Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 34

Canto 34

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Canto 33 Canto 35

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CANTO XXXIIII



 [1]

O
Famelice inique e ſiere Harpie

     Ch’all’accecata Italia e d’error piena
     Per punir ſorſè antique colpe rie
     In ogni menſa alto giudicio mena,
     Innocenti fanciulli e madri pie
     Caſcan di fame, e veggon ch’una cena
     Di queſti moſtri rei tutto diuora
     Ciò che del viuer lor foſtegno ſora,

 [2]
Troppo fallo chi le ſpelonche aperſe
     Che giā molt’anni erano ſtate chiuſe,
     Onde il fetore e l’ingordigia emerſe
     Ch’ad ammorbare Italia ſi diffuſe,
     Il bel viuere allhora ſi ſummerſe
     E la quiete in tal modo s’eſclufe
     Ch’in guerre in pouerta ſemp: e I affanni
     E dopo ſtata, & e per ſtar molt’anni.

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 [3]
Fin ch’ella vn giorno a i neghitoſi ſigli
     Scuota la chioma, e cacci ſuor di Lethe,
     Gridando lor, non ſia chi raſſimigli
     Alla virtú di Calai e di Zete?
     Che le menſe dal puzzo e da gli artigli
     Liberi, e torni a lor monditia liete?
     Come eſſi giá quelle di Phineo, e dopo
     Fé il Paladin quelle del Re Etiopo.

 [4]
Il Paladin col ſuono horribil venne
     Le brutte Harpie cacciado í ſuga e í rotta
     Tanto ch’a pie d’un monte ſi ritenne
     Oue eſſe erano entrate in vna grotta,
     l’orecchie attente allo ſpiraglio tenne
     E l’aria ne ſenti percoſſa e rotta
     Da piati e d’urli e da lamèto eterno
     Segno euidente quiui eſſer lo’nferno.

 [5]
Aſtolfo ſi penſo d’ entrami dentro
     E veder quei e’ hanno perduto il giorno,
     E penetrar la terra fin’ al centro
     E le bolgie inſernal cercare intorno,
     Di che debbo temer (dicea) s’io v’étro?
     Che mi poſſo aiutar ſempre col corno.
     Faro ſuggir Plutone e Sathanaffo
     E’l Can trifauce leuero dal paſſo.

 [6]
De l’alato deſtrier preſto diſceſe
     E lo laſcio legato a vn’arbuſcello,
     Poi ſi calo ne l’antro, e prima preſe
     Il corno, hauèdo ogni ſua ſpeme in qllo,
     Non andò molto inanzi, che gli oſſeſe
     Il naſo e gliocchi vn ſumo oſcuro e fello
     l’in che di pece graue e che di zolfo
     Nò ſta d’adar per queſto inazi Aſtolfo.

 [7]
Ma quanto va piú inanzi, piú s’ingrofla
     Il ſumo, e la caligine, e gli pare
     Ch’ andare inanzi piú troppo non poſſa
     Che fará ſorza a dietro ritornare,
     Ecco non fa che ſia, vede far moſſa
     Da la volta di fopra, come fare
     Il Cadauero appeſo al vento ſuole,
     Che molti di, ſia ſtato all’acqua e al Sole.

 [8]
Si poco e quaſi nulla era di luce
     In quella affumicata, e nera ſtrada
     Che no cOprende, e nò diſcerne il Duce
     Chi queſto ſia che ſi per l’aria vada,
     E per notitia hauerne, ſi conduce
     A dargli vno o duo colpi de la ſpada
     Stima poi ch’uno ſpirto eſſer ql debbia
     Che gli par di ferir fopra la nebbia.

 [9]
Allhor ſenti parlar con voce meſta,
     Deli ſenza fare altrui danno giú cala,
     Pur troppo il negro ſumo mi moleſta
     Che dal fuoco inſernal qui tutto ef hala:
     Il Duca ſtupefatto allhor s’ arreſta
     F. dice all’ombra: ſé Dio tronchi ogni ala
     Al ſumo, ſi ch’a te piú non afeenda
     Non ti diſpiaccia che’l tuo ſtato intenda,

 [10]
E ſé vuoi che di te porti nouella
     Nel mondo ſu, per ſatisfarti ſono,
     l’ombra riſpofe, alla luce alma e bella
     Tornar p fama anchor ſi mi par buono,
     Che le parole e ſorza che mi ſuella
     Il gran deſir e’ ho d’ hauer poi tal dono:
     E che’l mio nome e l’eſſer mio ti dica
     Ren che’l parlar mi ſia noia e fatica.

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 [11]
E comincio, Signor Lydia ſono io
     Del Re di Lydia in grande altezza nata,
     Qui dal giudicio altiſſimo di Dio
     Al ſumo eternamente condannata,
     Per eſſer ſtata al ſido amante mio
     Mentre io viſſi, ſpiaceuole & ingrata,
     D’ altre inſinite e queſta grotta piena
     Poſte per ſimil fallo in ſimil pena.

