Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Miledi Pamela e Milord Artur.

Artur. No, miledi1, non apprendete con tanto senso un leggiero ostacolo alla vostra piena felicità. Lo sapete, che le grandi fortune non vanno mai scompagnate da qualche amarezza, e la vostra virtù può consigliarvi meglio assai di qualunque labbro eloquente.

Pamela. Se si trattasse di me, saprei soffrire costantemente qualunque disastro, ma trattasi di mio padre, trattasi di una persona che amo più di me stessa, ed il pericolo in cui lo vedo, mi fa tremare.

Artur. Milord vostro sposo non lascierà cosa alcuna intentata per rendervi sollecitamente contenta. [p. 114 modifica]

Pamela. Ma come mai si è perduta ad un tratto la bella speranza di veder mio padre graziato? Diceste pure voi stesso, che la grazia erasi di già ottenuta, e il Re medesimo accordato aveva il rescritto.

Artur. Tutto quello ch’io dissi, non è da mettere in dubbio. Ma nota vi è la disgrazia del Segretario di stato. Deposto quello sfortunato ministro, passò la carica in un altro più rigoroso. Si dà per combinazione fatale, che in Irlanda e in Iscozia nacque recentemente un’altra picciola sollevazione. Si pensa in Londra a reprimerla nel suo principio, e il ministero2 non acconsente in simile congiontura spedir la grazia in favore di un reo dello stesso delitto.

Pamela. Dunque non è più sperabile la remissione del povero mio genitore?

Artur. Non è sì facile, ma non è disperata. Il vostro degno consorte ha dei buoni amici. Io pure mi maneggierò seco lui per ottenere la grazia, e con un poco di tempo noi l’otterremo.

Pamela. Voglia il cielo che segua presto. Mio padre è impaziente, ed io lo sono al pari di lui. Il soggiorno in Londra presentemente mi annoia. Milord mio sposo mi ha promesso condurmi alla contea3 di Lincoln, ma se questo affare non è concluso, si differirà la partenza, e mi converrà soffrire di restar qui.

Artur. Perchè mai vi dispiace tanto il soggiorno della città?

Pamela. Nei pochi giorni ch’io sono sposa, cento motivi ho avuti per annoiarmi.

Artur. Il vostro caro consorte non vi tratta forse con quell’amore con cui ha mostrato tanto desiderarvi?

Pamela. Anzi l’amor suo di giorno in giorno si aumenta. Pena, quando da me si parte, ed io lo vorrei sempre vicino. Ma una folla di visite, di complimenti, m’inquieta. Un’ora prima ch’io m’alzi, s’empie l’anticamera di gente oziosa, che col pretesto di volermi dare il buon giorno, viene ad infastidirmi. Vuole la convenienza ch’io li riceva, e per riceverli, [p. 115 modifica] ho da staccarmi con pena dal fianco di mio marito. Mi convien perdere delle ore in una conversazione che non mi diletta, e se mi mostro sollecita di ritirarmi, anche4 la serietà degl’Inglesi trova facilmente su quest’articolo i motteggi e la derisione. Più al tardi compariscono le signore. Vengono accompagnate dai cavalieri, ma non ne ho veduta pur una venire con suo marito. Pare che si vergognino di comparire in pubblico uniti. Il mio caro Milord, che mi ama tanto, teme anch’egli di essere posto in ridicolo, se viene meco fuori di casa, o se meco in conversazion si trattiene. Mi conviene andare al passeggio senza di lui; due volte ho dovuto andare al teatro senza l’amabile sua compagnia. Questa vita non mi piace, e non mi conviene. Non ho inteso di maritarmi per godere la libertà, ma per gioire nella soavissima mia catena; e se in una grande città non si può vivere a suo talento, bramo la felicità del ritiro, e preferisco a tutti i beni di questa vita la compagnia del mio caro sposo.

Artur. Ah,5 se tutte le donne pensassero come voi pensate, che lieta cosa sarebbe l’accompagnarsi! Ma vedesi pur troppo comunemente il contrario.

SCENA II.

Isacco6 e detti.

Isacco. Miledi7.

Pamela. Che cosa e’è?

Isacco. Un’imbasciata.

Pamela. Qualche visita?

Isacco. Sì, Miledi8.

Pamela. Vi ho pur detto, che stamane non vuò ricevere nessuno.

Isacco. Ne ho licenziato sei; il settimo non vuol partire9.

Pamela. E chi è questi? [p. 116 modifica]

Isacco. Il cavaliere Ernold10.

Pamela. Quegli appunto, che più d’ogni altro mi annoia. Ditegli che perdoni, che ho qualche cosa che mi occupa, che per oggi non lo posso ricevere11.

