Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 19

Canto 19

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Canto 18 Canto 20

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CANTO DECIMONONO



[1]

A
Lcun nò può ſaper da chi ſia amato

     Quando felice in ſu la ruota ſiede,
     Perho e’ ha i veri e i ſinti amici a lato
     Che nioſtrA tutti vna medeſma fede,
     Se poi ſi cangia in triſto il lieto ſtato
     Volta la turba adulatrice il piede,
     E quel che di cor ama riman ſorte
     Et ama il ſuo Signor dopo la morte.

[2]
Se come il viſo ſi moſtraffe il core
     Tal ne la corte e grade e glialtri preme
     E tal’e in poca gratia al ſuo Signore
     Che la lor ſorte muteriano inſieme,
     «Jueſto humil diuerria toſto il maggior
     Stana quel grade inſra le turbe eſtreme,
     Ma torniamo a Medor fedele e grato
     Ch’n vita e 1 morte ha il ſuo Signor amato.

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[3]
Cercando giá nel piú intricato calle
     Il Giouine inſelice di ſaluarſi,
     Ma il graue peſo e’ hauea ſu le ſpalle
     Gli facea vſcir tutti i partiti ſcarfi,
     Non conoſce il paeſe e la via falle
     E torna ſra le ſpine a inuilupparſi:
     Lungi da lui tratto al ſicuro s’ era
     l’altro e’ hauea la ſpalla piú leggiera.

[4]
Cloridan s’ e ridutto oue non ſente
     Di chi ſegue lo ſtrepito e il rumore:
     Ma quando da Medor ſi vede abſente
     Gli pare hauer laſciato adietro il core,
     Deh come ſui (dicea) ſi negligente:
     Deh come ſui ſi di me ſteffo ſuore:
     Che ſenza te Medor qui mi ritraffi
     Ne ſappia quando o doue io ti laſciaffi.

[5]
Coſi dicendo, ne la torta via
     De l’intricata ſelua ſi ricaccia:
     Et onde era venuto, ſi rauuia
     E torna di ſua morte in ſu la traccia:
     Ode i caualli e i gridi tuttauia
     E la nimica voce che minaccia,
     All’ultimo ode il ſuo Medoro, e vede
     Che tra molti a cauallo e ſolo a piede.

[6]
Cèto a cauallo e gli ſon tutti intorno
     Zerbin comanda, e grida che ſia preſo,
     l’inſelice s’ aggira com’un torno
     E tgto può ſi tie da lor difeſo,
     Hor dietro qrcia, hor olmo, hor faggio hor orno
     Ne ſi difeoſta mai dal caro peſo:
     l’ha ripoſato al ſin ſu l’herba, qn
     Regger noi puote, e gli va ítorno errando

[7]
Come Orſa che l’alpeſtre cacciatore
     Ne la pietroſa tana aſſalita habbia,
     Sta fopra i ſigli con incerto core
     E ſreme in ſuono di pietá e di rabbia:
     Ira la’nuita e naturai furore
     A ſpiegar l’ugne e aifanguíar le labbia:
     Amor la’nteneriſce e la ritira
     A riguardare a i ſigli in mezo l’ira.

[8]
Cloridan che non fa come l’aiuti
     E ch’effer vuole a morir ſeco anchora,
     Ma nò ch’in morte prima il viuer muti
     Che via no truoui, oue piú d’ un ne mora
     Mette ſu l’arco vn de ſuoi ſtrali acuti
     E naſcoſo con quel ſi ben lauora
     Che ſora ad vno Scotto le ceruella
     E ſenza vita il fa cader di fella.

[9]
Volgonſi tutti glialtri a quella banda
     Ond’ era vſcito il calamo homicida,
     Intanto vn’ altro il Saracin ne manda
     Perche’l fecódo a lato al primo vecida,
     Ch mètre in fretta a qſto e a ql domada
     Chi tirato habbia l’arco: e ſorte grida
     Lo ſtrale arriua e gli paſſa la gola
     E gli taglia pel mezo la parola.

[10]
Hor Zerbin ch’era il capitano loro
     Non potè a queſto hauer piú patienza,
     Con ira e con furor venne a Medoro
     Dicendo ne farai tu penitenza,
     Steſe la mano in quella chioma d’ Oro
     E ſtraſcinollo a ſé con violenza,
     Ma come gliocchi a ql bel volto mi ſé
     Gli ne venne pietade, e non l’uccife.


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[11]
Il giouinetto ſi riuolſe a prieghi,
     E diſſe cauallier, per lo tuo Dio
     Non eſſer ſi crudel che tu mi nieghi
     Ch’ io fepeliſca il corpo del Re mio,
     Non vo ch’altra pietá per me ti pieghi
     Ne penſi che di vita habbi diſio,
     Ho tanta di mia vita e non piú cura
     Quanta ch’al mio Signor dia ſepultura.

[12]
Et ſé pur paſcer voi ſiere & augelli
     Che’n te il furor ſia del Theba Creonte,
     Fa lor conuito di miei membri, e quelli
     Sepelir laſcia del ſigliuol d’Almonte,
     Coſi dicea Medor con modi belli
     E con parole atte a voltare vn monte,
     E ſi commoffo giá Zerbino li, uhm
     Che d’ amor tutto e di pietade ardea.

[13]
In queſto mezo vn cauallier villano:
     Hauendo al ſuo Signor poco riſpetto:
     Feri con vna lancia fopra mano
     Al ſupplicante il delicato petto,
     Spiacqj a Zerbin l’atto crudele e ſtrano
     Tanto piú, che del colpo il giouinetto
     Vide cader ſi ſbigottito e ſmorto
     Che’n tutto giudico che foſſe morto,

[14]
E ſé ne ſdegno in guiſa: e ſé ne dolſe.
     Che diſſe inuendicato giá non ſia,
     E pien di mal talento ſi riuolſe
     AI cauallier ch ſé l’impreſa ria,
     Ma ql preſe vantaggio e ſé gli tolſe
     Dinanzi in vn momento e ſuggi via:
     Cloridan che Medor vede per terra
     Salta del boſco a difeoperta guerra.

