Nelle solenni esequie del celebre filosofo e medico bolognese Giacomo Bartolomeo Beccari

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NELLE SOLENNI ESEQUIE

DEL CELEBRE

FILOSOFO E MEDICO

BOLOGNESE

GIACOMO BARTOLOMEO

BECCARI

ORAZIONE

Del Signor

FLAMINIO SCARSELLI.

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Se i consigli ineffabili, e gli autorevoli divini decreti un religioso freno non imponessero alla natural libertà delle menti Cattoliche, assai spesso, a mio credere, e troppo arditamente trascorrerebbesi quando a riputar come ingiuste per ignoranza, e quando ad accusare come intollerabili per debolezza le tante, e sì varie, e sì moleste vicende della umana calamità. Ed in vero chiunque all’incerto, e fievol lume della ragion sola abbandonisi, ben’è difficile, che i destini comprenda, e le distribuzioni de’ beni, e de’ mali; e di leggieri è tentato a maravigliarsi, e dolersi di quella stessa immutabile suprema legge, la quale vuole indistintamente soggetti a morte i sapienti e gl’indotti, i virtuosi e i malvagi. Chi può mirare la bella luce della sapienza, che i Dotti spargono a rischiarare e fecondare gl’ingegni, e chi sentire il dolce amore della virtù, che ispirano i Buoni a riformare e moderare i costumi; e può non chiedere, e non pregare agli uni, ed agli altri dal Cielo intera e lunga conservazione, e non sospirare profondamente, e non gemere di non vederli in sulla terra immortali? Voti e lamenti son questi, i quali se non hanno ragion di difesa contro le sovrane adorabili disposizioni, l’hanno almeno di scusa e di perdono per la grandezza, ed utilità dell’oggetto, a cui tendono, che è di serbare in quelle nobili vite, e di accrescer fra gli uomini le salutevoli, e vere sorgenti della pubblica felicità. Siami adunque permesso, che senza produr più oltre il meschino artifizio di cercare alle altrui brame e querele compatimento per impetrarlo alle mie, liberamente dichiari, che in niun altro tempo della mia vita non ho mai per verun’altra sciagura tanta desolazione di spirito, nè tanta afflizione sperimentata, quanta per la irreparabile perdita, che nel celebre Giacomo Bartolomeo Beccari si è fatta di un eccellente Maestro, di un ottimo [p. 4 modifica]Cittadino, di un virtuoso ed esemplare Cristiano. Ah che io in que’ primi trasporti di affanno e di dolore dalla inferior parte sopraffatto, e sospinto non ho potuto rattenermi per modo, che più volte indiscreta non chiami, e crudele la morte, da cui quest’Uomo chiarissimo è stato, con tardo sì, ma sempre intempestivo colpo, rapito alla imitazion de’ Fedeli, al piacer della Patria, all’onor delle Lettere e delle Scienze1. E se un doppio vincolo di amicizia, e di sangue2 porge a me quasi proprio, e distinto diritto di offendermi, e di lagnarmi di quella inesorabile predatrice, non è già, che ancora non se ne dolgano amaramente, e non ne piangano i più saggi conoscitori del merito, ed i più retti estimatori del danno; i quali dell’uno insieme, e dell’altro richiamano in oggi, e con pubblica, e solenne pompa rinnuovano l’onorata, e lagrimevole ricordanza3. Ma risalendo poi colla parte superiore dell’animo agli augusti principi della religione, e della fede, e le voci ascoltando della Cristiana rassegnazione e pietà, rientro pure in me stesso, e la vanità riconosco de’ miei rimproveri, e degli altrui contro la fida esecutrice e ministra degli eterni voleri; e chinando umilmente la fronte adoro non solo, ma benedico la provvidenza divina, a cui se già piacque di farci dono di uno Spirito sì eletto, e sì raro, or è piaciuto ritorselo, per collocarlo dopo le sue illustri fatiche in un soggiorno d’imperturbabil pace e riposo, e per innalzarlo dopo le virtuose sue opere ad un seggio d’interminabile gloria e grandezza. Nè così mi rattristo del danno mio, nè così la comune disavventura compiango, che non esulti al tempo stesso, e non goda di sì gioconde speranze; e quanto i neri apparati, e gli altri funesti segni di tristezza e di lutto mi presentano per l’una parte, e mi ricordano le nostre perdite, tanto per l’altra la santità del luogo, le preghiere de’ Sacerdoti, il valor de’ Suffragj mi confortano a credere, o più tosto a vagheggiare m’invitano la preziosa eredità di quell’Anima avventurata. Alla quale se in quella dovizia immensa di splendore e di gaudio, in che mi par di vederla, pur alcun senso di compiacenza rimane per la stima, che di Lei [p. 5 modifica]mostrano i Cittadini, e per l’onor, che le rendono i suoi Alunni, ed Amici4; io non dubito, Uditori veneratissimi, che non sia per appagarsene grandemente, e voglio ancor lusingarmi, che sia per ascoltare senza sdegnarsene le sue lodi, purchè in esse non i lumi soltanto, e gli ornamenti di sua dottrina, ma l’uso più tosto, ed il fine se ne commendino, onde sì grata divenne, e sì giovevole agli uomini, e sì pura comparve, e sì pregevole nel divino cospetto. Or questa appunto è la traccia, che di seguir mi propongo nel mio ragionamento, come seguilla avvedutamente il Beccari nella coltura, e direzion degli studj, e nella produzione, e propagazion delle scienze; a Lui non bastando, e quasi non curandosi di esser dotto, se tale non era ad ammaestramento, e profitto della società, a comodo, ed onor della Patria, ad eccitamento, e sostegno della virtù. Così la triplice immagine, che sin da prima additai, di eccellente Maestro, di ottimo Cittadino, di virtuoso Cristiano rappresenta, se io non erro, il ritratto, che lo somiglia, e intero forma il carattere, che lo distingue. Che se dell’ultimo di questi pregi, dico di virtuoso Cristiano, i malvagi per avventura, e gl’increduli, quasi di volgar cosa e leggiera, si rideranno; io so bene, che i savj e costumati Cattolici alla dignità renderanno, ed alla importanza di esso approvazione ed applauso; e cotesta pia, erudita, e nobil corona di Ascoltatori sarà senza dubbio a compiacersi la prima, che la vera Sapienza, a vista di un esempio sì luminoso, nella religione, e nella pietà si glorifichi, e la falsa all’incontro nell’orgoglio, e nell’error si confonda.

