Novelle d'ambo i sessi/La casa delle vecchie
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LA CASA DELLE VECCHIE.
In quale casa siamo mai capitati? Nella dimora delle Parche? Certamente i bimbi ne avranno paura!
Ci avevano ben detto che era una casa tranquilla; ma questa casa è piena di vecchie. Ogni uscio contiene una vecchia. Siamo nel regno delle Parche. Se non che le Parche erano tre, queste vecchiarde sono certamente di più. Quante? Più di tre, certo. Quando portammo le masserizie, a pian terreno si schiuse una porticina: ne sporse un volto esangue sopra un lungo fantasma. Spiò che cosa turbasse l’antico silenzio: poi l’uscio si rinchiuse.
Sul pianerottolo, un’altra vecchia, ma questa piccola, spelata, scrignuta, corse come un topo sorpreso, a chiudersi nella sua stanza; quando ci sentimmo attratti da qualche cosa: erano due occhi bianchi, immobili sul pianerottolo di sopra: un’altra orribile vecchia. Ho guardato la tenera infanzia dei bambini ed ho pensato: “Questa casa non è igienica!„, ed ero turbato, quando la fantesca disse: “Padrone, ehi, dica: queste vecchie fanno il mal occhio!„. Il pensiero della scienza andava a braccetto con quello dell’ignoranza.
La fantesca dice ancora che quella piccola, scrignuta, la notte cavalca la scopa, e va alla tregenda insino a Benevento. Qui la scienza si rifiuta d’andar d’accordo. Ma l’altra osservazione, che quella diafana, a pian terreno, abbia la virtù di sdoppiarsi, non mi ha sorpreso. Pare anche a me di averla veduta in due luoghi nel tempo stesso.
Il mio bimbo, il più piccino, rosica delle caramelle.
“Chi te le ha date? Hai rubato un soldo dalle tasche? Così presto hai imparato il furto domestico?„ “No, le caramelle me le ha date la vecchia, quella giù.„ “Ti ha baciato?„ “No.„ “Cosa ha detto?„ “Bambin Gesù, — ha detto, — fa miga bordell!„
*
Ci siamo venuti abituando: la casa è veramente tranquilla; non pare neppure di essere a Milano; eppure siamo presso Sant’Ambrogio, nel cuore della vecchia Milano, che il piccone ancora non ha colpito. Le torri di Sant’Ambrogio hanno un carillon che ricama i quarti e le ore con sì dolci note! ma prima cantano quattro note chiare: due note sembrano, come un compasso musicale, scendere giù nel tempo, e le altre due risalgono; poi lente, tan, tan, tan, dilatano le ore a cerchi tondi, come corolle del pauroso fiore del tempo. Canta anche un gallo, giù dai vecchi orti, che dà all’anima la nostalgia di spazi agresti, dove la vita scorra senza acerbità. Strano il canto del gallo a Milano! E non appena tra il ricamo dei plàtani scuri rischiara il mattino, ecco dalla caserma di fronte il rullo del tamburo. È una caserma del tempo di Napoleone: mi richiama i bivacchi e le diane di quella epopea: ma perchè hanno sostituito il tamburo alle trombe ora che anche nelle scuole dobbiamo parlare di pace?1
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Abbiamo fatto il conto delle vecchie. Il mistero della vecchia diafana, che diventa due, è stato chiarito. Erano in fatti due che si assomigliavano. Ma ora sono.... una sola! Certo. perchè quella a piano terreno è morta. In grande silenzio è morta. Morta ella era silenziosamente, come silenziosamente era vissuta. Mi sovvenni in fatto di alcuni uomini e donnicciole che apparvero un giorno; e, frettolosi e sommessi, vuotarono le tre stanzette di ogni masserizia; accuratamente, interrogando le pareti e i pavimenti. Erano i congiunti di lei.
Questa era la diafana che aveva dato e promesso i confetti, se i bimbi non avessero fatto “bordell„ e aveva detto “Bambin Gesù!„. Dunque ora di diafane ce n’era rimasta una sola. Veniva poi quella che stava ad uscio ad uscio con noi, ed era fuggita al nostro arrivo come un topo sorpreso. Il biglietto di visita su la sua porta, portava un grazioso nome di rondinella: Emma T***, sarta.
Oimè, più nulla rimaneva; nè meno la sarta, giacchè, per la vista torbida, non poteva lavorare che con aghi di grossa cruna.
La signora Emma era anche discretamente deforme. Ma chi può negare che un mezzo secolo addietro non fosse stata anche lei così graziosa come il suo nome? Un mal di cuore la ha tutta enfiata; sono caduti i denti, sono nati i baffi: ma prima dei baffi, al tempo dei denti, chi vieta di imaginare che non dovesse essere gentile? Gaia doveva essere stata, certo, perchè gaia era ancora, e diceva: — Sto ben! Ma l’è l’artrìtide!