 [12]
Sta la cruda Anaxarete piú al baffo
     Oue e maggiore il ſumo: e piú martire:
     Reſto couerſo al mondo il corpo in ſaſſo
     E P anima qua giú venne a patire,
     Poi che veder per lei 1* afflitto e laſſo
     Suo amante appeſo potè foſſerire:
     Qui pſſo e Daphne e’ hor s’ auuede cgto
     Erraffe a fare Apollo correr tanto.

 [13]
Lungo faria ſé glinſelici ſpirti
     De le femine ingrate che qui ſtanno
     Voleſſe ad vno ad vno riferirti,
     Che tanti ſon ch’in inſinito vanno,
     Piú lungo anchor faria gli huomini dirti
     A quai P eſſere ingrato ha fatto danno:
     E che puniti ſono in peggior loco
     Oue il ſumo gli accieca: e cuoce il fuoco

 [14]
Perche le donne piú facili e prone
     A creder ſon, di piú ſupplicio e degno
     Chi lor fa ingano, il fa Theſco e Iaſone
     E chi turbo a Latin P antiquo regno,
     Sallo ch’incotra ſé il ſrate Abſalone
     Per Tamar traſſe a ſanguinoſo ſdegno,
     Et altri, & altre, che ſono inſiniti
     Che laſciato ha chi moglie e chi mariti.

 [15]
Ma per narrar di me piú che d’ altrui
     E paleſar l’error che qui mi traſſe:
     Bella, ma altiera piú, ſi in vita ſui
     Che non ſo s’ altra mai mi s’ aguagliaſſe:
     Ne ti ſaprei ben dir, di queſti dui
     S’in me l’orgoglio, o la beltá auanzaſſe:
     Quantuncg il faſto e P alterezza nacque
     Da la beltá, ch’a tutti gliocchi piacque.

 [16]
Era in ql tépo in Thracia vn caualliero
     Eſtimato il miglior del mondo in arme:
     Ilqual da piú d’ un teſtimonio vero
     Di ſingular beltá, ſenti lodarme,
     Tal che ſpontaneamente ſé penſiero
     Di volere il ſuo amor tutto donarme,
     Stimando meritar per ſuo valore
     Che caro hauer di lui doueſſi il core.

 [17]
In Lydia venne, e d’un laccio piú ſorte
     Vinto reſto, poi che veduta m’hebbe,
     Con glialtri cauallier ſi meſſe in corte
     Del padre mio, doue in gra fama crebbe,
     L’alto valore, e le piú d’una ſorte
     Prodezze che moſtro, lungo farebbe
     A raccontarti, e il ſuo merto inſinito
     Qn egli haueſſe a piú grato huo feruito

 [18]
Pamphylia e Caria, e il regno de Cylici
     Per opra di coſtui mio padre vinſe:
     Che P eſercito mai contra i nimici
     Se non quanto volea coſtui: non ſpinfe,
     Coſtui poi che gli parue i beneſici
     Suoi meritarlo, vn di col Re ſi ſtrinfe,
     A domandar gli in premio de le ſpoglie
     Tante arrecate, ch’io ſoſſi ſua moglie.

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 [19]
Fu repulſo dal Re, ch’in grande ſlato
     Maritar diſegnaua la ſigliuola,
     Non a coſtui, che cauallier priuato
     Altro non tien che la virtude ſola,
     E’l padre mio troppo al guadagno dato
     E all’auaritia d’ ogni vitio ſchuola,
     Tanto apprezza coſtumi, o virtú ammira
     Quanto l’aſino fa il ſuon de la lira.

 [20]
Alceſte il cauallier di ch’io ti parlo
     (Che coſi nome hauea) poi che ſi vede
     Repulſo, da chi piú gratiſicarlo
     Era piú debitor, commiato chiede,
     E lo minaccia nel partir: di farlo
     Pentir, che la ſigliuola non gli diede,
     Se n’ado al Re d’Armenia emulo antico
     Del Re di Lydia, e capital nimico.

 [21]
E tanto ſtimulo che lo diſpofe
     A pigliar l’arme e far guerra a mio padre
     Eſſo per l’opre ſue chiare e famoſe
     Fu fatto capitan di quelle ſquadre,
     Del Re d’Armenia tutte l’altre coſe
     Diſſe, ch’acquiſteria, ſol le leggiadre
     E belle membra mie, volea per ſrutto
     De l’opra ſua, vinto e’ haueſſe il tutto.

 [22]
Io non ti potre’ eſprimere il gran danno
     Ch’ Alceſte al padre mio fa i qlla guerra
     Quattro eſerciti rópe, e in men d’un anno
     Lo mena a tal, che non gli laſcia terra,
     Fuor ch’un caſtel, ch’alte pendici fanno
     Fortiſſimo, e la dentro il Re ſi ferra
     Con la famiglia che piú gli era accetta,
     E eoi theſor che trar vi puote in fretta.

 [23]
Quiui aſſedionne Alceſte, & in nò molto
     Termine, a tal diſperation ne traſſe,
     Che p buon patto hauria mio padre tolto
     Che moglie e ſerua achor, me gli laſciaffe,
     CO la meta del regno, s’ indi aſſolto
     Reſtar d’ ogni altro danno ſi ſperaffe,
     Vederli in breue de l’auanzo priuo
     Era ben certo, e poi morir captiuo.

