Novelle (Bandello, 1853, III)/Parte II/Novella XXVIII

Il giudice di Lucca si giace con una donna, e fa metter in prigione il marito di quella: con vani accidenti

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Il giudice di Lucca si giace con una donna, e fa metter in prigione il marito di quella: con vani accidenti
Parte II - Novella XXIX

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Il Bandello al molto magnifico messer Marcantonio Giglio


Dapoi che cominciò tra noi l’amicizia nostra ho io sempre desiderato che qualche occasione m’occorresse, per la quale da me si potesse farvi conoscere quanto io v’ami e sia bramoso di rendervi la ricompensa di tanti piaceri, quanti voi, la vostra mercè, tutto il dì mi fate. Ora ragionandosi non è gran tempo de le burle che ai gelosi si fanno e di quanti disordini sia cagione la gelosia, quando in uomo di poca levatura s’appiglia e che l’usi male, Pietro Galletti, d’origine pisano ma abitante in Sicilia e nodrito a Palermo, narrò sovra questo una piacevol novella avvenuta a Lucca, la quale, essendomi paruta degna d’esser messa insieme con l’altre mie, descrissi. Onde essendomi al presente venuta a le mani, per cominciar in parte a dimostrarmi verso voi grato, quella vi mando ed al vostro nome dedico. Ella vi potrà giovare se prenderete moglie, chè senza divenir geloso ed in tanto morbo accecarvi, con destrezza ed amor vero coniugale la donna vostra debbiate governare, non le dando mai occasion alcuna di risparmiar quello di casa e logorar quel d’altrui. Non senza cagione vi scrivo questo, con ciò sia cosa che il più de le volte i mariti son quelli che dànno occasione in diversi modi a le mogli di far ciò che non deveno. State sano.

Il giudice di Lucca si giace con una donna e fa metter in pregione il marito di quella, con varii accidenti.


Nel tempo che Pietro Gambacorta signoreggiò Pisa, fu un fanciullo chiamato Buonaccorsio Gualando, molto nobile, il quale essendo senza padre e madre, assai più che a l’età fanciullesca [p. 6 modifica]non conveniva s’innamorò fieramente di Beatrice figliuola di Neri Malletti, picciola fanciulla, ed ella di lui medesimamente senza fine s’accese. Come Buonaccorsio tornava da scuola, a vedere e starsi con la sua Beatrice si metteva. E perchè erano fanciulletti, nessuno dei parenti a la loro domestichezza metteva mente: poteva il fanciullo esser de l’età dei dodici anni e la fanciulla a pena dieci compiva. I parenti del fanciullo che di lui la tutela avevano, veggendo che ne la grammatica faceva buon profitto e ch’era d’elevato ingegno, deliberarono di mandarlo a Siena ove alora gli studii civili con gran fama fiorivano, e glielo dissero, dimostrandogli che ancora che fosse d’antica e nobile schiatta e de le prime famiglie di Pisa, che nondimeno le facultà non erano molte, e che era necessario che egli con le vertù s’aiutasse a mantener il grado de la sua nobiltà. Udendo questo il fanciullo e conoscendo che gli dicevano il vero, disse loro che farebbe quanto eglino gli ordinassero. Ma da l’altra parte pensando che da la sua Beatrice deveva partirsi, sentiva un meraviglioso tormento che il cor gli rodeva. Onde riduttosi con esso lei a ragionamento, gli disse la deliberazione che di lui i suoi tutori avevano fatta e il fiero dolore che sofferiva. La fanciulla, udendo questo, cominciò agramente a piangere, di maniera che piangendo anco amaramente esso fanciullo e tutti dui fanciullescamente abbracciandosi, bevevano l’un de l’altro le calde lagrime. Ora tra loro preso quell’ordine che l’età dava loro e datasi la fede di sempre amarsi, mentre che Buonaccorsio stette in Pisa, erano tutto ’l dì insieme. Aveva il fanciullo in casa un fattore al quale, avendone già fatta consapevole Beatrice, lasciò l’ordine che le lettere che da Siena scriverebbe egli a Beatrice per via d’una sua povera vicina mandasse, e le ricevute da lei gli inviasse a Siena. Venuto il tempo del partire, andò Buonaccorsio a Siena ove, prima che a Pisa tornasse, fu dai tutori tre anni continovi ritenuto. Egli di continovo aveva in memoria la sua Beatrice e spesso le scriveva, ed ella medesimamente che Buonaccorsio amava, quando poteva gli mandava qualche lettera, ed instigata d’amore aveva assai bene apparato a scrivere. E crescendo in tutti dui con gli anni l’amore e dandosi sovente con le lettere avviso l’un de l’altro, passato il terzo anno, al tempo de le vacazioni ritornò a Pisa il giovine e ritrovò la sua Beatrice divenuta più bella assai che non era e mirabilmente cresciuta: chè in vero ella era bellissima, gentile e tanto avveduta che in tutta Pisa non si sarebbe una par sua trovata. Buonaccorsio la vide ad una finestra e parveli senza fine tanto vaga e bella che restò tutto attonito. [p. 7 modifica]E per esser tutti dui cresciuti, non era lor più lecito star insieme domesticamente come prima facevano; il che ai dui amanti era di fiero cordoglio cagione. Ma perchè mai non lascia Amore i suoi seguaci senza qualche aita, egli aperse lor gli occhi e gli fece vedere che in una vietta assai solitaria, che dietro la casa di Beatrice era, si potevano ad una finestra non troppo alta parlare, che dava lume ad un luogo ove si tenevano legna per ardere ed altri bisogni di casa, e v’erano dui gran tini da far il vino. Quivi talora Beatrice si trovava e a suo bell’agio, parlando col suo amante, s’interteneva. L’amore, che tra loro fanciullescamente era cominciato, alora d’un’altra maniera gli ardeva il core, e di maniera s’amavano che volentieri si sarebbero trovati insieme e preso l’uno de l’altro quell’amoroso piacere che sì fervidamente dagli amanti si ricerca; ma la commodità non ci era. Mentre adunque che crescendo in età il fuoco loro si faceva maggiore, Buonaccorsio, passate le vacazioni, ritornò a Siena, ove stette tre altri anni senza ritornar a Pisa. Ed essendo il tempo ch’egli deveva venir a casa, Neri Malletti maritò la figliuola a Lucca, dandola per moglie a un cittadin lucchese che Fridiano Z. si chiamava. Il che Buonaccorsio intendendo, cadette in tanta malinconia che, come disperato, fu per farsi frate di san Francesco. Ed avendo in Siena già parlato col padre guardiano e preso il tempo che si doveva vestire, ebbe una lettera da la sua Beatrice, la quale gli scriveva che astretta dal padre non aveva potuto disdir di maritarsi, e che ella più che prima l’amava e che ora averebbe più libertà che prima e che troveria modo di poter esser insieme, pure che egli trovasse la via di star in Lucca; e tanto più a questo l’essortava, quanto che l’era