[15]
E getta l’arco: e tutto pien di rabbia
     Tra gli nimici il ferro intorno gira,
     l’in p morir: ch p penſier ch’egli habbia
     Di far vendetta che pareggi l’ira,
     Del proprio ſangue roſſeggiar la ſabbia
     Fra tante ſpade, e al ſin venir ſi mira,
     E tolto che ſi ſente ogni potere
     Si laſcia a canto al ſuo Medor cadere.

[16]
Seguon gli Scotti oue la guida loro
     Per P alta ſelua alto diſdegno mena
     Poi che laſciato ha l’uno e l’altro Moro
     L’un morto in tutto, e l’altro viuo a pena,
     Giacque gran pezzo il giouine Medoro
     Spicciando il ſangue da ſi larga vena
     Che di ſua vita al ſin faria venuto
     Se non foprauenia chi gli die aiuto.

[17]
Gli foprauenne a caſo vna Donzella
     Auolta in paſtorale, & humil veſte:
     Ma di real preſentia: e in viſo bella:
     D’alte maniere, e accortamele honeſte
     Tato e, ch’io non ne diſſi piú nouella
     Ch’ apena riconoſcer la doureſte:
     Queſta ſé non ſapete Angelica era
     Del gran Can del Catai la ſiglia altiera.

[18]
Poi che’l ſuo annello Angelica rihebbe
     Di che Brunel P hauea tenuta priua:
     In tanto faſto in tanto orgoglio crebbe
     Ch’ eſſer parea di tutto’l mondo ſchiua,
     Se ne va ſola: e non ſi degnerebbe
     COpagno hauer qual piú famoſo viua,
     Si ſdegna a rimèbrar che giá ſuo amate
     Habbia Orlando nomato, o Sacripante.

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[19]
E Copra ogn’ altro error via piú pentita
     Era del ben che giá a Rinaldo volſe,
     Troppo parendole eſſerſi auilita
     Ch’a riguardar ſi baffo gliocchi volſe,
     Tant’ arrogantia hauendo Amor ſentita
     Piú lungamente comportar non volſe,
     Doue giacea Medor ſi poſe al varco
     E l’aſpetto poſto lo ſtrale all’arco.

[20]
Quando Angelica vide il giouinetto
     Languir ferito assai vicino a morte,
     Che del ſuo Re che giacea ſenza tetto
     Piú che del pprio mal ſi dolea ſorte,
     Inſolita pietade in mezo al petto
     Si ſenti entrar per diſuſate porte,
     Che le ſé il duro cor tenero e molle
     E piú quando il ſuo caſo egli narrolle.

[21]
E riuocando alla memoria l’arte
     Ch’in India imparo giá di Chirugia,
     Che par che qſto ſtudio in quella parte
     Nobile e degno, e di gran laude ſia
     E ſenza molto riuoltar di charte
     Che’l patre a i ſigli hereditario il dia,
     Si diſpoſe operar con ſucco d’ herbe
     Ch’a piú matura vita lo riferbe.

[22]
E ricordoſſi, che paſſando hauea
     Veduta vn’ herba in vna piaggia amena,
     Foſſe Dittamo o foſſe Panacea
     O non ſo qual, di tal effetto piena,
     Che ſtagna il ſangue, e de la piaga rea
     Leua ogni ſpafmo e periglioſa pena
     La trouo non lontana: e quella colta
     Doue laſciato hauea Medor, die volta.

[23]
Nel ritornar s’ incontra in vn paſtore
     Ch’a cauallo pel boſco ne veniua,
     Cercando vna iuuenca, che giá ſuore
     Duo di di mandra e ſenza guardia giua,
     Seco lo traſſe, oue perdea il vigore
     Medor col ſangue che del petto vſciua,
     E giá n’ hauea di tanto il terren tinto
     Ch’era homai preſſo a rimanere eſtinto.

[24]
Del palaſreno Angelica giú ſcefe
     E ſcendere il Paſtor ſeco fece anche:
     Peſto con faſſi l’herba, indi la preſe
     E ſucco ne cauo ſra le man bianche,
     Ne la piaga n’ inſuſe, e ne diſtefe
     E pel petto e pel ventre, e fin’a lanche
     E ſu di tal virtú queſto liquore
     Ch ſtagno il ſangue, e gli torno il vigor.

[25]
E gli die ſorza che potè ſalire
     Sopra il cauallo che’l paſtor conduſſe:
     Non perho volſe indi Medor partire
     Prima ch’in terra il ſuo Signor non ſuſſe
     E Cloridan col Re ſé ſepelire:
     E poi doue a lei piacque ſi riduſſe,
     Et ella per pietá ne l’humil caſe
     Del corteſe paſtor ſeco rimaſe.

[26]
Ne ſin che noi tornaſſe in ſanitade
     Volea partir: coſi di lui ſé ſtima,
     Tanto ſé inteneri de la pietade
     Ch n’hebbe eòe in terra il vide prima,
     Poi viſtone i coſtumi e la beltade
     Roder ſi ſenti il cor d’ aſcoſa lima
     Roder ſi ſenti il core, e a poco a poco
     Tutto infiamato d’amorofo fuoco.

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[27]
Staua il Paſtore in assai buona e bella
     Stanza, nel boſco inſra duo mòti piatta:
     Co la moglie e co i ſigli: & hauea quella
     Tutta di nuouo, e poco inanzi fatta,
     Quiui a Medoro ſu per la Donzella
     La piaga in breue a fallita ritratta,
     Ma in minor tempo ſi ſenti maggiore
     Piaga di queſta hauere ella nel core.