Essa si addomesticò con noi. Come venne la calda stagione, ci pregò di concederle di lasciare l’usciolo aperto in modo che si formasse un po’ di corrente. L’asma la soffocava. Stava quindi sul pianerottolo, di fronte alla nostra porta, ad agucchiare presso un suo tavolinetto, ed adempiva all’ufficio di usciere, e così dava un po’ di vita a quella solitudine di muri grigi ed afosi. Che ella fosse non ignara di filosofia, è provato da questa sentenza ricorrente: “Già, ridere o piangere, la sera viene lo stesso„; come la sua fiducia nell’avvenire resta documentata da questa opinione: “Io col mio mal di cuore camperò di più della signora Teresa, la mia amica, amica per modo di dire„.
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Chi era la signora Teresa?
La signora Teresa (sciora Teresin) è una proprietaria: anche lei abita sul nostro stesso pianerottolo. Non l’abbiamo contata perchè non l’abbiamo mai vista. Ai primi d’aprile essa va nella “sua campagna„ a curare i suoi cavalieri (i bachi) nella “sua villa„. Torna (salvo qualche rara apparizione) in città dopo San Carlo. “Non sarà una villa, sarà una casa sgangherata; ma intanto lei respira l’aria vera, vede i fiori veri, mangia la vera insalata con le uova fresche...„ Così dice la signora Emma. Evidentemente nel suo pensiero (nata e vissuta sempre nella città), aria vera, insalata vera, è quella che si respira e si mangia in campagna. “Ma è già una bella fortuna poter vedere un po’ di campagna da qui„ — diceva, accennando al giardino, dove le piante traevano dalla terra profonda l’umore di antichi morti (era un cimitero, una volta).
“Perchè, signora Emma, la signora Teresa non l’invita, almeno in agosto, a fare un po’ di campagna con lei?„
Mi guardò, come per dire: “O, inesperto del mondo!„; poi disse: “Perchè l’è egoista, e la nipote che ha con lei, l’è una stria (strega). La vœur andà in paradis, ma la ghe va no!„.
La signora Emma ha assicurato che la signora Teresa è più brutta di lei: “E sporca, poi!„. Queste affermazioni ci parvero esagerate; però quando vedemmo questa signora Teresa, reduce dalla villa, fu necessario convenire che la signora Emma non aveva torto: uno strùfolo di seta nera con sopra una cuffia che dondolava. Entrò come un’istrice. Un’allampanata giovane antica seguiva con le valige. Furono rinserrati i chiavistelli. “Paura che portino via i tesori!„ La signora Emma assicura che se durante la nostra assenza, verranno i ladri al nostro uscio, darà l’avviso: ma se anche buttassero giù a spallate quello della signora Teresa, fingerà di dormire.
Ingratitudine umana! Risulta che quel poco di lavoro che agucchia, è tutta commissione della signora Teresa. Se avanza pane, minestra, gliela manda. Per Natale, l’invita. Anzi per quell’occasione, e trattandosi di rendere omaggio al divin Redentore, siamo stati invitati anche noi: non a pranzo; a vedere il presepio. Per mio conto ne sono rimasto soddisfatto. “Bello!„ ho dovuto spiegare all’orecchio sordo della signora Teresa. Siccome lo stanzone era semibuio (un lumino ad olio, un focherellino a legna), così fra i semiscuri delle folte masserizie ben spiccava la capannetta, dove alcuni invisibili lumini facevano chiarita la immobile scena. Abituato oramai agli odiosi scintillamenti dell’Albero di Natale, quel culto latino al simbolo oramai sperduto della famiglia, era pur commovente.
Sarei rimasto più a lungo, se il senso dell’olfatto non mi avesse suggerito di andarmene. Tuttavia la signora Emma criticò: “Mancava Gasparre e Baldassarre, e l’asino è senza coda! Io che sono povera, ho il gas in casa, lei che potrebbe avere la luce elettrica, non tiene nemmeno il petrolio„.
La signora Teresa è un pezzo grosso della parrocchia. Essa deve formare parte di quelle nere confraternite salmodianti che circondano in chiesa i feretri; che seguono arrembate il Sacramento per le vie. Spesso, nel gelido inverno, quando ancora il ricamo d’oro delle stelle non impallidiva, io le incontrai le vecchierelle che si avviavano al tempio. C’era anche Madalenin, Maddalena, l’altra diafana che abita di sopra. Le finestre del tempio lombardo, lucendo di lieve luce, le attraevano: la campanella diceva: “In fretta, in fretta!„. Rotolava in fretta la signora Teresa: ma Madalenin, la spiritata, era più svelta. La avessi veduta sollevarsi dalla terra e penetrare nel tempio attraverso le bifore, non mi sarei meravigliato: “Son qua, son qua, Signor!„.
