Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
[75]
Le lachryme e i ſoſpiri de gli amanti
].’ inutil tempo che ſi perde a giuoco,
E l’otio lungo d’ huomini ignoranti
Vani diſegni che non han mai loco,
I vani deſideri ſono tanti
Che la piú parte ingombran di ql loco,
Ciò che in ſomma qua giú perderti mai
La ſu ſalendo ritrouar potrai.
[76]
Paſſando il Paladin per quelle biche
Hor di qſto hor di ql chiede’ alla guida,
Vide vn monte di tumide veſiche
Che dètro parea hauer tumulti e grida:
E ſeppe ch’eran le corone antiche
E de gli AfTyrii, e de la terra Lyda:
E de Perſi: e de Greci, che giá ſuro
Inclyti: & hor n’e qſi il nome oſcuro.
[77]
Hami d’oro e d’argento appretto, vede
In vna maſſa: ch’erano quei doni
Che ſi fan con ſperanza di mercede
A i Re, a gli auari Principi: a i Patroni
Vede in ghirlande aſcoſi lacci, e chiede
Et ode, che ſon tutte adulationi,
Di cicale ſcoppiate imagine hanno
Verfi ch’in laude de i Signor ſi fanno.
[78]
Di nodi d’oro e di gemmati ceppi
Vede e’ han ſorma i mal ſeguiti amori,
V’eran d’Aquile artigli, e che ſur, ſeppi
l’authorita ch’a i ſuoi danno i Signori,
I mantici ch’intorno han pieni i greppi,
Sono i ſumi de i principi e i fauori
Che dano vn tempo a i Ganymedi ſuoi:
Ch ſé ne van col fior de glianni poi.
[79]
Ruine di cittadi e di cartella
Stauan con gran theſor quiui ſozopra,
Domanda, e fa che ſon trattati, e quella
Congiura, che ſi mal par chefi cuopra,
Vide ſerpi con faccia di donzella
Di monetieri e di ladroni l’opra
Poi vide boccie rotte di piú ſorti
Ch’era il ſeruir de le miſere corti.
[80]
Di verſate mineſtre vna gran maſia
Vede, e domada al ſuo Dottor ch’Sporte
L’elemofyna (e dice) che ſi laſſa
Alcun, che fatta ſia dopo la morte,
Di varii fiori ad vn gra monte parta
C hebbe giá buono odor, hor putia ſorte
Queſto era il dono (ſé perho dir lece)
Che Conſtantino al buon Silueſtro fece
[81]
Vide gran copia di panie con viſco
Ch’ erano o Donne le bellezze voſtre,
Lungo fará ſé tutto in verſo ordiſco
Le coſe che gli fur quiui dimoſtre,
Che dopo mille e mille io non ſiniſco:
E vi ſon tutte l’occurrentie noſtre,
Sol la pazzia non v’ e poca ne assai
Che ſta qua giú, ne ſé ne parte mai.
[82]
Quiui ad alcuni giorni e fatti ſui
Ch’egli giá hauea perduti ſi conuerſe,
Che ſé non era interprete con lui
Non diſcernea le ſorme lor diuerſe,
Poi giunſe a ql, che par ſi hauerlo a nui
Che mai per erto a Dio voti non ferfe,
Io dico il ſenno, e n’era quiui vn monte
Solo assai piú che l’altre coſe conte.