Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
154 | orlandino |
52
Or egli dunque, confortato alquanto,
s’asside a ragionar, ché ’l becco è mollo:
— Marcolfo mio — dicea, — non fu mai santo
piú martire di me né piú satollo
di tante pene, affanni e lungo pianto.
Di rumper mi bisogna pur il collo,
se tu, mio bene solo e mio solaccio,
non t’assottigli a trarmi for d’impaccio.
53
Mi tengo aver giá perso la badia,
perché la forza incaga a la ragione;
e sempre usanza fu di tirannia
cercar or quella or questa occasione
di tanto far, che suo quel d’altri sia,
senza ch’abbiasi a noi compassione,
a noi servi di Dio; però ti prego,
aiutami, che sol a te mi piego! —
54
E qui narrògli angosciosamente
le quattro intricatissime dimande.
Rispondegli Marcolfo: — Veramente
dubito, monsignor, che le vivande
nostre sol per invidia de la gente
al fin retorneranno fabe e giande;
o magnum tibi et durum infortunium,
qui quidem nunquam noveris ieiunium! —
55
— Oimè — disse ’l priore, — tu m’uccidi
membrandomi ciò c’ho sempre temuto:
tutti son lazzi, e par che ti diffidi,
Marcolfo mio, prestarmi qualche aiuto;
trammi di man di questi abbaticidi,
tiranni maladetti, e fammi scuto
contra lor fame c’han de’ miei dinari,
che perderemo se non li repari!