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92 | vincenzo capobianchi |
e l’esigenze da parte del vescovo dovettero avere origine perchè, essendo in Italia da lungo tempo cessata la legge carolina sul peso e sulla moneta, egli probabilmente richiedeva il primitivo prezzo del soldo mancuso in 40 denari romani d’argento.
Queste osservazioni debbono farci conoscere la natura di tali atti, i quali, abbenchè venissero rinnovati sotto diversi imperatori, pur nondimeno le somme in cui erano costituiti i censi ed i privilegi rimanevano quasi sempre nella primitiva moneta, benchè da lunghissimo tempo avesse cessato di correre; e se nell’816 in Verona se ne stabiliva e dava l’equivalenza nella nuova moneta, ciò voleva significare che d’allora in Italia il soldo mancuso d’oro principiava a diminuire per esser sostituito dalla nuova moneta dei denari d’argento.
Riguardo alla moneta veneziana, della quale nessun documento fa parola prima del trattato di Berengario II nel 953, noi unicamente chiediamo: è egli vero che nel trattato in questione intendasi di moneta o piuttosto di libre computate alla veneziana? A me sembra che in quest’ultimo modo debba intendersi quella formola monetaria, perchè l’equivalenza di sei soldi mancusi non è di 240 denari, quanti richiedevansi allora per una libra carolina, ma bensì di soli 180, che, come già vedemmo, costituiva invece il prezzo della libra romana in argento, la quale, per distinguerla dalla francese o carolina, che contemporaneamente era in uso colà, dovette esser detta libra venetica.
È nostro avviso adunque che quella formola monetaria, nel suddetto trattato, non solo possa spettare all’epoca di Lotario I, ma, come la formola del documento veronese dell’816, colla quale ha grande analogia, si riferisca ad altro trattato più antico, ove le somme erano determinate nella sola moneta primieramente corrente, cioè nei soldi mancusi d’oro. Durante la riforma di Carlo Magno vi si dovette aggiungere l’equivalenza