 [24]
Tentar prima ch’accada, ſi diſpone
     Ogni rimedio che poſſibil ſia,
     E me che d’ogni male era cagione
     Fuor de la rocca ou’ era Alceſte inuia,
     Io vo ad Alceſte con intentione
     Di dargli in preda la perſona mia,
     E pregar che la parte che vuol tolga
     Del regno noſtro, e l’ira in pace volga:

 [25]
Come ode Alceſte ch’io vo a ritrouarlo
     Mi viene incontra pallido e tremante,
     Di vinto e di prigione a riguardarlo
     Piú che di vincitore haue ſembiante,
     Io che conoſco ch’arde, non gli parlo
     Si come hauea giá diſegnato inante,
     Viſta l’occaſion ſo pender nuouo
     Coueniente al grado in ch’io lo trouo.

 [26]
A maledir comincio l’amor d’effo
     E di ſua crudeltá troppo a dolermi,
     Ch’ iniquaméte habbia mio padre oppſſo
     E che p ſorza habbia cercato hauermi,
     Che con piú gratia gli faria ſucceſſo
     Indi a non molti di: ſé tener fermi
     Saputo haueſſe i modi cominciati,
     Ch’ai Re & a tutti noi ſi ſuron grati.

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 [27]
E ſé ben da principio il padre mio
     Gli hauea negata la domanda honeſta:
     (Perho che di natura e vn poco rio
     Ne mai ſi piega alla prima richieſta)
     Farſi per ciò di ben ſeruir reſtio
     Non doueua egli, e hauer l’ira ſi preſta
     Anzi, ognhor meglio oprado, tener certo
     Venire in breue al deſiato merto.

 [28]
E quado ancho mio padre a lui ritroſo
     Stato foſſe, io l’haurei tanto pregato
     C hauria l’amante mio fatto mio ſpofo:
     Pur ſé veduto io l’haueffi oſtinato
     Haurei fatto tal’opra di naſcofo
     Che di me Alceſte ſi faria lodato:
     Ma poi ch’a lui tentar panie altro modo
     10 di mai no l’amar ſiſſo hauea il chiodo

 [29]
E ſé ben’ era a luí venuta, moſſa
     Da la pietá ch’al mio padre portaua,
     Sia certo che non molto ſruir poſſa
     11 piacer ch’ai diſpetto mio gli daua,
     Ch’ era per far di me la terra roſſa
     Toſto ch’io haueſſi allaſua voglia praua
     Con queſta mia perſona ſatiſfatto
     Di quel che tutto a ſorza faria fatto.

 [30]
Queſte parole e ſimili altre vſai
     Poi che potere in lui mi vidi tanto,
     E’l piú pentito lo rendei che mai
     Si trouaſſe ne l’eremo alcun Santo,
     Mi cadde a piedi e ſupplicommi assai
     Che col coltel che ſi leuo da canto
     (E volea in ogni modo ch’iol pigliaffi)
     Di tanto fallo ſuo mi vendicaffi.

 [31]
Poi ch’io lo trouo tale io ſo diſegno
     La gran vittoria infin’ al ſin ſeguire,
     Gli do ſperanza di farlo ancho degno
     Che la perſona mia potrá ſruire,
     S’ emèdado il ſuo error: l’antiquo regno
     Al padre mio fará reſtituire,
     E nel tempo a venir vorrá acquiſtarme
     Seruendo amando e no mai piú p arme.

 [32]
Coſi far mi promeſſe, e ne la rocca
     Intatta mi mando come a lui venni,
     Ne di baciarmi pur s’ ardi la bocca:
     Vedi s’al collo il giogo ben gli tenni,
     Vedi ſé bene Amor per me lo tocca
     Se couien che per lui piú ſtrali impenni,
     Al Re d’ Armenia andò, di cui douea
     Eſſer per patto ciò che ſi prendea.

 [33]
E co quel miglior modo ch’uſar puote
     Lo priega ch’ai mio padre il regno laſſi,
     Delqual le terre ha depredate e vote
     Et a goder l’antiqua Armenia paſſi,
     Quel Re d’ ira inſiamando ambe le gote
     Diſſe ad Alceſte che non vi penſaſſi:
     Che non ſi volea tor da quella guerra
     Fin che mio padre hauea palmo di terra.

 [34]
E s’ Alceſte e mutato alle parole
     D’ una vii feminella: habbiaſi il danno:
     Giá a prieghi eſſo di lui, perder no vuole
     Quel ch’a fatica ha pſo in tutto vn’ anno,
     Di nuouo Alceſte il priega, e poi ſi duole
     Che ſeco effetto i prieghi ſuoi no fanno,
     All’ultimo s’adira e lo minaccia
     Che vuol per ſorza o per amor lo faccia.