Isacco. Sì, signora, (va per partire, e s’incontra col Cavaliere, da cui riceve un urto violente, e parte.)

SCENA III.

Il Cavaliere Ernold e detti.

Ernold. Miledi, io sono impazientissimo di potervi dare il buon giorno. Dubito che lo stordito del camieriere si sia scordato di dirvi essere un quarto d’ora ch’io passeggio nell’anticamera.

Pamela. Se aveste avuto la bontà di soffrire anche un poco, avreste inteso dal cameriere medesimo, che per questa mattina vi supplicavo dispensarmi dal ricevere le vostre grazie.

Ernold. Ho fatto bene dunque a prevenir la risposta; se l’aspettavo, ero privato del piacere di riverirvi. Io che ho viaggiato, so che le signore donne sono avare un po’ troppo delle loro grazie, e chi vuole una finezza, conviene qualche volta rubarla.

Pamela. Io non so accordare finezze, nè per abito, nè per sorpresa. Un cavalier che mi visita, favorisce me coll’incomodarsi; ma il volere per forza ch’io lo riceva, converte il favore in dispetto. Non so in qual senso abbia ad interpretare la vostra insistenza. So bene che è un poco troppo avanzata; e con quella stessa franchezza, con cui veniste senza l’assenso mio, posso anch’io coll’esempio vostro prendermi la libertà di partire. (parte) [p. 117 modifica]

SCENA IV.

Milord Artur ed il Cavaliere Ernold.

Ernold. Oh, questa poi non l’ho veduta in nessuna parte del mondo! Miledi è un carattere particolare. Oh, se fosse qui un certo poeta italiano, che ho conosciuto in Venezia, son certo che la metterebbe in commedia!

Artur. Cavaliere, se fosse qui quel poeta che conoscete, potrebbe darsi, che si servisse più del carattere vostro, che di quello della virtuosa Pamela.

Ernold. Caro amico, vi compatisco se vi riscaldate per lei; vi domando scusa, se sono venuto a interrompere la vostra bella conversazione. Un caso simile è a me successo in Lisbona. Ero a testa a testa con una sposa novella: sul punto di assicurarmi la di lei buona grazia, venuto è un Portoghese12 a sturbarmi. Dalla rabbia l’avrei ammazzato.

Artur. Questo vostro discorso offende una dama illibata ed un cavaliere d’onore.

Ernold. Milord, voi mi fate ridere. Se giudico che fra voi e Pamela vi sia dell’inclinazione, non intendo recarvi offesa; io che ho viaggiato, di questi amori simpatici ne ho veduti delle migliaia.

Artur. Non potete dire lo stesso ne di me, nè di lei.

Ernold. No dunque!13 Non lo potrò dire? Vi trovo soli in una camera, non volete ammetter nessuno; ella si sdegna, perchè è sturbata; voi vi adirate, perchè vi sorprendo, e ho da pensare che siate senza passione? Queste pazzie non le date ad intendere ad un viaggiatore.

Artur. Capisco anch’io, che non si può persuadere del buon costume un viaggiatore, che ha studiato solo il ridicolo degli stranieri.

Ernold. So conoscere il buono, il ridicolo e l’impertinenza.

Artur. Se così è, condannerete da voi medesimo l’ardito vostro procedere. [p. 118 modifica]

Ernold. Sì, ve l’accordo; fu ardire il mio nell’inoltrare il passo qua dentro. Ma a bella posta l’ho fatto. Miledi sola potea ricusar di ricevermi; ma in compagnia d’un altro non mi dovea commettere un simil torto. La parzialità, che per voi dimostra, non è indifferente; io me ne sono offeso, e ho voluto riparare l’insulto con un rimprovero che le si conviene.

Artur. Siete reo doppiamente: di un falso sospetto, e di un’azione malnata. Voi non sapete trattar colle dame14.

Ernold. E voi non trattate da cavaliere.

Artur. Vi risponderò in altro luogo. (in atto di partire)

Ernold. Dove e come vi piace.

SCENA V15.

Milord Bonfil e detti.

Bonfil. Amici.

Artur. Milord. (in atto di partire)

Bonfil. Dove andate?

Artur. Per un affare.

Bonfil. Fermatevi. Vi veggo entrambi adirati. Posso saper la causa delle vostre contese?

Artur. La saprete poi; per ora vi prego di dispensarmi.

Ernold. Milord Artur non ha coraggio di dirla.

Bonfil. Cavaliere, voi mi mettete in angustia. Non mi tenete occulta la verità.

Ernold. È sdegnato meco, perchè l’ho sorpreso da solo a sola in questa camera con vostra moglie.

