Pamela maritata/Appendice

Appendice

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Atto III Nota storica
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APPENDICE.

Dalla prima edizione: Roma, 1760.

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ATTO PRIMO.

SCENA V.1

Milord Bonfil e suddetti.

Bonfil. Amici, vi riverisco.

Artur. Milord. (in alto di partire)

Bonfil. Dove andate?

Artur. Per un affare.

Bonfil. Fermatevi, non si può sapere?

Cavaliere. Ve lo dirò io dove andiamo. A divertirci con un paio di pistolette.

Bonfil. Sarebbe questa una sfida?

Artur. Sì Milord, lasciateci andare. Spero di poter abbrugiare il cervello ad un pazzo.

Cavaliere. Se i pazzi ardessero, voi sareste in fumo.

Bonfil. Posso saper la causa delle vostre contese?

Artur. La saprete poi; per ora vi prego di dispensarmi.

Cavaliere. Milord Artur non ha coraggio di dirla.

Bonfil. Cavaliere, voi mi mettete in angustia. Non mi tenete occulta la verità.

Cavaliere. Milord Artur è sdegnato meco, perchè l’ho sorpreso da solo a sola in questa camera con vostra moglie.

Bonfil. Milord! (ad Artur, con qualche ammirazione)

Artur. Conoscete lei, conoscete me. (a Bonfil)

Cavaliere. Milord Artur è filosofo; ma non lo crederei nemico dell’umanità. Se avessi moglie, non lo lascierei star seco da solo a sola.

Bonfil. Da solo a sola, Milord? (ad Artur)

Artur. Amico, i vostri sospetti m’insultano molto più delle impertinenze del Cavaliere. Io non merito un simil torto, e non lo merita la virtuosa Pamela. Se a lei darete una simil pena, [p. 174 modifica] sarete ingiusto e crudele. Per me vi perdono l’ingratitudine che mi usate, ma chi à ardire di porre in dubbio la delicatezza dell’onor mio, non è degno della mia amicizia. Cavaliere, vi aspetto. Milord, vi saluto. (parte)

SCENA VI.2

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Cavaliere. Sì, certo, e non potendo trattenere lo sdegno, partì ingiuriandomi villanamente. Milord Artur prese le di lei parti, seguitò ad insultarmi, ed ecco nata la sfida.

Bonfil. Sospendete per ora di cimentarvi.

Cavaliere. Ma l’onor mio vuole che mi solleciti.

Bonfil. Non è vero; basta per salvar I’onore, che in un incontro non mostriate viltà; ma quest’incontro può differirsi. La causa non interessa voi solo; ci sono io molto più interessato di voi; e la vostra sfida può mettere la mia reputazione al bersaglio. O sono falsi i vostri sospetti, o sono in qualche modo fondati. Prima di passare più oltre, mettiamo in chiaro una tal verità! Trattenetevi per poche ore, e prima ch’io non lo dica, favoritemi di non uscire da queste porte.

Cavaliere. Bene, manderò intanto il mio servitore a prendere le mie pistole; io ho scelto l’arme, e tocca a me il provederle. Così si pratica in buona cavalleria. Chi viaggia, impara. Andrò a trattenermi intanto nella vostra libreria; so che avete un Atlante bellissimo. Ripasserò colla memoria quel che ho veduto cogli occhi. Confronterò le carte col diario, e se vi troverò degli errori, correggerò l’Atlante. Il mio diario è stupendo. Ho veduto molto, ho viaggiato assai, e non ho viaggiato in uno stivale. (parte) [p. 175 modifica]

SCENA IX.3

Milord Bonfil, poi Falloppa.

Bonfil. Ehi.

Falloppa. Signore.

Bonfil. Dì a Miledi, che venga qui.

Falloppa. Sì, signore. (vuol andare per dove è partita Miledi Daure)

Bonfil. Dove vai?

Falloppa. A far tornare indietro Miledi Daure.

Bonfil. No, voglio Miledi mia sposa.

Falloppa. Si è cambiato nome?

Bonfil. Sciocco! Miledi è il titolo. Dì alla mia sposa, che venga qui.

Falloppa. Subito. Con questi nomi, con questi titoli, io m’imbroglio ogni giorno più. (parte)

SCENA XII.4

Milord Bonfil, e poi Falloppa.