[28]
Affai piú larga piaga, e piú profonda
     Nel cor ſenti da non veduto ſtrale:
     Che da begliocchi, e da la teſta bionda
     Di Medoro, attento l’Arder e’ ha l’ale.
     Arder ſi ſente, e ſempre il fuoco abonda
     E piú cura l’altrui che’l proprio male,
     Di ſé non cura, e non e ad altro intenta
     Ch’a iif.in.it chi lei fere e tormenta.

[29]
La ſua piaga piú s’ apre, e piú incnidiſce,
     Quanto piú l’altra ſi riſtringe e ſalda.
     Il giouine ſi fatta, ella languiſce
     Di nuoua febbre, hor agghiacciata, hor cak
     Di giorno in giorno in lui beltá fioriſce
     La niiſera ſi ſtrugge, come ſalda
     Strugger di nieue intempeſtiua, ſuole
     Ch’i loco aprico habhia Scopta il Sole,

[30]
Se di diſio non vuol morir biſogna
     Che ſenza indugio ella ſé ſteffa aiti,
     E bè le par che di quel ch’effa agogna
     Non ſia tempo aſpettar ch’altri la’nuiti:
     Dunq3 rotto ogni ſreno di vergogna
     La ligua hebbe no me ch gliocchi arditi
     E di quel colpo domando mercede
     Che ſorſè non ſapendo, eſſo le diede.

[31]
Conte Orlando, o Re di Circaſia
     Voſtra inclyta virtú dite che gioua?
     Voſtro alto honor dite in che pzzo ſia?
     O che merce voſtro ſeruir ritruoua ?
     Moſtratemi vna ſola corteſia
     Ch mai coſtei v’ufaffe, o vecchia o nuoua
     Per ricopéfa e guidardoe e merto
     Di quanto hauete giá per lei foſſerto.

[32]
Oh ſé poteſſi ritornar mai viuo
     Quato ti parria duro o Re Agricae,
     Ch giá moſtro coſtei ſi hauerti a ſchiuo
     Con repulſe crudeli & inhumane,
     Ferrau, o mille altri ch’io non ſcriuo
     C hauete fatto mille pruoue vane
     Per qſta ingrata: quanto aſpro vi ſora
     S’a coſtu’in braccio voi lavedeſſe hora.

[33]
Angelica a Medor la prima roſa
     Coglier laſcio, no anchor tocca inante,
     Ne perſona ſu mai ſi auenturoſa
     1 Ch’in quel giardin poteſſe por le piate,
     Per adombrar per honeſtar la coſa
     Si celebro con cerimonie fante
     11 matrimoio, ch’Auſpice hebbe Amore
     E Pronuba la moglie del Paſtore.

[34]
Ferfi le nozze ſotto all’humil tetto
     Le piú ſolenni che vi potean farſi:
     E piú d’un meſe poi ſtero a diletto
     1 duo tranquilli amanti a ricrearſi,
     Piú lunge non vedea del Giouinetto:
     La Donna, ne di lui potea Cui. uſi
     Ne per mai ſempre pendergli dal collo
     Il ſuo diſir ſentia di lui ſatollo.

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[35]
Se ſtaua all’ombra, o ſé del tetto vſciua
     Hauea di e notte il bel Giouine a lato:
     Matino e ſera hor queſta hor qlla riua,
     Cercado adaua, o qualche verde prato:
     Nel mezo giorno vn’ Antro li copriua
     Forſè nò men di quel comodo e grato
     C’hebber, ſuggendo lacq3, Enea e Dido
     De lor ſecreti teſtimonio ſido.

[36]
Fra piacer tanti, ouunq3 vn’ arbor dritto
     Vedeſſe ombrare o ſonte, oriuo puro
     V hauea ſpillo, o coltel ſubito ſitto,
     Coli ſé v’era alcun ſaſſo men duro,
     Et era ſuori in mille luoghi ſcritto
     E coſi in caſa in altri tanti il muro
     Angelica e Medoro, in varii modi
     Legati inſieme di diuerſi nodi,

[37]
Poi che le parue hauer fatto ſoggiorno
     Quiui piú ch’a baſtanza, ſé diſegno
     Di fare in India del Catai ritorno
     E Medor coronar del ſuo bel regno:
     Portaua al braccio ú cerchio d’Oro adorno
     Di ricche geme, i teſtimonio e ſegno
     Del ben che’l conte Orlando le volea
     E portato gran tempo ve l’hauea.

[38]
Quel dono giá Morgana a Ziliante
     Nel tempo che nel lago aſcoſo il tenne,
     Et eſſo poi ch’al padre Monodante
     Per opra e per virtú d’Orlando, venne
     Lo diede a Orlado: Orládo ch’era amate
     Di porſi al braccio il cerchio d’Or foſtène
     Hauendo diſegnato di donarlo
     Alla Regina ſua di ch’io vi parlo.

[39]
Non per amor del Paladino, quanto
     Perch’era ricco, e d’artificio egregio:
     Caro hauuto l’hauea la Donna tanto
     Che piú nò ſi può hauer coſa di pregio:
     Se lo ſerbo ne l’Iſola del pianto
     Non ſo giá dirui con che priuilegio,
     La doue eſpoſta al marin Moſtro nuda
     Fu da la gente inhoſpitale e cruda.

[40]
Quiui non ſi trouando altra mercede
     Ch’ai buon paſtore & alla moglie deſſi
     Che ſeruiti gl’hauea con ſi gran fede
     Dal di che nel ſuo albergo ſi fur meſſi.
     Leuo dal braccio il cerchio, e gli lo diede
     E volſe per ſuo amor che lo teneſſi
     Indi faliron verſo la montagna
     Che diuide la Francia da la Spagna.

[41]
Dentro a Valenza, o dentro a Barcellona
     Per qualche giorno, hauea pèſato porſi,
     Fin che accadeſſe alcuna naue buona
     Che per leuáte apparecchiaſſe a ſciorſi:
     Videro il mar ſcoprir ſotto a Girona
     Ne lo ſmontar giú de i montani dorſi:
     E corteggiando a man finiſtra il lito
     A Barcellona andar pel camin trito.

