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Queſta mia ingratitudine gli diede
Tanto martir, ch’al ſin dal dolor vinto
E dopo vn lungo domandar mercede
Infermo cadde, e ne rimaſe eſtinto,
Per pena ch’al fallir mio ſi richiede
Hor gliocchi ho lachrymoſi, e ilviſo tito
Del negro ſumo, e coſi hauro in eterno
Che nulla redentione e nel’inſerno.
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Poi che non parla piú Lydia inſelice
Va il Duca per ſaper s’ altri vi ſtanzi:
Ma la caligine alta ch’era vltrice
De l’opre ingrate, ſi gl’ingroſſa inanzi,
Ch’andare vn palmo ſol piú non gli lice
Anzi a ſorza tornar gli conuiene, anzi
Perche la vita non gli ſia intercetta
Dal ſumo, i paſſi accelerar con fretta.
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Il mutar ſpeffo de le piante ha viſta
Di corſo, e no di chi paſſeggia o trotta:
Tanto ſalendo in verſo l’erta acquiſta
Che vede doue aperta era la grotta,
E l’aria giá caliginoſa e triſta
Dal lume cominciaua ad eſſer rotta:
Al ſin co molto affanno e graue ambafeia
Eſce de l’antro, e dietro il ſumo laſcia.
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E perche del tornar la via ſia tronca
A quelle beſtie c’han ſi ingorde l’epe,
Raguna faſſi, e molti arbori tronca
Che v’ era qual d’ amomo: e qual di pepe
E come può, dinanzi alla ſpelonca
Fabrica di ſua man quaſi vna ſiepe,
E gli ſuccede coſi ben quelP opra
Che piú l’Harpie non tornerai! di fopra.
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Il negro ſumo de la ſcura pece
Mentre egli ſu ne la cauerna tetra
Non macchio ſol ql ch’apparia & ífece,
Ma ſotto i pani anchora entra e penetra:
Si che per trouare acqua andar lo fece
Cercadovn pezzo, e al ſin ſuor d’ uá pietra
Vide vna ſonte vſcir ne la foreſta
Ne laqual ſi lauo dal pie alla teſta.
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Poi monta il volatore e in aria s’ alza
Per giunger di quel monte in ſu la cima:
Che non lontan con la ſuperna balza
Dal cerchio de la Luna eſſer ſi ſtima,
Tanto e il deſir che di veder lo’ncalza
Ch’ al cielo aſpira, e la terra non ſtima:
De l’aria piú, e piú ſempre guadagna
Tanto ch’ai giogo va de la montagna.
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Zaphir, Rubini, Oro, Topati, e Perle:
E Diamati, e Chryſoliti, e Hiacynthi:
Potriano i fiori aſſimigliar: che per le
Liete piaggie v’ hauea l’aura dipinti:
Si verdi l’herbe che poſſendo hauerle
Qua giú, ne ſoran gli ſmeraldi vinti:
Ne men belle de gliarbori le ſrondi
E di ſrutti e di fior ſempre fecondi.
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Cantati ſra i rami gli augelletti vaghi
Azurri, e bianchi, e verdi, e roſſi, e gialli
Murmuranti ruſcelli, e cheti laghi
Di limpidezza vincono i cryſtalli,
Vna dolce aura che ti par che vaghi
A vn modo femp, e dal ſuo ſtil no falli
Facea ſi l’aria tremolar d’intorno
Che non potea noiar calor del giorno.