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156 orlandino


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Era giá il coco giunto al gran palazzo
e di parlare col signor dimanda.
Incontinente scendegli un ragazzo,
che l’introduce ratto in quella banda,
ove dovea cavarsi for d’impazzo
de la diversa ed ardua dimanda.
Quivi trova Rainer con molta gente,
che a man il prese molto allegramente.
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— Avete — disse — monsignor mio bono,
pensato ben su le richieste nostre?
— Pensai — rispose il coco; — e quivi sono
venuto, acciò ch’al popolo si mostre
ch’io merto esser ornato d’altro dono,
che trangiotir quelle busecche vostre,
le quali oggi voi laici giudicate
esser il studio d’ogni prete e frate.
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E pur, se non in tutto, in parte almanco,
signor mio saggio, v’ingannate certo;
perché voi sempre il negro dite bianco
e il bianco esser il negro, ab inexperto;
non date orecchia, prego, al volgo, manco
d’ogni giudicio, ruinoso, incerto:
or che farebbe, s’intendesse poi
esser in stalla piú asini che boi?
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Ma per non vi parer un temerario,
volendo qui lodar il stato nostro,
ché, benché morti sian Paolo e Macario,
pur anco stan depinti intorno il chiostro,
mi volgo ad altro dir; ché necessario
mi veggio piú circa l’enigma vostro,
che, se né Sfinge o Edipo torna in terra,
possia morir, se dramma lo disserra.