un nuovo sistema va in uso, vogliamo dire, che si seguitò a stabilire contratti e far pagamenti a libre romane, ragguagliandole con i nuovi denari carolini. E siccome questi eccedevano in valore, in luogo di dodici, quantità che formar doveva il soldo in argento, se ne computava e dava un numero minore che equivalesse il soldo romano. Importantissimo esempio di questo fatto mi apparve in un documento dell’anno 816, nel regesto farfense, ove Ansidruda figlia di Rodiperto, vendendo alcuni suoi beni al monastero di Farfa, confessa aver ricevuto «pro suprascriptis rebus omnibus qualiter superius legitur, a te domine ingoalde abbas, uel a parte monasterii, idest argenti [solidos] cxx ana novem denariorvm per solidvm de moneta sancti petri finitvm pretivm sicut etc.6».

Che i soldi di questa convenzione fossero quei romani, o meglio computati alla romana, me ne assicurava un altro atto contemporaneo dello stesso regesto di Farfa. Nell’anno 819, certo Giovanni Sculdabis da Spoleto domanda in usufrutto ed ottiene dal suddetto monastero i beni appartenenti a suo cognato Leone ed [p. 83 modifica]a sua sorella Tota, obbligandosi, per non adempimento dei patti stabiliti nel contratto, a pagare per multa «solidos franciscos CC7», che erano quei soldi da 12 denari nuovi, i quali, avendo maggior valore di quei romani, erano perciò detti francesi o alla francese.

Non rimaneva più dubbio che la libra romana avesse seguitato a rimanere in uso contemporaneamente alla nuova libra francese.

Questa prima osservazione mi fu di guida ad altre e potei così facilmente ritrovare, che la maggior parte delle somme in quel periodo determinate in viiij denari e multipli fino alla concorrenza di 180 denari, erano soldi e libre computati alla romana, e che per brevità di formola e per maggiore intelligenza delle somme stesse venivano in quel modo indicate, mentre per i soldi e libre computati alla francese occorreva dichiarare che i soldi erano ragionati a 12 e le libre a 240 denari; dichiarazioni che sarebbero state inutili, qualora fosse stata in uso una sola computazione.

Innumerevoli me ne apparvero ovunque gli esempi, ma i più opportuni e chiari li rinvenni nelle pergamene lucchesi, cioè negli atti stipulati immediatamente dopo l’anno 800, epoca nella quale andò in vigore in Lucca la legge carolina. Questi atti per ordine di data sono i seguenti:

Anno 801, in ottobre. Deusdedi, prete e custode della chiesa di S. Salvatore, posta in Bussolanio, riceve dal prete Gumberto, rettore di S. Colombiano, il diritto di manutenzione della chiesa di S. Pietro, che appartiene a S. Colombiano, e dei beni di detta chiesa posti in Castiglione, pagando per annua pensione «idest decem et octo dinarios grossi, boni, expendivili, etc. 8». Diciotto denari grossi, così detti i [p. 84 modifica]nuovi denari francesi, costituivano l’equivalente di due soldi romani.

Anno 803, ai 23 di luglio. Guaseramo prende in locazione una casa da Alperto, chierico rettore del monastero di S. Pietro Somaldi, coll’obbligo di dare al detto monastero «per omnes annos quatrajentas et quinque diniri boni mundi grossi 9». Quarantacinque denari costituivano cinque solidi romani, ragionando il solido a nove denari.

Anno 805, in giugno. Gariporto parmigiano vende a Jacopo vescovo di Lucca i suoi beni posti nel distretto di Parma presso il fiume Taro per il prezzo «argentum solid. quadraginta quinque, ana duodecim den. pro solid. 10». Quarantacinque solidi alla francese, di dodici denari a soldo, erano corrispondenti a tre libre a ponderazione romana di quindici soldi a libra.

Anno 807, ai 27 di ottobre. Tamperto prete dà a livello la chiesa di S. Benedetto di Villa, con tutti i suoi beni già offerti al Volto Santo, coll’obligo «ad parte prefate Eccl. S. Salvat. censum dare et persolvere... per omne kal. octubris quadraginta et quinque denarios bonos mundos grossos expendibilis tantum 11» cinque solidi romani.

Anno 807, in agosto. Alberto chierico cede una sua chiesa a favore di Valprando prete, con patto che «per singulos annos in natale Sancii Reguli... reddere debeas decem solidos argento de bonos denarios mundos, grossos expendiviles, ana duodecim denarios pro solido12». Mezza libra francese.

Anno 808, in luglio. Valprando, prete rettore di S. Maria di Sesto, allivella vari beni a Deusdedi per l’annua corrisposta «hoc est argento solid. quindecim ana duodecim denarios bonos expendiviles rationatos per sing. solidos 13». 180 denari, è l’equivalente di una libra romana.

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Anno 809, ai 10 di ottobre. Alperto chierico riceve a livello da Jacopo, vescovo di Lucca, la corte di Tocciano nei confini della città di Saona, con altri beni spettanti al vescovato di S. Martino, obbligandosi «semper in kalendis mensis octubri ipsum censum media libra argenti reddere, idest bonos denarios numerum centum viginti tantum 14». Mezza libra francese.

Anno 813, primo di luglio. Amiprando del qd. Walfredo prende a livello dal chierico Gunfredo rettore di S. Michele Arcangelo, del luogo di Cipriano, quelle terre e beni, che a detta chiesa offrì già il qd. Peredeo vescovo di Lucca, coll’obbligo di pagare ogni anno «argentum denarios novem bonus de muneta de Papia, et de Mediolano seo de Luca 15». Nove denari carolini costituivano il solido romano: questa formola è la più completa che si abbia, essendovi dichiarata l’uniformità di valore della moneta che contemporaneamente battevasi nelle tre officine; quest’uniformità nell’anno 796 era estesa solamente alle zecche di Pavia e di Milano, come più sopra fu già veduto.

Anno 814.

«solidos duodecim quot sunt Denarios Grossi et expendivilis de moneta de Papia et Mediolano seu Lucana duodecim denarios rationati per singulos solidos 16», Dodici solidi francesi eguali a sedici solidi romani.

Non meno dimostrative pel nostro argomento furono le valutazioni del soldo d’oro. Dalla proporzione ottenuta nel soldo in argento da 12 a 9 denari, il soldo d’oro che aveva il prezzo invariabile, e che prima della riforma di Carlo Magno valeva 10 denari d’argento, doveva trovarsi corrispondente a 30 dei nuovi denari.

Il soldo d’oro corse in Italia per più lungo periodo che non fu nelle Gallie ove aveva cessato all’epoca di Pipino. Delle zecche d’Italia quella di Benevento seguitò [p. 86 modifica]a coniare soldi d’oro ancora dopo l’anno 800, ed i più accreditati furono quei denominati mancusi (cum signo manus cusi) 17 dal contrassegno della mano che primieramente vi era stampato e che li distingueva dai soldi d’oro lucani stellati che avevano invece una stella. [p. 87 modifica]

Il soldo d’oro mancuso ebbe grandissimo credito in Italia prima dell’800, seguitandovi a correre di poi, fintantochè, cessatane definitivamente la battitura e [p. 88 modifica]scomparsa la moneta effettiva, venne convertito in valuta ideale corrispondente a 30 denari d’argento e perciò detto mancuso d’argento. [p. 89 modifica]

Per la nuova legge carolina il soldo d’oro mancuso, col quale erano costituiti in gran parte i censi, venne equiparato colla nuova moneta e fu tassato allora per la prima volta a 30 dei nuovi denari.

Il primo e più antico esempio di questa nuova tassazione appare nell’816 in un decreto di Ludovico il Pio ove quell’Augusto, riconfermando il censo che i monaci di S. Zeno di Verona pagavano annualmente, già dall’epoca di Carlo Magno al Vescovo di quella città, ne determinava la nuova equivalenza «aut mancusos viginti aut quinquaginta solidos argenti18»; ragguaglio che veniva a corrispondere precisamente a 30 denari per ciascun soldo mancuso.

Il documento però che meglio di ogni altro ci determinò il ragguaglio fra il soldo d’oro e la vecchia e nuova computazione della libra d’argento, è il seguente.

