Orlandino (Folengo)/Capitolo ottavo

Capitolo ottavo

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Capitolo settimo Carmen eiusdem autoris ad Paulum Ursinum

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CAPITOLO OTTAVO


1
L’istoria del beato Griffarosto
che per domenticanza ne la penna
rimasta mi era, or la mia Musa tosto
di lui cantando carca su l’antenna;
Musa che, accortamente dal proposto
cadendo, mentre dir Orlando accenna,
un vento par che dal culino vaso
minaccia le calcagna e dá nel naso.
2
E cosí advenerammi finalmente
quello che ad un pittor di villa occorre,
che, un santo Giorgio armato col serpente
pingendo, vòl sembrarlo al fort’Ettorre:
al fin si scopre un mastro cavadente,
che tutte le cittá pel mondo scorre
s’una mulazza vecchia con le cure
da guarir piaghe e mille altre rotture.
3
Io dunque d’Orlandino canto poco
e molto piango de l’altar di Cristo;
io fingermi «pitocco» movo a gioco
e del fallir de’ chierici m’attristo;
di for Cerere e Bacco, dentro invoco
lo mio Iesú, che faccia omai sia visto
sott’ombra spesso del nobil vangelo
regnar Satán d’un cherubin col pelo.

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4
Fu in Sutri un gran prelato molto grasso,
o fusse abbate o qualche altro vicaro:
cascavali la panza fin da basso,
ch’un porco tal non vide mai Gennaro;
per non sleguarsi andava passo passo
a la taverna spesso, al tempio raro;
e questo gli accascava perché sempre
ieiunium praedicabat pieno ventre.
5
Rassimigliava propriamente un bove
che, tolto da l’aratro e in stalla chiuso,
convien ch’ivi s’ ingrasse e si rinnove,
per uscir poscia d’uno in l’altro buso;
tu ’l vedi che a fatica il passo move,
cascandogli ’l mentozzo in terra giuso,
quando vien tratto al banco del beccaio,
venduto a quattro libre per denaio.
6
Ma quel poltrone manco assai valea
d’un bove, onde guadagnasi la pelle.
Quando a scarcar il ventre si sedea,
sentivasi tonar le sue budelle
con quella tempesta che vide Enea
portato su da lei fin a le stelle;
e se ambracane e muschio fusse stato,
oh d’ambracane e muschio gran mercato!
7
Mille ducati avea costui d’entrata,
ch’andavan tutti drieto per l’uscita,
dico nel cacatoio, perché grata
fu sempre a lui di crapular la vita.
Carne di porco e caole con l’agliata,
trippe, pancette e broda ben condita
di sale e specie, d’intestine e lardo,
erano il suo devoto san Bernardo.

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8
Non cosí tosto qualche bon boccone
in piazza comparea di pesce o carne,
che ’l padre santo, in guisa di falcone
lo qual giú a piombo vien viste le starne,
davagli d’ongie tal, che le persone
di Sutri non potean oncia mangiarne,
mercé che ’l Griffo tutti li rapia
sí ratto come il ciel rapitte Elia.
9
Cingevasi di sotto al scapularo
(né senza questo può salvarsi un frate)
una gaioffa e di braghesse un paro,
che sempre fûrno il suo fidel Acate.
Né mai gli calse d’altro secretaro
in cui le cose sue fusser corcate,
non dico breviari, non messali,
nec librum de peccato originali;
10
ma sempre o qualche lonza o scannatura
o lombo o testa o petto di vitello;
poi d’altre mille cose di mistura
in quel suo gran tascone fea rastello:
uova, butirro, lardo, e di verdura
lattuche, biete, caole, petrosello;
e cosí carco di tal libraria,
dicea non esser altra teologia.
11
Era bon mastro in arte coquinaria,
avendo in questo un’ampia biblioteca,
di varie lingue multa commentaria:
non l’arabesca, ebraica, non la greca,
non la toscana, dico, temeraria
(ché a grande sua superbia oggi s’arreca
equarsi a la romana, e tanto sale
che assai Francesco piú che Tullio vale);