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 [35]
L’ira multiplico ſi, che li ſpinfe
Da le male parole a i peggior fatti,
Alceſte contra il Re la ſpada ſtrinfe
Fra mille ch’in ſuo aiuto s’ erari tratti,
E mal grado lor tutti iui l’eſtinfe
E ql di anchor gli Armeni hebbe disfatti
Con l’aiuto de Cilici e de Thraci
Che pagaua egli: e d’altri ſuoi ſeguaci.

 [36]
Seguito la vittoria, & a ſue ſpeſe
     Senza diſpendio alcun del padre mio,
     Ne rende tutto il regno í men d’un meſe,
     Poi per ricompenſarne il danno rio,
     Oltr’ alle ſpoglie che ne diede, preſe
     In parte, e grauo in parte di gran Fio
     Armenia e Capadocia che confina
     E ſcorfe Hyrcania ſin ſu la marina.

 [37]
In luogo di triompho al ſuo ritorno
     Facèmo noi penſier dargli la morte,
     Reſtammo poi per non riceuer ſcorno
     Che lo veggian troppo d’amici ſorte,
     Fingo d’ amarlo, e piú di giorno in giorno
     Gli do ſperanza d’effergli conſorte,
     Ma prima contra altri nimici noſtri
     Dico voler che ſua virtú dimoſtri.

 [38]
E quando ſol, quando con poca gente
     Lo mando a ſtrane impreſe, e periglioſe,
     Da farne morir mille ageuolmente,
     Ma lui ſucceſſer ben tutte le coſe,
     Che torno con vittoria, e ſu ſouente
     Con horribil perſone e monſtruofe
     Con Giganti a battaglia e Leſtrigoni
     Ch’erano infeſti a noſtre regioni.

 [39]
Non ſu da Euriſtheo mai, no ſu mai tanto
     Da la Matrigna eſercitato Alcide
     In Lerna, I Nemea, í Thracia, i Erimato
     Alle valli d’Etholia, alle Numide
     Su’l Teure, ſu l’Hibero, e altroue, quanto
     Con prieghi ſinti, e con voglie homicide
     Efercitato ſu da me il mio amante:
     Cercando io pur di torlomi d’auante.

 [40]
Ne potédo venire al primo intento
     Vengone ad vn di non minore effetto,
     Gli ſo quei tutti ingiuriar ch’io ſento
     Che per lui ſono, e a tutti í odio il metto,
     Egli che non ſentia maggior contento
     Che d’ubbidirmi, ſenza alcun riſpetto
     Le mani a i ceni miei ſemp hauea pronte,
     Senza guardare vn piú d’ ualtro in ſróte.

 [41]
Poi che mi ſu, per queſto mezo, auiſo
     Spéto hauer del mio padre ogni nimico:
     E per lui ſteffo Alceſte hauer conquiſo:
     Che nò ſi hauea per noi laſciato amico,
     Quel ch’io gli hauea co ſimulato viſo
     Celato fin’allhor, chiaro gli eſplico:
     Che graue e capitale odio gli porto:
     E pur tuttauia cerco che ſia morto.

 [42]
Conſiderando poi, s’io lo faceſſi
     Ch’ in publica ignominia ne verrei
     (Sapeaſi troppo quanto io gli doueſſi
     E crudel detta ſempre ne farei)
     Mi panie fare assai ch’io gli toglieſſi
     Di mai venir piú inanzi a gliocchi miei:
     Ne veder ne parlar mai piú gli volſi
     Ne meſſo vdi ne lettera ne tolſi.

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 [43]
Queſta mia ingratitudine gli diede
     Tanto martir, ch’al ſin dal dolor vinto
     E dopo vn lungo domandar mercede
     Infermo cadde, e ne rimaſe eſtinto,
     Per pena ch’al fallir mio ſi richiede
     Hor gliocchi ho lachrymoſi, e ilviſo tito
     Del negro ſumo, e coſi hauro in eterno
     Che nulla redentione e nel’inſerno.

 [44]
Poi che non parla piú Lydia inſelice
     Va il Duca per ſaper s’ altri vi ſtanzi:
     Ma la caligine alta ch’era vltrice
     De l’opre ingrate, ſi gl’ingroſſa inanzi,
     Ch’andare vn palmo ſol piú non gli lice
     Anzi a ſorza tornar gli conuiene, anzi
     Perche la vita non gli ſia intercetta
     Dal ſumo, i paſſi accelerar con fretta.

 [45]
Il mutar ſpeffo de le piante ha viſta
     Di corſo, e no di chi paſſeggia o trotta:
     Tanto ſalendo in verſo l’erta acquiſta
     Che vede doue aperta era la grotta,
     E l’aria giá caliginoſa e triſta
     Dal lume cominciaua ad eſſer rotta:
     Al ſin co molto affanno e graue ambafeia
     Eſce de l’antro, e dietro il ſumo laſcia.

 [46]
E perche del tornar la via ſia tronca
     A quelle beſtie c’han ſi ingorde l’epe,
     Raguna faſſi, e molti arbori tronca
     Che v’ era qual d’ amomo: e qual di pepe
     E come può, dinanzi alla ſpelonca
     Fabrica di ſua man quaſi vna ſiepe,
     E gli ſuccede coſi ben quelP opra
     Che piú l’Harpie non tornerai! di fopra.