paruto in quei pochi dì comprendere che il marito era uomo di poco ingegno. Il giovine a queste lettere si consolò pur alquanto, e cento volte le lesse a rilesse; a pentito di volersi far frate, attese a finir i suoi studi, e quell’anno medesimo fece una solenne «repetizione» con tanta commendazione di tutta l’università di Siena che in breve egli ottenne la laurea del dottorato de le leggi civili a canoniche. Venne poi a Pisa, e per acquistar riputazione ne la patria, mise fuori un gran numero di conchiusioni e con sodisfazione di tutta la città quelle sottilmente disputò. E non si potendo cavar di fantasia la sua Beatrice, deliberò far ogni cosa per aver il luogo del giudice del maleficio in Lucca, ch’era magistrato d’autorità e di molta stima. Onde per via di parenti ed amici fu tanta la pratica che fece, che fu eletto giudice per dui anni; il che a lui e a Beatrice [p. 8 modifica]fu di grandissima contentezza. Avuta la elezione, si mise ad ordine di quanto gli era bisogno per comparir onoratamente, e del mese di gennaro se n’andò a Lucca e con solenne pompa prese il possesso de l’ufficio, e di maniera lo cominciò ad essercitare che in pochi dì acquistò la grazia di tutta la città. Quivi adunque essendo e quasi' 'ogni dì la sua bella Beatrice veggendo, e di tutti dui essendo il voler di ritrovarsi domesticamente insieme, la giovane, avendo due de le sue donne corrotte, col mezzo di quelle diede adito al suo amante di venir a starsi seco, perciò che Fridiano era fuor in contado. E così del lor lungo e fervente amore colsero il tanto desiato frutto. Messer lo giudice, se prima amava, ora era tutto amore, avendo trovato la sua Beatrice più piacevole e molto più festevole di quello che credeva. Ella altresì, gustati gli abbracciamenti del caro amante e quelli sentendo più forti e saporiti di quelli del marito, tutta dietro a Buonaccorsio si distruggeva, e se prima poco amor al marito portava, ora l’aveva in tanto fastidio che da ogni canto le pareva che putisse; in modo che quella settimana non le pareva star bene se due o tre volte col giudice non si trovava. Il perchè continuandosi la pratica un poco meno che discretamente, Fridiano entrò di lui in grandissima gelosia. Egli lo vedeva giovine molto bello a tutto il dì passar per la contrada; gli pareva pure che come Beatrice lo vedeva, tutta si rallegrasse e gli facesse troppo lieto viso. Onde molte fiate venne con la moglie a sconcie parole: le teneva pur detto ch’ella faceva a l’amor col giudice, e che al corpo del santo Volto egli direbbe e farebbe. La donna che conosceva quanto il marito valeva, gli rispondeva agramente, lamentandosi di lui che simil cosa le dicesse, che s’ingannava di gran lunga, perciò che ella s’era benissimo accorta che messer lo giudice frequentava quella contrada per una vedova lor vicina che egli amava, ma che questa cosa non si voleva dire, per non dar infamia a la vedova; e che se pure egli aveva questa openion di lei, che facesse quella guardia che voleva, e se ritrovava che ella gli facesse torto, che alora facesse di lei ciò che più gli era a grado. Il marito ben che non fosse il più accorto uomo del mondo, era nondimeno tanto innamorato de la moglie e la vedeva così bella e tanto baldanzosa che si credeva ch’ogni mosca che per l’aria volava gliela devesse involare, e non accettava scusa che ella si facesse. E pensando di continovo come egli potesse ai casi suoi provedere, entrò in un farnetico: che la moglie gli deveva dar qualche cosa a bere o mangiare per farlo ben dormir la notte, e poi levarsi ed aprir l’uscio al giudice. [p. 9 modifica]Parevagli adunque, se a questo trovava rimedio, che la cosa andarebbe bene. Pertanto chiamò una de le massare e le disse: – Vedi, Giovanna, – chè così aveva nome la femina, – se tu mi sarai fedele e mi serbarai credenza, tu vedrai ciò ch’io ti farò. Io dubito assai di mia moglie e del giudice, e mi credo che ella la notte mi faccia dormir con qualche diavoleria che mi dà, e poi si levi ed apra l’uscio al giudice. Io vo’ che tu mi faccia il mio mangiare e mi cavi il vino, perciò che io non piglierò cibo alcuno se non di tua mano. Ma vedi: siami fedele. – La Giovanna che era consapevole de l’amor del giudice e de la padrona, udendo questa frenesia, disse: – Messere, io son debitrice di far quanto mi comandarete, e in questa cosa non vi mancherò di niente. Io non credo già che madonna sia di tal sorte, chè mi par pure che me ne sarei talora avveduta; ma se ella fosse di tal condizione, questo guardarvi del mangiare a del bere non montarebbe nulla, perciò che le donne pisane, per quello che io ci intesi quando stava in casa dei Lanfranchi, sanno per la più parte di molti incantesimi. E parmi ricordar che io ci udissi dire che quando uno dorme, se la donna lo tocca con mano e gli dica certe parole che imparano la notte di natale, che egli dormirà tant’ore quante fiate ella dirà le parole. – Fridiano udendo questo restò morto, e gli pareva dormire e che Beatrice l’incantasse; onde disse: – Oimè, che cosa è questa ch’io odo? – La Giovanna alora: – Messere, – rispose, – come v’ho detto, io non credo che madonna sia di codeste che fanno le malie; tuttavia dice il proverbio che «Buona guardia schifa rea ventura». Io penso se ci è cosa nessuna, che il giudice non venga per la porta, ma che' 'passi il muro del giardino e monti ove sono le legna, e per là se ne venga su e vada a la vostra camera. – Il buon Fridiano credette a la scaltrita femina, onde con lei consultata la cosa deliberò per qualche giorno far la notte la guardia nel giardino. Come la massara ebbe agio, ella il tutto puntalmente riferì a la sua madonna; la quale, sentendo così fatto farnetico, prima ebbe via d’aver chiavi contrafatte su la porta de la casa, poi del tutto fece avvisato il giudice. E se prima ella faceva buona cera a l’amante, ora cominciò ella a fargliela megliore, di maniera che il misero Fridiano essendo estremamente ingelosito e dando intiera fede a la Giovanna, non ardiva appo la moglie addormentarsi per tèma d’esser incantato. Onde si propose attendere diligentemente a la custodia de l’orto. Pertanto mentre che egli a l’aria annoverava le stelle, la donna per star più sicura, dopo che egli era ito ne l’orto, faceva fermar una certa porta a ciò [p. 10 modifica]che il geloso senza sua saputa non potesse uscire, e si faceva venir il giudice col quale faceva la congiunzione dei pianeti. E per meglio dar colore a la cosa, come il giudice era nel letto con la sua amante, uno dei suoi servidori che