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12
ma l’arciprete santo avea di lingue
sempre di porco e manzo grande copia;
e benché il lungo studio, il qual estingue
lo bel color e fa di sangue inopia,
l’avea condutto a tal ch’un ciacco pingue
parea quando di giande pieno scopia,
pur sempre conservossi, ogni mattina
pigliando un buon cappon per medicina.
13
Or dunque Orlando un giorno per ventura
comprar lo vede in piazza un sturione,
intorno a cui de gente gran strettura
vi era per tôrne ognun qualche boccone;
ma il padre santo a quella criatura
ch’ancor viveva, ebbe compassione
di non veder smembrarla, e cosí integro
comprandolo si parte molto allegro.
14
Cacciato si l’avea ne la bisacca,
ove mill’altre cose occulte stanno;
vagli Orlandino drieto con la sacca
da bono e vigilante saccomanno;
ché per nudrir sua madre non si stracca
far ogni giorno a qualche ricco danno;
piglialo ascosamente ne la toga:
— Sète voi — dice — l’Arcisinagoga?
15
La Reverenzia Vostra non si parta;
statemi alquanto, prego, ad ascoltare.
Nimis sollicita es, o Marta, Marta,
circa substantiam Christi devorare.
Dammi, poltron, quel pesce, ch’io ’l disquarta
per poterlo in communi dispensare,
nassa d’anguille che tu sei, lurcone! —
e ciò dicendo, dálli col bastone.

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16
— Non ti vergogni, sacco di letame,
mangiar sol tu quel ch’ad un popol tocca?
Non sei tu causa de la nostra fame,
ché tutto ’l mare va per la tua bocca?
E pur d’un scappuccin sotto ’l velame
tu cerchi fra la gente vil e sciocca
mostrarti santo e dir quod in tonsura
salvatur tandem omnis creatura?
17
Ed io t’annuncio quod tonsura molti
ha ricondutto al lazzo de la gola,
perché a tondar dinari son accolti
sotterra de ladroni in qualche scola!
Porcazzo che tu sei, c’hai quattro volti,
e il lardo giú dal culo sí ti scola,
or come soffri poi di carne il moto,
tu che di castitade hai fatto voto?
18
Lascia quell’infelice creatura,
c’hai presa per vorarla in un boccone!
Dimmi, li santi padri tal pastura
mangiaron forse? o fecer con ragione
quel si ricerca al manto, a la tonsura,
al fiocco, al scapolare ed al cordone?
Falliron elli mai lo esterno manto
col viver parassito e finger santo? —
19
Cotal parole usava un dongelletto
contra un prelato grave ed attempato;
e giá sí pel rubor sí perché astretto
era di comprar legna a bon mercato,
lasciagli la gaioffa e dal conspetto
del volgo ch’ivi corre si è celato:
prende Orlandino quel breviario e scampa,
ch’altro non fu giammai di meglior stampa.

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20
Vola per la cittá la fama, il grido,
che l’arciprete ha perso l’Instituta
con altri libri posti in loco fido
d’un suo carnero, andando ad un’arguta
disputa fatta in capite: «Divido
sanguinem Christi», dove si confúta
l’error de’ stoici, e provasi Epicuro
esser in domo Dei via piú sicuro.
21
Rainer similemente, che signore
stava de la cittade al reggimento,
ode che ’l venerabil monsignore
di mal di gola perso avea l’unguento;
poi de la vita lui tutto ’l tenore
viengli narrato, ed ébbene tormento;
perché di Cristo il patrimonio vede
sovente in man di chi oncia in Dio non crede.
22
— I’ non mi maraviglio — disse allora —
se scandalo patiscono gli agnelli
e se vanno le gregge a la malora
sotto alcun lupi, di pietá rubelli;
ma voglio provvedervi ad ora ad ora.
Tosto, che quel priore qui s’appelli! —
al cui fiero precetto il cavalliero
con la sbirraglia corse al monastero.
23
Tranno quel mostro orrendo for di tana
e l’han condutto di Rainer al seggio.
Corresi per mirar la bestia strana,
cui di grassezza un bue non ha pareggio;
ciascun si stoppa il naso a la profana
puzza di vino, di sudore e peggio;
chi ’l chiama porco, chi Sileno e Bacco,
chi bottaglion, chi di letame un sacco.

