Novelle (Bandello, 1853, III)/Parte II/Novella XXIX
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tutti obligo grandissimo, chè se avesse voluto poteva farne del male pur assai. – La donna confermava il tutto, e mentre che ella vide il marito in buona disposizione volle che Antonio, il notaio pisano, facesse la carta de la donazione, la quale il buon notaio fece con tutte quelle clausole che il giudice le seppe mettere. E così bene andò questo amore dei dui amanti che, per dui anni continovi che messer Buonaccorsio fu giudice, ogni volta che volevano, si ritrovavano insieme. E tanto piacque questa pratica al giudice che egli, finiti i dui anni, ebbe modo d’esser vicario del podestà e dopo, essendo da tutti amato, fu anco podestà. E tanta era la buona openione che Fridiano di messer Buonaccorsio aveva, che non solamente non averia creduto a chi gliene avesse detto male, ma quando egli in' 'un medesimo letto visto gli avesse giacersi ed insieme abbracciati, non averebbe dato fede agli occhi suoi.
Suole la vecchiezza apportar molti e varii disagi a colui che diventa vecchio, e non solamente ne apporta, ma ella stessa, come saggiamente disse il «Comico», è una corruzione di tutte le membra del corpo, oltra che anco genera mille mali ne l’animo umano. Ma lasciamo da parte tutti gli altri disagi e tanti vizii suoi, quando il vecchio non è d’animo ben regolato e generoso e si lascia trasportar da le passioni del corpo, chè una lunga iliade se ne potrebbe comporre; e parliamo solamente del morbo de l’ambizione quando egli s’appicca in un vecchio, e massimamente se egli è stato povero e ne la vecchiezza si ritruovi aver accumulato qualche somma di danari. Il misero, che mai non si rivolge a dietro nè pensa quanto abbia vivuto, riguarda solo a l’avvenire, e credendosi alora esser sul fiorir degli anni suoi, mille castella e mille chimere ne l’aria va fabricando; e come se devesse viver altro tanto quanto è visso, o si mette a fabricar superbi palagi e crede godergli lungo tempo; o vero vuol pigliar moglie ed essendo egli di sessanta anni vorrà che ella sia di quindici, e non s’accorge che se fosse messo sotto un torchio e gravissimamente premuto, che non si cavarebbe un’oncia di succo da le sue carni; o vero essendo con un piede ne la fossa, vuol comperare degnità ed ufficii, e prima che possa godergli se ne more e perde i danari ed insiememente la vita. Così il povero vecchio, essendo ribambito, si pensa esser Solomone, di modo che a lui interviene come a l’asino che per l’orecchie lunghe che aveva, credendo che fossero duo gran corna, si tenne esser cervo, ma al saltar del fosso dando nel fondo, s’avvide pure che era asino. Ora ragionandosi di cotai vecchi insensati a la presenza di madama nostra la signora Gostanza Rangona e Fregosa mia padrona, monsignor Alano di Frigemont de la casa di Monpesat che spesso suol venir a visitar madama, narrò una piacevol novella; la quale parendomi degna di memoria, fu da me subito scritta. Volendola poi metter al numero de l’altre mie, ho voluto che sotto il nome vostro sempre sia letta e veduta come segno de l’amor mio verso voi ed anco a fine che, come disse monsignor Alano, – chè così ha nome il narratore, – l’uomo si guardi d’entrar in questi cimbelli fuor di proposito. State sano.
Seguitando adunque il proposito di che s’è parlato, vi dico che in Tolosa, città antichissima e molto piena di popolo, ancora non è guari fu un prete, dottore di ragion canonica, assai ricco di beneficii, che si chiamava messer Antonio Savonaro; il quale era di tanta grandezza di corpo che in tutto quel paese non si trovava uomo così grande che egli da le spalle in su non soperchiasse, di modo che da tutti era per la grandezza sua conosciuto e guardato sempre per meraviglia. Egli fu fatto ufficiale de l’arcivescovo, onde, essendo molto ruvido e severo più che il devere non richiedeva, s’acquistò per tutta la contrada generalmente questo nome, che ciascuno lo nomava «il gran villano da le trenta coste». Il che essendogli pervenuto a l’orecchie, meravigliosamente se ne turbò e di tanta còlera s’accese che in maniera alcuna nol voleva sofferire. Pensò più e più fiate che modo devesse tener a levarsi questo nome, e quanto più si mostrava di questo corucciato, tanto più per Tolosa se ne canzonava, e i fanciulli ed altri andavano per le strade cantando: «Il gran villano da le trenta coste»; di che il povero uomo ne fu per impazzire. E insomma dopo che assai ne smaniò, fece publicar una scommunica per tutta la diocesi tolosana, che fosse scommunicato e maledetto da Dio e dai santi qualunque ardisse