l’accompagnava si metteva andar a torno a l’orto, ora sputando, ora fischiando, e facendo di simili atti fingeva voler passar il muro che era poco alto, di maniera che il misero geloso stava tutta la notte in sospetto e fermamente credeva colui esser il giudice che per andar a la moglie fosse venuto. Poi veggendo che non saliva il muro, dubitò che il giudice non sapesse come egli faceva la guardia, a non sapeva come governarsi. Ne l’ora dapoi che il giudice si partiva, la donna faceva aprir l’uscio verso il giardino, e questo sempre era d’una o due ore innanzi l’alba; ma il geloso non si partiva mai da l’orto fin che non era passata l’alba. Durò questa trama molti giorni, e sì andò la bisogna che non dormendo Fridiano se non un poco il giorno ed anco talvolta la notte nel verziero, egli divenne magro e secco e pareva spiritato. E chi non sarebbe divenuto tale stando tante notti a latrare a la luna? Finalmente il giudice, per cavar e la donna e sè di sospetto, ordinò con la donna una bellissima trama, che gli successe a punto come s’aveva imaginato. Era tra i servidori del giudice un giovine pisano grande e molto aitante de la persona, il quale da tutti era chiamato per sopranome Ferraguto, il quale ad ogni perigliosa impresa si sarebbe per un sol cenno del giudice messo; ed era costui capo d’alquanti sergenti di quelli che tutta la notte vanno a torno per vietar che nessuno vada senza lume e non porti arme. A costui disse il giudice: – Ferraguto, come tu sai, io amo la moglie di Fridiano Z. ed ella me; ma io non ci posso, come sarebbe il suo e mio desiderio, andare per la solenne guardia che egli fa tutte le notti. E perchè mi sarebbe gran comodità passar per l’orto, egli la notte di continovo là dentro sta armato, di modo che io non mi ci posso approssimare che egli sotto il muro non sia con uno spiedi in mano. Io so bene ch’essendo armato, ti potria far poco nocumento, perciò che egli è cotal tisicuzzo e non averebbe forza di passar una ricotta. Voglio che tu dica ai tuoi sergenti che tu hai per spia che un bandito la notte passa per l’orto e che lo vuoi prendere. Bisogna che tu primieramente scali il muro e che discendi ne l’orto. Egli senza dubio assalirà, ma poco mal potrà farti. Lascia ordine agli altri tuoi che ti seguano, ed io a quella medesim’ora mi troverò al luogo col resto de la famiglia e lo pigliaremo, e poi farò quello che ho [p. 11 modifica]pensato che sarà buono a guarirlo de la gelosia. – A questo rispose Ferraguto: – Messere, questa è picciola faccenda che voi mi comandate. Lasciate pur far a me, e non vi dubitate di covelle. Basta che mi dichiate l’ora che volete trovarvi al fatto. – Così statuita l’ora e del tutto a la donna dato avviso, messer lo giudice quel dì passò due fiate dinanzi la casa de la donna e fece a posta certi cenni d’occhi e di porsi la mano al petto, con certo sputar da malizioso; di maniera che Fridiano, che stava a la vedetta e tutti i cenni aveva ben notato, tenne per Fermo che quella notte il giudice devesse venir a trovar Beatrice. E non possendo omai più sopportar tanta seccaggine nè sofferir che così sfacciatamente il giudice accennasse con suoi gesti la moglie, con lei entrò in gran romore a le disse a la presenza de le donne e d’un servidor di casa: – Moglie, moglie tu ne farai tante che io, al corpo di santa Maria da Montenero, ti segherò le vene de la gola. E se questo tuo giudice passerà di notte per la contrada, io gli farò uno scherzo che si ricorderà tutta la vita sua di me. Tu vuoi pur far a l’amor seco e vuoi ch’io abbia il chiazzo a l’uscio; ma io nol comporterò. Se voi sète pisani, io son luchese. Fa che io ti veggia più a finestra nessuna di quelle che rispondeno su la strada: vederai come l’anderà. – La scaltrita donna, che troppo bene conosceva ciò che valeva suo marito e quello che sapeva fare, subito adiratamente gli rispose: – E che diavolo, marito mio, dite voi? che parole son queste che voi così inconsideratamente usate? che cosa in me avete voi vista che vi debbiano entrar questi ghiribizzi in capo? Voi senza colpa vostra e mia fate voi tener uomo malvagio e me trista femina, e non ci è mal nessuno. Io mi credo che voi farnetichiate. Ove avete voi imparato che il giudice di questa città non possa passare di giorno e di notte per ogni contrada ed entrar in qualunque casa egli voglia, volendo far l’ufficio suo? Io ho pur sentito dire a voi proprio che cotesto magistrato del giudice è un ufficio molto temuto e riverito. Guardate come voi parlate. – Vedi, vedi, – disse alora Fridiano montato fuor di modo in còlera, – che questa traditora pisana sarà venuta a Lucca per volermi governare. Che fussi io stato in letto con la quartana quel dì che mi venne voglia di prender moglie pisana, chè tutti tutti, uomini e donne, sète traditori! Che venga il fuoco dal cielo che t’arda, rea femina che tu sei! – A questo, Beatrice che del marito teneva poco conto, per più farlo adirare gli rispose: – A la croce di Dio che avete una gran ragione a dir questo e volervi parangonare a’ pisani! Egli non si sa ciò che è Pisa e ciò che i pisani per mare e per [p. 12 modifica]terra hanno fatto a par de’ luchesi! Andate, andate, che mio padre fu ben ceco a torvi per genero. Che sia maladetta quell’ora che io mai vi presi per marito, chè sète più sospettoso che un mulo castrato! Che dice ben vero il proverbio: che «i lucchesi hanno paura de le mosche che volano per l’aria»! Attendete in nome di Dio a vivere, e farete saviamente; e guardate che non vi venisse voglia di mettermi le mani a dosso per battermi, chè io non ve lo sopportarei e con queste dita vi cacciarei gli occhi del capo. Io non faccio cosa che debbiate minacciar di darmi. Date de le busse ai cani, e lasciate star me. – Le parole vi furono assai, e per una che Fridiano ne dicesse la moglie ne rispondeva diece. Venne la notte, e il buon Fridiano cenò prima degli altri a poi, armatosi, se n’andò ne l’orto e si mise a l’erta, con animo di far un malo scherzo al giudice, se veniva per salir il muro de l’orto. Da l’altro canto il giudice fece armar la famiglia, dicendo che voleva andar per far prender un bandito il quale aveva avuto per spia che era in certo luogo. E così mandò innanzi Ferraguto con la sua squadra, ed egli seguitò con gli altri, e andava per la città aspettando il bòtto de l’ora data, non si scostando molto da la casa di Fridiano. Come l’ore diedero il posto segno, Ferraguto, avvisati i suoi, appoggiò la scala al muro de l’orto ove Fridiano attendeva, e salito sopra, mentre che volle