Nella celebre raccolta dei trattati fra i Dogi di Venezia e gli Imperatori (argomento di discussione per tutti coloro che si occuparono della moneta veneziana) avvene uno, il più antico di tali trattati attribuito all’imperatore Lotario I, colla data del febbraio 840, dal quale si apprenderebbe che sei soldi mancusi equivalevano allora una libra o lira veneziana19. [p. 90 modifica]

Questo trattato, la data del quale è inesatta, e nel quale gli anni del regno di Lotario I non corrispondono al febbraio 840, fu impugnato dal S. Quintino che volle dimostrarlo apocrifo o almeno interpolato20, ma fu difeso dal Romanin21 ed in seguito dal Papadopoli22 che si studiò di dimostrarne l’autenticità, non potendosi credere che un documento riportato nella celebre raccolta dei patti del liber blancus23 compilata da Andrea Dandolo nel 1344, circostanza che ignorò il S. Quintino, fosse stato ad arte alterato. Il Papadopoli è d’avviso che l’originale di tal documento guasto fin dal tempo in cui se ne fece la trascrizione, fosse il motivo degli errori che s’incontrano particolarmente nei primi versi, e della mancanza dell’ultima parte, essendo sempre il principio ed il fine di un foglio più facili ad essere guastati.

Fra le ragioni adotte dal S. Quintino e riconosciute dal Papadopoli vi sarebbe l’assomiglianza che questo diploma sia con quello di Ottone II del 983, e con altri del X secolo: però la più importante delle loro osservazioni consiste nel fatto che nell’accennato documento si hanno i soldi mancusi, dei quali non si parla nei documenti veneziani se non nel X secolo, e le lire veneziane, delle quali nessun documento fa parola prima del trattato di Berengario II del 953, ove esiste lo stesso paragrafo.

Per queste ragioni il Papadopoli, ammettendone [p. 91 modifica]l’autenticità, crede possa formarsi l’ipotesi che questo documento fosse stato dal copista messo fuori di posto e malamente letto, potendo appartenere invece a Lotario II figlio di Ugo di Provenza, che venne in Italia nel 926 e fu dal padre associato al potere nel 931.

Non ammettendo discussione l’esistenza delle scorrezioni di dizione e di date nel surriferito documento, scorrezioni che sovente si verificano nelle copie e particolarmente in quelle, come questa, tratte da un originale mancante e guasto ed in epoca relativamente remota, noi ci limiteremo solo a fare qualche osservazione sulle specie delle monete dedotte in quel trattato.

Se mancano documenti di Venezia, nei quali si parli di soldi mancusi prima della metà del X secolo, questa non è a mio avviso valida ragione per dover credere che non vi abbiano avuto corso prima di quell’epoca. Il soldo mancuso in tutta Italia nel X secolo era valuta ideale, quindi se come tale usavasi allora in Venezia, ciò denotava che primieramente vi aveva avuto corso come moneta effettiva. Il soldo mancuso d’oro fu in grandissimo credito in Italia anteriormente all’anno 800, prima cioè che vi principiasse la coniazione della moneta d’argento ed allora era detto solidus mancusus auri, era corrente tuttavia in Verona nell’816, come testè vedemmo, ed ivi per la prima volta trovasi tassato a 30 denari carolini, e dal testo del decreto sappiamo che quel censo di 20 soldi mancusi i monaci di S. Zeno lo corrispondevano già dall’epoca di Carlo Magno. Questo stesso censo nell’anno 1014 fu da Enrico II riconfermato, ma colla speciale ingiunzione che il vescovo di quella città non dovesse più molestare i monaci, nè ripetere da loro nisi tantum quod antiquitus statutum est in festivitate S. Zenonis, aut muncusos viginti aut solidos quinquaginta24; [p. 92 modifica]e l’esigenze da parte del vescovo dovettero avere origine perchè, essendo in Italia da lungo tempo cessata la legge carolina sul peso e sulla moneta, egli probabilmente richiedeva il primitivo prezzo del soldo mancuso in 40 denari romani d’argento.

Queste osservazioni debbono farci conoscere la natura di tali atti, i quali, abbenchè venissero rinnovati sotto diversi imperatori, pur nondimeno le somme in cui erano costituiti i censi ed i privilegi rimanevano quasi sempre nella primitiva moneta, benchè da lunghissimo tempo avesse cessato di correre; e se nell’816 in Verona se ne stabiliva e dava l’equivalenza nella nuova moneta, ciò voleva significare che d’allora in Italia il soldo mancuso d’oro principiava a diminuire per esser sostituito dalla nuova moneta dei denari d’argento.

Riguardo alla moneta veneziana, della quale nessun documento fa parola prima del trattato di Berengario II nel 953, noi unicamente chiediamo: è egli vero che nel trattato in questione intendasi di moneta o piuttosto di libre computate alla veneziana? A me sembra che in quest’ultimo modo debba intendersi quella formola monetaria, perchè l’equivalenza di sei soldi mancusi non è di 240 denari, quanti richiedevansi allora per una libra carolina, ma bensì di soli 180, che, come già vedemmo, costituiva invece il prezzo della libra romana in argento, la quale, per distinguerla dalla francese o carolina, che contemporaneamente era in uso colà, dovette esser detta libra venetica.

È nostro avviso adunque che quella formola monetaria, nel suddetto trattato, non solo possa spettare all’epoca di Lotario I, ma, come la formola del documento veronese dell’816, colla quale ha grande analogia, si riferisca ad altro trattato più antico, ove le somme erano determinate nella sola moneta primieramente corrente, cioè nei soldi mancusi d’oro. Durante la riforma di Carlo Magno vi si dovette aggiungere l’equivalenza [p. 93 modifica]nella nuova moneta dei denari d’argento, rimanendo quella formola così sino a Berengario II ed Ottone I; però nelle rinnovazioni dei trattati di questi imperatori degli anni 953 e 967, il pagamento della nuova contribuzione imposta ai veneziani è invece fissato in denari pavesi ed imperiali che costituivano la moneta corrente d’allora. Nel trattato di Ottone II del 983 fu ripetuta infine la stessa precedente formola, ma senza la voce mancusi25, e tutte le somme sono ivi equiparate e dichiarate in denari veneziani, avendo in quell’epoca Venezia costituito la propria officina.

Da queste osservazioni possiamo dedurre le seguenti conclusioni:

1.° La libra carolina, o francese, fu di un terzo preciso più pesante della libra romana, corrispondendo a 16 once di quella libra.
2.° Diminuendo di un quarto il peso e la quantità dei denari che costituivano la libra carolina, si aveva l’equivalente della libra romana.
3.° Sei soldi d’oro formavano il cambio di una libra romana d’argento, tagliata in 240 denari romani eguali a 180 denari carolini.
4.° Otto soldi d’oro equivalevano ad una libra d’argento a peso carolino, tagliata in 240 denari carolini.


II.


Dovrà certo sembrare inopportuno che per trattare un argomento di numismatica francese, sul quale esistono insigni documenti, io abbia anteposto documenti italiani.

[p. 94 modifica] Questa preferenza ebbe origine dal fatto, che i documenti italiani, negletti da coloro che trattarono l’importante argomento della trasformazione del sistema monetario franco sotto Pipino e Carlo Magno, furono quelli dai quali ottenni le prime dimostrazioni sulla proporzione del peso della libra di Carlo Magno. Da questi documenti potei meglio conoscere quale importanza avessero le tassazioni del soldo d’oro, che potei ordinare, e per mezzo di esse tenterò di confutare le teorie dei due più celebri e recenti scrittori di numismatica francesi, Guérard e de Barthélemy.

Il Guérard ritiene che due furono le libre in uso nelle Gallie: primieramente la libra romana del peso di grani francesi 614426, ossia di grammi 326,30: questa libra fu usata sotto i merovingi, sotto Pipino e parte del regno di Carlo Magno: la seconda libra fu quella istituita da Carlo Magno, di un quarto più grave della libra romana e corrispondente al peso di grani 7680 eguali a grammi 40827.