[42]
Ma nòvi giuſer prima, ch’huom pazzo
     Giacer trouaro in ſu l’eſtreme arene:
     Che, come porco di loto e di guazzo
     Tutto era brutto e volto, e petto e ſchene:
     Coſtui ſi ſcaglio lor eòe cagnazzo
     Ch’affalir foreſtier ſubito viene:
     E die lor noia, e ſu per far lor ſcorno,
     Ma di Marphiſa a ricontarui torno.

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[43]
Di Marphiſa, d’ Adolfo, d’Aquilante
     Di Griphòe e de glialtri io vi vuo dire,
     Che trauagliati, e con la morte inante
     Mal ſi poteano incótra il mar ſchermire,
     Che ſempre piti ſuperba e piú arrogante
     Creſcea Fortuna le minaccie e l’ire
     E giá durato era tre di lo ſdegno
     Ne di placarfi anchor moſtraua ſegno.

[44]
Cartello e ballador ſpezza e ſraccaſſa
     l’onda nimica e’l veto ognhor piú fiero,
     Se parte ritta il verno pur ne laſſa
     La taglia e dona al mar tutta il nocchiero
     Chi ſta col capo chino in vna carta
     Su la charta appuntando il ſuo ſentiero,
     A lume di lanterna piccolina
     E chi col torchio giú ne la ſentina.

[45]
Vn ſotto poppe, vn’ altro ſotto prora
     Si tiene iii.ui/-i l’horiuol da polue,
     E torna a riuedere ogni mez’ hora
     Quato e giá corſo, & a ch via ſi volue,
     Indi ciaſcun con la ſua charta ſuora
     A meza naue il ſuo parer riſolue,
     La doue a vn tempo i marinari tutti
     Sono a conſiglio dal padron ridutti.

[46]
Chi dice, fopra Limirto venuti
     Siamo p ql ch’io trouo alle ſeccagne,
     Chi di Tripoli appreſſo i farti acuti
     Doue il mar le piú volte i legni ſraglie,
     Chi dice ſiamo in Satalia perduti,
     Percui piú d’ u nocchier ſoſpira e piagne
     Ciaſcun fecondo il parer ſuo argomenta
     Ma tutti vgual timor pme e fgomenta.

[47]
II terzo giorno con maggior diſpetto
     Gli aſſale il vèto, e il mar piú irato ſreme
     E P un ne ſpezza, e portane il Trinchetto
     E’l Timon l’altro, e chi lo volge ífieme:
     Ben e di ſorte e di marmoreo petto
     E piú duro ch’acciar. e’ hora non teme
     Marphira che giá ſu tanto ſicura
     No nego che quel giorno hebbe paura.

[48]
Al monte Sinai ſu peregrino
     A Gallitia pmeſſo, a Cypro, a Roma:
     Al Sepolchro, alla Vergine d’ Hettino
     E ſé celebre luogo altro ſi noma,
     Su’l mare in tanto e ſperto al ciel vicino
     L’afflitto e conquartato legno toma
     Di cui p me trauaglio hauea il Padrone
     Fatto l’arbor tagliar de l’Artimone.

[49]
E colli e carte e ciò che v’ e di graue
     Gitta da prora, e da poppe, e da ſponde:
     E fa tutte ſgombrar camere e giaue
     E dar le ricche merci all’auide onde:
     Altri attende alle trombe, e a tor di naue
     l’acqj Iportue, e il mar nel mar rifonde,
     Soccorre altri in ſentina ouunq3 appare
     Legno da legno hauer ſdrucito il mare.

[50]
Stero in queſto trauaglio, in queſta pena
     Bè qttro giorni, e no hauea piú ſchermo
     E n’hauria hauuto il mar vittoria piena
     Poco piú che’l furor teneſſe fermo:
     Ma diede ſpeme lor d’ aria ſerena
     La diſiata luce di ſanto Hermo,
     Ch’ in prua s’ una cocchina a por ſi venne
     Che piú non v’erano arbori ne antenne.

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[51]
Veduto ſiammeggiar la bella face
     S’ inginocchiare tutti i nauiganti,
     E domandare il mar tranquillo, e pace,
     Co numidi occhi, e con voci tremanti:
     La tempeſta crudel che pertinace
     Fu fin’ allhora, non andò piú inaliti:
     Maeſtro e trauerfia piú non moleſta
     E ſol del mar Tyran Libecchio reſta.

[52]
Queſto reſta fu’l mar tato poſſente
     E da la negra bocca in modo eſhala
     Et e con lui ſi il rapido torrente
     Del agitato mar ch’in fretta cala
     Che porta il legno piú velocemente
     Che pelegrin Falcon mai faceſſe ala,
     Co timor del nocchier, ch’ai ſin di mòdo
     No lo traſporti, o rópa, o cacci al fondo.

[53]
Rimedio a qſto il buò nocchier ritruoua
     Che comanda gittar per poppa ſpere:
     E caluma la gòmona, e fa pruoua
     Di duo terzi del corſo ritenere,
     Queſto coſiglio, e piú l’augurio gioua
     Di chi hauea acceſo in pda le lumiere
     Queſto legno ſaluo che peria ſorſè
     E ſé ch’in alto mar ſicuro corſe.

[54]
Nel golſo di Laiazzo in ver Soria
     Sopra vna gran citta ſi trouo ſorto,
     E ſi vicino al lito che ſcopria
     L’uno e l’altro caſtel che ferra il porto,
     Come il padron s’ accorſe de la via
     Che fatto hauea, ritorno in viſo ſmorto,
     Che ne Porto pigliar quiui volea,
     Ne ſtare in alto, ne ſuggir potea.