discendere sentì che d’una punta di spiedi fu ne la coscia ferito, ma non profondamente; onde saltato giù disse forte gridando: – Traditore, tu sei morto! – Aveva Ferraguto un gran partigianone, col quale cominciò stranamente a ferir Fridiano, ma sempre di piatto. Il povero Fridiano, credendo fermamente quello esser il giudice, menava spiedate da orbo; ma Ferraguto si riparava benissimo, e i suoi compagni erano già smontati ne l’orto,' 'ed il giudice arrivando gridava: – Dentro, dentro, chè noi abbiamo trovato il bandito! – Avevano già quei di Ferraguto rotto l’uscio de l’orto e preso Fridiano, quando messer lo giudice entrato dentro domandò ove era il bandito. – Eccolo qua,– risposero i sergenti, non avendo ancora conosciuto che il prigione fosse Fridiano. – Orsù, sia con Dio, – disse il giudice, – andiamo a la corte. – Ferraguto, sapendo la cosa com’era, si lasciò andar per terra strangosciato; il che veggendo, uno degli sbirri disse: – Oimè, Ferraguto è morto! – A questa voce ritornò il giudice, e vide la coscia di Ferraguto che tuttavia sanguinava, e disse: – Questo bandito ha morto Ferraguto, ma egli doppiamente lo pagherà. – Fridiano alora al giudice rispose: – Io non son bandito, ma son Fridiano Z. cittadino di questa città. – Come? – soggiunse il giudice, – tu sei Fridiano Z.? e che facevi tu [p. 13 modifica]qui armato a questa ora? Orsù, su, compagni: tre o quattro di voi portino Ferraguto a casa a chiamino il medico. Voi altri abbiate cura che Fridiano non scappi, e cerchiamo in questa casa, chè ci troveremo il bandito. – Andò dunque il giudice con alcuni dei suoi in casa e trovò che tutti al romore erano levati, e avendo del lume ricercò per tutto. A la fine chiamata innanzi a sè la donna, minacciandola agramente, le disse: – Madonna, ditemi la verità: ove è il bandito che questa notte venne qui dentro? – Messere, – rispose la donna che amaramente piangeva, – in casa nostra son molti dì che persona non ci alloggiò. Io non so quello che vogliate dir di banditi. – Basta, – disse il giudice, – voi per la prima ve ne accorgerete: io vi farò ben confessar la verità per via di tormenti. Egli certo è vero quello che m’è stato detto molti dì sono, che voi sète una mala donna e che mai non dite verità. – Messere, – disse ella, – io son pisana come voi e donna da bene. – E’ mi duole, – rispose il giudice,– che siate pisana, perciò che mi convien far il debito mio, sia chi si voglia che mi vien ne le mani. – E comandò alora che Fridiano con la moglie, due donne e un servidore fossero condutti a corte. La donna cominciò a far il maggior rammarico del mondo e mostrava far una grandissima resistenza; ma non potendo più di quello che poteva, le convenne lasciarsi menare. Il povero Fridiano, vedendo e udendo queste cose, diceva tra sè: – Veramente io son stato in grandissimo errore pensando che il giudice amasse mia moglie. Questi non sono mica scherzi da innamorati. – E non sapeva ciò che si dire. Fu con questi suoi pensieri cacciato in una prigione ove le biscie non averebbero abitato. Il famiglio suo fu posto in un altro luogo e la moglie con le due donne, che tutte due erano de l’amor dei dui amanti consapevoli, fu alloggiata in una camera ove se ne stava assai comodamente; con la quale messer lo giudice, per meglio essaminarla, il rimanente de la notte amorosamente si giacque. Il povero Fridiano se ne stette molto di mala voglia, dubitando che per aver ferito un sergente de la corte ed esser stato a quell’ora trovato con arme da offesa a da diffesa, che qualche gran male non ricevesse. Egli domandò a’ guardiani de le prigioni ciò che era de la moglie, dei quali uno che lo conosceva gli disse: – Io ho sentito messere che ha detto volerla questa matina far mettere al martoro de la fune, per intender ove avete alloggiato il bandito che ier sera vi venne a casa. Ella non potrà far se non male, chè questo signor giudice è molto severo. Poi e’ v’è Ferraguto che voi avete ferito disconciamente, che vi darà da far assai. – Restò Fridiano pieno di grandissima [p. 14 modifica]paura, e non potrei dire quanto gli dolesse così impensatamente aversi nemicato il giudice. E credendo fermamente che la moglie devesse esser tormentata, si sentiva scoppiar il core. Sapeva il giudice le parole che di lui Fridiano aveva dette, e con Beatrice molto se ne rise. La matina essendosi divolgato per Lucca la presa di Fridiano con la moglie, fu cagione di dirsi assai cose; e perchè ci era pur qualche sospetto de l’amor del giudice e di Beatrice, questa prigionia ammorzò il tutto. Vennero molti dei parenti e amici di Fridiano a parlar col giudice per intender la cagione de la sua prigionia, ai quali rispondeva il giudice che avendo avviso d’un gran ghiotto bandito che era in casa di Fridiano, che egli con la corte v’era ito per pigliarlo, e che Fridiano armato non solamente aveva fatto fuggir il bandito, ma che aveva anco dato de le ferite ad uno dei sergenti. Tutti restavano smarriti nè sapevano che dire. Ora poco innanzi il desinare il giudice si fece condur Fridiano dinanzi al quale domandò se sapeva la cagione perchè era incarcerato. Il povero uomo rispose: perciò che aveva ferito uno de la corte. – E bene, – disse il giudice, – che facevi tu a quell’ora armato di spiedi, corazzina e di celata, con la spada a lato, ne l’orto? – A questo non sapendo Fridiano che rispondere, si storceva non potendo ritrovar scusa che valesse. – Vedi, – disse il giudice, – io vo’ serbarmi a darti de la fune da sezzo, perchè prima intendo d’essaminar la tua donna e le due massare col tuo servidore; poi vorrò saper da te la verità, la quale so io bene che converrà che tu, voglia o no, mi dica. Va a pensa ben ai casi tuoi, a non mi dar materia che io con tormenti contra te incrudelisca, chè io mal volentieri la mia autorità e severità de le leggi uso contra i cittadini. – Fecelo alora ritornar a la prigione. Essaminò poi il servidore, il quale altro non seppe dire se non le parole che aveva sentito che Fridiano con la moglie faceva quando la garrì che ella era innamorata, e che era vero che da molti giorni in qua Fridiano la sera s’armava e andava ne l’orto. Fece il giudice dal suo notaio scriver tutta la deposizione del famiglio, a massimamente le parole ingiuriose che di lui Fridiano dette aveva e le minaccie di volerlo ammazzare. Dopoi si fece menar Beatrice, la quale confessò il medesimo che il famiglio detto aveva, aggiungendovi di più che molt’altre volte l’aveva detto che a ogni modo era deliberato ammazzar il giudice. Le due donne, ancor