Bonfil. Costei mi mette in sospetto. Conosco che non dice la verità. Se vuol coprir la padrona, vi dee essere del mistero. Pamela non me l’ha detto di aver parlato a Milord colla governante presente. Costei è più maliziosa. Ma su questo punto mi vuò chiarire. Chi è di là?

Falloppa. Signore.

Bonfil. Sei tu di guardia stamane?

Falloppa. Eh, mi pare di esser di guardia ogni giorno. Questi servitori Inglesi mi piantano qui per morto, e non ho tempo nemeno di andare, sì signore, se la mi capisce.

Bonfil. Hai veduto venire Milord Artur?

Falloppa. Coll’occasione che non son cieco, l’ho veduto sicuro.

Bonfil. Parlami con rispetto.

Falloppa. Il diavolo mi ci ha portato. [p. 176 modifica]

Bonfil. Quando Milord Artur ragionava colla padrona, entrasti in camera?

Falloppa. Ci entrai, sicuro, per via di quel malanno del viaggiatore, che voleva entrare per forza.

Bonfil. Chi vi era con loro?

Falloppa. Con chi?

Bonfil. Con Milord Artur e mia moglie.

Falloppa.!o non ho veduto nessuno.

Bonfil. Non vi era madama Jevre?

Falloppa. Affatto, dice il Napolitano.

Bonfil. Sei un bugiardo. So che madama Jevre vi era.

Falloppa. Se voi lo sapete, dunque vi era.

Bonfil. (Alterato) Ma vi era, o non vi era?

Falloppa. Volete che vi fosse, o che non ci fosse?

Bonfil. Io voglio, che tu mi dica la verità.

Falloppa. Dunque non vi era.

Bonfil. Lo sai di certo?

Falloppa. Se non l’avevano chiusa in un armadio, corpo di Bacco; io so, che non l’ho veduta.

Bonfil. Non poteva essere dietro della portiera?

Falloppa. Se ce capimo, dico de no, e dico de no.

Bonfil. Lo sai di certo?

Falloppa. È tanto certo, quant’è certo che io me chiamo Falloppa.

Bonfil. (Ah sì, mi vogliono assolutamente ingannare).

Falloppa. Anzi mo che mi ricordo. Quando la padrona parlava con Milord Artur, Madama de ieri era nella guardarobba, che faceva la lista della lavandaia.

Bonfil. Non occor altro.

Falloppa. Anzi, gl’ho portato una mezza camiscia, tre calzette ed un quarto di fazzoletto di tela fina. Biancheria mia del mezzo giorno.

Bonfil. Falloppa.

Falloppa. Signore.

Bonfil. Osserva bene gli andamenti di queste donne. Sappiami dire tutto quello che fanno. [p. 177 modifica]

Falloppa. Tutto.

Bonfil. Sì tutto.

Falloppa. Anche quel che fanno in segreto?

Bonfil. (Sono in un’agitazione terribile).

Falloppa. Signor padrone?

Bonfil. Che cosa vuoi?

Falloppa. Se mi dà questa nuova carica, non potrò servire nell’anticamera.

Bonfil. Ti dispenso da qualunque servizio.

Falloppa. M’immagino, che mi vestirà bene, e mi crescerà il salario.

Bonfil. Per qual ragione?

Falloppa. Perchè le spie guadagnano più dei servitori.

Ernold. Fa’ il tuo dovere, e saprò bene ricompensarti. (Ohimè! Vado a perdere la mia pace. Possibile, che la mia Pamela m’inganni? No, non lo credo). Ma però ho dei sospetti. Aprirò gli occhi, non viverò quieto, se non mi assicuro. Ah no, in questo mondo non vi ha da essere felicità. (parte)

SCENA XIII.5

Falloppa, e poi Pamela.

Falloppa. Si vede che il mio padrone ha un gran concetto della mia abilità! Se mi crede capace di far la guardia a due donne, crede ch’io sia il maggior uomo del mondo. (in atto di partire)

Pamela. Falloppa.

Falloppa. Gnora mia.

Pamela. Sai tu dove abita Milord Artur?

Falloppa. Sì signora.

Pamela. Prendi questo biglietto. Portalo alla di lui casa, ma procura di farlo segretamente.

Falloppa. Sarà servita. (Questo è un buon negozio da riportare al padrone). (parte) [p. 178 modifica]

SCENA XV.6

Milord Bonfil e Falloppa.