Secondo questo scrittore una libra romana d’argento di grammi 326,30, sotto gli ultimi merovingi era divisa in 25 soldi, ossia 300 denari: ciascun soldo componevasi di 12 denari, ed il denaro pesava grani 20 , ossia grammo 1,088. Questa stessa libra, nell’anno 755 fu da Pipino nuovamente divisa in 22 solidi, con 264 denari, aumentando questa nuova divisione il denaro a grani 23 ossia a grammo 1,23628. Carlo Magno all’anno 779, sostituiva alla libra romana la sua nuova [p. 95 modifica]libra, elevandola al peso di grammi 408, divise per la prima volta questa libra in 20 soldi, ossia 210 denari, ciascuno dei quali denari aveva il peso di grani 32, ossia di grammo 1,700.

La teoria del de Barthélemy differisce da quella del Guérard in un punto essenziale, cioè, che all’anno 779, in luogo della nuova libra carolina di grammi 408, prodotta dal Guérard, seguirebbe invece una terza e nuova divisione della primitiva libra di grammi 326,30, quella in 20 soldi con 240 denari: questa divisione porterebbe un nuovo denaro, più forte dei due precedenti, del peso di grani 25 ossia di grammo 1,36.

Il de Barthélemy ritiene però che dall’anno 774 al 814 il peso probabile dei denari di Carlo Magno sia di grani 32, anticipando così di cinque anni la riforma di Carlo Magno dall’epoca stabilita dal Guérard29.

Dai calcoli del Guérard e del de Barthélemy risulta però un fatto concorde, quello cioè, che la libra carolina dovette essere di un quarto più pesante della libra romana [p. 96 modifica]nel rapporto da 12 a 15 once30, mentre la proporzione ottenuta da noi coi documenti italiani fu invece di un terzo preciso, da 12 a 16 once.


Cessata nelle officine monetarie franche la coniatura del soldo d’oro per esser sostituita definitivamente da quella della moneta d’argento, principiata sotto gli ultimi merovingi, Pipino, nei nuovi capitolari delle sue leggi pubblicate nell’anno 755, ordinò, che da una libra d’argento non dovessero essere tagliati più di 22 soldi di moneta31, mentre 25 ne erano tagliati sotto i merovingi32, Per questa nuova divisione della libra che aumentava il valore del denaro d’argento, (perchè 264 e non più 300 denari venivano tagliati da una stessa libra) e per la cessazione del soldo d’oro ne derivò che per soddisfare i censi, i privilegi e le ammende penali, costituiti in soldi d’oro, se ne dovette dare l’equivalente nella nuova moneta d’argento, che fu stabilito allora in 40 denari per soldo.

Questo soldo, del valore di 40 denari, dovè principiare ad usarsi immantinente colla nuova legge di Pipino, ebbe un periodo determinato e formò la nuova tassazione della legge salica33. Sull’epoca della cessazione di questo soldo [p. 97 modifica]il Guérard dice che fin verso l’anno 800 proseguiva in uso negli atti pubblici, ed Inchemaro arcivescovo di Reims, nella vita del beato Remigio, riferisce che il soldo di 40 denari cessava ai tempi di Carlo Magno, fatto che viene confermato coll’abolizione definitiva di quel soldo nella legge salica, ordinata nel 80134.

Questo soldo terminava adunque colla nuova legge carolina, perchè essendo nuovamente aumentato il valore del denaro d’argento, non più 40, come osservammo sui documenti italiani, ma un numero minore occorreva per formare quel soldo.

Questa valutazione del soldo in 40 denari, alla quale i numismatici non diedero valore, assegnandogli eziandio un periodo che non gli appartiene (quello merovingio), ci guida ora a conoscere che quella libra da Pipino nel 755 divisa in 22 soldi, non è la libra romana di 12 once, ma bensì un’altra di un decimo più pesante, perchè non è corrispondente a sei soldi d’oro o di quaranta denari, prezzo della libra romana in argento, ma a sei soldi e sei decimi di soldo, coi quali si ha invece il peso di once romane 13 .

Per la qual cosa non due libre per l’argento furono in quel periodo in uso nelle Gallie, come il Guérard ed il de Barthélemy proponevano, ma bensì tre con i seguenti proporzionali pesi.

1.° La libra divisa da Pipino nel 755 in 22 soldi, tagliata in 261 denari, equivalente a sei soldi di 40 denari e sei decimi di soldo, e del peso di once romane 13 . Con questa nuova divisione di questa libra (già in uso sotto gli ultimi merovingi ed allora tagliata in 300 denari) ebbe principio il periodo del soldo di 40 denari.
2.° La libra descritta nel testo del concilio d’Herstal [p. 98 modifica]del 77935, (periodo della valutazione del soldo in 40 denari) di due soldi, di quei di 12 denari, più debole della libra precedente, divisa in 20 dei medesimi soldi, tagliata in 240 dei stessi denari e del valore di sei soldi di 40 denari. Questa libra è la medesima che fu usata in Italia prima e durante la riforma carolina del peso di 12 once romane.
3.° La nuova libra di Carlo Magno, colla quale ebbe termine il periodo del soldo di 40 denari, divisa come la precedente in 20 soldi e tagliata in 240 denari a peso carolino. Questa libra per l’argento fu corrispondente al prezzo di 8 soldi d’oro o di 30 denari carolini ed al peso di 16 once romane.

Una primitiva e più antica riforma dei pesi ebbe luogo nelle Gallie sotto gli ultimi merovingi, probabilmente allorquando principiò la coniazione delle saighe o denari d’argento. Alla libra romana di 24 soldi36 fu sostituita una più pesante di 25, e di fatto, se noi prendiamo 300 denari merovingi del peso Guérard di grammo [p. 99 modifica]1,151 (quantità che formava quella libra) noi avremo grammi 345,30, che il Guérard, senza valide ragioni, riduceva a grammi 326,30, che era il peso attribuito da molti scienziati alla libra romana37.

Assunto Pipino al trono di Francia (752) nulla cambiò del sistema monetario merovingio fino all’anno 755 in cui promulgava a Vernon le sue nuove leggi, ordinando per la moneta, che da una libra d’argento a peso, che era la medesima libra usata sotto i merovingi, non fossero tagliati più di 22 soldi (264 denari), che di questi 22 soldi, uno fosse ritenuto dal monetiere per diritto di monetaggio, ed i residuali 21 soldi venissero restituiti al proprietario dell’argento. «De moneta constituimus similiter, ut amplius non habeat in libra pensante nisi viginti duo solidos, et de ipsis viginti duobus solidis monetarius habeat solidum unum et illos alios reddat38.

Inesplicabile senza dubbio sarebbe stata questa nuova divisione della libra che non era nè decimale nè duodecimale, se non avesse avuto lo scopo e l’utilità di potervi contemporaneamente computare due differenti libre, la merovingia divisa in 22 soldi e tagliata in 264 denari e la libra romana in 20 dei medesimi soldi e 240 dei stessi denari. Che la libra romana (per due soldi più debole della libra merovingia e del valore di 6 soldi di 40 denari) abbia corso nelle Gallie da Pipino fino all’epoca della riforma di Carlo Magno, ci è incontestabilmente dimostrato dal testo della decretale d’Herstal del 779, periodo del soldo di 40 denari, e dalla nuova tassazione della legge salica, si quis alterum «leporem clamaverit» ducentis quadraginta denariis, qui faciunt solidos sex, cupabilis judicetur39; per il qual fatto ci è [p. 100 modifica]permesso di credere che la libra romana, durante quella prima riforma, sia rimasta sempre in uso, e perciò da Pipino fu saggiamente compresa nella nuova divisione della libra merovingia, colla qual divisione se ne poteva ottenere la giusta proporzione che sicuramente mancava colla precedente in 25 soldi e 300 denari, e siccome per questa nuova divisione la libra romana diveniva decimale o duodecimale, divisa cioè in 20 soldi e contemporaneamente in 12 once, aumentando di un decimo gli uni e le altre si aveva l’equivalenza della libra merovingia, in 22 soldi ed in once 13 , romani. Che la libra merovingia debba avere avuto la divisione in once 13 , non solo se ne avrebbe una prova indiretta nella seconda divisione in 22 soldi, non decimale nè duodecimale, ma ancora se ne ha una prova diretta osservando che col denaro, sola unità monetaria d’allora, non potevasi avere la suddivisione completa dell’oncia che computandola a 20 denari.