[55]
Ne potea ſtare in alto ne ſuggire,
     Che gliarbori e l’antenne hauea perdute
     Eran tauole e traui, pel ferire
     Del mar, ſdrucite macere e sbattute,
     E’l pigliar porto era vn voler morire:
     O perpetuo legarſi in ſeruitute,
     Che riman ſerua ogni perſona o morta,
     Che quiui errore, o ria fortuna porta:

[56]
E’l ſtare in dubbio era con gra periglio
     Che non ſaliſſer genti de la terra:
     Co legni armati, e al ſuo deffon di piglio
     Mal’atto a ſtar fu’l mar no ch’a far guerra
     Mètre il padron nò fa pigliar 9figlio
     Fu domandato da quel d’ Ingilterra
     Chi gli tenea ſi l’animo fuſpefo
     E perche giá non hauea il porto preſo.

[57]
Il padron narro lui, che quella riua
     Tutta, tenean le femine homicide,
     Di quai l’atiqua legge, ognu ch’arriua
     In perpetuo tien ſeruo, o che l’uccide,
     E queſta ſorte ſolamente ſchiua
     Chi nel capo dieci huomini conquide,
     E poi la notte può affaggiar nel letto
     Diece Donzelle con carnai diletto,

[58]
E ſé la prima pruoua gli vien fatta
     E non ſorniſca la feconda poi:
     Egli vien morto, e chi e co lui ſi tratta
     Da zappatore, o da guardian di buoi,
     Se di far l’uno e l’altro e perſona atta
     Impetra libertade a tutti i ſuoi,
     A ſé non giá, ch’a da reſtar marito
     Di diece dóne, elette a ſuo appetito.

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[59]
Non potè vdire Aſtolfo ſenza riſa:
     De la vicina terra il rito ſtrano,
     Soprauien Safonetto, e poi Marphiſa,
     Indi Aquilante, e ſeco il ſuo Germano:
     Il padron parimente lor diuiſa
     La cauſa che dal porto il tien lontano,
     Voglio (dicea) ch inázi il mar m’affoghi
     Ch’io ſenta mai di ſeruitude i gioghi.

[60]
Del parer del padrone, i marinari
     E tutti glialtri nauiganti ſuro,
     Ma Marphiſa e còpagni eran contrari
     Ch piú che l’acque il Iito haucan ſicuro,
     Via piú il vederli intorno’irati i mari
     Che cento mila ſpade era lor duro,
     Parea lor queſto e ciaſcun’ altro loco
     Don’ arme vſar potean da temer poco.

[61]
Rramauano i guerrier venire a proda
     Ma co maggior baldaza il duca Ingleſe,
     Che fa come del corno il rumor s’ oda
     Sgombrar d’ intorno ſi fará il paeſe,
     Pigliare il porto l’una parte loda
     E l’altra il biaſma. e ſono alle conteſe
     Ma la piú ſorte i guiſa il padron ſtringe,
     ch’ai porto ſuo mal grado, il legno ſpige

[62]
C.ia quando prima s’ erano alla viſta
     De la citta crudel fu’l mar ſcoperti,
     Veduto haueano vna galea prouiſta
     Di molta ciurma, e di nochieri eſperti:
     Venire al dritto a ritrouar la triſta
     Naue: confuſa di conſigli incerti:
     Che l’alta prora alle (ila poppe baſſe
     Legado, ſuor de l’empio mar la traſſe:

[63]
Entrar nel porto remorchiádo, e a ſorza
     Di remi, piú che per fauor di vele:
     Perho che l’alternar di poggia e d’orza
     Hauea leuato il vento lor crudele,
     Intanto ripigliar la dura ſcorza
     I cauallieri. e il brando lor fedele,
     Et al padrone, & a ciaſcun che teme
     Non ceſſan dar con lor conſorti ſpeme.

[64]
Fatto e’l porto a ſembianza d’ una Luna
     E gira piú di quattro miglia intorno:
     Seicento paſſi e in bocca, & in ciaſcuna
     Parte, vna rocca ha nel ſinir del corno,
     Non teme alcuno aſſalto di Fortuna
     Se no quado gli vien dal mezo giorno,
     A guiſa di theatro ſé gli ſtende
     La citta a cerco, e verſo il poggio aſcède

[65]
Non ſu quitti ſi toſto il legno ſorto,
     (Giá l’auifo era per tutta la terra)
     Che fur fei mila femine fu’l porto
     Co gliarchi T mano in habito di guerra,
     E per tor de la ſuga ogni conſorto
     Tra l’una rocca e l’altra il mar ſi ferra:
     Da naui e da catene ſu rinchiuſo
     Che tenean ſempre inſtrutte a cotal vſo,

[66]
Vna che d’anni alla Cumea d’Apollo
     Potè vguagliarſi, e alla madre d’ Hettorf
     Fé chiamare il padrone, e domádollo
     Se ſi volean laſciar la vita torre,
     O ſé voleano pur al giogho il collo
     Secondo la coſtuma ſottoporre,
     De gli dua l’uno haueáo a torre, o quiui
     Tutti morire, o rimaner captiui.

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[67]
Glie ver (dicea) ch s’ huom ſi ritrouaſſe
     Tra voi coſi animoſo, e coli ſorte:
     Che contra dieci noſtri huomini oſaſſe
     Prender battaglia, e deſſe lor la morte,
     E far con diece femine baſtaffe ,
     Per vna notte, vſticio di conſorte:
     Egli ſi rimarria principe noſtro,
     E gir voi ne potreſte al camin voſtro.

[68]
E fará in voſtro arbitrio il reſtar ancho
     Vogliate o tutti o parte, ma con patto,
     Che chi vorrá reſtare, e reſtar ſranco:
     Marito ſia per diece femine atto,
     Ma qií il guerrier voſtro poſſa manco
     De i dieci che gli ſia nimici a vn tratto
     O la feconda pruoua no ſorniſca:
     Voglian voi ſiate ſchiaui, egli perifea.