Bonfil. Milord! (ad Artur con qualche ammirazione)

Artur. Conoscete lei, conoscete me. (a Bonfil)

Ernold. Milord Artur è filosofo; ma non lo crederei nemico dell’umanità. Se avessi moglie, non lo lascierei star seco da solo a sola. [p. 119 modifica]

Bonfil. Da solo a sola, milord? (ad Artur)

Artur. Amico, i vostri sospetti m’insultano molto più delle impertinenze del Cavaliere. Chi ardisce di porre in dubbio la delicatezza dell’onor mio, non è degno della mia amicizia, (parte)

SCENA VI.

Milord Bonfil e il Cavaliere Ernold.

Ernold. a rivederci. (a Bonfil, in atto di partire)

Bonfil. Fermatevi.

Ernold. Eh lasciatemi andare. Artur non mi fa paura.

Bonfil. Ditemi sinceramente...16

Ernold. Non mi manca ne cuore, nè spirito, ne destrezza.

Bonfil. Rispondetemi. (forte)

Ernold. Io che ho viaggiato...

Bonfil. Rispondetemi. (più forte, con caldo)

Ernold. A che cosa volete ch’io vi risponda?

Bonfil. A quello ch’io vi domando. Come trovaste voi milord Artur e Pamela?

Ernold. A testa a testa.

Bonfil. Dove?

Ernold. In questa camera.

Bonfil. Quando?

Ernold. Poco fa.

Bonfil. Voi come siete entrato?

Ernold. Per la porta.

Bonfil. Non mettete in ridicolo la mia domanda. Le faceste far l’imbasciata?17

Ernold. Sì, ed ella mi fè’ rispondere, che non mi poteva ricevere.

Bonfil. E ciò non ostante, ci siete entrato?

Ernold. Ci sono entrato.

Bonfil. E perchè? [p. 120 modifica]

Ernold. Per curiosità.

Bonfil. Per qual curiosità?

Ernold. Per veder che facevano Milord e la vostra sposa.

Bonfil. Che facevano? (con ismania)

Ernold. Oh! parlavano. (con caricatura maliziosa)

Bonfil. Che dissero nel vedervi?

Ernold. La dama divenne rossa, e il Cavaliere si fece verde.

Bonfil. Divenne rossa Pamela?18

Ernold. Sì, certo; e non potendo trattenere lo sdegno, partì trattandomi scortesemente. Milord Artur prese poscia le di lei parti, ardì insultarmi, ed ecco nata l’inimicizia19.

Bonfil. Deh sfuggite per ora di riscontrarvi.

Ernold. S’io fossi in altro paese, l’avrei disteso a terra con un colpo della mia spada.

Bonfil. La causa non interessa voi solo; ci sono io molto più interessato, e la vostra contesa può mettere la mia reputazione al bersaglio. O sono falsi i vostri sospetti, o sono in qualche modo fondati. Prima di passare più oltre, mettiamo in chiaro una tal verità. Trattenetevi per poche ore, e prima ch’io non lo dica, favoritemi di non uscire da queste porte.

Ernold. Bene: manderò intanto il mio servitore a prendere le mie pistole. Se niega di darmi soddisfazione, gli farò saltare all’aria il cervello. Io che ho viaggiato, non soffro insulti, e so vivere per tutto il mondo. (parte)

SCENA VII.

Milord Bonfil, poi Isacco.

Bonfil. Milord Artur da solo a sola colla mia sposa? Che male c’è? non può stare?...20 Ma perchè durante il loro colloquio ricusar di ricevere un’altra visita? Sarà, perchè ella il cavaliere Ernold non lo può soffrire; e il Cavaliere, disgustato di essere [p. 121 modifica] male accolto, o avrà pensato male di lei, o la vorrà inquietar per vendetta. Milord Artur non è capace... Ma perchè a fronte del Cavaliere non ha voluto giustificarsi? Perchè adirarsi a tal segno? Perchè promovere una contesa21? Queste risoluzioni non si prendono senza una forte ragione. Milord è cavaliere, è mio amico, ma è uomo come son io, e la mia Pamela è adorabile. Sì, è adorabile la mia Pamela, e appunto per questo mi pento di aver dubitato un momento della sua virtù. Non la rende amabile soltanto la sua bellezza, ma la sua onestà. Al naturale costume onesto vi si aggiunge ora la cognizione del proprio sangue, il nodo indissolubile che la fece mia, la gratitudine ad un marito che l’ama. No, non è possibile, nè per la parte di lei, nè per la parte di Artur. 11 cavaliere Ernold è un indegno, è un impostore; gli ho perdonato una volta, non gli perdonerò la seconda. Chi è di là?