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24
— Trativi avanti — disse a lui Rainero, —
uomo di Dio, santissimo profeta:
del spirito divino ogni mistero
so che intendeti e di ciascun pianeta,
la libertade ancor, ch’ebbe san Piero,
libertá grande, ma poca moneta;
trativi, dico, innanzi, padre santo,
ché d’un mio caso ho da parlarvi alquanto.
25
So che sapete ancora quanta tripa
richiede il vostro armario di brotaglie,
ove piú carne e pesce si discipa
che non han frondi tutte le boscaglie;
né tanta rena in lido al mar si stipa,
quanto voi consumate tordi e quaglie:
però vi onoro qui né piú né meno
d’un animal d’urina e fezza pieno.
26
Non hai tu, tripponazzo, alcun rubore
scoprirti a gli occhi mai d’uomo vivente?
parti ch’eletto sei d’esser pastore
de la greggia di Cristo per niente?
Peggio di te mai Giuda il traditore
non fe’ vendendo il Mastro suo clemente;
né Caifa né Anna né Pilato, Erode;
ché per te Pluto di tant’alme gode.
27
Parti che i Benedetti, Antoni e Pavoli
dieder cotal’avvisi ai soi soggetti?
Mangiavan cardi, fabe, lenti e cavoli
per darli assai piú esempi che precetti,
acciò schivar sapessero de’ diavoli
le frode tante e riti maladetti:
dormivan su l’arena e freddi marmi,
cantando giorno e notte i santi carmi.

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28
Stavan occulti ne’ lor chiostri e queti,
for de le piazze e dal vulgo luntani;
benigni a’ viandanti e mansueti,
lavando i piedi lor non che le mani;
e quando uscir volean de’ soi pareti
per gir altrove per montagne o piani,
un bastoncello, o sia caval di legno,
era de la vecchiezza lor sostegno.
29
Ma quelle sue radici e succo d’erbe
son oggidí cangiati in tordi e starne;
e le lor giande, more e fraghe acerbe
son ora per miracol fatte carne;
e le paglie de’ letti giá in superbe
coltrine e piume; e quelle facce scarne
pigliato han volti grassi di tre gole,
col color stesso quando spunta il sole.
30
Lor verghe e bastoncelli, per miracoli
di santi d’oggi, sono be’ destrieri;
le celle di cannuzze e gli cenacoli
pigliato han forma de palazzi alteri;
e molte oggi badie son recettacoli
di lorde putte, cani e sparavieri.
O stolti, pazzi, sciocchi e forsennati,
che ’l vostro aver lasciati a’ preti o frati!
31
Qual impietade usar si può maggiore
che tôr a’ soi la facultá per darla
a chi con le campane fan rumore
di notte, e poscia in chiesa un solo parla?
Dico quelli che povertá di fore
mostran al vulgo e tendon a lodarla,
per adescar sott’ombra del capuzzo
la scardovella e guadagnar il luzzo. —

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32
Queste parole ed altre colme d’ira
dicea Rainero contra ogni ragione;
perché qualunque nel parlar s’adira,
convien che ’l sentimento l’abbandone:
ma spesso accade ch’un signor delira,
parlando de la chiesa, a passione,
parendo lor (e pur han torto grande!)
pasto de’ frati esser le fabe o giande.
33
Risponde allor l’abbate: — Alto signore,
con sopportazion vi parlo schietto;
ecclesia Dei non facit mai errore,
non so se in Tullio voi l’avete letto;
ed Aristotel, ch’è commentatore
oggi al Vangelo sol, dice in effetto
quod merum laicus non det iudicare
clericam preti et fratris scapulare.
34
Ed una chiosa canta, quod prelatum
non est subiectus legi Constantina,
affirmans eo quod nullum peccatum
accidit in persona et re divina.
Et hoc deinceps fuit roboratum
in capite: «Ne agro» a Clementina.
Et princeps, qui de ecclesia se impazzabit,
scomunicatus cito publicabit.
35
Ed anco Thomas dice a la seconda
distinzion, capitol Quo di sopra,
quod unde Spirtus Sanctus si profonda,
possibile non est che mal si scopra.
Per me, signor, non voglio che s’asconda
il viver mio in visu, verbo et opra,
quando che ’l Salvatore ci ammaestra,
parlando a tutti, luceat lux vestra.