elle essaminate, deposero de le parole ultimamente tra Fridiano e la moglie fatte. Avute queste deposizioni il giudice, e quelle dal notaio ridutte in scritto, dopoi che si fu desinato, egli col notaio, ch’era tutto [p. 15 modifica]suo, e dui fidati servidori insieme con Beatrice se n’andarono al luogo ove i malfattori si sogliono tormentare. Ma prima egli aveva fatto metter Fridiano con i ferri a’ piedi in una camera vicina al luogo ove si dava la fune, e ne la quale chiunque ci fosse stato averebbe leggermente sentito tutto quello che in detto luogo parlato si fosse. Deliberandosi adunque il giudice far ogni cosa a ciò che il geloso disgelosisse, per levargli ogni sospetto che di lui Fridiano mai avesse avuto, avendo del tutto pienamente instrutta la donna, disse con la voce un poco alta: – Orsù, non più parole. Legate questa femina a la fune e tiratela in alto, ch’io farò bene che confessarà la verità. – A questo motto Beatrice si gittò a terra e con finta lagrimosa voce, gridando, chiedeva mercè con dire: – Messere, io non so altro se non quello che v’ho detto. Voi mi fate torto. Oimè, misera me! misericordia! per Dio, non mi legate sì forte! – Il giudice mostrando non dar orecchie a cosa che la donna dicesse, teneva pur detto: – Orsù, non tardate tanto. Tiratela in alto. – Coloro squassavano la fune, ed ella, tirata alquanto indietro, gridava misericordia quanto più poteva. Il giudice la sgridava dicendo: – Beatrice, dimmi il vero, se sai nulla de l’omicidio che tuo marito aveva deliberato di fare. Che dici? – Ella gridava e con singhiozzi diceva alcune parole che male s’intendevano, come fanno quelli che fieramente son tormentati. Nè troppo stava che il giudice diceva: – Al corpo di Cristo! io ti farò confessar il vero. Tu nol dirai? Sì dirai pure, a tuo malgrado. Io ti caverò bene l’ostinazion del capo. Sì farò, per Dio, e non guarderò che tu sia pisana. Tirala su ben alta e lasciale dar un gran crollo in giù, ch’io son deliberato che questa ostinata o mi dica il vero o che lasci ambe le braccia attaccate a la fune. – Era a la corda legato un pezzo di legno che faceva parer proprio che una persona in su e in giù fosse collata, e madonna Beatrice gridava nè più nè meno come fanno i tormentati. Conobbe il misero Fridiano la moglie a la voce, la quale gridava e chiamava mercè, a poi che due e tre volte si certificò che ella era pur la sua Beatrice, cominciò come forsennato a gridare: – Ahi misericordia, signor giudice! Deh, per Dio, non collate la mia donna, non la tormentate più, chè la poverella non è in colpa di cosa alcuna. Voi v’affaticate indarno, perciò che ella non può dir ciò che non sa. Ahi, moglie mia cara, moglie mia da bene, moglie mia onesta, perchè non son io in luogo tuo tormentato? – Il giudice udendo Fridiano e veggendo la cosa seguire com’egli aveva dissegnato, mostrando non sapere che Fridiano fosse stato messo in quella camera, si rivoltò [p. 16 modifica]ai suoi ed iratamente disse loro: – Chi ha messo Fridiano in questa camera? – Messere, – disse uno, – voi questa matina lo commetteste al barigello. – Io commisi il malanno che Dio ti dia, – soggiunse il giudice. – Io non fui inteso, perchè dissi che dopo che fosse stata collata costei egli vi fosse condotto, e non prima, chè non sta bene che egli senta quello che i tormentati confessano. Or via, menate questa donna in prigione al suo luogo e tornate qua recando le chiavi di questa camera, chè io vo’ essaminar Fridiano. – La donna, ridendo de la beffa che si faceva al marito, andò a la sua camera a starsi con le sue donne, e portata la chiave, il giudice fece menar Fridiano e gli disse: – Io non so se tu abbia udito ciò che tua moglie ha detto, la quale è voluta star ostinata; ma questa fune le ha fatto dir in parte la verità, e in breve spero che se un’altra volta ce la farò attaccare, che ella dirà il tutto. Il tuo servidor è stato più saggio e così le tue massare, che senza farsi guastare hanno detto tutto ciò che sanno. Ora tu sei qui: se tu vuoi dir il vero, dillo; altrimenti questa, – e mostravagli la fune, – a tuo malgrado te lo farà dire. Io vo’ da te sapere che bandito è quello che, volendolo ne l’orto tuo pigliare i miei sergenti tu facesti fuggire, e di più feristi un dei miei; chè a quell’ora e in quel luogo tu non stavi armato per mondar de le castagne. Tu farai bene a dir il vero. – Fridiano che era più morto che vivo, temendo che la fune non lo stroppiasse e pensando che per esser in casa sua armato per guardar che nessuno andasse a giacersi con sua moglie non fosse d’importanza, e che aveva ferito Ferraguto per diffesa sua, disse piangendo: – Signore, io vi dirò la verità del tutto. Per Dio, non mi tormentate. Egli è il vero che credendo io che voi foste innamorato de la mia donna, parendomi aver veduti certi segni che a creder questo m’inducevano, che io con lei più volte ne feci romore e la minacciai agramente, e di più dissi che io ammazzarei lei e voi, se vi trovava in casa mia. Onde per questo dubio che io aveva a persuadendomi che per via de l’orto voi entraste in casa, sono stato molte notti a far la guardia in quel luogo. La notte poi che i vostri ci vennero, io pensando che voi foste quello che discendeva del muro, con animo d’ammazzarvi assalii colui e lo ferii, parendomi esser lecito in casa mia diffendermi e non lasciar che nessuno contra mia voglia v’entrasse. Altro non saprei io che dirvi, perchè nel vero io non ho pratica di banditi, nè so che bandito nessuno in casa mia sia capitato già mai. – Alora il giudice, fatto scriver il tutto dal notaio: – Che ve ne pare, – disse, – messer Paolino? – chè così era nomato il notaio. – Veramente, domine iudex, [p. 17 modifica]costui è in pena capitale, perciò che sentì che i sergenti gridavano: – Al bandito! al bandito! – e nondimeno egli assalì Ferraguto ministro de la giustizia; e di più confessa che credeva ferir la persona vostra, il che è crimen laesae maiestatis. Io credo, se voi non gli usate qualche misericordia, che egli ci lascierà il capo, prima per aver vietato che il bandito non si pigliasse, poi per aver ferito il vostro ministro; che son tutti casi capitali secondo la disposizione di questa magnifica città. E v’è' 'poi che egli ha confessato che con animo deliberato di ammazzarvi quella notte s’armò e stette ad aspettarvi, e con questa deliberazione assalì Ferraguto, pensando assalir voi. Ed in questi casi d’omicidio dicono i dottori che la volontà è riputata in luogo del fatto. – Avendo così parlato il notaio, messer lo giudice, che vedeva