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Queste sono, a mia memoria, le vicende della strada in poco volger di ore: Avemaria; coppie di amanti che prediligono quella, rimasta quasi unica, fra le vie deserte e senza botteghe. Chi sono? Sartine che insegnano male lezioni agli scolari? Spose che preparano il peccato? Errabonde della notte? Di tutte un po’ .
Mezzanotte: compagnie di ubriachi, che cantano sotto la caserma questo ritornello: “A fare il soldato è un brutto mestier, mangiar la pagnotta, dormire in quartier....„. Alba: le bifore della chiesa si illuminano, la campanella ha un suono puro: ricorda gli azzurri marini, la stella mattutina. Si direbbe che un lavacro di purità è passato sopra la terra. È la diana delle vecchie: precede la diana del tamburo. Spesso le porte della chiesa si spalancano: sotto l’ombrello giallo oro avanza un prete in cotta e stola: un diacono precede e scuote un campanello; dietro, una schiera di vecchie nere ròtolano col loro passo un rapido ritmo dietro quel campanello. È il pane ai morenti. Qualche operaio, già alzato, guarda con occhio torbido quella processione di vecchie e di un simbolo, accorrenti in fretta paurosa. Simbolo e rito che gli fu insegnato dover disprezzare. Ma il mattino è gelido, la visione è tetra, fuggitiva: egli è solo. Ore sette: i garzoni dei fornai portano nelle gerle il pane caldo ai vivi. Ore otto: giovanetti e bimbe vanno a scuola: rosei volti, nutriti di buon sonno e di caffè e latte: “Pirro e gli elefanti; teorema di Pitagora; leggi agrarie dei Gracchi: un fidanzato tra gli scolaretti del ginnasio?„. Vicenda delle ore!
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Due volte tornò l’aprile: la signora Teresa tornò alla coltivazione dei bachi, e la signora Emma rimase a godere la primavera delle piante fiorite nel giardino. È già qualche cosa, tanto più se si pensa che in quel poco spazio verde si dànno convegno molti merli. La cosa è spiegabile: le povere bestiole vedono l’oasi verde del giardino nel deserto di pietra della città sterminata. Qui vernano, qui cantano col far dell’aprile. Per chi ha mal di cuore è un bel conforto quella musica.
Anche a me è capitato troppo spesso, ahimè! di dover star sveglio a interpretare il canto dei merli: cominciano alle due, alle tre dopo mezzanotte, e il loro canto mi fa l’effetto di segreti avvisi: “Questa notte s’aprì il fiore dell’albicocco„, “I cavalli dell’aurora sono di fiamma„ “La stella Diana ha rinnovato in puro argento tutto il suo cocchio„; e altre notizie: una gran passione e un gran languore in quei getti di canto che, uditi dalla stanza buia, sembrano frecce di luce attraverso le tenebre, e sempre mi pare dicano un verso:
Amore, amore, amore, amore, amore,
poi il verso si ripiega su di sè con una melanconia che fa lagrimare.
La interpretazione della signora Emma riguarda invece la parte meteorologica. Se è nuvolo, se pioverà, se c’è sereno, lei lo indovina dalle parole dei merli: “Sono più sicuri del frate con la corda!„.
La guardai a lungo mentre ella così mi spiegava: “Non si ricorda, signora Emma, — volevo domandarle, — quando lei faceva all’amore?„. Ma Dio pietoso le ha tolto la memoria.
— Te ’l là el merlo!
E mi additava con la mano deformata dall’artrite (oh, manine dei venti anni!) il merlo.
Il bestiolo nero, col becco giallo, passeggiava sicuro per un vialetto come un proprietario pel suo tenitorio.
Mistero della creazione! È quello stupido merlo che possiede quell’onda di poesia luminosa.
Ma un gatto nero balzò, e il merlo scomparve.
Mistero di Dio, anche più grande.
Ma la signora Emma mi avvertì che il gatto non li mangia i merli: si accontenta di succhiarne il sangue.
Accontentiamoci anche noi.
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— Ho indovinato io! — disse la signora Emma.
— Che cosa?
— La signora Teresa è morta, ha lasciato tutto alla nipote, a quella “stria„, a patto di far dire tante messe, e per venti anni. Dunque si vede che sapeva anche lei di dover stare in purgatorio almeno vent’anni.
Questa notizia non ha alleggerito il mal di cuore alla signora Emma, anzi in agosto, quando noi ci partimmo, mi parve che di aria nei polmoni ce ne entrasse poca.