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36
Mirate com’io porto la camisa
di lana su la carne, e non di tela;
cotal cilicio solamente avvisa
s’io vada con mirabile cautela.
Mirate ancor piú sotto! — Allor la risa
prese Rainer; ché ’l padre gli revela
le cose sue, cribrando la scrittura
meglio del Cardinal Bonaventura.
37
Rumpelo al mezzo del sermone, e dice:
Vos estis doctus piú che non credea;
però cesso incusarvi; ché non lice
parlar de’ santi a chi è de gente rea.
Oh dunque sotto ’l ciel sorte felice
di voi prelati, qui sub diva Astrea
puniri non potestis d’alcun male;
ché ’l mal e ben in voi è ben eguale!
38
Ma perché sète un spirito devino,
qual piú non ebbe (oh voglio dir!) Platone,
cerco saper da voi, quant’è vicino
lo ciel da terra in ogni regione,
dico l’empireo sopra ’l cristallino.
Vostra Excellenzia intenda il mio sermone!
Oltra di questo, dite, giustamente,
quanto è da l’oriente a l’occidente.
39
Due cose giunte a queste intender anco
desidro, monsignore Griffarosto:
dite, piacendo a voi, né piú né manco:
quante son gozze d’acqua, c’ha l’angosto
mar Adriano insin al lido franco,
pigliando il greco col Tirreno accosto?
Ultimamente, bon servo di Dio,
vorrei saper qual or è il pensier mio.

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40
E se di queste quattro dubitanze
mi soglierete presto giustamente,
vinti scodelle di busecche e panze
giuro farvi mangiar incontinente.
Ma se con sillogismi ed altre zanze
sofisticar vorrete la mia mente
né rendermi ragion che sia probabile,
vi trattarò da un asin venerabile.
41
Tornate al monastero; ch’io v’assegno
tutta la notte e il giorno a su pensarvi;
assottigliate bene il vostro ingegno,
se ’l vi cale di trippe caricarvi
e non urtar le spalle in qualche legno,
che faccia la pignata smenticarvi;
oltra di ciò, se non la indovinate,
voi non sarete piú messer lo abbate. —
42
Trasse un sospiro tale monsignore,
ch’una correggia si allentò per caso
d’un cotal bombo, d’un cotal odore,
ch’altri l’orecchia, altri s’ottura il naso.
Partesi di vergogna con dolore,
pensando pur se in Scoto o san Tommaso
lo coco suo trovar sapesse forse
quattro dimande stranamente occorse.
43
Nave non stette mai sí sopra porto,
come correa costui sovra pensiero;
e se ’l si vide mai volar un morto,
videsi allor, benché fusse leggiero
ben trenta pesi e men lungo che corto,
fin che pervenne al quondam monastero,
entro del qual par anco si discerna,
fuisse claustrum quod nunc est taberna.

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44
Aveva dunque un coco non men grasso
di sé, che tutto quanto l’assembrava;
trovalo ch’in coquina un gran conquasso
facea, mentre l’agliata vi pestava;
ed un gobbetto ancor sedeva basso
ch’in speto un mezzo porco rivoltava.
Quando ’l coco venir appresso il vede,
non creder ch’onorarlo surga in piede;
45
ma gli comanda che ’l scolato lardo
tenda a buttar sovente su lo rosto.
Ma quello che nel core porta il dardo,
al coco audace nulla ebbe risposto;
ma solamente diede un schivo sguardo
a le pignate, e via si tolse tosto,
entrando in un suo studio e fido loco,
dove seguillo prestamente il coco.
46
Né Cosmo né Lorenzo fiorentino
de’ Medici mai fece libraria
simil a questa, ove ’l spirto devino
tenea libri assai di teologia.
Pendon al lato destro ed al mancino
di greco, còrso e varia malvasia
barili, fiaschi ed altri vasi assai,
ché in cotal libri studia sempre mai.
47
Lucaniche, salcizze e mortadelle,
persutti, lingue e libri de piú sorte,
bronzi, pignate, speti con padelle,
carneri, sacchi, ceste, conche, sporte,
piatti, catini e mill’altre novelle,
per ordine qui tengon la sua corte,
fra’ quali sempre studia e star gli giova;
ché altro diletto, ch’imparar, non trova.