il misero Fridiano esser per tèma di perder la testa più morto che vivo, gli rispose dicendo che egli aveva parlato molto bene a che vederebbe gli statuti, ma che prima era necessario che Fridiano avesse da sette tratti di fune per purgar gli indizii che erano contra lui, d’aver vietato che il bandito non si pigliasse. Fridiano sentendo questo morì quasi di paura e non sapeva che dirsi. Fu adunque menato in prigione, e i parenti suoi che cercavano d’aiutarlo, intendendo come egli di bocca propria aveva confessato che con animo deliberato aveva molte notti con l’armi atteso il giudice per ammazzarlo, si trovarono molto di mala voglia, parendo loro che il fatto non andarebbe troppo bene e che il giudice in questo caso procederebbe rigidamente; nondimeno non mancavano dei debiti rimedii. Fridiano stava in trista prigione, con tèma de la vita sua e con dolor de la moglie, la quale egli credeva che fosse tutta da la fune rovinata. Ma ella viveva gioiosamente e non aveva avuti squassi di fune, se forse la notte non era su le piuma squassata, perchè dubitando il giudice che il troppo dormire non guastasse madonna Beatrice, la scoteva molte volte la notte e seco a le braccia, lottando, giocava. Messer Neri Malletti padre de la donna, avvertito de la presa per mano de la giustizia di sua figliuola col marito e de la confessione del genero, ottenute dal signor Pietro Gambacorta e da’ parenti di messer Buonaccorsio alcune lettere, quelle mandò al giudice per mano d’un notaio pisano, che era tutto del giudice e aveva fatto l’instrumento de la dote in Pisa di madonna Beatrice quando fu maritata. Costui se ne venne a Lucca ed alloggiò in casa del giudice, dal quale fu molto domesticamente raccolto. Messer Buonaccorsio, vedute le lettere del signor Pietro [p. 18 modifica]e dei suoi parenti ed amici e sapendo quanto il notaio l’amava, gli narrò tutto l’ordine de la cosa e de l’amor di lui e di madonna Beatrice. Erano circa otto dì che Fridiano era prigionero, onde volendo il giudice finir questa pratica, se lo fece una sera menar avanti e volle che il notaio pisano ci fosse presente. Venuto Fridiano innanzi al giudice, egli così gli disse: – Io non so già qual ingiuria mai da me, o Fridiano, fatta ti fosse dapoi che io venni in questa magnifica città, chè tu con tanto e sì continovo studio devessi cercar la morte mia, come io da la confessione di tua moglie, dei tuoi di casa e da te stesso ho conosciuto. Dimmi, che cosa hai da me ricevuta chè tu devessi tante notti star armato e attendermi per voler ammazzarmi? Adunque non potrò io il dì e la notte, per essequir l’ufficio mio, liberamente per la città andar ove più conoscerò esser il bisogno? Ma mettiamo ch’io non vi voglia andare per cose appartenenti al magistrato, ma per qualche mio interesse particolare, e che forse io ami qualche gentildonna che a te non appartenga e voglia seco gir a giacermi: a te che ne de’ calere? Sarò dunque io da te nei miei particolari piaceri impedito e tenuto a norma, come i fanciulli si fanno? Ma torniamo al caso nostro. Questi dì io fui avvertito che uno che ha bando da questa città era passato per l’orto tuo e ito non so dove. Il perchè volendo far il debito mio, mandai per prenderlo, e tu il capo de la guardia assalisti a gli desti una ferita, pensando non colui ma me, come hai confessato, ammazzare. Io intendo seguir quello che vogliono gli statuti e leggi municipali di questa città. Prima farò che sarai dimane posto a la fune, per formar il processo giuridicamente; poi di te farò quello che degli assassini si fa. – A questa voce l’impaurito Fridiano, gittatosi ai piedi del giudice con le braccia in croce, lacrimando diceva: – Se la pazienza vostra, signor giudice, esser può tanta che ella soffra d’ascoltarmi, io non dubito punto che avendo da me la verità intesa, voi non debbiate giudicar che io non sia tanto colpevole come ora mi stimate, e che voi non abbiate rispetto a l’innocenza de la mia carissima donna, la quale in questo caso è senza colpa veruna e merita, la poverina, esser liberata. – Fece alora il giudice che Fridiano si levò, e gli disse: – Orsù, di’ ciò che tu vuoi, chè io ti ascolterò pazientemente. Che vuoi tu dire? – Fridiano in piè levatosi così disse: – Messere, io v’ho già detto come io dubitava che voi amaste mia moglie, perciò che quando questo gennaio passato voi faceste l’entrata vostra, cominciaste molto spesso a passar per dinanzi a casa mia. Io conoscendomi aver bellissima moglie, – il che [p. 19 modifica]non suole mai porger la notte tanto diletto, che molto maggior noia il giorno non apporti, – dubitai fortemente del caso vostro, essendo pisano e bel giovine; e tanto più ne dubitai quanto che io vedeva in voi e in lei certe cose che mi facevano credere che questo vostro amore avesse avuto principio altrove. Adesso ho conosciuto che m’ingannava, e quando mia moglie mi diceva che devevate esser innamorato d’una nostra vicina, io nol credeva; onde è poi seguìto quanto l’altra volta vi dissi. Pertanto egli mi pare che il caso mio sia degno di compassione e che in casa mia io possa star armato come mi piace. E se volevi passar per l’orto, devevi farmi dir una parola e non così a l’improviso volermi scalar il muro, chè essendo, com’io era, in quel sospetto, che deveva io altro fare? E voi, che avereste voi fatto? Di mia moglie, ora che l’avete così fieramente tormentata, siate sicuro che a torto l’avete fatto male, non essendo ella in colpa di cosa alcuna. – Il notaio pisano alora disse: – Fridiano, tuo suocero m’ha mandato qui per veder con men tua vergogna e danno che sia possibile che io procuri che tu sia con la moglie liberato. Io ho visto il tuo processo che è assai brutto; tuttavia io parlerò qui col signor giudice e farò a la meglio che si potrà. – Fridiano lo ringraziò e pregò che non perdesse tempo, e fu rimenato in prigione. Dapoi furono insieme il giudice, la donna e il notaio pisano e consultarono ciò che fosse da fare per ultimar questa pratica. Conchiusero adunque che il notaio pisano andasse a ritrovar Fridiano e facesse che egli chiedesse di grazia di poter parlar con la moglie; il che dal notaio diligentemente fu posto ad essecuzione. La donna con le lagrime su gli occhi e con il fumo di solfo impallidita, che pareva proprio che fuora d’una sepoltura uscisse, fu a Fridiano condotta insieme con il notaio pisano. Come il marito vide la moglie così pallida, piangendo l’abbracciò e chiesele mille perdoni che mai di lei avesse avuto sospetto, promettendole se di prigione usciva, che