 [47]
Il negro ſumo de la ſcura pece
     Mentre egli ſu ne la cauerna tetra
     Non macchio ſol ql ch’apparia & ífece,
     Ma ſotto i pani anchora entra e penetra:
     Si che per trouare acqua andar lo fece
     Cercadovn pezzo, e al ſin ſuor d’ uá pietra
     Vide vna ſonte vſcir ne la foreſta
     Ne laqual ſi lauo dal pie alla teſta.

 [48]
Poi monta il volatore e in aria s’ alza
     Per giunger di quel monte in ſu la cima:
     Che non lontan con la ſuperna balza
     Dal cerchio de la Luna eſſer ſi ſtima,
     Tanto e il deſir che di veder lo’ncalza
     Ch’ al cielo aſpira, e la terra non ſtima:
     De l’aria piú, e piú ſempre guadagna
     Tanto ch’ai giogo va de la montagna.

 [49]
Zaphir, Rubini, Oro, Topati, e Perle:
     E Diamati, e Chryſoliti, e Hiacynthi:
     Potriano i fiori aſſimigliar: che per le
     Liete piaggie v’ hauea l’aura dipinti:
     Si verdi l’herbe che poſſendo hauerle
     Qua giú, ne ſoran gli ſmeraldi vinti:
     Ne men belle de gliarbori le ſrondi
     E di ſrutti e di fior ſempre fecondi.

 [50]
Cantati ſra i rami gli augelletti vaghi
     Azurri, e bianchi, e verdi, e roſſi, e gialli
     Murmuranti ruſcelli, e cheti laghi
     Di limpidezza vincono i cryſtalli,
     Vna dolce aura che ti par che vaghi
     A vn modo femp, e dal ſuo ſtil no falli
     Facea ſi l’aria tremolar d’intorno
     Che non potea noiar calor del giorno.

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 [51]
E quella a i fiori a i pomi, e alla verzura
     Gli odor diuerſi depredando ghia:
     E di tutti faceua vna miſtura
     Che di ſoauita l’alma notriua,
     Surgea vn palazzo in mezo alla pianura
     Ch’accefo eſſer parea di ſiamma viua,
     Tanto ſplendore intorno: e tanto lume
     Raggiaua ſuor d’ogni mortai coſtume.

 [52]
Aſtolfo il ſuo deſtrier verſo il palagio
     Che piú di trenta miglia intorno aggira,
     A paſſo lento fa muouere adagio
     E quinci, e quindi il bel paeſe ammira:
     E giudica appo quel, brutto e maluagio
     E che ſia al cielo & a natura in ira
     Queſto c’habitian noi fetido mondo,
     Tanto e ſoaue quel chiaro e giocondo.

 [53]
Come egli e preſſo al luminoſo tetto
     Attonito rima di marauiglia,
     Che tutto d’una gemma e’l muro ſchietto
     Piú che carbóchio lucida e vermiglia,
     ſtupenda opra, o dedalo architetto
     Qual fabrica tra noi le raſſimiglia?
     Taccia qualunque le mirabil fette
     Moli del mondo in tanta gloria mette,

 [54]
Nel lucente veſtibulo di quella
     Felice caſa, vn vecchio al Duca occorre
     Che’l manto ha roſſo e bianca la gonella
     Ch l’fl può al latte e l’altroal minio opporre
     1 crini ha bianchi, e biaca la maſcella
     Di ſolta barba ch’ai petto diſcorre:
     Et e ſi venerabile nel viſo
     Ch’un de gli eletti par del paradiſo.

 [55]
Coſtui con lieta faccia al Paladino
     Che riuerente era d’arcion diſcefo
     Diſſe, o Baron che per voler diuino
     Sei nel terreſtre paradiſo aſcefo,
     Come che ne la cauſa del camino
     Ne il ſin del tuo deſir da te ſia inteſo.
     Pur credi, che non ſenza alto myſterio
     Venuto fei da l’Artico hemiſperio.

 [56]
Per imparar come ſoccorrer dei
     Carlo, e la ſanta ſé tor di periglio,
     Venuto meco a conſigliar ti fei
     Per coſi lunga via ſenza conſiglio,
     Ne a tuo ſaper, ne a tua virtú vorrei
     Ch’ eſſer qui giunto attribuiſſi o figlio,
     Che ne il tuo corno, ne il cauallo alato
     Ti valea, ſé da Dio non t’ era dato.

 [57]
Ragionerem piú adagio inſieme poi:
     E ti diro come a procedere hai:
     Ma prima vienti a ricrear con noi
     Che’l digiun lungo de noiarti hormai,
     Continuando il Vecchio i detti ſuoi
     Fece marauigliare il Duca assai,
     Quado ſcoprendo il nome ſuo, gli diſſe
     Eſſer colui che l’Euagelio ſcriffe.