Il Guérard errò adunque dicendo che la libra della decretale d’Herstal del 779, divisa in 20 soldi e contemporaneamente in 12 once, fu la libra istituita da Carlo Magno, come egualmente errò il de Barthélemy credendola libra merovingia a cui fosse stata data una nuova divisione, la qual divisione avrebbe dovuto portare immancabilmente una perturbazione nelle valute di quel periodo, primieramente coll’esistenza di una nuova serie di denari più pesanti de’ precedenti, che il Guérard aveva già dimostrato non sussistere40, secondariamente col cambiamento del prezzo del soldo d’oro che, per questa [p. 101 modifica]nuova divisione della libra, la quale aumentava nuovamente il valore del denaro d’argento, da 40 denari avrebbe dovuto discendere a 36 , de’ quali fatti non si ha poi traccia veruna nei documenti.

La divisione perciò della libra in 20 soldi ed il nuovo peso istituito da Carlo Magno sono due fatti del tutto separati, fra quali si frappone il periodo del soldo di 40 denari, nel qual periodo nessun cambiamento avvenne nel sistema monetario franco. Questo periodo, che il Guérard ed il de Barthélemy soppressero completamente, ebbe principio al 755 coi capitolari di Pipino e terminò colla nuova legge di Carlo Magno, alla quale, per la moneta, senza dubbio si riferisce l’editto di Francfort del 794, nelle parole «De denariis autem certissime sciatis nostrum edictum quod in omni loco, in omni civitate et in omni emptorio similiter vadant isti novi denarii, et accipiantur ab omnbus. Si autem nominis nostri nomisma habent et mero sunt argento, pleniter pensantes.41» Il Gariel ritiene che la data 794 sia quella dell’emissione dei denari colla leggenda circolare e col monogramma reale, al quale la voce nomisma deve riferirsi42. Questi denari di fatto costituiscono la serie di quei più pesanti nei quali il Guérard ritrovava il peso di grani 32, peso di un terzo maggiore degli altri battuti da Pipino dopo l’anno 755, e da Carlo Magno prima della riforma, i quali gli diedero grani 24 circa43, e che noi abbiamo potuto determinare in grani proporzionali 24 precisi: le [p. 102 modifica]proporzioni di queste due serie di denari corrispondono a punto con i due prezzi del soldo d’oro, cioè che 40 denari del sistema di Pipino di grani 24, erano eguali a 30 denari di quei del sistema di Carlo Magno di grani 32.

La data 794, benchè con qualche ritardo, concorda bene coll’epoca nella quale la legge carolina andava in vigore in Italia, cioè coll’anno 796 per Pavia e Milano e con l’801 per Lucca e Roma, ed ancora concorda bene coll’anno 801 in cui Carlo Magno aboliva nella legge salica il soldo di 40 denari, mentre avanzando la riforma carolina al 774, come proponeva il de Barthélemy, o al 779 secondo il Guérard, verrebbe a mancare quell’intervallo di tempo in cui ebbe corso in Italia la libra romana divisa in 20 soldi, che ivi precedette quella istituita da Carlo Magno.

Carlo Magno, colla sua nuova riforma formò il vasto concetto di avere in tutti i suoi domini un unico peso ed una sola moneta; egli, perciò, il peso della sua nuova libra lo elevò di un terzo sulla romana, cosicchè, diminuendo di un quarto il numero delle once o dei denari, se ne aveva l’equivalenza.

Questa proporzione, che permetteva con gli stessi denari il ponderare contemporaneamente due differenti libre, portò il medesimo resultato della divisione di Pipino facendo rimanere sempre in uso la libra romana, alla quale i popoli erano tradizionalmente abituati, e nei quali l’idea, il nome della libra carolina destava necessariamente l’idea della libra romana, più un terzo di questa libra stessa. E così, la libra carolina, invece di essere la misura tipo, diveniva la misurata, e restava come tipo la libra romana. Ed è perciò che in documenti brettoni della metà del IX secolo trovansi menzionati ed usati i solidi karolisci44, [p. 103 modifica]ed egualmente li ritrovammo in documenti italiani ma colla denominazione di solidi francisci, i quali soldi avendo maggior valore di quei romani, contemporaneamente in corso, per intelligenza delle somme, conveniva o dichiarare che quei soldi erano ragionati a 12 denari, come quasi sempre ritroviamo sui documenti italiani di quel periodo, oppure indicarli con quelle speciali denominazioni.

Allorquando, sul declinare del XI secolo, fu introdotto in Francia il nuovo peso del marco di 8 once, la libra romana era già da lunghissimo tempo ritornata definitivamente in uso, cosichè il marco venne a corrispondere a due terze parti della libra di 12 once, ma in un peso rinforzato, detto trecense o poids de marc.

Più tardi due di questi marchi formarono definitivamente la nuova libra francese, di 16 once trecensi, ed abbenchè questa libra nessun rapporto abbia coll’antica libra carolina, nè come divisione, nè come peso effettivo, perchè quella fu divisa in 20 soldi e 12 once karolisci, eguali a 16 once romane, mentre la nuova libra francese ebbe invece 26 soldi, ed otto denari trecensi, e la divisione ed il peso di 16 once egualmente trecensi, purnondimeno la nuova libra francese fu la restituzione dell’antica libra carolina, perchè l’elemento della formazione in 16 once fu comune ad entrambi le libre.

Possiamo perciò riassumere la teoria da noi proposta, nel seguente tenore.

Due furono le riforme, per le quali si effettuò la trasformazione del vecchio nel nuovo sistema franco del peso e della moneta. La prima riforma ebbe luogo sotto gli ultimi merovingi; la seconda fu quella di Carlo Magno. Durante queste due riforme e l’intervallo fra l’una e l’altra, [p. 104 modifica]la libra romana rimase costantemente in uso, sopravvivendo ad entrambe quelle riforme. Il concetto di Pipino, colla nuova divisione della libra merovingia in 22 soldi, fu di restituire la libra romana più utile a quei popoli: il concetto di Carlo Magno fu invece di avere un nuovo peso, che fosse proprio, ed una nuova moneta.

La divisione in 240 parti della libra romana d’argento della quale si è creduto Carlo Magno l’inventore, e che noi abbiamo ritrovato spettare a Pipino, non fu una novità essendo l’antica divisione di quella libra. Un decreto di Giustiniano I imperatore ci fa conoscere che cinque soldi d’oro formavano il cambio di una libra d’argento45; il soldo d’oro valeva 24 silique argentee o 48 mezze silique, 5 × 48, sommano 240; sei soldi erano tagliati da un’oncia e 72 da una libra romana d’oro46. Il soldo d’oro italico o gallico, nell’VIII secolo, era inferiore al soldo d’oro imperiale e sei ne occorrevano, come vedemmo, ad equivalere una libra romana d’argento, cosichè valeva precisamente 40 mezze silique del soldo imperiale, che erano i 40 denari che per la nuova divisione data da Pipino nell’anno 755 alla libra d’argento formarono il nuovo prezzo di quel soldo d’oro; sette tagliavansi da un’oncia47 ed 84 da una libra romana d’oro.

Queste osservazioni debbono ben convincerci sull’importanza delle valutazioni del soldo d’oro nei tre periodi per determinare le proporzioni del peso delle tre libre. Il valore del soldo d’oro, essendo invariabile, doveva per conseguenza variare il numero dei denari che ne [p. 105 modifica]costituiva il prezzo equivalente, secondo che questi erano tagliati o sul sistema merovingio, o di Pipino, ovvero di Carlo Magno.

Il Guérard ed il de Barthélemy non tennero verun conto di queste valutazioni, servendosi e del peso ottenuto dai denari, che riuscì debole, e di quello di grammi 326,30 assegnato alla libra romana; essi dovettero perciò sopprimere quella libra del valore di sei soldi di 40 denari, aggiustando nel luogo di quella la libra merovingia, che era di un decimo più pesante, e così da quella alla libra di Carlo Magno, ebbero la proporzione di 12 a 15 once, che era poi la medesima proporzione, fra quelle due libre, da noi più precisamente determinata da 13 a 16 once: mentre coi pesi deboli ma proporzionali, di grani 24 per il denaro del sistema di Pipino, e grani 32 per quello di Carlo Magno, avrebbero avuto grammi 306 per la libra romana: grammi 336 per la libra merovingia: grammi 408 per quella di Carlo Magno, e così la proporzione fra 12 a 16 once, fra la libra romana e quella di Carlo Magno, egualmente ci era resultato dai documenti italiani.