[69]
Doue la vecchia ritrouar timore
     Credea ne i cauallier, trouo baldanza,
     Che ciaſcun ſi tenea tal feritore
     Che ſornir l’uno e l’altro hauea ſperaza:
     Et a Marphiſa Non mancaua il core
     (Ben che mal’atta alla ſecoda danza)
     Ma doue non l’aitaffe la Natura
     Con la ſpada fupplir ſtaua ſicura.

[70]
Al padron ſu commeſſa la riſpoſta
     Prima conchiuſa per cornuti conſiglio,
     C hauea chi lor potria di ſé a lor poſta
     Ne la piazza e nel letto far periglio:
     Leuan l’offefe, & il nocchier s’ accorta
     Getta la ſune e le fa dar di piglio:
     E fa accodare il ponte, onde i guerrieri
     Eſcono armati, e tranno i lor deſtrieri.

[71]
E quindi van per mezo la cittade
     E vi ritruouan le donzelle altiere
     Succinte caualcar per le contrade,
     Et in piazza armeggiar come guerriere,
     Ne calciar quiui ſpron ne cinger ſpade
     Ne coſa d’arme può glihuomini hauere
     Se non dieci alla volta per riſpetto
     De l’antiqua coſtuma ch’io v’ho detto.

[72]
Tutti glialtri alla ſpola, all’aco al ſuſo,
     Al pettine, & all’aſpo ſono intenti:
     Con veſti feminil, che vanno giuſo
     Infin’al pie, che gli fa molli e lenti,
     Si tengono in catena, alcuni ad vſo
     D’ arar la terra, o di guardar gli armenti:
     Son pochi i maſchi: e no ſon ben p mille
     Femine, cento ſra cittadi e ville.

[73]
Volendo torre i cauallieri a ſorte
     Chi di lor debba per comune ſcampo
     l’una decina in piazza porre a morte
     Et poi l’altra ferir ne l’altro campo.
     Non diſegnauan di Marphiſa ſorte
     Stimando che trouar doueſſe inciampo
     Ne la feconda gioſtra de la ſera:
     Ch’ ad hauerne vittoria habil non era.

[74]
Ma con glialtri eſſer volſe ella ſortita,
     Hor fopra lei la ſorte in ſomma cade,
     Ella dicea, prima v’ ho a por la vita
     Che v’habbiate a por voi la libertade,
     Ma qſta ſpada (e lor la ſpada addita
     Che cinta hauea) vi do per ſecurtade
     Ch’io vi feiorro tutti gl’intrichi al modo
     Che ſé Aleſſandro il Gordiano nodo.

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[75]
Non vuo mai piú che foreſtier ſi lagni
     Di queſta terra, ſin che’l mondo dura,
     Coſi diſſe, e no poterò i compagni
     Torle quel che le daua Tua auentura,
     Dúq3, o ch’in tutto perda o lor guadagni
     La liberta, le laſciano la cura,
     Ella di piaſtre giá guernita e maglia
     S’ appreſento nel campo alla battaglia.

[76]
Gira vna piazza al ſommo de la terra
     Di gradi a ſeder atti intorno chiuſa:
     Che ſolaméte a gioſtre, a ſimil guerra,
     A caccie, a lotte, e non ad altro s’ufa:
     Quattro porte ha di brozo onde ſi ferra,
     Quiui la moltitudine confuſa
     De l’armigere femine ſi traſſe,
     E poi ſu detto a Marphiſa ch’entrane.

[77]
Entro Marphiſa s’ un deſtrier leardo
     Tutto ſparfo di macchie e di rotelle,
     Di piccol capo, e d’ animoſo ſguanlo
     D’ andar ſuperbo e di fattezze belle
     Pel maggiore, e piú vago, e piú gagliardo
     Di mille che n’ hauea con briglie e ſelle
     Scelſe in Damaſco, e realmente ornollo
     Et a Marphiſa Norandin donollo.

[78]
Da mezo giorno e da la porta d’ Auſtro
     Entro Marphiſa: e non vi ſlette guari
     Ch’appropiquar e riſonar pel clauſtro
     Vdí ili trombe acuti ſuoni e chiari,
     E vide poi di verſo il ſreddo plauſtro
     Entrar nel campo i dieci ſuoi contrari,
     Il primo cauallier ch’apparue inante
     Di valer tutto il reſto hauea ſembiante,

[79]
Quel véne í piazza fopra u gra deſtriero
     Ch ſuor ch’I ſrote e nel pie dietro máco,
     Era piú che mai corbo oſcuro e nero
     Nel pie e nel capo hauea alcú pelo bianco.
     Del color del cauallo il caualliero
     Veſtito, volea dir, che come manco
     Del chiaro era l’oſcuro, era altretanto
     Il riſo in lui, verſo l’oſcuro pianto.

[80]
Dato che ſu de la battaglia il ſegno
     Noue guerrier l’haſte chinaro a ú tratto
     Ma ql dal nero hebbe il vataggio a ſdegno
     Si ritiro, ne di gioſtrar fece atto,
     Vuol ch’alle leggi inanzi di quel regno
     Ch’alia ſua corteſia ſia contrafatto,
     Si tra da parte: e ſta a veder le pruoue
     Ch’una ſola haſta fará contra a noue.

[81]
Il deſtrier e’ hauea andar trito e ſoaue
     Porto all’incontro la Donzella in fretta,
     Che nel corſo arreſto lancia ſi graue
     Ch quattro huomini hauriao a pea retta
     l’hauea pur dianzi al difmútar di nane
     Per la piú ſalda in molte antenne eletta,
     Il lier ſembiante con ch’ella ſi moſſe
     Mille faccie imbianco, mille cor ſcoſſe.