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48
Or quivi giunto, ad un altar secreto
devotamente piega lo ginocchio;
e con caldi sospiri avanti e dreto
quinci le braghe, quindi exala l’occhio.
Un Bacco grasso, rubicondo e lieto,
che giace sopra un strato di fenocchio
e d’un bottazzo fassi cavezzale,
era di santi soi lo principale.
49
Né altra Pietade né altro Crucifisso
tien su l’altare a far orazione;
Bacco sol è, che ad un parete fisso
doi cherubini arrecasi al gallone,
cioè ’l boccal dal vino e quel dal pisso,
ché quando l’uno piglia, l’altro pone;
e cosí tutta notte il padre santo
ne orina un fiasco, e beve un altro tanto.
50
Entrando il coco, a lui disse: — Volete
cenar, o monsignor? che ’l rosto è cotto:
ma voi, s’io ben contemplo il volto, sète
sopra voi stesso e d’animo corrotto.
Forse, patron, vi stimula la sete?
pigliate un poco questo barilotto! —
e ciò parlando, spiccalo dal muro,
ch’era d’un tribiano antiquo e puro.
51
Prendelo monsignore, e tienlo fermo
levandolo con ambe mani a Bacco:
Pater — dicea, — se non si pò far schermo
di porre il santo calice nel sacco,
ecco la gola pronta, il spirto infermo;
se tal è ’l tuo voler, de lui m’attacco. —
E poscia ch’ebbe orato con tremore,
bevendo si cangiò tutto in sudore.

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52
Or egli dunque, confortato alquanto,
s’asside a ragionar, ché ’l becco è mollo:
— Marcolfo mio — dicea, — non fu mai santo
piú martire di me né piú satollo
di tante pene, affanni e lungo pianto.
Di rumper mi bisogna pur il collo,
se tu, mio bene solo e mio solaccio,
non t’assottigli a trarmi for d’impaccio.
53
Mi tengo aver giá perso la badia,
perché la forza incaga a la ragione;
e sempre usanza fu di tirannia
cercar or quella or questa occasione
di tanto far, che suo quel d’altri sia,
senza ch’abbiasi a noi compassione,
a noi servi di Dio; però ti prego,
aiutami, che sol a te mi piego! —
54
E qui narrògli angosciosamente
le quattro intricatissime dimande.
Rispondegli Marcolfo: — Veramente
dubito, monsignor, che le vivande
nostre sol per invidia de la gente
al fin retorneranno fabe e giande;
o magnum tibi et durum infortunium,
qui quidem nunquam noveris ieiunium! —
55
— Oimè — disse ’l priore, — tu m’uccidi
membrandomi ciò c’ho sempre temuto:
tutti son lazzi, e par che ti diffidi,
Marcolfo mio, prestarmi qualche aiuto;
trammi di man di questi abbaticidi,
tiranni maladetti, e fammi scuto
contra lor fame c’han de’ miei dinari,
che perderemo se non li repari!

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56
— Lasciate a me tal cura — disse il coco —
ch’io voglio far un scorno a quel Rainero;
e condurrò le fraude a cotal gioco,
che lo sturion ne tornará al carnero.
Non voglio dimorar piú in questo loco,
or or mi parto for del monastero;
statene allegro, e non vi date pena,
Gabrino gobbo vi dará da cena. —
57
Partesi dunque mentre che l’abbate
parecchiasi le bolgie per empire;
e mentre si ritrova in libertate,
subitamente corresi guarnire
le vestimenta dal patron usate;
poi cautamente s’ebbe a dipartire;
lo qual si ben ne’ gesti l’imitava,
ch’ognun per monsignore l’appellava.
58
Fra tanto l’arciprete non vaneggia,
anzi pur senza affanno sede a cena;
allentasi dai fianchi la correggia;
ché l’epa vòl sentirsi colma e piena.
Un grande armento e smisurata greggia
empisse a l’anno un cotal orco a pena:
e le piú volte, per star sano, mentre
divora sin a l'ossa, scarca il ventre.
59
Lo gobbo se gli arreca un’ampia supa
di brodo grasso, latesini e panze;
or quivi tutto il mercator si occúpa
empir del magazzen tutte le stanze;
né attende ad altro la discreta lupa
se non che al servitor niente avanze.
«Omnia traham post me», dice ’l Vangelo:
sempre servollo in questo sino un pelo.