Falloppa. Ehi, una parola. (chiamando a se Bonfil)

Bonfil. Cosa vuoi?

Falloppa. C’è nessuno? (guardandosi intorno)

Bonfil. Spicciati. Che cosa è questa?

Falloppa. Eh! il primo frutto della mia carica.

Bonfil. Spicciati, dico. Non ti capisco.

Falloppa. Una lettera.

Bonfil. Di chi?

Falloppa. Di Madama Miledi a Milord Altura.

Bonfil. Tu hai una lingua di papagallo.

Falloppa. Erce testibus. (presenta il biglietto a Bonfil)

Bonfil. Questo è carattere di mia moglie.

Falloppa. Così dicono.

Bonfil. Scrive a Milord Artur?

Falloppa. Così mi pare.

Bonfil. Vattene.

Falloppa. C’è niente per la prima operazione?

Bonfil. Vattene, dico.

Falloppa. (Questi Milordi si lavano le mani coll’acqua di pigna). (parte) [p. 179 modifica]

ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.7

Milord Bonfil, poi Falloppa.

Bonfil. Ehi? (passeggia alquanto sospeso, poi chiama)

Falloppa. Signore.

Bonfil. (Seguita a passeggiare e pensare.)

Falloppa. (Con tutta la nova carica mi tocca a fa da Zanni e da burattino).

Bonfil. (Non vorrei precipitar la risoluzione). (da se, passeggiando)

Falloppa. (Mi pare che abbia chiamato).

Bonfil. (Andrò cauto nel risolvere; ma Pamela non mi vedrà, prima ch’io non sia sincerato).

Falloppa. (Che ho da fa qui duro duro, come un palo?)

Bonfil. (I di lei occhi mi potrebbero facilmente sedurre).

Falloppa. Ha chiamato, o non ha chiamato? (a Bonfil)

Bonfil. (Con collera) Ho chiamato.

Falloppa. Ho capito. (Bolle l’arrosto). (da sè)

Bonfil. (L’amore mi parla ancora in favore di quest’ingrata).

Falloppa. (Dice che ha chiamato; ma non vorrà me, vorrà qualcun altro).

Bonfil. (Eppure mi pare ancora impossibile).

Falloppa. Ha chiamato me? (a Bonfil)

Bonfil. Sì, ho chiamato te. Fermati, non parlare, sta lì, fino che non ti ordino di partire. (con sdegno)

Falloppa. (Oh, se torno a vedere il Tevere, non mi ci strascinano più in Inghilterra).

Bonfil. Pensavo una cosa buona, e questo maledetto diavolo mi ha distratto. (guardando bruscamente Falloppa)

Falloppa. (Or ora mi aspetto la paga della nuova carica).

Bonfil. Sì, così si faccia. Parlisi con Milord Artur. Mi parve sempre un cavaliere sincero; proverò a meglio sperimentarlo. [p. 180 modifica]

Falloppa. (Farei volentieri un sonno). (fa mostra di aver sonno)

Bonfil. Ehi? (chiama Falloppa con forza)

Falloppa. Signore.

Bonfil. Va in traccia di Milord Artur. Digli che ho necessità di parlargli. S’egli vuole venir da me; o io deggio passar da lui; o dove vuole che ci troviamo.

Falloppa. Sì, signore.

Bonfil. Portami la risposta.

Falloppa. Scuà servita.

Bonfil. Fa’ presto. (con forza)

Falloppa. Subito.

Bonfil. (Con impeto) Spicciati, cammina, sollecita il passo.

Falloppa. Il lacchè, non l’ho fatto mai. (parte)

SCENA IV.8

Falloppa e detto.

Falloppa. Son qui. (mostrandosi un poco affannato)

Bonfil. E bene?

Falloppa. Lasciatemi respirare.

Bonfil. Da che procede questa tua agitazione?

Falloppa. Procede, perchè ho camminato.

Bonfil. Ritrovasti Milord Artur?

Falloppa. Sì, signore.

Bonfil. Che disse? Verrà da me? Deggio io andare da lui? Spicciati, che cosa ha detto?

Falloppa. Ma lasciatemi prender fiato.

Bonfil. Sono stanco.

Falloppa. Ed io son più stanco di voi.

Bonfil. Che sofferenza!