[82]
Aperſe al primo che trouo ſi il petto
     Che ſora assai che foſſe ſtato nudo,
     Gli paſſo la corazza e il foprapetto:
     Ma prima vii be ferrato e groſſo ſcudo:
     Dietro le ſpalle vn braccio il ferro netto
     Si vide vſcir, tanto ſu il colpo crudo,
     Quel ſitto ne la lancia a dietro laſſa
     E fopra glialtri a tutta briglia paſſa.

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[83]
E diede d’ urto a chi venia fecondo
     Et a chi terzo ſi terribil botta,
     Che rotto ne la ſchena vſcir del mondo
     Fé l’uno e l’altro e de la fella a vn’hotta,
     Si duro ſu P incontro, e di tal pondo
     Si ſtretta inſieme ne venia la ſrotta,
     Ho veduto bombarde a quella guiſa
     Le sqdre aprir ch ſé lo ſtuol Marphiſa.

[84]
Sopra di lei piú lance rotte ſuro,
     Ma tanto a qlli colpi ella ſi moſſe
     Quato nel giuoco de le caccie, vn muro
     Si muoua a colpi de le palle groſſe,
     l’uſbergo ſuo di tempra era ſi duro
     Che non gli potean contra le percoſſe,
     E per incanto, al fuoco del’inſerno
     Cotto: e temprato all’acqj ſu d’Auerno.

[85]
Al ſin del capo il deſtrier tenne e volſe,
     E fermo alquato, e in fretta poi lo ſpinfe
     Incótra glialtri, e ſbarragliolli, e ſciolſe
     E di lor ſangue infin’ all’elſa tinſe:
     All’uno il capo all’altro il braccio tolſe:
     E vn’ altro in guiſa con la ſpada cinſe
     Che’l petto 1 terra andò col capo & abe
     Le braccia, e ! fella il vètre era e le gábe

[86]
Lo parti dico, per dritta miſura
     De le coſte e de l’anche alle confine,
     E lo ſé rimaner meza ſigura
     Qual dinazi all’imagini diuine
     Poſto d’argento, e piú di cera pura
     Son da genti lontane e da vicine,
     Ch’ a ringratiarle e ſciorre il voto vano
     De le domande pie ch’ottenute hanno.

[87]
Ad vno che ſuggia dietro ſi miſe
     Ne ſu a mezo la piazza che lo giunſe,
     E’l capo e’l collo in modo gli diuiſe
     Che medico mai piú non lo raggiunſe,
     In ſomma tutti vn dopo l’altro vcciſe
     O feri ſi, ch’ogni vigor n’ emunſe,
     E ſu ſicura, che leuar di terra
     Mai piú no ſi potrian, per farle guerra.

[88]
Stato era il cauallier ſempre in vn canto
     Che la decina in piazza hauea 9dutta:
     Perho che contra vn ſolo, andar co tato
     Vátaggio, opra gli parue iniqua e brutta
     Hor che per vna man torſi da canto
     Vide ſi toſto la compagna tutta:
     Per dimoſtrar che la tardanza foſſe
     Cortefia ſtata e non timor, ſi moſſe.

[89]
Con man ſé ceno di volere inanti
     Che faceſſe altro, alcuna coſa dire,
     E non penſando in ſi viril ſembianti
     Che s’ haueſſe vna vergine a coprire,
     Le diſſe Caualliero, homai di tanti
     Eſſer dei ſtanco, e’ hai fatto morire
     E s’ io voleſſi piú di quel che fei:
     Stancarti anchor: diſcorteſia farei.

[90]
Che ti ripoſi inſino al giorno nuouo
     E doman torni in campo ti concedo,
     Nò mi ſia honor ſé teco hoggi mi pruouo
     Che trauagliato e laſſo eſſer ti credo,
     Il trauagliare in arme non m’e nuouo
     Ne per ſi poco, alla fatica cedo
     (Diſſe Marphiſa) e ſpero ch’a tuo coſto
     Io -ti faro di qſto aueder toſto.

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[91]
De la corteſe oſſerta ti ringratio
     Ma ripoſare anchor non mi biſogna,
     E ci auanza del giorno tato ſpatio
     Ch’a porlo tutto in otio e purvergogna,
     Riſpoſe il cauallier, fufs’ io ſi ſatio
     D’ognaltra coſa che’l mio core agogna
     Come t’ ho in qſto da fatiar, ma vedi
     Che no ti máchi il di piú che non credi.

[92]
Coſi diſſe egli, e ſé portare in fretta
     Due groſſe lance: anzi due graui atène:
     Et a Marphiſa dar ne ſé l’eletta
     Tolſe l’altra per ſé, ch’indietro venne,
     Giá ſono in punto, & altro non s’ aſpetta
     Ch’un alto ſuon ch lor la gioſtra accéne
     Ecco la terra, e l’aria e il mar rimbòba
     Nel mouer loro al primo ſuon di tròba.

[93]
Trar ſiato, bocca aprir, o battere occhi
     Non ſi vedea de riguardanti alcuno,
     Tanto a mirare a chi la palma tocchi
     Dei duo campioni, intento era ciaſcuno,
     Marphiſa accio che de l’ardo trabocchi
     Si che mai nò ſi leui il Guerrier bruno
     Drizza la lacia, e ilGuerrier bruno ſorte
     Studia nò me, di por Marphiſa a morte.

[94]
Le lande ambe di ſecco e ſuttil falce
     Non di cerro ſembrar graſſo & acerbo,
     Coſi n’andaro in tronchi fin’ al calce,
     E l’incontro a i deſtrier ſu ſi ſuperbo
     Che parimente parue da una falce
     De le gambe eſſer lor troco ogni nerbo,
     Cadero ambi vgualmete, ma i campioni
     Fur preſti a disbrigarti da gli arcioni.