Quantunque al conoscimento del vero tutti aspirino gli umani intelletti, e tutti alla ricerca di esso bramosamente rivolgansi; non a tutti però, sia per difetto d’ingegno, o sia per mancanza di studio, egualmente avviene di ritrovarlo. Nè può in oltre l’ingegno da se medesimo sollevarsi ad alte e difficili indagini, nè può accompagnarlo utilmente, e secondarlo lo studio, se a sostegno dell’uno, ed a conforto dell’altro la direzione, ed il favor non si aggiunga di saggio, [p. 6 modifica]ed amoroso Maestro. Come avventurarsi all’incerto, e malagevole corso di tante vie, quante all’acquisto dell’Arti, e delle Scienze conducono, senza la traccia di esperta guida, e fedele, che le dimostri, ed appiani? e come avvolgersi in tante tenebre, e sì profonde, e sì dense, che ad ogni passo s’incontrano, senza il soccorso d’amico lume, e sincero, che le dilegui e disperda? O dunque bella, o inestimabile, e rara sorte, della quale per lo spazio di sopra undici lustri godettero gli avventurati discepoli del Beccari;5 giacchè tutte in esso quelle ammirabili doti si unirono, che ancor divise si apprezzano, ed insieme congiunte la integrità, e la perfezione costituiscono di un retto, ed utile Magistero.