CONCLUSIONE.


Coi pesi proporzionali ottenuti dai documenti, l’arduo problema dei pesi effettivi delle tre differenti libre è ridotto al solo peso della libra romana, che aumentato di un decimo dovrebbe dare il peso della libra merovingia, aumentato di un terzo, quello della libra di Carlo Magno.

Sul peso effettivo dell’antica libra romana, che costituisce il punto essenziale della nostra teoria, sono alquanto discordi i pareri degli scienzati, facendolo oscillare fra grammi 327 e 321 circa, è improbabile che questa varietà possa derivare in parte dall’epoca alla quale ciascuno di loro rivolse le ricerche, potendo ben essere che [p. 106 modifica]col decadere dell’impero il peso della libra romana abbia diminuito alquanto del primitivo originario peso.

Il Mommsen assegna alla libra romana antica il peso di grammi 327,45: Le Blanc, Bureau de la Malle, Letronne, Guérard e de Barthélemy, grammi 326,30: Romé de l’Isle, il Fossati48 ed il Promis la ritrovarono invece di grammi 321,238, e noi riteniamo che per la decadente epoca di cui trattasi, quest’ultimo peso di grammi 321,238, possa essere appunto quello della libra romana nell’VIII secolo, avendolo ritrovato eguale, non solo, in un raro exagium in bronzo di libra romana del IX secolo di perfetta conservazione, ora posseduto dall’illustre archeologo romano Costantino Corvisieri49, ma perchè questo stesso specifico peso ci è dato dal Guérard con 84 soldi merovingi d’oro50, che costituivano allora la libra romana.

Proponendo non adunque per la libra romana dell’VIII secolo il peso probabile di grammi 321,238, si avrebbero grammi 353,3618 per la libra merovingia e grammi 428,317 per la libra di Carlo Magno: perciò il denaro merovingio, e di Pipino prima dell’anno 755 di 353,3618 dovrebbe pesare grammo 1,1778: il denaro nuovo di Pipino e quello di Carlo Magno prima dell’anno 794, di 353,3618 e di 321,238 avrebbe [p. 107 modifica]il peso di grammo 1,33849: quello di Carlo Magno dopo l’anno 794 di 428,317, peserebbe infine gram. 1,78465.

Il Fossati, confutando la teoria del Guérard, ritrovò che il peso di grammo 1,700, assegnato da questo scrittore, al denaro carolino, e perciò di grammi 408, alla libra di Carlo Magno, erano deboli. Il Fossati, osservando più attentamente il peso dei denari carolini, ritrovò che alcuni di questi giungevano fino a grani 35, ossia a grammi 1,8590: egli perciò ne deduceva che il vero peso del denaro carolino dovrebbe essere di grani 34, ossia di gr.mi 1,80588: del soldo, di grani 408, ossia gr.mi 21,67046: della libra infine, di grani 8160, ossia di grammi 433,41636.

Noi, a quanto disse il Fossati, aggiungeremo inoltre che il peso dei denari di Ludovico il Pio, escluso dal Guérard pei suoi calcoli, debba essere invece quello da cui si possa con più precisione determinare il vero peso della libra carolina, perchè la coniazione della moneta d’argento, sotto questo Imperatore divenuta più abbondante, fu regolata inoltre da severe disposizioni, già principiate ad emanarsi da Carlo Magno, che ci fanno giustamente supporre errori e frodi dei precedenti monetieri, e giustificare così il più vantaggioso peso che in generale danno i denari di Ludovico il Pio in confronto di quei di Carlo Magno.

I pesi che il Gariel ci ha dato dei ricchi ripostigli di denari di Ludovico il Pio, discoperti nel nostro secolo, ci confermano validamente in quanto noi proponemmo nel quesito sul peso intrinseco della libra di Carlo Magno: e sul peso di questi, il Gariel ci fa osservare, che «les monnaies à fleur de coin, elles-mêmes, ont perdu une partie de leur poids primitif51».


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PESO DEI DENARI DI LODOVICO IL PIO




RIPOSTIGLIO DI BELVÉZET

discoperto nel 183652.


7 denari con BITVRIGES, peso medio d’ognuno, grani 34   ossia grammi 1,8059
8 » VIENNA, » » » 32 1/2 » 1,7262
8 » ARELATVM, » » » 33 » 1,7530
9 » BARCINONA, » » » 32 » 1,700
10 » NARBONA, » » » 32 » 1,700
11 » METALLVM, » » » 32 1/2 » 1,7262
13 » PARISII, » » » 31 » 1,6460
17 » MEDIOLANVM, » » » 33 1/2 » 1,7793
34 » VENECIAS, » » » 32 » 1,700
40 » PAPIA, » » » 33 » 1,7530
47 » MASSILIA, » » » 28 1/2 » 1,5137




RIPOSTIGLIO DI VEUILLIN

discoperto nel 187153.


20 denari a fior di conio, pesati insieme, hanno dato grammi 34,800, ossia grammo 1,7400 per ciascun denaro.


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TAVOLE DI CONFRONTO

FRA I NOSTRI PESI E QUELLI DEL GUÉRARD

per le monete d’argento

della prima e seconda dinastia franca




I.


Periodo del Soldo d’oro (Solidus auri) prima dell’anno 755.

Libra merovingia d’argento tagliata in 300 denari e divisa in 25 Soldi.


Denari PESO IN GRAMMI OSSERVAZIONI
nostro peso peso Guérard
1 1,17787 1,15100   Denaro merovingio, unità monetaria e 300a parte della libra merovingia d’argento.
2 2,35574 2,30200
3 3,53361 3,45300
4 4,71148 4,60400
5 5,88935 5,75500
6 7,06722 6,90600
7 8,24509 8,05700
8 9,42296 9,20800
9 10,60083 10,35900
10 11,77870 11,51000
11 12,95657 12,66100
12 14,13444 13,81200   Soldo di 12 denari, valuta di conto.


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I.


Soldi PESO IN GRAMMI OSSERVAZIONI
nostro peso peso Guérard
1 14,13444 13,81200   Soldo merovingio di 12 denari, 25a parte della libra merovingia d’argento.
2 28,26888 27,62400
3 42,40332 41,43600
4 56,53776 55,24800
5 70,67236 69,06000
6 84,80680 82,87200
7 98,94124 90,68400
8 113,07568 110,49600
9 127,21012 124,30800
10 141,34472 138,12000
11 155,47916 151,93200
12 169,61360 165,74400
13 183,74804 179,55600
14 197,88248 193,36800
15 212,01708 207,18000
16 226,15152 220,99200
17 240,28596 234,80400
18 254,42040 248,61600
19 268,55484 262,42800
20 282,68944 276,24000
21 296,82388 290,05200
22 310,95832 303,86400
23 325,09276 317,67600
24 339,22720 331,48800
25 353,36180 345,30000   Libra merovingia d’argento, tagliata in 300 denari e divisa in 25 Soldi.


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II.


Periodo del Soldo di 40 denari, dall’anno 755 all’anno 704.

Libra merovingia d’argento divisa da Pipino in 22 Soldi, corrispondente a sei Soldi di 40 denari e sei decimi di Soldo e libra romana formata di 20 dei medesimi Soldi e del valore perciò di sei Soldi di 40 denari.


Soldi PESO IN GRAMMI OSSERVAZIONI
nostro peso peso Guérard
1 1,33849 1,23600   Denaro del sistema di Pipino 10a parte del Soldo d’oro, 264a parte merovingia d’argento e 246a parte della libra romana d’argento
2 2,67698 2,47200
3 4,01547 3,70800
4 5,35396 4,94400
5 6,69245 6,18000
6 8,03094 7,41600
7 9,36943 8,65200
8 10,70792 9,88800
9 12,04641 11,12400
10 13,38490 12,36000
11 14,72339 13,59600
12 16,06188 14,83200   Soldo di 12 denari.



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II.