voleva che ella fosse donna del tutto, perchè la conosceva donna onesta e da bene. Ella fingendo esser tutta attratta, pareva che non potesse muoversi; di che egli faceva doloroso pianto, dicendo: – Moglie mia cara, dolce anima mia, ben mio, unico mio conforto, perdonami, chè io conosco che sono tutta la cagione del tuo male. Oimè, vita mia, come ti senti? – Ella pur faceva la gatta morta, e con voce debole gli rispondeva che era tutta fiacca e con gran difficultà poteva parlare. Il notaio alora disse: – E’ non si vuol perder tempo, madonna Beatrice, mentre avete licenza di parlar con vostro marito. Io ho avuto a far assai [p. 20 modifica]prima che il giudice abbia voluto consentire che voi parliate insieme. Io vi dirò brevemente il mio parere circa i casi vostri. Quello che è passato esser non può che fatto non sia, e Dio che poteva non lasciarlo avvenire, ora che è avvenuto, che avvenuto non sia non può fare; il perchè lasciando le cose passate, attendiamo a le future. Io ho veduto il vostro processo, il quale per la deposizione di voi, Beatrice, e de le donne a del servidore aggrava forte il fatto, tanto più che v’è poi la confession tua, o Fridiano, per la quale sarai condannato, morendo Ferraguto, che ti sia tagliata la testa; non morendo, – che Dio il voglia!' '– ti sarà tagliata una mano e un occhio cacciato del capo e per tre anni sarai bandito. Io spero che Ferraguto guarirà. Troviamo adunque modo che tu non sia mutilato dei tuoi membri. E questo saria che tu pagassi al fisco mille fiorini d’oro. – Udito questo, Fridiano disse: – La cosa va men male di quello che io credeva. Io teneva per fermo, avendo confessato di mia bocca ciò che ho detto, che le cose mie devessero andar molto peggio. Tuttavia egli è una gran cosa ad un par mio a pagar mille fiorini. Io non fo mercanzia nè ho mestieri nessuno a le mani: l’entrate sono a pena bastanti a mantenermi la casa in capo de l’anno. Ma io m’avviso: se Antonio, che è qui e che fece l’instrumento de la nostra dote, volesse far un instrumento che paresse fatto tre o quattro dì dopo la carta de la dote, io, moglie mia, ti farei carta di donazione inter vivos di tutto il mio e mi renderei inabile a pagare, e com’io fossi fuor di prigione, qualche cosa sarebbe. – Beatrice alora pregò molto il notaro pisano che le volesse far questo bene. Egli si fece buona pezza pregare e a la fine disse di farlo, e forse non era il primo che egli avesse di simil maniera fatto. Rimasero a la fine in questa conchiusione: che Antonio notaio parlasse col giudice e vedesse col favor de le lettere portate d’operare che la sentenza non fosse così rigida, e adoperasse quei mezzi che gli parrebbero convenienti. E così partirono la donna e il notaio di prigione e andarono a ritrovar il giudice, il quale intendendo la volontà di Fridiano di far la donazione a la moglie, rivolto a madonna Beatrice le disse: – Madonna, cotesto è un buon pensiero per voi, perciò che per l’avvenire voi restarete padrona del tutto, e bisognerà che vostro marito stia con voi e non ardirà più di garrirvi. Le cose vanno bene, per la grazia di Dio. Noi averemo guarito Fridiano di tanta estrema gelosia in quanta il povero uomo era entrato, e saremo cagione che in casa non si farà più romore. Ferraguto è guarito, chè il suo male non era [p. 21 modifica]in luogo periglioso, e mi pare che sia tempo di liberar Fridiano. E per la prima, voi con le vostre donne e col servidore ve n’anderete dimane a buon’ora a casa, ed io dopo desinare prononzierò la sentenza di questo tenore: che Fridiano Z. per aver ferito un sergente de la corte e indirettamente vietato che non si sia potuto prender un bandito, che sia ubligato a pagar le spese che Ferraguto ha fatte in farsi medicare, e che sia ubligato per un anno intero attender a l’ufficio dei contrabandi senza salario alcuno. E se parrà che la sentenza sia leggera, io dirò che astretto dal signor Pietro Gambacorta e da tanti miei amici e parenti non ho voluto proceder con quella rigidezza che averei potuto; che questa pena che se gli dà, di far per un anno l’ufficio dei contrabandi senza salario, è per essersi opposto ai sergenti de la corte: nel resto che sono ingiurie mie particolari, che io di core il tutto gli ho rimesso per le lettere di raccomandazioni che dagli amici miei e parenti ho avute. – Fatto questo, la notte seguente il buon giudice secondo la sua usanza tenne compagnia a la sua innamorata, e più volte insieme si risero de la beffa che a Fridiano tuttavia facevano, e Beatrice diceva che il pecorone n’aveva avuto troppo buon mercato. Il giudice per metter ordine che per l’avvenire potessero esser insieme, le diceva: – Vedete, anima mia dolce, – e dicendo questo la basciava ducento volte – io voglio che Fridiano faccia per un anno l’ufficio che sarà condannato a fare, perciò che sarà necessario che egli sia tutto il dì a cavallo fuor per il contado, e quando mi parrà, io lo terrò fuor quattro o cinque giorni, e potremo a nostro piacere esser insieme senza disturbo. Molte fiate anco ne la città ordinerò che la notte egli starà quattro o cinque ore in una contrada con la guardia, nè gli sarà lecito senza mia licenza levarsene; ed io in quel mezzo potrò venir a starmene vosco una e due ore, di modo che ci daremo il meglior tempo del mondo mentre che io starò in questo ufficio. Che ne dite voi, cor del mio core? non è egli la' 'cosa nostra ben ordinata? – La donna, che non meno amava lui che ella fosse da lui amata, con mille amorosi e saporiti baci gli rispondeva dicendo: – Sì, signor mio dolce, che voi avete fatto benissimo, e conosco apertamente che voi cordialmente m’amate, ed io altresì amo più voi che la vita mia propria. – Così passarono i due amanti quella notte in amorosi piaceri e dolci parlari. Venuta la matina, la donna con le sue massare e servidori a casa se ne tornò. Il notaio pisano andò e parlò con Fridiano, e gli disse: – Fridiano, ringrazia Iddio che a questa volta ti sei ritrovato aver [p. 22 modifica]una moglie pisana, che se ella non era, non so come tu avessi fatto che non ti fosse stata mózza una mano a cavato un occhio. Ma le lettere che suo padre ha fatto scriver in questa città hanno di modo giovato che oggi tu sarai libero di prigione e ne potrai a posta tua andar a casa. Tu sarai astretto a pagar le medicine che ha preso Ferraguto ed il medico per guarire, che sarà una miseria, ed in pena del resto egli ti converrà far per un anno l’ufficio del capitaniato dei contrabandi senza ricever salario da la Camera. Egli è un buon ufficio