Prima tra l’altre è la dottrina, della quale se una certa lodevole mediocrità può bastare in que’ Letterati, i quali soltanto a proprio comodo degli studj si pascono, e delle scienze si adornano, ubertà vuolsi, e sceltezza in quegli altri, i quali non contenti di alimentarsene per se stessi, e di giovarsene, dispensano i frutti delle loro fatiche, ed i tesori delle lor cognizioni diffondono a comune utilità. Sin dagli anni più teneri intese il Beccari quanto al desiderio del privato diletto preferir si dovesse la cura del pubblico bene. Per la qual cosa ricco naturalmente com’era di chiaro e fecondo intelletto, d’ampia e felice memoria, di pronta e docile volontà, nemico del fasto, intollerante dell’ozio, amator dello studio, indagatore del vero, all’arti da prima le più gentili, ed amene, indi alle scienze più gravi, e sublimi con tanta sollecitudine si rivolse, e con tanta costanza si diede, come se non apprenderle, e coltivarle in se stesso, ma dovesse trattarle un giorno, e produrle a pubblico giovamento. Nè quì abuserò già io delle parole e del tempo, inutilmente stendendomi a descrivere, o magnificare que’ pregi, che dopo i doni della natura aggiunse in esso la diligenza, accrebbe l’industria, perfezionò la fatica. Dove sorge sì bella, e sì doviziosa esulta la messe, non è egli chiaro abbastanza, che alla bontà del terreno la cura mirabilmente, ed il travaglio rispose dell’attento, ed operoso coltivatore? [p. 7 modifica]Entriamo adunque, senza arrestarci alla vaghezza de’ primi fiori, che giovinetto raccolse ne’ deliziosi giardini delle umane lettere6, entriamo tosto, ed innoltriamoci ne’ vastissimi campi Filosofici, e Medici, de’ quali in poco tempo divenne non pur custode, e ministro, ma reggitore, e signore7. Tutte ad una ad una scorrendone le varie parti, chi saprà pur una sola additarne alle sue erudite ricerche inosservata, ed ignota, alle sue ingegnose sperienze intentata, ed incolta? Per le dialettiche regole, e controversie qual dirittura, qual sicurezza ne’ suoi giudicj? qual evidenza, qual forza ne’ suoi discorsi? ed in tutti i pensieri, e movimenti della sua mente quanto amor del bell’ordine? quanto studio della semplice verità? La qual verità se nelle cose materiali e terrene non di rado, ed in gran parte alla penetrazione si occulta de’ nostri sguardi, molto più spesso nelle spirituali e celesti alla vista dell’animo si sottragge, e quasi affatto nascondesi. Ma nè l’altezza, ed oscurità degli oggetti sgomentò mai, nè la difficoltà, ed incertezza de mezzi ritenne questo valente Filosofo, sì che i magnanimi sforzi del Cartesio, del Malebranchio, del Leibnizio, e di altri lor pari non emulasse, ed animosi voli non disciogliesse ai più eccelsi principj, ed ai più profondi misterj delle metafisiche contemplazioni8. Che dirò io della morale Filosofia, o più tosto che non ne dicono a sua gran lode quegl’illibati ed aurei costumi, specchio visibile di quelle leggi santissime, sulle quali fondava l’onesto vivere e virtuoso, e scorta infallibile a quel sommo ed ultimo fine, in ch’ei riponeva la vera e perfetta felicità9? Dove lascio i geniali suoi studi nelle cose botaniche10? dove le diligenti osservazioni intorno a tante altre, e sì varie, e sì mirabili opere della natura? Le quali materie, sotto il titolo di Storia naturale comprese, furono a Lui nella prima riforma dell’Accademia Filosofica degl’Inquieti assegnate, e da Lui per alquanti anni dottamente trattate11: di quell’Accademia io dico, la quale fiorì sempre mai d’illustri, e rari ingegni fino dal suo nascimento12, e per diverse vicende d’uno in altro soggiorno, quasi ospite e peregrina, passando13, fu poi nel novello [p. 8 modifica]Istituto delle Scienze, e dell’Arti, come in propria sede, lietamente raccolta, e stabilmente collocata14. Ma le due Facoltà, che più dell’altre regnarono sullo spirito, e si contesero in certo modo fra loro, e si divisero i pensieri, e gli affetti dell’instancabil Beccari, furono la Fisica sperimentale, e la Chimica. All’aprirsi dell’Istituto intraprese egli a mostrare le leggi, ed i fenomeni della prima15, e poscia ad esporre i principj, e i prodotti della seconda16, e le varie e bizzarre sembianze, che prendono, e le strane e prodigiose maniere, onde si uniscono insieme, e si disgiungono. Così all’una donandosi senza togliersi all’altra, lo spazio di vent’anni ne’ fisici, e di trentuno impiegò ne chimici esperimenti. Erano questi le pratiche dimostrazioni delle dottrine teoriche, le quali o in altri Autori raccolte, o da Lui stesso inventate, accresciute, illustrate, diedero poi fondamento, e materia non solo a quell’erudite lezioni, che lungo tempo si udirono tra le meraviglie, e gli applausi de'circostanti, ma ancora a quelle nitide dissertazioni, ed a quegli eleganti trattati, che ne compose; altri de’ quali già videro, ed altri aspettano, e chieggono la pubblica luce. E siccome per condurre le scienze a quel grado di perfezione, del quale secondo l’umana imperfezione sono capaci, è forza tra molti e diversi studj dividere le applicazioni e le fatiche; così ben conoscendo il Beccari le relazioni, e le dipendenze, che hanno fra loro, e gli uffizj non ignorando, e gli ajuti, che vicendevolmente si rendono le Fisiche, e le Matematiche discipline, di queste ancora nella sua prima adolescenza, e più nell’età più matura volle istruirsi: nè già gli elementi apprese soltanto della Geometria; ma quando l’una, e quando l’altra parte di essa, e sino le più sublimi, e le più ardue entro i confini di una savia, ed utile sobrietà ricercando, or dall’uno apparavale, ed or dall’altro de’ Matematici suoi Compagni, ed Amici; i quali tal Maestro egli stesso qual era onorò poi sempre, con raro esempio di sommessione, e di gratitudine, come suoi Direttori e Maestri17. Con pari avvedimento non i principj soli, e le leggi, ma gli usi eziandio, e gli effetti della Facoltà Chimica [p. 9 modifica]dichiarando, non tanto all’aspettazione e curiosità de Filosofi, quanto al desiderio e bisogno de’ Medici soddisfece. Al qual fine mirando con molta providenza il Senato, ad accrescimento di quel profitto, che già grandissimo dall’opera del Professore traevasi negli esercizi dell’Istituto, eresse nella Classe de’ Medici una Lettura di cotal Arte, e ad insegnarla il primo sulle pubbliche Scuole lo destinò18: ove siami lecito di riflettere, che se nell’altre Accademie sogliono istituirsi le Cattedre, e poi si cercano ad occuparle i Maestri; in questa Nostra alla istituzione della Cattedra o eccitamento fu dato, o certo facilità dalla presenza, e dalla stima del Professore. Questo è, pregiatissimi Ascoltatori, questo è il ricco e pomposo apparato, questa la preziosa e splendida merce delle dottrine Filosofiche d’ogni maniera, ch’ei recò seco non a riparo soltanto, e sostegno, ma ad ornamento e decoro dell’Arte Medica, della quale non ha parte alcuna o teorica, o pratica, che da Lui posseduta non fusse, e negli egregj suoi scritti, e ne suoi sagaci consiglj, e nelle sue provide curazioni mobilitata19. Questo l’incomparabil tesoro d’erudizione e di sapere, onde già sparse l’anatomiche sue lezioni, precedute per lungo tempo, ed ajutate dalla continua assistenza di esso ad innumerabili sezioni, ed osservazioni fatte sopra i cadaveri dall’insigne Morgagni20. Queste l’armi fortissime, e l’invincibile scudo, che oppose alle tante e sì varie contese di quell’arduo cimento, non so s’io dica o più temerario, o più glorioso. Egli ne uscì certamente pieno di gloria; nè fu per Lui soverchio ardimento l’entrarvi; imperciocchè un poter non volgare alla difficoltà dell’impresa, ed un prudente coraggio alla grandezza del pericolo sovrastava21. Ed ecco di qual maniera le Filosofiche, e le Mediche Facoltà si diedero sempre scambievolmente la mano a formarsi di Lui un inclito Professor per se stesse, e per i loro seguaci un eccellente Maestro.