 [58]
Quel tanto al Redentor caro Giouanni
     Per cui il ſermone tra i ſratelli vſcio,
     Che non douea per morte ſinir glianni
     Si che ſu cauſa che’l ſigliuol di Dio
     A Pietro diſſe, perche pur t’ affanni ?
     S’io vo che coſi aſpetli il venir mio?
     Ben che non diſſe egli non de morire
     Si vede pur che coſi volſe dire.

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 [59]
Quiui ſu a (l’unto, e trouo compagnia
     Che prima Enoch il Patriarcha v’era,
     Eraui inſieme il gran Propheta Helya,
     Che non han viſta anchor l’ultima ſera,
     E ſuor de l’aria peſtilente e ria
     Si goderan l’eterna primauera,
     Fin che dian ſegno l’angeliche tube
     Che torni Chriſto in ſu la bianca nube.

 [60]
Con accoglienza grata il Caualliero
     Fu da i Santi alloggiato in vna ſtanza,
     Fu prouiſto in vn’ altra al ſuo deſtriero
     Di buona biada che gli ſu a baſtanza,
     De ſrutti a lui del Paradiſo diero
     Di tal ſapor, ch’a ſuo giudicio, ſanza
     Scufa non ſono i duo primi parenti
     Se per quei fur ſi poco vbbidieti.

 [61]
Poi ch’a natura il Duca auenturoſo
     Satisfece di quel che ſé le debbe,
     Come col cibo coſi col ripoſo
     Che tutti e tutti i commodi quiui hebbe:
     Laſciando giá l’Aurora il vecchio Spoſo
     Ch’ anchor p lunga etá mai no rincrebbe
     Si vide incontra nel vſcir del letto
     Il diſcipul da Dio tanto diletto.

 [62]
Che lo preſe per mano, e ſeco ſcorſe
     Di molte coſe di ſilentio degne,
     E poi diſſe, ſigliuol tu non fai ſorſè
     Che i Fracia accada, achor che tu ne vegne
     Sappi che’l voſtro Orlado, pche torſe
     Dal camin dritto le commeſſe inſegne,
     E punito da Dio, che piú s’accende
     Cetra chi egli ama piú. quádo s’offende.

 [63]
Il voſtro Orlando a cui naſcendo diede
     Somma poſſanza Dio con ſommo ardire,
     E ſuor del’human’ vſo gli concede
     Che ferro alcun non lo può mai ferire,
     Perche a difeſa di ſua ſanta Fede
     Coſi voluto l’ha conſtituire
     Come Sanſone incontra a Philiſtei
     Conſtitui a difeſa de gli Hebrei.

 [64]
Reduto ha il voſtro Orlado al ſuo Signore
     Di tanti beneſici iniquo merto,
     Che quáto hauer piú lo douea in fauore
     Ne ſtato il fedel popul piú deſerto,
     Si accecato l’hauea P incerto amore
     D’ una Pagana, e’ hauea giá foſſerto
     Due volte e piú: venire empio e crudele
     Per dar la morte al ſuo cugin fedele.

 [65]
E Dio per queſto fa ch’egli va ſolle
     E moſtra nudo il vètre il petto, e il ſianco,
     E l’intelletto ſi gli offuſca e tolle
     Che no può altrui conoſcere, e ſé manco,
     A queſta guiſa ſi legge che volle
     Nabuccodonoſor Dio punir ancho,
     Che fette anni il mando di furor pieno
     Si ch qual bue, paſceua l’herba e il ſieno

 [66]
Ma perch’assai minor del Paladino
     Che di Nabucco e ſtato pur P ecceſſo
     Sol di tre meſi dal voler diuino
     A purgar qſto error termine e meſſo,
     Ne ad altro effetto per tanto camino
     Salir qua ſu t’ ha il Redentor conceſſo,
     Se non perche da noi modo tu appréda
     Come ad Orlando il ſuo ſenno ſi renda.

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 [67]
Glie ver che ti biſogna altro viaggio
     Far meco, e tutta abbandonar la terra,
     Nel cerchio de la Lúa a menar t’ haggio
     Che de i pianeti a noi piú proflTima erra,
     Perche la medicina che può faggio
     Rendere Orlando, la dentro ſi ferra,
     Come la Luna queſta notte ſia
     Sopra noi giunta, ci porremo i via.

 [68]
Di queſto e d’altre coſe ſu dirtufo
     Il parlar de V Apoſtolo quel giorno,
     Ma poi che’l Sol s’ hebbe nel mar richiuſo
     E fopra lor leuo la Luna il corno
     Vn carro apparecchioſi ch’era ad vſo
     D’ andar ſcorrédo per quei Cieli itorno:
     Quel giá ne le montagne di Giudea
     Da mortali occhi Helya leuato hauea.

 [69]
Quattro deſtrier via piú che ſiama roſſi
     Al giogo il ſanto Euangeliſta aggiunſe,
     E poi che con Aſtolfo raſſetoſſi
     E preſe il ſreno: in verſo il ciel li punſe,
     Ruotando il carro per l’aria leuoſſi
     E toſto in mezo il fuoco eterno giunſe,
     Che’l Vecchio ſé miracolofamente
     Che mentre lo paſſar non era ardente.