Isacco. Signore.

Bonfil. Dov’è il Cavaliere?

Isacco. In galleria, con miledi Daure.

Bonfil. È qui mia sorella!

Isacco. Sì, signore.

Bonfil. Ha veduto mia moglie?

Isacco. Non signore.

Bonfil. Che fa, che non si lascia vedere22?

Isacco. Parla in segreto col Cavaliere.

Bonfil. Col Cavaliere?

Isacco. Sì, signore.

Bonfil. Di’ a tutti due, che favoriscano di venir qui. No fermati, anderò io da loro.

Isacco. Ecco miledi Daure23.

Bonfil. Ritirati.

Isacco. Sì, signore. (parte) [p. 122 modifica]

SCENA VIII.

Milord Bonfil, poi Miledi Daure.

Bonfil. Sarà meglio ch’io parli a miledi Daure. Ella dirà per me al Cavaliere quello ch’io aveva intenzione di dirgli24.

Miledi. Milord, posso venire?

Bonfil. Venite.

Miledi. Oggi avete volontà di parlare?

Bonfil. Sì, ho bisogno di parlar con voi.

Miledi. Mi parete turbato.

Bonfil. Ho ragione di esserlo.

Miledi. Vi compatisco. Pamela, dacchè ha cambiato di condizione, pare che voglia cambiar costume.

Bonfil. Qual motivo avete voi d’insultarla?

Miledi. Il Cavaliere m’informò25 d’ogni cosa.

Bonfil. Il Cavaliere è un pazzo.

Miledi. Mio nipote merita più rispetto.

Bonfil. Mia moglie merita più convenienza.

Miledi. Se non la terrete in dovere, è donna anch’ella come le altre.

Bonfil. Non è riprensibile la sua condotta.

Miledi. Le donne saggie non danno da sospettare.

Bonfil. Qual sospetto si può di lei concepire?

Miledi. Ha troppo confidenza con milord Artur.

Bonfil. Milord Artur è mio amico.

Miledi. Eh, in questa sorta di cose gli amici possono molto più dei nemici.

Bonfil. Conosco il di lui carattere.

Miledi. Non vi potreste ingannare?

Bonfil. Voi mi volete far perdere la mia pace.

Miledi. Son gelosa dell’onor vostro.

Bonfil. Avete voi qualche forte ragione per farmi dubitare dell’onor mio? [p. 123 modifica]

Miledi. Il Cavaliere mi disse...

Bonfil. Non mi parlate del Cavaliere. Non ho in credito la sua prudenza, e non do fede alle sue parole.

Miledi. Vi dirò un pensiere, che mi è venuto.

Bonfil. Sì, ditelo.

Miledi. Vi ricordate voi con quanto studio, con quanta forza vi persuadeva milord Artur a non isposare Pamela?

Bonfil. Sì, me ne ricordo. Che cosa argomentate voi dalle dissuasioni del caro amico? Non erano fondate sulla ragione?

Miledi. Caro fratello, le ragioni d’Artur poteano esser buone per un altro paese. In Londra un cavaliere non perde niente, se sposa una povera fanciulla onesta. Io non mi risentiva contro di lei per la supposta viltà della sua condizione, ma mi dispiaceva soltanto per quell’occulta ambizione, che in lei mi pareva di ravvisare. Milord Artur, che non è niente del vostro, non poteva avere questo riguardo. Piuttosto, riflettendo alle sue premure d’allora, e alle confidenze presenti, potrebbe credersi ch’egli vi persuadesse a lasciarla, pel desiderio di farne egli l’acquisto.

Bonfil. È troppo fina la vostra immaginazione.

Miledi. Credetemi, che poche volte io sbaglio.

Bonfil. Spero che questa volta v’ingannerete.

Miledi. Lo desidero, ma non lo credo.

Bonfil. Pensate voi che passassero amori fra milord Artur e Pamela?

Miledi. Potrebbe darsi.

Bonfil. Potrebbe darsi?

Miledi. Io non ci vedo difficoltà.

Bonfil. Ce la vedo io. Artur e Pamela sono due anime che si nutriscono di virtù.

Miledi. Quanto mi fate ridere! di questi virtuosi soggetti ne abbiamo veduti pochi d’innamorati?

Bonfil. Miledi, basta così. Vorrei star solo per ora.

Miledi. Anderò a trattenermi col Cavaliere.

Bonfil. Dite al Cavaliere che favorisca andarsene, e in casa mia non ci torni. [p. 124 modifica]

Miledi. Volete che accada peggio fra lui e milord Artur? Questa loro inimicizia26 non fa onore alla vostra casa.