Soldi Once
romane
PESO IN GRAMMI OSSERVAZIONI
nostro peso peso Guérard
1 0,60 16,06188 14,83200   Soldo del sistema di Pipino 20a parte della libra romana d’argento e 22a della libra merovingia d’argento.
2 1,20 32,12376 29,66400
3 1,80 48,18564 44,49600
4 2,40 64,24752 59,32800
5 3,00 80,30950 74,16000
6 3,60 96,37138 88,99200
7 4,20 112,43326 103,82400
8 4,80 128,49514 118,65600
9 5,40 144,55702 133,48800
10 6,00 160,61900 148,32000
11 6,60 176,68088 163,15000
12 7,20 193,74276 177,98200
13 7,80 208,80464 192,81400
14 8,40 224,86652 207,64600
15 9,00 240,92850 222,47800
16 9,60 256,99038 237,31000
17 10,20 273,05226 252,14200
18 10,80 289,11414 266,97400
19 11,40 305,17602 281,80600
20 12,00 321,23800 296,63600   Libra romana.
21 12,60 337,29988 311,46800
22 13,20 353,36180 326,30000   Libra merovingia.


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III.


Periodo del Soldo di 30 denari, dopo l’anno 794.


Libra di Carlo Magno di un terzo più posante della libra romana, divisa in 20 Soldi carolisci, ed equivalente ad otto Soldi di 30 denari carolisci.


Denari
carolisci
PESO IN GRAMMI OSSERVAZIONI
nostro peso peso Guérard
1 1,78465 1,70000   Denaro carolisco di un terzo più pesante del denaro del sistema di Pipino, 246a parte della libra carolisca d’argento.
2 3,56930 3,40000
3 5,35396 5,10000
4 7,13861 6,80000
5 8,92326 8,50000
6 10,70792 10,20000
7 12,49257 11,90000
8 14,27722 13,60000
9 16,06188 15,30000   Soldo romano eguale a nove denari carolisci.
10 17,84653 17,00000
11 19,63118 18,70000
12 21,41584 20,40000   Soldo carolisco di un terzo più pesante del Soldo romano.
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III.


Soldi
carolisci
Once
carolisce
PESO IN GRAMMI OSSERVAZIONI
nostro peso peso Guérard
1 0,60 21,41584 20,40000   Soldo carolisco 20a parte della libra carolisca.
2 1,20 42,83168 40,80000
3 1,80 64,24752 61,20000
4 2,40 85,66336 81,60000
5 3,00 107,07933 101,97500
6 3,60 128,49517 122,37500
7 4,20 149,91101 142,77500
8 4,80 171,32685 163,17500
9 5,40 192,74269 183,57500
10 6,00 214,15866 203,95000
11 6,60 235,57450 224,35000
12 7,20 256,99034 244,75000
13 7,80 278,40618 265,15000
14 8,40 299,82202 285,55000
15 9,00 321,23800 305,92500   Libra romana d’argento del valore di 180 denari carolisci ed eguale a 6 Soldi di 30 denari carolisci.
16 9,60 342,65384 326,32500
17 10,20 364,06968 340,72500
18 10,80 385,48552 307,12500
19 11,40 406,90136 387,52500
20 12,00 428,31733 407,90000   Libra carolisca in argento di un terzo più pesante della libra romana.


Roma, 30 settembre 1891.


Note

  1. Fumagalli, Codice diplom. Sant’Ambrosiano, p. 49, nota 3. L’autore osserva che il Docum. XVI dell’anno 781 è l’ultimo in cui siano tuttavia menzionati i soldi e tremissi d’oro.
  2. Barsocchini, Delle vicende della zecca lucchese sotto Carlo Magno e sua stirpe in Italia. Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca. T. IX, p. 53.
  3. Memorie e Documenti per servire alla storia di Lucca. T. IX. Tav. III, n. 11 e 12 e Tav. IV, n. 1 e 2.
  4. Vedansi i documenti lucchesi dopo l’anno 800, più oltre riportati, e le monete di Leone III papa, sulle quali il nome di Carlo è seguito dal titolo di imperatore. — Promis, Monete dei romani pontefici avanti il mille. Tav. I, n. 11 e 12 e Tav. II, n. 1.
  5. Fumagalli, Op. cit., pag. 96;, doc. XXIII. Ann. 796: reddamus tibi Erminald aut ad tuis heretes argento dinarius nonagenta legidimus bonus mediolanenses aut ticinenses. Acto Mediolani.» Per l’illustrazione di quest’importante formola monetaria rimandiamo il lettore alle stesse seguenti osservazioni, che noi faremo sulle formole dei documenti lucchesi dopo l’anno 800, dalle quali apprendiamo che 90 denari carolini formavano il nuovo equivalente di mezza libra a computazione romana, e che alla costituzione sociale delle zecche di Milano e Pavia, che questo documento ci fa conoscere già avvenuta al 796, fu unita ancora Lucca, ma dopo l’800.
  6. Regesto di Farfa. Vol. II. Docum. 219, p. 179. Sulla denominazione generica solidus argenti, dobbiamo osservare come questa fosse usata per indicare una quantità indeterminata di denari d’argento, essendovi stati soldi da 4, da 9, da 12, da 30 e da 40 denari, de’ quali il più usato fu quello di 12 denari derivante dal soldo di peso 24a parte o mezza oncia della libra romana di 12 once. Il soldo di peso dopo la riforma franca venne a corrispondere alla 20a parte della libra.
  7. Op. cit. Vol. II, p. 196
  8. Memorie e Documenti per servire alla storia del Ducato di Lucca, T. IV, Docum. II, p. 4. App.
  9. Op. cit. T. V, Part. II, Docum. CCCX, p. 184.
  10. Op. cit. T. V. Part. II, Dooum. CCCXIX, p. 190.
  11. Op. cit. T. V, Part. II, Docum. CCCXLVIII, p. 207.
  12. Muratori, Antiq. ital. Tom. II, col. 775.
  13. Memorie e Documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca. Tom. V, Part. II, Docum. CCCLVII, p. 213.
  14. Op. cit., T. IV, Docum. XV, p. 21.
  15. Op. cit., T. IV, Part. II, App. di Docum., pag. 19.
  16. Carli-Rubbi, Delle Monete e dell’Istituzione delle zecche d’Italia. Tom. II, p. 46 e 147.
  17. Non si ha notizia certa dell’etimologia della voce Mancusus o Mancosus, e varie sono le opinioni dei dotti sull’origine di questa. Il Carli ritenne che i Soldi d’oro Mancosi, quasi mancanti, fossero monete del Basso Impero calanti dal giusto peso del Soldo; e siccome il valore del Soldo d’oro fu di 40 denari d’argento, fossero detti Mancosi quelli di 30, i quali formavano solamente tre quarti del valore del Soldo d’oro. (Vedi Zanetti, Nuova raccolta delle Monete e Zecche d’Italia. T. IV, p. 101). Il Zanetti credette invece che fossero denominati manu cusi (Zanetti, Op. cit. T. II, p. 377) ossia: «coniati a mano, come i Zecchini Veneziani, piuttostochè per essere mancanti, cioè di minor peso, e di minor bontà degli antecedenti soldi, perchè la voce mancante per ispiegare diminuzione a que’ tempi non era in uso.» Altri lo hanno creduto peso o misura e non moneta, ed altri infine l’uno e l’altra, a seconda dei paesi e dell’epoche.
    Nulla si oppone al poter dire che il soldo d’oro Mancuso fosse moneta reale e che in Italia principiasse ad aver corso, trovandosi quivi le notizie più antiche. In un documento dell’Abazia di Sesto in Friuli se ne fa menzione all’anno 778. (Vedi Zanetti, Op. cit,, Monete di Faenza. T. II, p. 374 nota (a) persolvere XX mancoseos auri...): e nel regesto farfense principia ad apparire al 787, contemporaneamente al soldo d’oro lucano.
    Prima che le zecche italiche fossero messe sul sistema del nuovo peso carolino, il soldo d’oro mancuso era già in corso in Italia, avendo quasi sostituito il primitivo Soldo d’oro; seguitò ad aver corso durante la riforma di Carlo Magno, ed è allora che fu tassato a 30 denari della nuova moneta d’argento, tassazione che appare per la prima volta in un documento veronese dell’816. In seguito, allorchè ne cessò nelle zecche italiche la coniazione, il soldo d’oro mancuso fu convertito nel proprio equivalente, ottenendo perciò il nome di Mancuso d’argento, valuta ideale e di conto che denotava la somma collettiva di 30 denari.
    Escluso adunque che la voce Mancusus possa significare mancanza o mancante, esaminar devesi se quella voce possa invece derivare da manu cusi. L’etimologia di Mancosus o Mancusus da manu cusi, cioè coniati a mano, secondo il Zanetti come i Zecchini Veneziani, è etimologia ma senza significato. Tutte le monete allora e poi furono approssimativamente coniate nella medesima maniera, nè l’esser coniati a mano in altra guisa, dar poteva contrassegno tale da formarne una specie differente e dai soldi d’oro propriamente detti, e da quelli lucani che avevano corso contemporaneamente.
    Tutte le denominazioni date in quell’epoca e posteriormente ai soldi d’oro hanno avuto derivazione o dal nome della zecca, o da contrassegni particolari che li distinguevano, ovvero dai nomi dei Principi che li coniarono.
    Nella voce Mancosus o Mancusus non possiamo ritrovarvi, nè il nome di una zecca o città, nè il nome di un Principe, ma solamente riconoscervi quello di un contrassegno o rappresentanza speciale che lo fece distinguere dagli altri soldi d’oro, non potendosi supporre che questi soldi formassero un’eccezione dall’uso che n’era prevalso.
    Mancoso o Mancuso è voce dell’Italia meridionale, ed oggidì ancora vi sono comunissimi i cognomi. Nel napolitano Mancose sono le mani (D’Ambra, Vocab. Napolitano-Toscano; in Sicilia Mancusu è colui che adopra la mano sinistra (Mortillaro, Nuovo Diz. Siciliano-Italiano), e Mancosu in Sardegna ha eguale significato (Spano, Vocab. Sardo-Italiano). Fu precisamente dal contrassegno di una mano che ebbe origine la denominazione Mancusus, cioè solidus cum signo manus cusus.
    Il segno della mano appare di fatto per la prima volta sopra i soldi o tremissi d’oro di Costantino V Copronimo e Leone IV, 751-775, coniati nella zecca di Roma (Sabatier, Description Générales des Monnaies Byzantines. T. II, p. 64 et Pl. XL. n. 22 et 23 — Saulcy, Essai de classification des Monnaies Byzantines. Atlas, T. XIV, n. 2, ove, fra i busti dei due Augusti, in alto, vedesi una mano rovesciata ed aperta, che ivi rappresenta la mano dell’Onnipotente. Nostra Tavola, n. 2 e 3). La denominazione Mancusus ed il relativo segno dovettero passare contemporaneamente alla zecca di Benevento, come ne fanno fede i Soldi e Tremissi d’oro di Liutprando Duca ivi battuti, su’ quali, nel rovescio a lato della croce, vedesi una mano aperta volta in alto, che quivi però è contrassegno. Nello stesso modo che allora furono detti stellati, quei soldi lucani d’oro che portarono una stella per segno, vennero denominati soldi mancusi, quei di Benevento che ebbero il contrassegno della mano. La voce Mancusus dovè generalizzarsi ancora fuori d’Italia, per indicare, sembra certo, i soldi d’oro italiani o quei coniati a somiglianza di quelli, ed abbenchè il segno della mano non si trovi più neanche sopra gli altri che seguitarono a coniarsi in Benevento, purnondimeno furono egualmente detti Mancusi, essendo del medesimo tipo, titolo e peso dei primitivi. Tralasciatasi verso l’anno 850 la coniazione dei soldi d’oro ancora nella zecca di Benevento, il soldo mancuso fu convertito in valuta di conto ed equivalente a 30 denari, e perciò fu detto Mancuso d’argento, valuta usitatissima nel Ducato romano nel corso del X secolo, ed è precisamente, in questo periodo, che sopra i denari d’argento dei romani Pontefici fu riprodotto il contrassegno della mano. (Promis, Monete dei romani Pontefici aranti il mille. Tav. VI, n. 5, 6; Tav. VIII, n. 9 e 10, e nostra Tavola dimostrativa numeri 6, 7, 8 e 9) come può vedersi sui denari battuti in Roma da Benedetto IV, 900-903, e da Giovanni XII, 955-964. (Reg. Sublacen. p. 163, 29 genn. ann. 913 «in argento mancosos numero xxx» loco cit. p. 104, 1 settem. ann. 927 «in argento mancosos bonos nouos qualis pro tempore hierint numerum sex. pro unoquoque mancoso ana denariis xxx.» Loco cit. p. 176, 26 marzo ann. 949: «in argento mancosos numero xl. Per unoquemque mancoso denarios xxx bonos et optimo exmeratos etc.»)
    La voce Mancosus e la sua cifra numerica sono giunte fino a noi ed oggidì, nel vernacolo romanesco pei contratti di alcuni generi, si usa per indicare il numero xxx: un Mengoso (sic) di allodole vuol dire precisamente trenta allodole.