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“Vecchia carampana, signore, che numero fa?„
Io ero in grado di porgere l’etimologia storica di carampana, ma ignoravo il numero della cabala. Questa domanda mi rivolse, penetrando nello studio, la domestica, la quale però possiede una deplorevole abitudine: di consumare la mesata nel lotto; e la domenica noi ci risentiamo del suo umor nero quando torna dalla spesa e vede i suoi numeri non riuniti, ma sparsi fra Venezia e Palermo. Modestia a parte, io godo la reputazione di essere una persona di molti studi, e questa mia rinomanza è giunta sino alla mia domestica: ella perciò crede che io sappia anche i numeri corrispondenti ai sogni.
— Perchè mi domandate il numero di vecchia carampana?
— Perchè la signora Emma è morta, e stanotte l’ho sognata.
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La sua fine — secondo le informazioni ricevute — fu lugubre. Morta la signora Teresa, che le dava qualche aiuto, aumentato il mal di cuore, fu ricoverata per forza in un ospizio. Scappò due volte e battè alla sua porta. Voleva essere libera. Venne ripresa e dichiarata pazza. O di pazzia per amore alla libertà o di mal di cuore, questo era certo che era morta.
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Ma perchè non ricorderò Maddalena, la Madalenin, la spiritata, l’ultima delle vecchierelle rimaste? Essa era la più interessante di tutte. Madalenin era stata serva di un prete. Questo prete forse fu un uomo da bene; certo dovette essere stato il più pulito e ben servito sacerdote della diocesi, almeno a giudicare da Madalenin. Col secchiello di rame ella scendeva continuamente ad attingere l’acqua nel cortile: la gonna nera ripiegata, scopriva due larghissime immacolate mutande, dalle quali venivano fuori due stinchi, coperti di calze candide. Iniziai la mia amicizia offrendomi a trombare l’acqua e portare su il secchiello per le quattro scalette. Io non so perchè, ma invece di dirmi “Grazie, signore, ecc.„, mi urlava:
— Pentiti, peccatore!
— Perchè, Madalenin, peccatore?
Ma era inutile domandare spiegazioni, la sua sordità era completa. Mi chiamava peccatore, e una volta che volli entrare nella sua camera verginale, mi urlò: Vade retro, Satana! Perchè? Dicono così i preti?
Madalenin non era gentile nè meno coi bimbi: quando li vedeva diceva “Barabìtt!„.
Un giorno fu più benevola, perchè mi disse, quasi amorevolmente:
— Pentiti, peccatore! — E in quel giorno potei entrare nella sua camera e allora capii, capii anche senza bisogno dei suoi gesti e dei suoi urli. Ella era una delle sette vergini savie della parabola dell’Evangelo, con sempre la lampada accesa per andare incontro allo Sposo. Attorno al letto, sul comodino, su la parete, era tutto l’occorrente: una nave da battaglia così è pronta per la lotta suprema: gran cero, piccoli ceri, acqua lustrale, tutto.... e, sotto le frange del letto, la cassa da morto.
“Quando il Signore griderà “Pronta!„ risponderò “Pronta!„ — e si contorse in su, urlando, aggrovigliandosi in un atteggiamento come il vostro, o Sibille marmoree del tempio di Sigismondo! Guardai anch’io in su il soffitto scialbo.
Lo Sposo venne, come era atteso, in silenzio, in mezzo alla notte. Madalenin giaceva composta sul letticciolo. Guardai in su: l’immobile soffitto scialbo era tal quale.
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Mi vennero allora alla mente le sette vergini fatue e le sette vergini sagge quali le descrive D’Annunzio: pompose donne con capellature flave e di viola, lampade accese. Oh, poeta abbellitore della morte, no! Essa è così tal quale come Madalenin, lì stecchita.
Perchè peccatore, Madalenin?
Perchè dubito che Dio abbia tante schede in paradiso per elencarci? E non c’è ragione che la mia scheda valga presso Dio più di quella della povera Madalenin.
Perchè peccatore? Perchè non ho più in pregio il dono della vita?
Ma essa, Madalenin, era sorda totalmente.
*
E con la morte di Madalenin, la casa fu liberata dalle vecchie; e allora finalmente il proprietario mandò a chiamare l’imbianchino. Le vecchierelle se ne erano andate a suono di carillon.
Note
- ↑ Queste pagine furono scritte assai prima della Guerra, quando nel febbraio di ogni anno, lettere circolari dei ministri della P. I. prescrivevano ai maestri e professori di parlare ai giovani della Pace universale. La Germania doveva ben ridere allora! Ma i ministri d’Italia forse non videro che Germania rideva.