Bonfil. (Ah! in che mare di confusione mi trovo!)27

Miledi. Milord, vi lascio solo; ci rivedremo.

Bonfil. Sì, ci rivedremo.

Miledi. (Pamela non cessa di screditar me e mio nipote nell’animo di Milord; la nostra compagnia non le piace, segno che ha soggezione di noi, che vorrebbe avere maggior libertà28. Non credo di pensar male, se la giudico una fraschetta). (parte)

SCENA IX29.

Milord Bonfil, poi Isacco.

Bonfil. Ehi.

Isacco. Signore.

Bonfil. Di’ a Miledi mia sposa, che venga qui.

Isacco. Sì, signore. (parte)

SCENA X.

Milord Bonfil, poi Pamela.

Bonfil. Non so se mia sorella parli con innocenza, oppur per malizia. Dubito che in apparenza soltanto abbia deposto l’odio contro Pamela. Questa virtuosa femmina è ancora perseguitata30. Se fosse vera l’inclinazione, che in lei figurano per Artur, non mi avrebbe sollecitato ogni giorno, perch’io la conducessi alla contea di Lincoln. Ella forse pensa meglio di me; conosce i suoi nemici, e non ha cuor d’accusarli; perciò abborrisce un soggiorno pericoloso. Eccola, vo’ soddisfarla.

Pamela. Signore, eccomi ai vostri comandi.

Bonfil. Questo titolo di signore non istà più bene31 fra le labbra di una consorte. [p. 125 modifica]

Pamela. Sì, caro sposo, che mi comandate?

Bonfil. Ho risoluto di compiacervi.

Pamela. Voi non istudiate che a caricarmi di benefizi e di grazie. In che pensate ora di compiacermi?

Bonfil. Da qui a due ore noi partiremo per la contea di Lincoln.

Pamela. Da qui a due ore? (con meraviglia e sospensione)

Bonfil. Sì, preparate qualche cosa per vostro uso, al resto lasciate pensare a madama Jevre.

Pamela. (Oimè, non si ricorda più di mio padre). (da sè)

Bonfil. (Si turba. Pare che le dispiaccia). (da sè)

Pamela. Signore...

Bonfil. Siete voi pentita di cambiar la città nella villa?

Pamela. Farò sempre quel che mi comandate di fare. (mesta)

Bonfil. (Mi mette in sospetto). (da sè)

Pamela. (Non ho coraggio d’importunarlo). (da sè)

Bonfil. Pamela, che novità è questa? I giorni passati Londra vi dispiaceva; ora non avete cuore d’abbandonarla32?

Pamela. Se così vi piace, andiamo.

Bonfil. Io non bramo di andarvi, che per piacer vostro.

Pamela. Vi ringrazio di tanta bontà.

Bonfil. Mi sorprende questa vostra freddezza.

Pamela. Compatitemi. Ho il cuore angustiato.

Bonfil. Perchè, Miledi33? (con un poco di sdegno)

Pamela. Per cagion di mio padre.

Bonfil. Per vostro padre eh?

Pamela. Sì, Milord, mi dispiacerebbe lasciarlo.

Bonfil. Che cosa può mancare in mia casa alle occorrenze di vostro padre?

Pamela. Gli manca il meglio, se gli manca la libertà.

Bonfil. Questa per ora gli è differita.

Pamela. Lo so pur troppo.

Bonfil. Chi ve l’ha detto?

Pamela. Milord Artur. [p. 126 modifica]

Bonfil. Favellaste voi con milord Artur.

Pamela. Sì signore.

Bonfil. Chi vi era presente?

Pamela. Nessuno.

Bonfil. Nessuno?

Pamela. Dell’affar di mio padre convien parlarne segretamente.

Bonfil. (Ha ragione). (da sè)

Pamela. Spiacevi ch’io abbia parlato con milord Artur?

Bonfil. No, non mi spiace.

Pamela. È l’unico cavaliere ch’io stimo34; che mi pare onesto e sincero.

Bonfil. Sì, è buon amico.

Pamela. È degno veramente35 della vostra amicizia. Parla bene, è di buon cuore. Ha tutti i numeri della civiltà e della cortesia.

Bonfil. (Lo loda un po’ troppo). (da sè)

Pamela. Ha un amor grande per il povero mio genitore.

Bonfil. (Se lo loda per questo, non vi è malizia). (da sè)

Pamela. Sposo mio dilettissimo, possibile che non ci riesca di consolarlo?

Bonfil. Sì, lo consoleremo.

Pamela. Ma quando?