    Le due rarissime monete attribuite a Liutprando duca e che riproduciamo nella Tavola dimostrativa, n. 4 e 5, fecero parte di un ricco ripostiglio discoperto nella città di Benevento verso l’anno 1878. Il disegno del soldo d’oro è tolto dall’esemplare da me posseduto; altro esemplare eguale trovavasi nella celebre collezione già appartenuta all’illustre Numismatico cav. Giancarlo Rossi e da lui descritto, per la prima volta, nel suo catalogo di vendita «Roma 1880, n. 349.» Il disegno del Tremisse e preso dall’esemplare che conservasi presso il sig. Francesco Martinetti, che gentilmente me ne favorì il calco.
    Questo importante tesoro ha dato tutte le varietà dei soldi d’oro e Tremissi di soldo coniati in Benevento da Romoaldo I a Liutprando.
    È ben noto come questi Duchi facessero coniare i loro soldi ad imitazione di quei di Giustiniano II, alterandone il nome che nelle primitive contraffazioni vedesi completo ed in seguito ridotto alle sole lettere IINVS, INVS ed infine VS, facendo porre però, sul rovescio, le iniziali dei propri nomi R, G, L, ovvero A che vogliono significare Romualdo, Gisolfo, Liutprando ed Arichi. Il Soldo e Tremisse d’oro che qui pubblichiamo non portano alcuna iniziale ed in luogo di quella vedesi una mano aperta per segno.
    Il Tremisse non presenta altre varietà; il Soldo però ne ha una molto caratteristica ed è che il busto di Giustiniano, ha disegno e foggia differente degli altri Soldi, però è eguale a quello del Soldo d’oro di Liutprando che conservasi nel regio medagliere di Torino, che fu pubblicato dall’illustre nummografo Domenico Promis (Monete di Zecche italiane inedite e corrette. Torino 1867, p. 31) e che sul rovescio porta la iniziale L. (Liutprando).
    Nel nostro soldo d’oro, come in quello del regio gabinetto, il busto di Giustiniano, oltre il braccio destro sollevato, colla cui mano sorregge un globo crucigero, tiene un rotolo colla mano sinistra, varietà che non rincontriamo nei soldi d’oro degli precedenti Duchi: ed è per tale speciale rassomiglianza che possiamo attribuire questo soldo d’oro a Liutprando.
    Il titolo dell’oro è della bontà di . ed il peso medio di grammi 4 circa, per ciascun soldo.