Se non che la eccellenza del Magistero, quantunque in gran parte dipenda, non però nè tutta, nè solamente deriva dalla opulenza, ed ampiezza della dottrina. V’ha di tali ingegni fra gli Uomini, i quali abbondevolmente raccolgono, [p. 10 modifica]ed in se medesimi, come in arche vastissime, ripongono e chiudono il grano eletto della sapienza; ma se poi debbono farne copia ad altrui, spesse volte non hanno o prontezza e facilità nell’esporlo, o buona e graziosa maniera nel porgerlo, o diligenza ed amore nel dispensarlo. Tal non fu senza dubbio il nostro incomparabil Maestro, a cui niuna, affatto niuna mancò di queste felici prerogative. Chiunque l’udì o nelle private lezioni, o sulle pubbliche Scuole, o tra gli spazj dell’Accademie, o ne’ circoli delle dispute, ebb’egli a desiderare giammai o nitidezza d’ordine nelle cose, o candore ed eleganza nelle maniere? Nè però voglio in questo luogo dissimulare un lodevol difetto, al quale non di rado il Beccari o insegnando, o disputando soggiacque, dico una certa sospensione, ed incertezza, ma lieve, ma passeggiera, nella collocazione, e nella scelta delle parole. Difetto io dissi lodevole, e potrei anche dire invidiabile a certi ridondanti, e troppo garruli parlatori; conciossiachè uscendo poi l’aspettata voce dopo breve ricerca dalle sue labbra, il gran piacere della proprietà, e giacitura di essa compensava di lunga mano il picciolo affanno dell’aspettazione, e lieto applauso a quell’industre soffermarsi seguiva; non altramente che a lode ritorna di un abile Giojelliere l’artificioso stento d’incastrare, e rilevare una gemma in quel luogo appunto, e in quell’aspetto, che le conviene. E chi poi non solamente ascoltollo, ma ebbe la sorte di leggere gli scritti suoi, e di veder le sue stampe22, come può non sentirsi stranamente allettato e rapito dalla semplicità de’ precetti, dall’esattezza del metodo, dalla purità dello stile, dalla importanza, vaghezza, e novità stessa assai frequente delle materie? L’aureo trattato de’ Fosfori23, in cui sì gentilmente si spiega, e si dimostra esser ne’ corpi pressochè tutti un ingenito principio di luce, la quale con certi artificj, ed ingegni si manifesta, non è egli medesimo tutta luce, e luce in tutto propria dell’Autor suo, che in ogni parte la desta, la tramanda, la sparge? Nè già di questa illustre Opera io parlo, perchè reputi l’altre, o manoscritte, od impresse, meno felici, e men chiare. Nè a te, beato posseditore di tante sue [p. 11 modifica]Filosofiche, e Mediche istituzioni, e di tanti suoi Voti, e Consulti di pratica Medicina24 invidio già il godimento di que’ preziosi tesori, che alla tua Arte appartengono; ma duolmi soltanto, e dorrammi, che quando a pubblico benefizio non si producano, nella nettezza ed eleganza de’ modi suoi un grande ajuto sottraggasi all’arte mia, ed in quel suo fermo edifizio, e limpidissimo ordine di dottrina un grande esemplare nascondasi a tutte l’altre. Io so bene, che consigliato egli stesso, e pregato più volte di pubblicar colle stampe i suoi leggiadri trattati, e le sue dotte consultazioni, con rara, e severa modestia se ne difese; ma ne fu egli almeno, infin che visse, senza limitazione alcuna o di persona, o di luogo, o di tempo, o di modo, largo e benefico dispensatore.