 [70]
Tutta la Sphera varcano del fuoco
     Et indi vanno al regno de la Luna
     Veggon p la piú parte eſſer quel loco
     Coe vn’acciar che no ha macchia alena,
     E lo trouano vguale o minor poco
     Di ciò ch’in queſto globo ſi raguna,
     In queſto vltimo globo de la terra
     Mettèdo il mar che la circonda e ferra.

 [71]
Quiui hebbe Aſtolfo doppia marauiglia
     Clie quel paeſe appreſſo era ſi grande,
     Ilquale a vn picciol tondo raflímiglia
     A noi che lo miriam da queſte bande,
     E ch’aguzzar conuiengli ambe le ciglia
     S’ indi la terra e’l mar ch’intomo ſpande
     Diſcerner vuol, che non hauendo luce
     l’imagin lor poco alta ſi conduce.

 [72]
Altri ſiumi, altri laghi, altre campagne
     Sono la ſu, che non ſon qui tra noi,
     Altri piani, altre valli, altre montagne,
     C’han le cittadi hanno i cartelli ſuoi:
     Con caſe dele quai mai le piú magne
     Non vide il Paladin prima ne poi,
     E vi ſono ampie e ſolitarie ſelue
     Oue le nymphe ogn’ hor cacciao belue.

 [73]
Non ſtette il Duca a ricercare il tutto
     Che la non era aſceſo a quello effetto,
     Da l’Apoſtolo ſanto ſu condutto
     In vn vallon ſra due montagne iſtretto,
     Oue mirabilmente era ridutto
     Ciò che ſi perde, o per noſtro diſletto
     O per colpa di tempo o di Fortuna,
     Ciò che ſi perde qui, la ſi raguna,

 [74]
Non pur di regni o di ricchezze parlo
     In che la ruota inſtabile lauora,
     Ma di quel, ch’in poter di tor di darlo
     Nò ha Fortuna, intéder voglio anchora,
     Molta Fama e la ſu, che come Tarlo
     Il Tèpo al lungo andar qua giú diuora.
     La ſu inſiniti prieghi e voti ſtanno
     Che da noi peccatori a Dio ſi fanno.

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 [75]
Le lachryme e i ſoſpiri de gli amanti
     ].’ inutil tempo che ſi perde a giuoco,
     E l’otio lungo d’ huomini ignoranti
     Vani diſegni che non han mai loco,
     I vani deſideri ſono tanti
     Che la piú parte ingombran di ql loco,
     Ciò che in ſomma qua giú perderti mai
     La ſu ſalendo ritrouar potrai.

 [76]
Paſſando il Paladin per quelle biche
     Hor di qſto hor di ql chiede’ alla guida,
     Vide vn monte di tumide veſiche
     Che dètro parea hauer tumulti e grida:
     E ſeppe ch’eran le corone antiche
     E de gli AfTyrii, e de la terra Lyda:
     E de Perſi: e de Greci, che giá ſuro
     Inclyti: & hor n’e qſi il nome oſcuro.

 [77]
Hami d’oro e d’argento appretto, vede
     In vna maſſa: ch’erano quei doni
     Che ſi fan con ſperanza di mercede
     A i Re, a gli auari Principi: a i Patroni
     Vede in ghirlande aſcoſi lacci, e chiede
     Et ode, che ſon tutte adulationi,
     Di cicale ſcoppiate imagine hanno
     Verfi ch’in laude de i Signor ſi fanno.

 [78]
Di nodi d’oro e di gemmati ceppi
     Vede e’ han ſorma i mal ſeguiti amori,
     V’eran d’Aquile artigli, e che ſur, ſeppi
     l’authorita ch’a i ſuoi danno i Signori,
     I mantici ch’intorno han pieni i greppi,
     Sono i ſumi de i principi e i fauori
     Che dano vn tempo a i Ganymedi ſuoi:
     Ch ſé ne van col fior de glianni poi.

 [79]
Ruine di cittadi e di cartella
     Stauan con gran theſor quiui ſozopra,
     Domanda, e fa che ſon trattati, e quella
     Congiura, che ſi mal par chefi cuopra,
     Vide ſerpi con faccia di donzella
     Di monetieri e di ladroni l’opra
     Poi vide boccie rotte di piú ſorti
     Ch’era il ſeruir de le miſere corti.

 [80]
Di verſate mineſtre vna gran maſia
     Vede, e domada al ſuo Dottor ch’Sporte
     L’elemofyna (e dice) che ſi laſſa
     Alcun, che fatta ſia dopo la morte,
     Di varii fiori ad vn gra monte parta
     C hebbe giá buono odor, hor putia ſorte
     Queſto era il dono (ſé perho dir lece)
     Che Conſtantino al buon Silueſtro fece

 [81]
Vide gran copia di panie con viſco
     Ch’ erano o Donne le bellezze voſtre,
     Lungo fará ſé tutto in verſo ordiſco
     Le coſe che gli fur quiui dimoſtre,
     Che dopo mille e mille io non ſiniſco:
     E vi ſon tutte l’occurrentie noſtre,
     Sol la pazzia non v’ e poca ne assai
     Che ſta qua giú, ne ſé ne parte mai.