Bonfil. Quando, quando? Più presto che si potrà. (alterato)

Pamela. (Si altera facilmente. Quanto mai mi dispiace questo picciolo suo difetto!) (da sè)

Bonfil. Preparatevi per partire.

Pamela. Sarò pronta quando volete.

Bonfil. Dite a Jevre, che venga qui.

Pamela. Sarete obbedito. (con umiltà)

Bonfil. Se non siete contenta, non ci venite.

Pamela. Quando sono con voi, non posso essere che contenta.

Bonfil. Volete che facciamo venir con noi della compagnia?

Pamela. Per me non mi curo di aver nessuno.

Bonfil. Facciamo venire milord Artur? [p. 127 modifica]

Pamela. Milord Artur mi spiacerebbe meno d’ogni altro.

Bonfil. Vi piace la compagnia di Milord?

Pamela. Non la desidero, ma se vi fosse, non mi recherebbe molestia.

Bonfil. (Parmi innocente. Non la mettiamo in sospetto). Per ora non verrà nessuno. Se vi annoierete, ritorneremo in città.

Pamela. Mi sta sul cuore mio padre.

Bonfil. Parlategli; assicuratelo che non perdo di vista le sue premure e le vostre. Sollecitatevi alla partenza.

Pamela. Sarò pronta, quando vi piacerà di partire. (parte)

SCENA XI.

Milord Bonfil, poi madama Jevre.

Bonfil. Infelice quel cuore, in cui penetra il veleno della gelosia. Io non ho motivo di esser geloso, ma conosco che, se lo fossi, sarei bestiale.36 Non impedirò mai a Pamela di conversare, ma non soffrirò ch’ella conversi a testa a testa con uno solo. Eppure ci si è trovata con milord Artur. Eh, un accidente non dee fare stato. Non l’averanno fatto a malizia. Ecco Jevre; sentiamo da lei, come accaduto sia un tal incontro; ma senza porla in sospetto, che non vo’ scoprire la mia debolezza.

Jevre. Signore, che mi comandate?

Bonfil. Dov’è la padrona?

Jevre. Nella sua camera.

Bonfil. È sola?

Jevre. Sola. Con chi ha da essere?

Bonfil. Delle visite ne vengono continuamente.

Jevre. È vero, le riceve per forza. Tratta tutti con indifferenza, e si spiccia prestissimo.

Bonfil. Basta che non si trattenga da solo a sola.

Jevre. Oh cosa dite! non vi è pericolo. [p. 128 modifica]

Bonfil. Non si è mai trattenuta a testa a testa con qualcheduno?

Jevre. No certamente. (Se gli dico di milord Artur, è capace d’ingelosirsi). (da sè)

Bonfil. Lo sapete voi per sicuro?

Jevre. Per sicurissimo.

Bonfil. Jevre, non principiate a dirmi delle bugie.

Jevre. Non direi una bugia per tutto l’oro del mondo.

Bonfil. Non lo sapete, che milord Artur è stato buona pezza da solo a sola con mia consorte?

Jevre. (Spie indegne37, subito gliel’hanno detto). (da sè)

Bonfil. Rispondetemi: non lo sapete?

Jevre. Io mi maraviglio che vi dicano di queste cose, e che voi le crediate.

Bonfil. Non ci è stato milord Artur? (con isdegno)

Jevre. Sì, ci è stato. (con qualche timore)

Bonfil. Dunque di che vi maravigliate?

Jevre. Mi maraviglio di chi vi ha detto che erano soli.

Bonfil. E chi vi era con loro?

Jevre. Io, signore38, e sono stata sempre con tanto d’occhi e colle orecchie attentissime.

Bonfil. Sì? ditemi dunque, di che cosa hanno ha di lor parlato39.

Jevre. (Che diamine40 gli ho da dire?) Hanno parlato di varie cose delle quali ora non mi sovvengo41.

Bonfil. Dunque non avete ascoltato. Dunque siete bugiarda.

Jevre. Eh, mi fareste venir la rabbia. Hanno parlato di cose indifferenti.

Bonfil. Ma di che?

Jevre. Che so io? di mode, di scuffie, di abiti, di galanterie.

Bonfil. Milord non è capace di simili ragionamenti.

Jevre. Eppure....

Bonfil. Andate. [p. 129 modifica]

Jevre. Non vorrei che credeste....

Bonfil. Andate, vi dico. (alterato)

Jevre. (Oh, questa volta mi son confusa davvero)42. (parte)

SCENA XII.43

Milord Bonfil, poi Isacco.