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60
Era giá il coco giunto al gran palazzo
e di parlare col signor dimanda.
Incontinente scendegli un ragazzo,
che l’introduce ratto in quella banda,
ove dovea cavarsi for d’impazzo
de la diversa ed ardua dimanda.
Quivi trova Rainer con molta gente,
che a man il prese molto allegramente.
61
— Avete — disse — monsignor mio bono,
pensato ben su le richieste nostre?
— Pensai — rispose il coco; — e quivi sono
venuto, acciò ch’al popolo si mostre
ch’io merto esser ornato d’altro dono,
che trangiotir quelle busecche vostre,
le quali oggi voi laici giudicate
esser il studio d’ogni prete e frate.
62
E pur, se non in tutto, in parte almanco,
signor mio saggio, v’ingannate certo;
perché voi sempre il negro dite bianco
e il bianco esser il negro, ab inexperto;
non date orecchia, prego, al volgo, manco
d’ogni giudicio, ruinoso, incerto:
or che farebbe, s’intendesse poi
esser in stalla piú asini che boi?
63
Ma per non vi parer un temerario,
volendo qui lodar il stato nostro,
ché, benché morti sian Paolo e Macario,
pur anco stan depinti intorno il chiostro,
mi volgo ad altro dir; ché necessario
mi veggio piú circa l’enigma vostro,
che, se né Sfinge o Edipo torna in terra,
possia morir, se dramma lo disserra.

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64
Oggi voi mi faceste il primo assalto,
ch’io narri quanto ’l ciel da terra dista:
presto rispondo che gli è sol un salto,
provandol senza il «probo» del scotista:
lo diavolo cascando giá giú d’alto,
quando privollo Dio de l’alma vista,
senza de tanti astrologhi la cura,
vi tolse giustamente la misura. —
65
Maravigliossi a l’ottima risposta
d’un capo di lasagne il pro’ Rainero:
— A la seconda — disse — senza sosta;
ché perder la badia qui fa mistero. —
Risponde il coco: — E questa anco risposta
tenemo, e risoluta, nel carnero:
perché da l’oriente a l’occidente
una giornata fa, se ’l sol non mente.
66
Quanto a la terza ambigua dimanda,
ch’è di saper quant’acque sian in mare,
rispondo che, se ai fiumi si comanda
con lui non debbian l’onde sue meschiare,
voglio ch’in polve il corpo mio si spanda
se, quante gozze son, non so contare;
perché come potrei tôrvi misura,
senza levar de’ fiumi la mistura? —
67
Or tacito Rainer per maraviglia
parea co’ circonstanti esser di legno:
stringe la bocca e caccia su le ciglia,
e giá vagli fallito il suo disegno.
— La Vostra Signoria se maraviglia,
— parla Marcolfo — un porco aver ingegno,
e questo accade, perché v’ingannate,
pensando quel ch’è coco esser l’abbate.

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68
Ed ecco vi risoglio qui la quarta
richiesta, ch’era a dir lo pensier vostro:
quest’ultima che piú dolosa ed arta
credeste, or la piú facile vi mostro:
ciascun de voi, signori, non si parta
fin che chiaro v’appaia il stato nostro:
voi, dico, immaginate senza gioco
ch’io sia ’l priore, e so ch’io son il coco.
69
Mirati dunque a quello che pensate:
l’enigma vostro liquefatto giace! —
Rainer confuso disse: — In veritate
che piú Schiumi-pignatte non mi piace;
anzi sarai tu solamente abbate,
quell’altro sará il coco, diasi pace! —
E cosí senza indugio al suo precetto
un cambio tal mandato fu ad effetto.
70
— Veggio or — dicea — che non secondo il merito
vien dispensato il ben ecclesiastico,
per cui Lorenzo un sí crudel interito
ebbe col suo, non col corpo fantastico;
onde de’ mali chierci per demerito
difficilmente il duro freno mastico
a creder che con l’arte aristotelica
si debbia predicare l’evangelica. —
71
Cotal parole un vescovo presente
avendo a sdegno, e ch’un soldato ignaro
del stato ecclesiastico clemente
fusse cosí mordace e temeraro,
che lo biasmasse fra cotanta gente
per colpa sol del nuovo coquinaro,
disse: — Signor, s’io son peripatetico,
piú vaglio almen d’un borgognon eretico! —