[95]
A mille cauallieri alla ſua vita
     Al primo incontro hauea la fella tolta
     Marphiſa, & ella mai non n’era vſcita
     E n’ufei (come vdite) a queſta volta,
     Del caſo ſtrano nò pur ſbigottita
     Ma quaſi ſu per rimanerne ſtolta,
     Parue ancho ſtrano al cauallier dal nero
     Che non ſolea cader giá di leggiero.

[96]
Tocca hauean nel cader la terra a pena
     Che ſuro in piedi, e rinouar l’aſſalto,
     Tagli e punte a furor quiui ſi mena
     Quiui ripara hor ſcudo hor lama hor fallo,
     Vada la botta vota, o vada piena
     L’aria ne ſtride, e ne riſuona in alto.
     Quelli elmi, qlli vſberghi, quelli feudi
     Moſtrar ch’erano ſaldi piú ch’incudi.

[97]
Se de l’aſpra Dòzella il braccio e graue
     Ne quel del Cauallier nimico e lieue,
     Bé la miſura vgual I’ un da l’altro haue
     Quanto apunto l’un da tanto riceue,
     Chi voi due ſiere audaci anime braue
     Cercar, piú la di queſte due non deue,
     Ne cercar piú deſtrezza ne piú poſſa
     Ch n’han tra lor <J}to piú hauer ſi poſſa.

[98]
Le done che gran pezzo mirato hanno
     Continuar tante percoſſe horrende,
     E che ne i cauallier ſegno d’affanno
     E di ſtachezza anchor non ſi Còprende,
     De i duo miglior guerrier lode lor dano
     Ch ſien tra (feto il mar ſua braccia eſtéde
     Par lor che ſé non foſſer piú che ſorti
     Eſſer dourian ſol del trauaglio morti.

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[99]
Ragionando tra ſé, dicea Marphiſa,
     Buon ſu per me che coſtui non ſi moſſe,
     Ch’andaua a riſco di reſtarne vcciſa
     Se dianzi ſtato co i compagni foſſe,
     Quado io mi truouo a pena a qſta guiſa
     Di potergli ſtar contra alle percoſſe,
     Coſi dice Marphiſa, e tutta volta
     Non reſta di menar la ſpada in volta.

[100]
Buon ſu p me (dicea qll’altro anchora)
     Che ripoſar coſtui non ho laſciato,
     Difender me ne poſſo a fatica hora
     Che de la prima pugna e trauagliato,
     Se fin’ al nuouo di facea dimora
     A ripigliar vigor, che faria ſtato?
     Vètura hebbi io quáto piú poſſa hauerſi
     Che nò voleſſe tor quel ch’io gli offerii .

[101]
La battaglia duro fin’ alla ſera
     Ne chi haueſſe acho il meglio era paleſe:
     Ne l’un ne l’altro piú ſenza lumiera
     Saputo hauria come ſchiuar l’offefe,
     Giunta la notte, all’inclyta Guerriera
     Fu primo a dir il cauallier corteſe,
     Che faren poi che con vgual Fortuna
     N’ha fopragiunti la notte importuna?

[102]
Meglio mi par che’l viuer tuo prologhi
     Almeno inſino a tanto che s’aggiorni,
     Io non poſſo còcederti che aggiunghi
     Fuor ch’uá notte picciola a i tua giorni:
     E di ciò ch no glihabbi hauer piú lughi
     La colpa fopra me non vuo che torni,
     Torni pur fopra alla ſpietata legge
     Del feſſo feminil che’l loco regge.

[103]
Se di te duolmi, e di queſt’ altri tuoi
     Lo fa colui che nulla coſa ha oſcura,
     Con tuoi copagni ſtar meco tu puoi
     Con altri non haurai ſtanza ſicura.
     Perche la turba, a cu’i mariti ſuoi
     Hoggi vcciſi hai, giá contra te cògiura,
     Ciaſcun di qſti a cui dato hai la morte
     Era di diece femine conſorte.

[104]
Dal danno e’ han da te riceuut’ hoggi
     Diſian nouanta femine vendetta,
     Si che ſé meco ad albergar non poggi
     Queſta notte aſſalito eſſer t’ aſpetta,
     Diſſe Marphiſa, accetto che m’alloggi
     Con ſicurta, che non ſia men perfetta,
     In te la fede, e la bontá del core
     Che ſia l’ardire, e il corporal valore.

[105]
Ma ch t’increfea ch m’habbi advecidere
     Bè ti può increſcere ancho del cotrario,
     Fin qui non credo che l’habbi da ridere
     Per ch’io ſia men di te duro auuerſario,
     O la pugna ſeguir vogli, o diuidere
     O farla all’uno o all’altro luminario
     Ad ogni cenno pronta tu m’haurai
     E come, & ogni volta che vorrai.

[106]
Coſi ſu differita la tenzone
     Fin ch diGage vſciſſe il nuouo Albore,
     E ſi reſto ſenza concluſione
     Chi d’effi duo guerrier foſſe il migliore,
     Ad Aquilante venne, & a Griphone
     E coſi a glialtri il liberal Signore,
     E li prego, che fin’ al nuouo giorno
     Piaceſſe lor di far ſeco ſoggiorno.

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[107]
Tener lo’nuito ſenza alcun ſoſpetto,
     Indi a ſplendor de bianchi torchi ardéti,
     Tutti ſaliro ou’ era vn real tetto
     Diſtinto in molti adorni alloggiamenti,
     Stupefatti al leuarſi de l’elmetto
     Mirandoli reſtaro i combattenti,
     Che’l Cauallier (p quāto apparea ſuora)
     Non eccedeua i diciotto anni anchora.

[108]
Si marauiglia la Donzella come
     In arme tanto vn giouinetto vaglia,
     Si marauiglia l’altro, ch’alle chiome
     S’auede con chi hauea fatto battaglia,
     E ſi domandan l’un con l’altro il nome
     E tal debito toſto ſi raggualia
     Ma come ſi nomaffe il giouinetto
     Ne l’altro canto ad aſcoltar v’aſpetto.