 [82]
Quiui ad alcuni giorni e fatti ſui
     Ch’egli giá hauea perduti ſi conuerſe,
     Che ſé non era interprete con lui
     Non diſcernea le ſorme lor diuerſe,
     Poi giunſe a ql, che par ſi hauerlo a nui
     Che mai per erto a Dio voti non ferfe,
     Io dico il ſenno, e n’era quiui vn monte
     Solo assai piú che l’altre coſe conte.

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 [83]
Era come vn liquor ſrittile e molle
     Atto a eſhalar ſé non ſi tien be chiuſo:
     E ſi vedea raccolto in varie ampolle
     Qual piú, qual me capace, atte a qll’ufo,
     Quella e maggior di tutte, í che del ſolle
     Signor d’Anglate era il gra ſenno iſuſo:
     E ſu da l’altre conoſciuta, quando
     Hauea ſcritto di ſuor Senno d’Orlando.

 [84]
E coſi tutte l’altre hauean ſcritto ancho
     Il nome di color di chi ſu il ſenno,
     Del ſuo gran parte vide il Duca ſranco,
     Ma molto piú marauigliar lo fenno,
     Molti, ch’egli credea che drama manco
     Non doueſſero haueme, e quiui denno
     Chiara notitia, che ne tenean poco
     Che molta quantitá n’ era in quel loco.

 [85]
Altri in amar lo perde, altri in honori:
     Altri in cercar ſcorrèdo il mar richezze,
     Altri ne le ſperanze de Signori:
     Altri dietro alle magiche ſciocchezze,
     Altri in gemme, altri in opre di pittori:
     Et altri in altro che piú d’altroaprezze:
     Di Sophiſti e d’ Aſtrologhi, raccolto
     E di Poeti anchor, ve n’era molto.

 [86]
Aſtolfo tolſe il ſuo, che gliel conceſſe
     Lo ſcrittor de l’oſcura Apocalyſſe,
     L’ampolla in ch’era al naſo ſol ſi meſſe:
     E par che quello al luogo ſuo ne giſſe,
     E che Turpin da indi in qua confeffe,
     Ch’ Aſtolfo lungo tempo faggio viſſe,
     Ma ch’uno error che fece poi, ſu quello
     Ch’unaltra volta gli leuo il ceruello.

 [87]
La piú capace e piena ampolla ou’ era,
     Il ſenno che ſolea far ſauio il Conte,
     Aſtolfo tolle, e non e ſi leggiera
     Come ſtimo, con l’altre eſſendo a monte,
     Prima che’l Paladin da quella ſphera
     Piena di luce alle piú baſſe ſmonte,
     Menato ſu da l’Apoſtolo ſanto
     In vn palagio ou’era vn fiume a canto.

 [88]
Ch’ ogni ſu a ſtanza hauea piena di velli
     Di lin, di ſeta, di coton, di lana,
     Tinti in varii colori e brutti e belli,
     Nel primo chioſtro vna femina cana
     Fila a vn’aſpo trahea da tutti quelli,
     Come veggian l’eſtate la villana
     Traher da i Bachi le bagnate ſpoglie,
     Quando la nuoua ſeta ſi raccoglie.

 [89]
Ve chi ſinito vn vello, rimettendo
     Ne viene vn’ altro, e chi ne porta altróde
     Vn* alba de le ſilze uá ſcegliendo
     Il bel dal brutto che quella confonde,
     Che lauor ſi fa qui ch’io non l’intendo?
     (Dice a Giouani Aſtolfo) e quel ríſpOde
     Le vecchie ſon le parche, che con tali
     Stami, ſilano vite a voi mortali.

 [90]
Quanto dura vn de velli, tanto dura
     l’humana vita, e non di piuvn momento,
     Qui tien l’occhio e la Morte e la Natura
     Per ſaper l’bora ch’u debba eſſer ſpéto,
     Sceglier le belle ſila ha V altra cura
     Perche ſi teſſon poi per ornamento
     Del paradiſo, e de i piú brutti ſtami
     Si fan per li dannati aſpri legami.

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 [91]
Di tutti i velli ch’erano giā meſſi
     In aſpo, e ſcelti a farne altro lauoro,
     Erano in breui piaſtre i nomi impreſſi
     Altri di ferro, altri d’argéto, o d’oro
     E poi fatti n’hauean cumuli ſpeſſi
     De quali ſenza mai farai riſtoro
     Portarne via non ſi vedea mai ſtanco
     Vn vecchio, e ritornar ſempre p ancho.

 [92]
Era quel vecchio ſi eſpedito e ſnello
     Che per correr parea che foſſe nato:
     E da quel monte il lembo del mantello
     Portaua pien del nome altrui ſegnato,
     Oue n’andaua, e perche facea quello
     Ne l’altro canto vi farā narrato:
     Se d’hauerne piacer ſegno farete
     Con quella grata vdienza che ſolete.