Quanti de’ nostri, e quanti dalle Città, e Terre straniere si presentarono a Lui, tutti umanamente raccolse, fra tutti le paterne sue cure, diligenze, e fatiche amorosamente divise. Quindi qual meraviglia, se tanto numero di Scolari in ogni tempo, e d’ogni parte avidamente concorse ad udirlo25? Se talun dalle Gallie, ed altri mossero dalle Spagne? e quai l’Alemagna, e quai ne inviò la Polonia? E se fino tra’ Moscoviti, tra gli Armeni, e tra’ Greci si ritrovò chi l’onor volle, ed il piacer di ascoltarlo? Era questo un effetto, nè altro aspettar si dovea, della celebrità del suo nome; la quale dalla stima nascendo del suo sapere, e dalla fama accrescendosi dell’amor suo, invitava con doppio titolo a profittarne, e quasi a forza traeva dalle braccia de’ Genitori i figliuoli, dal seno delle lor Patrie i cittadini. Strana più tosto, e mirabil cosa sembrar potrebbe, che non pochi nella sua Scuola si annoverassero [degg’io chiamarli o più modesti, o più accorti?] i quali, ancorchè altrove eruditi, ed alla dignità del Magistero elevati, a Lui ricorsero, e Lui frequentarono, e seguirono come Maestro, alla dipendenza e soggezion di discepoli ritornando. Sotto il qual nome io certo non oserei di comprenderli, s’eglino stessi, anzi che ad onta, non si fossero a pregio recato l’ascoltarne insieme cogli altri, il trascriverne, l’appararne, il ripeterne le lezioni26. Di queste risuonavano, e in certa guisa esultavano le sue pareti [p. 12 modifica]domestiche, di queste le loggie, le sale, le camere dell’Istituto, di queste le Cattedre, i seggi, i portici delle Scuole. Sebbene a che vo io ricordando que’ luoghi, ogni parte de’ quali è già dedicata, ed ogni angolo è sacro al culto, ed alla profession delle Scienze? Nelle conversazioni medesime, le più fiorite, e le più liete, pendevano dalla sua bocca le oneste brigate, e de’ suoi saggi ed eruditi ragionamenti si ricreavano; i quali introdotti com’erano con ingenua e naturale scioltezza, ed accompagnati da gentile e soave urbanità, nulla sentivano di quelle artificiose ed affettate maniere, nulla di quelle fredde e sottili fallacie, nulla di quelle indocili ed austere contraddizioni, d’ordinario sì incomode, e sì nojose alla civil Società, ed atte più tosto a rendere ingrata e spiacevole, che gioconda ed amabile la sapienza. Ed oh ben avveduti, e ben avventurati coloro, i quali d’ogni luogo approfittandosi, e d’ogni tempo, ed ogni sentenza di Lui, ed ogni motto raccogliendo attentamente, e serbando, hanno poi saputo a pubblica utilità o in questa, o in altre Accademie, ed anche col favor delle stampe riprodurne, e propagarne gl’insegnamenti27. Tanta era la copia, o tanta più tosto la profusione, onde fu solito egli stesso di spargerli, e tanta insieme la diligenza e l’industria, perchè ben alte se ne formassero, e ben distinte, e durevoli le impressioni. Le quali affettuose e tenere cure se tanto valsero al regolamento del corso, quanto più all’acquisto non valsero della meta?28 Meta di ricompensa, e di gloria, a cui questo buon Condottiero ordinò sempre i suoi seguaci per modo, che non indegni apparissero di conseguirla; e tanto apparecchio di studio, e di esercizio vi pose, onde tutti intendessero, che nella soverchia frequenza, e facilità di ottenerla raro fu sempre, e difficile il meritarla. Vestiti poi ch’erano delle onorate divise, veniva forse lor meno o il consiglio, o il soccorso dell’amantissimo Direttore? Chi fu giammai o sì imprudente, o sì sventurato, il quale prima di ascender le Cattedre lume da esso, e vigor non prendesse, e dal fondo inesausto del suo sapere peregrine ed elette merci non vi recasse29? O saggio, ed utile divisamento! o bella, e non mai abbastanza [p. 13 modifica]commendevol fatica di chi tutte rintracciando le Tesi da Lui in molti e diversi tempi ideate, e disposte, e da’ suoi valorosi discepoli sostenute30, tutte in un le raccolga, e secondo il retto ordine delle Filosofiche, o Mediche istituzioni in altrettanti trattati [che tali appunto nomar si debbono] ripartendole, a godere novellamente di quella luce, che meritano, le richiami! Non sarà egli questo un pubblico ed immortal monumento del molto, che meditò questo eccellente Maestro, e del moltissimo, che adoperò a giovamento, e decoro della sua scuola?

