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Glie ver che ti biſogna altro viaggio
Far meco, e tutta abbandonar la terra,
Nel cerchio de la Lúa a menar t’ haggio
Che de i pianeti a noi piú proflTima erra,
Perche la medicina che può faggio
Rendere Orlando, la dentro ſi ferra,
Come la Luna queſta notte ſia
Sopra noi giunta, ci porremo i via.
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Di queſto e d’altre coſe ſu dirtufo
Il parlar de V Apoſtolo quel giorno,
Ma poi che’l Sol s’ hebbe nel mar richiuſo
E fopra lor leuo la Luna il corno
Vn carro apparecchioſi ch’era ad vſo
D’ andar ſcorrédo per quei Cieli itorno:
Quel giá ne le montagne di Giudea
Da mortali occhi Helya leuato hauea.
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Quattro deſtrier via piú che ſiama roſſi
Al giogo il ſanto Euangeliſta aggiunſe,
E poi che con Aſtolfo raſſetoſſi
E preſe il ſreno: in verſo il ciel li punſe,
Ruotando il carro per l’aria leuoſſi
E toſto in mezo il fuoco eterno giunſe,
Che’l Vecchio ſé miracolofamente
Che mentre lo paſſar non era ardente.
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Tutta la Sphera varcano del fuoco
Et indi vanno al regno de la Luna
Veggon p la piú parte eſſer quel loco
Coe vn’acciar che no ha macchia alena,
E lo trouano vguale o minor poco
Di ciò ch’in queſto globo ſi raguna,
In queſto vltimo globo de la terra
Mettèdo il mar che la circonda e ferra.
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Quiui hebbe Aſtolfo doppia marauiglia
Clie quel paeſe appreſſo era ſi grande,
Ilquale a vn picciol tondo raflímiglia
A noi che lo miriam da queſte bande,
E ch’aguzzar conuiengli ambe le ciglia
S’ indi la terra e’l mar ch’intomo ſpande
Diſcerner vuol, che non hauendo luce
l’imagin lor poco alta ſi conduce.
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Altri ſiumi, altri laghi, altre campagne
Sono la ſu, che non ſon qui tra noi,
Altri piani, altre valli, altre montagne,
C’han le cittadi hanno i cartelli ſuoi:
Con caſe dele quai mai le piú magne
Non vide il Paladin prima ne poi,
E vi ſono ampie e ſolitarie ſelue
Oue le nymphe ogn’ hor cacciao belue.
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Non ſtette il Duca a ricercare il tutto
Che la non era aſceſo a quello effetto,
Da l’Apoſtolo ſanto ſu condutto
In vn vallon ſra due montagne iſtretto,
Oue mirabilmente era ridutto
Ciò che ſi perde, o per noſtro diſletto
O per colpa di tempo o di Fortuna,
Ciò che ſi perde qui, la ſi raguna,
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Non pur di regni o di ricchezze parlo
In che la ruota inſtabile lauora,
Ma di quel, ch’in poter di tor di darlo
Nò ha Fortuna, intéder voglio anchora,
Molta Fama e la ſu, che come Tarlo
Il Tèpo al lungo andar qua giú diuora.
La ſu inſiniti prieghi e voti ſtanno
Che da noi peccatori a Dio ſi fanno.