Falloppa. Bisogna compatirmi, signore; io sono avezzo a far tutte le mie cose adagio, e con flemma, e quando corro mi si scalda il sangue. Sono stato in tre lochi a cercare Milord Artur. [p. 181 modifica]

Bonfil. L’hai trovato?

Falloppa. L’ho trovato.

Bonfil. Verrà da me?

Falloppa. Verrà da voi.

Bonfil. Quando?

Falloppa. Quando verrà, voi lo vederete.

Bonfil. Tu vai cercando, ch’io ti rompa il capo. (con forza)

Falloppa. Eh! non sarebbe cattiva mancia.

Bonfil. Ha detto che verrà qui?

Falloppa. Non solo ha detto che verrà qui; ma si è incamminato per venir qui. Ed io per venire avanti di lui, mi sono quasi rotto l’osso del collo.

Bonfil. Ho piacere...

Falloppa. Di che? (con collera)

Bonfil. Ho piacere che Milord venga qui. Quando viene, avvisami.

Falloppa. Sì signore.

Bonfil. Sarò nel mio gabinetto. (in atto di partire)

Falloppa. Eh signore; per tanto correre ho rotto le scarpe.

Bonfil. Chiamami quando viene Milord Artur. (parte)

Falloppa. Mi dicevano quando io ero a Roma: Falloppa, se tu vai in Inghilterra, ritorni carico d’oro. So venuto colle scarpe rotte, e spero che anderò via con i piedi per terra. (parte)

SCENA VI.9

Falloppa e dette.

Falloppa. Chi è di qua?

Jevre. Si è veduto Milord?

Falloppa. Milord non è ancora venuto.

Jevre. Quando viene, avvisate subito la padrona, e fatelo con buona grazia, senza dar nell’occhio.

Falloppa. Quando viene Milordo, ho da avvisar la padrona? [p. 182 modifica]

Jevre. Sì, caro il mio Falloppa garbato. Avvisatela quando viene Milord, e poi venite da me, che vi darò da bevere l’acquavita.

Falloppa. Non occor altro; sarà servita.

Jevre. Andiamo, signora, quando verrà Milord vostro sposo, sarete avvisata. (a Pamela)

Pamela. Voglia il cielo, che mi riesca rasserenarlo. (parie con Jevre)

SCENA VIII.10

Falloppa, poi Milord Artur.

Falloppa. Il padrone mi manda a chiamare Milord Artur, e queste lo vogliono vedere prima di lui. Questa cosa la direi al padrone, ma per quel che mi ha regalato, quando gli ho dato la lettera, non me torna conto ch’io m’affatichi. Quest’altra almeno ha detto che mi pagherà l’acquavita. Meglio è qualche cosa, che niente. Oh! ecco qui Milordo Altura. Favorisca, signore.

Artur. Dov’è il tuo padrone?

Falloppa. Abbia la bontà di trattenersi un momento. Vado subito per servirla. (Domanda il padrone, ma credo che vedrà più volentieri la padrona). (parte)

SCENA VIII.11

Milord Artur, poi Pamela.

Artur. Bonfil si sarà illuminato. Avrà conosciuto il torto fatto alla mia amicizia, al mio carattere, alla mia onestà. E se desidera rivedermi, e se mi esibisce la propria casa, vorrà chiedermi scusa, e ridonarmi la di lui confidenza. A lui perdonerò facilmente ogni cosa, non così a quell’ardito del Cavaliere. Finora non ho potuto attaccarlo, nè colla spada, nè colla pistola. La sua viltà lo nasconde, ma giuro al cielo, lo ritroverò.

Pamela. Come! Dov’è il mio sposo? [p. 183 modifica]

Artur. Miledi, io venni in questo momento.

Pamela. Il servidor mi ha ingannata. Per carità, signore, partite subito da queste soglie.

Artur. Non vi rechi pena la mia presenza. Son qui venuto per ordine di Milord vostro sposo.

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SCENA IX.12

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Artur. Io venni da voi chiamato.

Bonfil. E voi perchè ci veniste? (a Pamela)

Pamela. Perchè fui ingannata.

Bonfil. Da chi foste ingannata?

Pamela. Dal servitore.

Bonfil. Ehi!

Falloppa. Signore.

Bonfil. Perchè facesti tu venire Pamela in questa camera?