e ne caverai util assai, oltra che tu potrai giovar molto spesso agli amici tuoi. Basta: per amor di messer Neri tuo suocero io mi ci sono affaticato pur assai. Il signor giudice era molto teco in còlera, e a me pare che egli n’avesse ragione, cercando tu di levargli la vita senza che egli t’offendesse. Egli tanto si cura di tua moglie come di cosa che mai non vide, perciò che il suo amore, ed io lo so, è altrove collocato. Tu ringrazierai il giudice pur assai e gli resterai fin che vivi ubligatissimo, chè guai a te se egli ti avesse fatto il male che poteva! – Fridiano, udita questa così buona nuova, si pensava esser risuscitato da morte a vita, e senza fine ringraziò il notaio pisano. Dopo che si fu desinato, ne l’ora che il giudice soleva sedere a la banca, avendo prima fatti tutti quegli atti giuridici che si ricercano, messer lo giudice pronunziò la sua final sentenza ne la cosa di Fridiano Z., e per più ubligarselo, non volle che egli pagasse un danaio di spese nè de la prigionia, e di più anco, devendo egli pagare a Ferraguto quel poco che speso aveva, non volle che egli a Ferraguto pagasse cosa alcuna; di modo che il buon Fridiano uscito di carcere se n’andò a gittare ai piedi del giudice e quello infinitamente ringraziò, dicendo che voleva che fosse padrone di sè, de la roba sua e di quanto al mondo aveva. Il giudice gli rese quelle grazie che erano convenevoli; gli fece intendere che egli restasse ubligatissimo a suo suocero, che col favore del signor Pietro Gambacorta aveva procurato la sua liberazione. L’essortò poi a mettersi in ordine per far l’ufficio che egli aveva assegnato, e che lo facesse con ogni diligenza. Il buon Fridiano gli rispose che egli farebbe ogni cosa per farsi onore, e che in tutto e per tutto si governarebbe secondo ch’egli comandarebbe, e che gli voleva sempre esser servidore. Andò poi a casa, e tanto bene a la moglie disse di messer lo giudice che più non se ne poteva dire; e tra l’altre cose le diceva: – Moglie mia, io voglio che il signor giudice possa da ogni ora venir in casa nostra senza rispetto veruno, perchè egli è un grand’uomo da bene e gli abbiamo [p. 23 modifica]tutti obligo grandissimo, chè se avesse voluto poteva farne del male pur assai. – La donna confermava il tutto, e mentre che ella vide il marito in buona disposizione volle che Antonio, il notaio pisano, facesse la carta de la donazione, la quale il buon notaio fece con tutte quelle clausole che il giudice le seppe mettere. E così bene andò questo amore dei dui amanti che, per dui anni continovi che messer Buonaccorsio fu giudice, ogni volta che volevano, si ritrovavano insieme. E tanto piacque questa pratica al giudice che egli, finiti i dui anni, ebbe modo d’esser vicario del podestà e dopo, essendo da tutti amato, fu anco podestà. E tanta era la buona openione che Fridiano di messer Buonaccorsio aveva, che non solamente non averia creduto a chi gliene avesse detto male, ma quando egli in' 'un medesimo letto visto gli avesse giacersi ed insieme abbracciati, non averebbe dato fede agli occhi suoi.


Il Bandello a l’eccellente dottor di medicina messer Atanasio degli Atanasi


Suole la vecchiezza apportar molti e varii disagi a colui che diventa vecchio, e non solamente ne apporta, ma ella stessa, come saggiamente disse il «Comico», è una corruzione di tutte le membra del corpo, oltra che anco genera mille mali ne l’animo umano. Ma lasciamo da parte tutti gli altri disagi e tanti vizii suoi, quando il vecchio non è d’animo ben regolato e generoso e si lascia trasportar da le passioni del corpo, chè una lunga iliade se ne potrebbe comporre; e parliamo solamente del morbo de l’ambizione quando egli s’appicca in un vecchio, e massimamente se egli è stato povero e ne la vecchiezza si ritruovi aver accumulato qualche somma di danari. Il misero, che mai non si rivolge a dietro nè pensa quanto abbia vivuto, riguarda solo a l’avvenire, e credendosi alora esser sul fiorir degli anni suoi, mille castella e mille chimere ne l’aria va fabricando; e come se devesse viver altro tanto quanto è visso, o si mette a fabricar superbi palagi e crede godergli lungo tempo; o vero vuol pigliar moglie ed essendo egli di sessanta anni vorrà che ella sia di quindici, e non s’accorge [p. 24 modifica]che se fosse messo sotto un torchio e gravissimamente premuto, che non si cavarebbe un’oncia di succo da le sue carni; o vero essendo con un piede ne la fossa, vuol comperare degnità ed ufficii, e prima che possa godergli se ne more e perde i danari ed insiememente la vita. Così il povero vecchio, essendo ribambito, si pensa esser Solomone, di modo che a lui interviene come a l’asino che per l’orecchie lunghe che aveva, credendo che fossero duo gran corna, si tenne esser cervo, ma al saltar del fosso dando nel fondo, s’avvide pure che era asino. Ora ragionandosi di cotai vecchi insensati a la presenza di madama nostra la signora Gostanza Rangona e Fregosa mia padrona, monsignor Alano di Frigemont de la casa di Monpesat che spesso suol venir a visitar madama, narrò una piacevol novella; la quale parendomi degna di memoria, fu da me subito scritta. Volendola poi metter al numero de l’altre mie, ho voluto che sotto il nome vostro sempre sia letta e veduta come segno de l’amor mio verso voi ed anco a fine che, come disse monsignor Alano, – chè così ha nome il narratore, – l’uomo si guardi d’entrar in questi cimbelli fuor di proposito. State sano.

Carlo Savonaro fa una beffa a lo zio e fassi consegliero di Tolosa con i danari del zio.


Seguitando adunque il proposito di che s’è parlato, vi dico che in Tolosa, città antichissima e molto piena di popolo, ancora non è guari fu un prete, dottore di ragion canonica, assai ricco di beneficii, che si chiamava messer Antonio Savonaro; il quale era di tanta grandezza di corpo che in tutto quel paese non si trovava uomo così grande che egli da le spalle in su non soperchiasse, di modo che da tutti era per la grandezza sua conosciuto e guardato sempre per meraviglia. Egli fu fatto ufficiale de l’arcivescovo, onde, essendo molto ruvido e severo più che il devere non richiedeva, s’acquistò per tutta la contrada generalmente questo nome, che ciascuno lo nomava «il gran villano da le trenta coste». Il che essendogli pervenuto a l’orecchie, meravigliosamente se ne turbò e di tanta còlera s’accese che in maniera alcuna nol voleva sofferire. Pensò più e più fiate che modo devesse tener a levarsi questo nome, e quanto più si mostrava di questo corucciato, tanto più per Tolosa se ne canzonava,