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72
Cosí parlando, il volto, che fu rosso
prima di vino, venne bianco d’ira.
Rainer si volse a lui tutto commosso
e quasi di vagina il stocco tira.
Lo vescovo temendo si è rimosso
dal vento che ’n suo danno pronto mira;
volse partirsi: ma Rainer, al core
tornato, disse: — Or stati, monsignore.
73
Eretico non son, come in presenza
del popol mi chiamate in mia vergogna:
ma forse l’alta Vostra Reverenza
mi crede esser un bravo di Sansogna,
lo qual a Roma faccia violenza;
e pur Ella fallisce, ché Borgogna
men crede ed al tedesco ed a l’ispano,
ed al francese vesco ch’al romano.
74
Ben meglio credo in l’alta Trinitade,
Padre, Figliolo e insieme Spirto Santo;
e credo di Maria l’integritade,
poi che di carne in lei Dio prese il manto;
credo ne la mirabil potestade
da Dio concessa a l’uomo, per cui vanto
darsi egli pò, se fusse ben nefario,
non esser Dio, ma sol di Dio vicario.
75
Credo che ’l bon Iesú facesse prima
quello che venne predicar in terra:
credo che ’l suo coltello in ogni clima
venesse porre al mondo pace e guerra:
credo che d’un rubaldo una lagrima
dal cor, lo inferno chiude e il ciel disserra:
credo che del Vangelo il saldo piede
altro non sia, salvo la mera fede.

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76
Credo ch’Egli perfettamente bello
portassi barba e gran capellatura:
credo che ’l sparso sangue de l’Agnello
in croce terminasse ogni figura,
donde cred’io ch’uguali ad un pennello
sian quei da’ crini e quei da la tonsura:
ben credo che sol chierci fusser quelli,
che sempre eran a l’opre sue rubelli.
77
Cred’anco che, ad istanzia d’un malegno
pontifice de l’anno e farisei,
Pilato l’inchiodasse al crudo legno
con tanto scorno fra doi ladri rei.
Io credo ch’ivi a noi lasciasse un pegno
ed una tal memoria, che per lei
si cognoscesse a noi placato il cielo,
levando giú da gli occhi a Mòise il velo.
78
Parlo de la sua cruda passione
e del mirabil dono di sua carne;
la qual mangiando, tutte le persone
lascian l’antique coturnici e starne.
Credo che ’l bon Iesú per guiderdone
non voglia torti colli e facce scarne,
ma sol il cor; e cosí tengo e creggio:
se questo è mal, non parlo, ma vaneggio.
79
Credo che sia l’inferno e purgatorio
in altro mondo, e in questo il provo ancora;
onde con Paolo apostolo mi glorio
esser d’acerbi casi tratto fora
non giá col mio, ma sol col suo adiutorio,
lo qual grida con voce alta e sonora
pericoli nei monti e tempestati,
pericoli nel mar, e falsi frati.

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80
Credo veder in carne il Salvatore
e spero gioir sempre di sua vista.
Creder di questo piú non ho valore:
aiutami tu, vescovo albertista,
col figlio di Nicomaco, dottore
oggi allegato in chiesa dal tomista,
senza la metafisica del quale
quel primum verbum Dei starebbe male.
81
Credo che un laico peccator si mende;
un chierico non mai; tal è, che ’l mostra,
dico li rei; fors’è che non m’intende,
e in domo Dei giá invitami a la giostra.
Pian, piano, prego; ché qui non si vende,
boni servi di Dio, la fama vostra;
anzi vi onoro come grati a Dio
e cangiarei col vostro l'esser mio.
82
Non dico il scapuccino, non la soga,
non le gallozze, la coculla, il floco:
so ben che superstizia non v’affoga
in creder che pietade vi aggia loco.
Protesto a tutti, che non si deròga
a onor di frate alcuno sin al coco;
ma sol mi volgo ai lupi e mercenari,
larghi nel comandar, nel far avari. —
83
Allor il vesco, che per bono zelo
in soccorso di Griffarosto venne,
cotal bestemmie sotto ’l bianco pelo
di santa e dritta fede non sostenne;
sgombra la sala presto, e spiega il velo
di collera nel mar su l’alte antenne.
Rainer sen ride e spesso a drieto il chiama,
dicendo: — Cosí fugge chi non ama.