Falloppa. Perchè lei e Madama Jevre mi hanno ordinato, che subito che veniva Milord, le avvisassi segretamente, e mi hanno promesso di darmi da bevere l’acquavita; ma la signora Jevre non mi vuol dar niente.

Bonfil. Sentite? (a Pamela)

Pamela. Quel perfido è un mentitore. Ho detto che mi avvisasse quando eravate tornato voi.

Falloppa. Mi meraviglio; mi avete detto Milordo.

Pamela. Sì, è vero; e non è Milord mio marito? E dicendosi dalla famiglia Milord, non intendesi il padron della casa?

Falloppa. So molto io di queste vostre milorderie. (parte)

Pamela. Signore, lo comprendete l’equivoco? (a Bonfil)

Bonfil. Comprendo l’arte di mascherar la menzogna.

Artur. Voi siete un cieco, che ricusa d’illuminarsi.

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SCENA X.13

Milord Bonfil e Milord Artur, poi il Cavaliere Ernold.

Bonfil. Sì, Pamela fu sempre mai lo specchio dell’onestà; voi avrete il merito di averla villanamente sedotta.

Artur. Siete con essa ingiusto, quanto meco voi siete ingrato.

Bonfil. La vostra falsa amicizia non tendeva che ad ingannarmi.

Artur. Le vostre indegne parole meritano di essere smentite col vostro sangue.

Bonfil. O il mio, o il vostro, si spargerà in questo punto.

Artur. Il Cielo farà giustizia alla verità. (si battono)

Cavaliere. Alto, alto, fermatevi.

Bonfil. Eh andate.

Cavaliere. Milord Bonfll, mi meraviglio di voi. La sfida è corsa primieramente fra Milord Artur e la mia persona. Per compiacervi ho differito l’incontro, ma con esso, in regola di buona cavalleria, non vi potete battere prima di me. Io che ho viaggiato, queste regole le ho imparate.

Artur. Saprò rendere sodisfazione e all’uno, e all’altro, se occorre.

Bonfil. Io tengo la spada in mano. Voi non vi siete proveduto delle pistole.

Cavaliere. Eccole qui preparate, e se non bastano due, eccone quattro; e ve ne sarà una per voi, se volete. Facciamo alla sorte, chi si ha da battere il primo. Se muore Artur, è finita; se muore uno di noi, subentri l’altro. Di questa sorte di sfide in terzo, io che ho viaggiato, ne ho vedute parecchie.

Bonfil. Andiamo giù nel giardino. (parte)

Artur. Andiamo. (parte)

Cavaliere. Eh! con me non si possono mettere. (parte) [p. 185 modifica]

ATTO TERZO.

SCENA ULTIMA.14

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Pamela. Oh Dio! a tante gioie non so resistere.

Bonfil. Oh giorno per me felice. Pamela, quanto mai dobbiamo al vostro buon genitore; col sacrificio della propria vita ha procurato la nostra pace. Merita ogni lode la sua virtù, e il Ciel ha voluto ncompensarla.

Pamela. Amato genitore, quanto mai...

Conte. No, cara figlia. Ringraziamo il Cielo di tanta bontà. Da Lui ci derivano tanti beni. Siamo grati alla sua clemenza, corrispondiamo ai suoi benefizii.

Pamela. Ah sì, ringraziamo il Cielo di cuore. Se fui contenta il giorno delle fortunate mie nozze, oggi sono più che mai consolata per la libertà di mio padre, e per15 la quiete dell’animo.

Bonfil. Resta solo per render tutti noi pienamente contenti, che quel compatimento, che ebbe Pamela fanciulla, venga accordato alla Maritata, e che gl’umanissimi spettatori ci diano un qualche segno del loro cortesissimo aggradimento.

  1. Vedasi a pag. 118.
  2. Vedasi a pag. 120.
  3. Vedasi a pag. 124.
  4. Vedasi a pag. 129.
  5. Vedasi a pag. 130.
  6. Vedasi a pag. 130.
  7. Vedasi a pag. 133.
  8. Vedasi a pag. 137.
  9. Vedasi a pag. 137.
  10. Vedasi a pag. 137.
  11. Vedasi a pag. 138.
  12. Vedasi a pag. 139.
  13. Vedasi a pag. 140.
  14. Vedasi a pag. 170.
  15. Nel testo, poi.