Bonfil. Costei mi mette in sospetto. Conosco, che non dice la verità. Se vuol coprir la padrona, vi dee essere del mistero. Pamela non me l’ha detto di aver parlato a Milord colla governante presente. Costei è più maliziosa. Ma su questo punto mi vo’ chianre. Chi è di là?

Isacco. Signore.

Bonfil. Hai tu veduto stamane milord Artur?

Isacco. L’ho veduto.

Bonfil. Dove?

Isacco. Qui.

Bonfil. Con chi ha parlato?

Isacco. Colla padrona.

Bonfil. Nella sua camera?

Isacco. Nella sua camera.

Bonfil. Vi era madama Jevre?

Isacco. Non ho veduto madama Jevre.

Bonfil. Fosti in camera?

Isacco. Sì signore.

Bonfil. E non vi era madama Jevre?

Isacco. Non signore.

Bonfil. (Ah sì, m’ingannano tutti due. Sono d’accordo. M’ingannano assolutamente. Ecco Pamela. Son fuor di me. Non mi fido de’ miei trasporti). (parte) [p. 130 modifica]

SCENA XIII.44

Pamela, poi Isacco.45

Pamela. Non credo mai, che se mio consorte46 venisse a risapere che io ho scritto questo viglietto, potesse di me dolersi. Finalmente mio padre istesso mi ha consigliato a scriverlo ed a mandarlo. Tutto è all’ordine per la partenza, e se si allontana da Londra il mio sposo, Artur solamente può sollecitare la grazia per il povero mio genitore. Dall’acquisto della sua libertà dipende la risoluzione di far venire mia madre. Muoio di volontà di vederla. Amo i miei genitori più di me stessa, e47 Isacco.

Isacco. Miledi.

Pamela. Sai tu dove abiti milord Artur?

Isacco. Sì, signora.

Pamela. Recagli questa lettera.

Isacco. Sì, signora.

Pamela. Procura di dargliela cautamente.

Isacco. Ho capito.

Pamela. Secondate, o cieli, i miei giustissimi desideri. (parte)

SCENA XIV48.

Isacco, poi Milord Bonfil.

Isacco. (Osserva la lettera, la pone in tasca, e s’incammina.)

Bonfil. A me quella lettera. (ad Isacco)

Isacco. Signore.... (dubbioso) [p. 131 modifica]

Bonfil. Quella lettera a me. (con autorità)

Isacco. Sì, signore. (gliela dà)

Bonfil. Vattene. (Isacco parte)

SCENA XV.

Milord Bonfil solo.

Pamela scrive una lettera a milord Artur? senza dirmelo? per qual ragione? Aprasi questo foglio. Mi trema la mano; mi batte il cuore. Preveggo la mia rovina. (apre e legge)

 Milord.
Mio marito mi ordina improvvisamente portarmi con lui alla contea di Lincoln. È necessario ch’ella lo partecipi a milord Artur? Che confidenza? Che interessatezza ha con lui? Voi sapete, ch’io lascio in Londra la miglior parie di me medesima... Come! non sono io la parte più tenera del di lei cuore? Chi mi usurpa quel posto, che per tanti titoli mi conviene? E mi consola soltanto la vostra bontà, in cui unicamente confido. Ah, mi tradiscono gli scellerati. Non mi spiego più chiaramente, per non affidare alla carta un segreto sì rilevante... No, non permette il cielo che colpe simili stiano lungamente occulte. Voi sapete il concerto nostro di questa mane... (Ah perfida!) e spero che, a tenor del medesimo, vi regolerete con calore, e prudenza. Se verrete alla contea di Lincoln a recarmi qualche consolazione, terminerò di penare. Mi sento ardere; non posso più. Mio marito vi vedrà Volentieri. Sì, perfida, il mio buon cuore non mi farà conoscere un mio rivale? Ma che dico un rivale? un empio profanatore del decoro e dell’amicizia. Ingratissima donna... E sarà possibile che la mia Pamela sia ingrata? Sì, pur troppo, non vi è più ragione per dubitare. Non ho voluto credere al Cavaliere, non ho voluto credere a mia sorella; Jevre è d’accordo; Artur è mendace; Pamela è infida. Ma quei tremori, quei pianti, quelle dolci parole?... Eh, simili inganni non sono insoliti in una donna. Quella [p. 132 modifica] è più brava, che sa più fingere; ma io saprò smascherar la menzogna, punir la frode, e vendicare l’infedeltà. Sì, la farò morire... Chi? Pamela49? Pamela? morirà Pamela? Morirò nel dirlo, e sentomi morir nel pensarlo.

Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. Nell’ed. Mainardi di Roma, 1760, si legge Madama.
  2. Ed. cit.: Ministro.
  3. Ed. cit.: Baronia. Così poi altre volte.
  4. Manca questo anche nella cit. ed. di Roma.
  5. Ed. cit.: Oh Madama ecc.
  6. Qui e sempre nella cit. ed. trovasi Falloppa, invece di Isacco.
  7. Ed. cit.: Signora.
  8. Nella cit. ed. si legge invece: Eh. Ci s’intende.
  9. Leggesi invece nella cit. ed.: Sì signora, ne ho licenziato ventuno, e questi, ch’è il ventidue, non se ne vuol andare.
  10. Ed. cit.: È il cavaliere Ernold.
  11. Segue nella cit. ed.: «Falloppa. Quella faccia tosta non se ne va nemmeno colle sassate. Pamela. Quante volte ve l’ho da dire? Ditegli che non lo posso ricevere. F. Sì signora, parte.»
  12. Ed. cit.: venne un Prussiano.
  13. Nell’ed. cit.: No dunque! No! Non lo ecc.
  14. Nell’ed. cit. la scena così continua e termina: = Cavaliere. E voi non sapete distinguere i Cavalieri. Artur. Vi risponderà la mia spada. C. No, la spada, lo che ho viaggiato, ho imparato a battermi colla pistola. A. Come vi aggrada. Andiamo. C. Sì, andiamo».
  15. Si veda nell’Appendice la presente scena, come fu stampata nell’ed. cit. di Roma.
  16. Segue nella cit. ed.: «Cavaliere. Le mie pistole non fallano. Bonfil. Come trovaste voi... C. Ho un polso fermo, che non vacilla. B. Ditemi, in qual maniera... C. Non mi manca nè cuore, nè spirito, nè destrezza. B. Rispondetemi, forte ecc. ecc.»
  17. Ed. cit.: Dite? faceste far ecc.
  18. L’ed. cit. aggiunge fra parentesi: come sopra.
  19. Ed. cit.: seguitò ad insultarmi, ed ecco nata la sfida. It dialogo continua poi come si vede nell’Appendice.
  20. Ed. cit.: Non ci può stare un cavaliere con una dama? Sì, ci può stare.
  21. Ed. c.: disfida.
  22. L’ed. cit. aggiunge: nè da lei, nè da me?
  23. Ed. cit.: Senza ch’ella s’incomodi, ecco qui Miledi Daure, che viene.
  24. Ed. cit.: Ella dirà per me al Cavaliere, che non si accosti più a questa casa.
  25. Ed. c.: s’informò.
  26. Ed. cit.: Questa sfida ecc.
  27. L’ed. cit. aggiunge fra parentesi: passeggiando confuso.
  28. Ed. cit.: che vorrebbe aver la sua libertà.
  29. Questa scena, com’è nella citata ed. di Roma, vedasi in Appendice.
  30. Queste parole mancano nell’ed. di Roma.
  31. Ed. c.: non istà bene ecc.
  32. L’ed. cit. aggiunge: «P. Se così vi piace, andiamo. B. Io non bramo di andarvi che per piacer vostro. P. Vi ringrazio ecc.»
  33. Ed. c.: Signora.
  34. Ed. cit.: È l’unico cavalier ch’io conosco che mi pare ecc.
  35. Ed. c.: certamente.
  36. L’ed. cit. aggiunge: Non so come facciano coloro che lasciano servire da altri la propria moglie. O non l’amano, come io l’amo, o non pensano, come io penso. Non impedirò ecc.
  37. Ed. cit.: maledette.
  38. Ed. cit.: Io vi ero, e sono stata ecc.
  39. Ed. cit.: che cosa hanno fra di loro ragionato?
  40. Ed. c.: diavolo.
  41. Ed. cit.: Hanno parlato di certe cose... che non me ne ricordo.
  42. L’ed. cit. aggiunge: Ma sì, l’ha detta, e la vuò sostenere.
  43. Questa scena, com’è nella cit. ed. di Roma, vedasi in Appendice.
  44. Nella cit. ed. di Roma precede la breve scena tra il servo e Pamela, che qui ha luogo dopo il soliloquio: v. Appendice.
  45. Nelle edizioni del Settecento leggesi per errore Isacco, poi Pamela. Nella ed. di Roma questa è scena XIV e dicesi Pamela sola.
  46. Ed. cit.: se ’l mio consorte.
  47. L’ed. cit. aggiunge: Cielo, seconda tu i miei giustissimi desideri, parte». E così finisce la scena.
  48. Si veda nell’Appendice la presente scena, quale si legge nell’ed. cit. di Roma, dove porta il numero XV.
  49. Nell’ed. di Roma c’è qui un punto fermo.