più nominar monsignor l’ufficiale «il gran villano da le trenta coste». Adirata per questa scommunica, la gente, più tosto che smarrita nè emendata, altro non faceva dì e notte che cantare: «Il gran villano da le ventinove coste e mezza». Ora questo fu la secure che tagliò il collo al Savonaro. E’ voleva disperarsi veggendo che non si poteva levare così brutto nome da le orecchie: onde pensando a ripensando che via devesse tenere a torsi questa seccaggine, non potendo andar in luogo alcuno che non si sentisse rinfacciar la disonesta canzone, pensò, se si poteva far consigliero del parlamento, che più nessuno ardirebbe dirgli cotal nome. Fatto questo pensiero, chiamò a sè un suo nipote detto Carlo, ch’era fatto dottor di leggi non molto innanzi, e gli disse: – Nipote, tu senti tutto il dì le vituperose parole che di me si dicono, le quali ormai io non posso più sofferire. Io mi trovo quattro milia lire di tornesi in contanti con le quali, andando a la corte, io comperrò un luogo di senatore a mi leverò questo brutto nome da dosso. – Il nipote veggendo lo zio entrato in questo farnetico, che d’età passava settanta anni ed era poco più per vivere, gli rispose: – Monsignore, voi sète vecchio e devete pensare più a la morte che al vivere. Attendete a l’ufficio che voi avete, e non andate a morire e buttar via i danari. – Come il vecchio si sentì dir queste parole, entrò ne la maggior còlera del mondo, e diede del «tristo» e del «ghiotto» per il capo al suo nipote; e non volendo altrimenti esser consegliato, si mise in camino per andar a Parigi, ove alora era la corte. Carlo, sapendo questo, gli tenne dietro, mezza giornata sempre da lui lontano, di modo che per l’ordinario ove il vecchio cenava Carlo il dì seguente desinava. Giunto a Parigi, andò il vecchio ad alloggiar al «Castello di Milano». Il che saputo da Carlo, che il seguente dì v’arrivò, andò ad un altro albergo, e fra duo giorni contrasse amicizia con un arciero del re che gli parve atto a far quanto desiderava. Con questo arciero Carlo si convenne col prezzo di quattro scudi. Ed essendo a pieno informato di ciò che deveva fare, andò l’arciero a l’osteria del «Castello di Milano», ed inteso che il vecchio era in camera, là si condusse e picchiò a l’uscio. Ed essendogli risposto: – Chi è là? chi picchia? – egli rispose: – Io son un arciero che vengo da parte del re a parlar a monsignore l’ufficiale de l’arcivescovo di Tolosa. – Il vecchio come sentì questo, se gli fece incontro e disse mezzo smarrito e con tremante voce: – Che volete voi? – L’arciero gli disse: – Il re vi saluta. Seguitatemi! – E si mise per uscir di camera, dicendo tuttavia con parlar arrogante: – Seguitatemi, seguitatemi! – Il povero vecchio più morto che vivo: – Aspettate, – diceva, – aspettate. E che vuol il re da me? – L’arciero con mal viso teneva pur detto: – Orsù, andiamo. Monsignor, speditevi. – Deh, di grazia, – disse il vecchio, – sapete voi ciò che voglia? – Basta! – rispose l’arciero. – Andiamo, andiamo, e non mi fate più aspettare. – E pregando tuttavia il vecchio che cosa era, egli gli disse: – Io ve lo dirò, ma tenetemi celato. Il re vuol far la compagnia dei suoi arcieri dei più grandi uomini di Francia, e gli è stato detto di voi, che in vero sète un bell’uomo e farete un bellissimo vedere con una alabarda in spalla. Orsù via, andiamo. – Il vecchio, che voleva pagare di calcagni, gli disse: – Andate, che io verrò a corte. – No no, – rispose l’arciero, – egli conviene che io v’accompagni. – Ora dissero molte parole, e insomma l’arciero ebbe dieci ducati chè non lo conducesse. Partì l’arciero, ed il Savonaro, fatto sellar i cavalli, se ne ritornò con gran prestezza verso Tolosa, dicendo tuttavia: – Que te calè, Antoyne Savonieres? que te calè? Tu eres officiao, et estaves plan. Que te calè? Certes un vieit d’ase per pots. – Queste sono parole de la lingua nostra guascona che in italiano dicono: – Che ti mancava, Antonio Savonaro? che ti mancava? Tu eri ufficiale e stavi agiatamente. Che ti mancava? Certamente la verga de l’asino per lo mostaccio. – E giunto in Tolosa infermò e con queste parole se ne morì. Onde Carlo suo nipote ereditò le quattro mila lire ed altre robe assai, e comprò un luogo di consegliero; ed oggi vive senatore del parlamento di Tolosa, avendo col suo avviso saputo far che lo zio non buttasse via i danari, essendo da la vecchiezza consumato com’era.
Veggiamo tutto il dì scoprirsi grandissima differenza tra gli uomini e le nature ed inclinazioni loro, così varie che ben sovente in tutte l’azioni loro si discorderanno. E come di rado si ritrovano dui