Ma di tante meditazioni, di tante sollecitudini, di tante fatiche qual oggetto, qual fin si propose? qual conforto ne trasse? qual premio ne riportò? Se ne chiediamo all’avventurata sua Patria, io vi presento, risponde, un ottimo Cittadino, che sino dall’età prima offerisce tutto se stesso e consacra al comodo, all’ornamento, al piacer mio. A Lui consegno i miei teneri Figli, perchè li coltivi, ed ammaestri nello studio della sapienza; ed egli non alla umana scienza soltanto, ma colla voce, e coll’esempio gli educa alla cristiana virtù31, e a me li rende animati dallo stesso suo spirito, per cui si moltiplica in essi, e si rinnova. Per udir Lui d’ogni parte concorrono, e qui per lui si trattengono gli stranieri; ed io della lor venuta mi onoro, del lor soggiorno mi giovo32. L’Accademia dello Istituto, le memorie, e produzioni di cui a tanta fama ritornano degli Accademici, e dell’egregio loro Scrittore33, più volte ritrovasi sul punto di sciogliersi e di perire; ed egli, a sostegno dell’onor mio, colla sua costanza la rassicura, e col suo zelo la serba34, quasi presago di quelle beneficenze, che la provida liberalità del gran Benedetto XIV. le preparava35. Venga straniero invito, vantaggiose proponga ed onorevoli condizioni, e consigliando e pregando lo assalga, e lo tenti per toglierlo a questa Università, e farne tesoro ad un’altra. No che io non temo di perderlo. Sta a mia insuperabil difesa l’amoroso suo cuore, il quale avrà primieramente la gloria di una spontanea, e nobile resistenza, e poscia il contento di essersi, prevenendole, conformato alla [p. 14 modifica]volontà del Pontefice, alla soddisfazion del Senato, alla brama de’ Cittadini36. Sia pure per magnanima disposizione del Principe a spazio più discreto, e più breve, che dianzi non era, limitato il termine delle lezioni sulle pubbliche Scuole a sollievo de’ Professori già benemeriti dello studio o per lungo esercizio di Cattedra, o per edizione di opere importanti, ed illustri37. Abbia il Beccari nel doppio titolo doppio il diritto di profittarne38: debbasi alla gravezza dell’età sua questo lieve ristoro; questo picciol riposo alle sue molte, e perpetue occupazioni convenga. Sarà egli per tutto questo ch’e’ si disponga a richiederlo? che si curi di conseguirlo? Ah ch’io conosco troppo l’indole generosa dell’amor suo, per non temere, che alle lusinghe commuovasi del privato suo comodo, e non più tosto compiacciasi di mantenersi utilmente operoso, e di mostrarsi, a costo di più lungo disagio, volontario osservator delle leggi, e costumanze primiere. E sì gli parrà di fare ancor poco a pubblico bene frequentando con intrepida costanza le Scuole sino al quarantesimo anno di sua Lettura; e lo vedrete nella propria casa per altri sedici e più anni, e fino agli estremi giorni del viver suo, quantunque assai debile, e travagliato in varie guise, e malconcio nella salute, con ammirabile dissimulazione d’infermità, e di fatica impiegarsi nell’ordinarie lezioni, e non prima ritrarsene, che un mortale languore, ed abbattimento di forze ve lo costringa39. Anzi in questo stato medesimo non più distante, che di poche ore alla morte, vorrà egli stesso, come già solito da dieci lustri a descrivere con singolare esattezza le meteorologiche osservazioni, con fredda, e tremante mano segnarne l’ultime note40.