  18. Ughelli, Italia Sacra. Edit. Venetiis 1720. T. V, col. 705.
  19. Romanin, Storia documentata di Venezia. Vol. I. p. 351: «Volumus, ut pro sex manc. solid. ab uno homine sacramentam eccipiatur, et si plus fuerit usque ad duodecim manc. duorum hominum juramentum sit satisfactum, et ita usque, ad duodecim libras veneticorum semper addendum per duodecim electos juratores perveniat, ut quante sint libre, tanti sint et juratores. Nam si ultra duodecim librarum questio fuerit juratores ultra duodecim non excedant
  20. Giulio di S. Quintino, Osservazioni critiche intorno alla origine ed alla antichità della moneta veneziana. Torino, 1847, p. 27.
  21. Romanin, Op. cit.. Vol. I, p. 351.
  22. Papadopoli, Sulle origini della veneta zecca. Venezia, 1882, p. 23 e seguenti.
  23. Liber blancus, Liber albus, Libri pactorum, pubblicati da Taffel e Thomas, Monaco 1855.
  24. Muratori, Antiq. ital., Tom. II, col. 80.
  25. Carli-Rubbi, Delle monete e dell’istituzione della zecche d’Italia. T. I, p. 121. «Volumus ut pro una libra denariorum vel uno homine sacramentum fiat: et si usque ad duodecim libras Veneticorum denariorum, duodecim electi iuratores addantur; nam si ultra XII libras quaestio facta fuerit iuratores ultra XII non accedant.»
  26. Allorquando parlasi di grano, deve intendersi di quello francese poids de marc corrispondente a grammo 0,053115. Vedi Martini, Manuale di metrologia, p. 473.
  27. B. Guérard, Du système monetaire des Francs sous les deux premières Races. Revue de la numismatique française. Blois 1837, p. 406 e seguenti.
  28. Sulla tavola della riduzione dei pesi del Guérard, per errore di cifra, è scritto 1 gr. 275, in luogo di 1 gr. 236.
  29. Incoerenza di data esiste nella teoria del de Barthélemy, ed è: se dall’anno 774 al 814 furono in uso i denari di grani 32 (grammo l,700) i quali costituiscono la serie dei denari della nuova libra di Carlo Magno di grammi 408; come accadeva poi che nel 779 i denari pesassero grani 25 6|10, e la libra fosse quella stessa (di grammi 326,30) che Pipino nel 755 divise in 22 soldi? Abbenchè la data 771 sia stata così riportata ancora dal Gariel, (nell’introduzione della sua opera Les monnnaies royales de France sous la race carolingenne, première partie, p. 10) pur nondimeno riteniamo esservi errore tipografico e doversi probabilmente intendere 781. Il testo del de Barthélemy è il seguente. «En 779, d’un texte connu par les actes du concile d’Herstal, il resulte que la libre d’argent était de 20 sous; que in denier pesait alors 25 grains 6|10, que le sou se composait de 12 deniers. N’oublions pas que, sous Pepin, la livre était de 22 sous.
    Il est permis de croire que, jusqu’en 774, Charlemagne continua le système monétaire de son père, peut-être en modifiant quelque peu les types; les deniers de ce roi, de 768 à 774, doivent donc former une sèrie pesant 27 (sic) grains 27|100 (leggasi 23 grains 27/100); de 774 jusqu’en 811 le poids probable est de 32 grains (l g.r 707 (sic) leggasi 1 g.r 700).» Vedi Charlemagne par Vetault, p. 488, 490 e 491.
  30. B. Guérard, Op. cit.,p. 422. «....la livre de Charlemagne était de 240 fois 32 grains ou de 7680 grains. Observons que ce poids de 7680 grains assigné par nous à la livre nouvelle, est juste le poids de la livre ancienne renforcée d’un quart.»
  31. Balutius, Cap. Pippini regis ann. 755. I, p. 167. — D. Bouquet, T. V, p. 641.
  32. B. Guérard, Op. cit., p. 420. «Sous les rois de la première race, la taille fût de 25 sols dans la livre d’argent .... trecenti tamen nummi antiquam viginti et quinque solidorum efficiunt libram
  33. Balutius, Cap. leg. salic. ann. 778, T. II, Cap. V. «Si quis porcellum furaverit qui sine matre vivere potest quadragiiita denariis qui faciunt solidum unum cupabilis judicetur.»
  34. Balutius, Capitul. ann. 801. Tit. XV.
  35. Balutius, Op. cit. Decretale precum, ann. 779.
    «Unusquisque Episcopus, aut Abbas, vel Abatissa qui hoc facere potest, libram donet de argento, aut valentem in elemosinam; Mediocres vero mediam libram; Minores solidos quinque.
    «Comites fortiores libram unam de argento, aut valentem donent in elemosinam. Mediocres mediam libram
    «Vassatus dominicus de casatis ducentis mediam libram, de casatis centum solidos quinque, de casatis quinquaginta unciam unum, et dimidiam
    «Et faciant biduanas atque eorum homines in eorum casatis, vel qui hoc facere possunt
    «Et qui redimere ipsas biduanas voluerit; fortiores Comites uncias tres; Mediocres denarios triginta, Minores solidum unum
  36. Un campione in ferro battuto di libra romana del VII od VIII secolo, posseduto dal chiarissimo prof. cav. Costantino Corvisieri di Roma, sopra un lato porta inciso in lettere romane la cifra numerica XX·IIII indicante la quantità dei solidi che formavano allora la libra romana. Questo campione rende il peso di grammi 317, peso leggermente diminuito per ossidazione del metallo.
  37. Guérard, Op. cit. p. 412. «Le denier mérovingien qui pèse de fait 21 grains 2|3 (gramme 151) doit peser 20 grains 48|100 (1 gramme 088).
  38. Balutius, Capitul. I, p. 167: D. Boquet, T. V, p. 641.
  39. Balutius, Capitul. legis salicae ann. 798. Cap. IV.
  40. Guérard, Op. cit. p. 422. «Seulement on tire d’un capitulaire de l’an 779, la preuve qu’à celle époque la division de la livre en 20 sols était déjà en usage. Cette division, qui partegait la livre en 240 deniers, aurait du produire de deniers de 25 grains 3|5 si la livre eut conserve son poids de 6144 grains; mais les seconds deniers de Charlemagne, un lieu de peser 25 grains 3|5, pèsent, ordinairement, 32 grains
  41. Pertz, Leges, I, p. 72. Balutius, Capitul. I, p. 263. D. Bouquet, V, 651.
  42. E. Gariel, Les monnaie royales de France sous la race carolingienne, p. 22, nota I.
  43. Guérard, Op. cit., p. 413 e 414. Deux espèces de deniers furent en usage sous le roi Pépin, l’une du poids de 21 grains 2|3 (prima del 755) et l’autre du poids de 24 grains environ. Sous Charlemagne on reconnait aussi deux espèces de deniers; la première se compose de deniers pesant de 23 à 24 grains: et la seconde de ceux qui en pèsent 32.
  44. Cartulaire de l’Abbaye de Redon en Bretagna, publié par M. Aurélien de Coursox, p. 65, Ann. 865, 10 jul. «Haec carta indicat atque conservat quod pignoravit Duil, filius Rivelen, et homo illius nomine Catlouuen, Salinam quae vocatur Salin-Permet, sitam in plebe Uuerran, in villa que vucatur Alli, pro XX. solidis Karolisci.» Loco cit. p. 90, anno circiter 811, «quousque redderet illos XX. solidos Karoliscos.»
  45. Leg. X, 78, «Jubeamus ut pro argenti summa, quam quis thesauris fuerat illaturus, inferendi auri accipiat facultatem, ita ut pro singulis libris argenti quinos solidos accipiat
  46. Cod. Teod. Lib. VII, tit. XXIV. Lib. I de oblat. vot. «quotiescumque certa summa solidorum pro tituli quantitate debetur, et auri massa trasmittitur in septuaginta duos solidos libra feratur accepto.»
  47. Diego, De Comitibus Barcinon. Lib. II, cap. 53. Ivi si riferisce che 7000 mancusi costituivano il peso di 1000 once d’oro, per cui 84 formavano una libra. V. Du-Cange sotto la voce Mancusus.
  48. Fossati, De ratione Nummorum, Ponderum et Mensurarum in Gallis sub primae et secundae stirpis regibus. Memorie della reale Accademia di Torino, T. V, p. 151 e seguenti.
  49. Questo Exagium della libra romana, del quale riproduciamo il disegno nella nostra tavola dimostrativa n. 1, ha forma rotonda e due lati pieni. Sopra un lato, alla foggia dei denari carolini del IX secolo è inciso in giro la leggenda + leo . nemr . men .; nel campo vedonsi scanalature concentriche nel cui mezzo sta una piccola appendice. Eccetto il nomo proprio leo e la parola abbreviata men. che significare deve mensuram, il rimanente è di oscura interpretazione. Questo Exagium rende il peso di grammi 321,250.
  50. Guéraud, Op. cit., II table des poids des monnaies. Le Sol d’or mérovengien pèse grains 72 = 3 g.r 824.
  51. E. Gariel, Les monnaies royales de France sous la race carolingienne. Première partie, p. 4.
  52. E. Gariel, Op. cit., pag. 66 e 67.
  53. Op. cit. pag. 60, nota 1.