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84
Lo mercenario vede il lupo e scampa,
perché non gli pertene de l’armento. —
Poi, vòlto a gli altri, disse: — Di tal stampa
son tutti, che non stan fermi al cimento,
dovendosi ammortar qualch’empia vampa
d’eretici, perché co’ l’argomento
sol d’Aristotel vogliono provare
quel che con Paolo devono salvare.
85
Sincera, pura, monda, senza macchia
quantunque esser la fede nostra deggia,
nulla di manco un sol error ammacchia
la mente mia che forse non vaneggia.
Non men credo al garrir d’una cornacchia
che al predicar d’un frate, il qual dardeggia
da’ pulpiti chimere, sogni e folle,
che né Iesú né Paolo mai pensolle. —
86
Qui narra poi l’autore che Milone
di mezza notte giunse armato in sella;
narra l’amore e gran compassione
ch’ebbe a la moglie, e come poi s’abbella,
trovando un figlio in quella vil magione,
che scorre, guizza, iubila, saltella,
vedendo il padre che menarlo via
quindi promette, e giá prendon la via.
87
Narra lo gran viaggio al mar Euxino,
ove trovò ch’Amone suo fratello,
scampando dal figliolo di Pipino,
condutti avea d’armati un gran drappello,
ed ha con seco il forte Rinaldino,
d’un angioletto piú vivace e bello,
il qual con Orlandin s’accosta, e ’nsieme
fan prove di sua forza molto estreme.

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88
Amon quivi Costanza la regina
ingravidò del gran Guidon selvaggio:
quivi narrò poi cena la ruina
di Chiaramonte, il foco e gran dannaggio,
di Beatrice ancora la rapina,
la morte di Rampallo tanto saggio;
e cosí Amon quel caso lor sponea,
come di Troia fece il grand’Enea.
89
Onde se mai sará chi scriver voglia
diffusamente questo mio compendio,
lo libro di Virgilio avanti toglia,
ove si narra quel troian incendio.
Ho di mangiar che di cantar piú voglia:
però, signori, date il mio stipendio,
il qual sará di laude un sacco pieno;
ed io non mangio laude, quando io ceno!
90
Ben dirvi ancor potrei come Agolante
prese tutta l’Europa, ed in Parigi
di Franza incoronò lo re Barbante,
drizzando Macometto in San Dionigi;
la presa di re Carlo; e come Atlante
tolse for de le cune Malagigi,
e come lo condusse in certe grotte,
e qui l’ammaestrava giorno e notte;
91
e come in Roma il giovenetto Almonte
entrò col gran trionfo di vittoria;
e come né per piano né per monte
non era piú di cristian memoria.
Potrei poscia tornare a Chiaramonte,
che, come di Turpin scrive l’istoria,
dieci anni andò per l’Asia vagabondo
cercando in mar, in terra, tutto ’l mondo.

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92
Potrei scriver ch’Orlando fatto grande
con suo cugin Rinaldo armati insieme
si ritornaro d’Asia in queste bande,
ove con forze smisurate estreme
oprorno sí, che le genti nefande
di Macometto e paganesco seme
cacciaro virilmente, e come al fonte
questo Mambrin, quell’altro ancise Almonte.
93
Ma voglio questa impresa sia d’altrui;
c’ho detto assai, signori, e forse troppo:
date perdon, vi prego, se pur fui
di andata sguerzo e di veduta zoppo:
puotesi mal per luoghi negri e bui
correr di lungo senza qualche intoppo;
donde ne prego Dio che mi sovvegna;
ed a chi mal mi vòl, cancar gli vegna!