Queste bellissime testimonianze, ed altre senza numero somiglianti render potrebbe la Città nostra alla benemerenza dell’inclito Professore; il quale nell’attenta e fedele osservanza de’ suoi doveri il vero carattere del buon Cittadino costituendo, in se medesimo perfettamente lo espresse, ed agli altri col consiglio, e coll’opera lo persuase, come il più stabile fondamento, ed il vincolo più tenace della civil società41. Quindi la negligenza, e la freddezza di alcuni [p. 15 modifica]Cittadini nel conservare ed accrescere, o nel promovere e sostenere i vantaggi, e gli onori della lor Patria più di una volta divennero al suo fervido temperamento un oggetto di nobil’ ira, e di virtuoso trasporto42: e l’utile all’incontro, e il decoro, che dalla diligenza ed industria, o dalla estimazione e fama di altri alla lor Patria derivavano, furono sempre il soggetto de’ suoi più dolci conforti, delle sue più tenere compiacenze43. Ed io credo bene, che mirando egli alcuna volta in se stesso, non pur uno di questo eletto numero, ma o primo, o certo tra’ primi, ad onta della sua rigida moderazione, si ravvisasse. Ma che perciò? Riputò egli forse a proprio vanto o le onorevoli cariche di Dottor Collegiato44, di Lettor pubblico emerito45, di Presidente, e Professore nell’Istituto46, o la sua decorosa aggregazione alla Società Regale di Londra47, o il dotto commercio co’ Letterati stranieri48, o la benevolenza e la stima de’ Sapienti, e de Grandi49, tra quali può ben valere per tutti l’immortal Benedetto50? Anzi per questo solo a gran mercede tenevasi, e dentro nell’animo modestamente allegravasi di essere in tante, e sì distinte foggie onorato, ed applaudito, perchè le onorificenze, e gli applausi non terminavano in Lui, ma passando nella sua Patria, di contento insieme, e di gloria la ricolmavano. Ed oh piacesse pure all’Altissimo, che siccome questi due soavissimi effetti di contento, e di gloria durano tuttavia, e per ogni futura età fra noi dureranno altrettanto, quanto la indelebil memoria del celebre Cittadino; così al chiudersi de’ giorni suoi non fosse chiusa eternamente per noi la sorgente amorosa delle sue benefiche dimostrazioni. Delle quali ancorchè novello pegno visibile all’Istituto nostro rimanga nel prezioso legato di scelti Libri, di rare Medaglie, di egregi Disegni51, potremo ben riconoscere in questo dono, ed ammirare, e godere i moltiplici frutti dell’industre illimitato suo genio, e del generoso incessante amor suo, ma non consolarci giammai, e molto meno ristorarci della gran perdita. Gran perdita io dico, non solo perchè impoverito è lo Studio di un eccellente Maestro, non solo perchè privata è la Patria di un ottimo [p. 16 modifica]Cittadino; ma perchè mancando in esso un virtuoso ed esemplare Cristiano, ai veri Sapienti è mancato un bell’oggetto d’imitazione, ai falsi un forte argomento di disinganno.

Ed ecco, Uditori riveritissimi, il terzo ammirabil carattere; il quale come a ragione può dirsi il compimento, e la perfezione degli altri due, così ad essi congiunto intera rende e perfetta la immagine del Beccari, e forma il più illustre soggetto, ed il più solido fondamento delle sue lodi. In fatti se questo dottissimo Professore nell’acquisto, e nell’uso delle più nobili discipline non altro avesse inteso, che di ornare, e di abbellir la sua mente, e di provveder per tal modo alla propria estimazione, e grandezza; o se altro fine ei non si fosse di sue fatiche proposto, che di coltivare ed erudire gl’ingegni altrui, e di servire in tal guisa alla utilità, ed alla gloria della sua Patria; oh quanta parte si toglierebbe di vero merito alle sue studiose vigilie, e quanta all’operose sue cure di giusta commendazione! Ma fu ben altro l’oggetto, e più sublime, e più degno, a cui principalmente e l’intelletto rivolse, e l’animo sollevò. Non mai d’altronde, che dall’eterna infallibile verità riconosceva egli l’eccelso principio, e la splendida effusion d’ogni vero; ed a quella fonte purissima, dalla quale tante, e sì alte cognizioni attigneva, a quella stessa, benedicendola e ringraziandola, le ritornava. Nè mai all’ordinario esercizio o de’ suoi studj, o delle sue lezioni rendevasi, che i primi pensieri, e i primi affetti al sommo, ed unico Signor delle scienze non dirigesse, e Lui sul nascere, e Lui più volte nel corso della giornata, o meditando, o scrivendo, per lume e per ajuto non invocasse. E se talvolta qualche straordinaria intrapresa sopravveniva di pericolosa riuscita, e d’insolita difficoltà; oh allora sì ch’ei rinforzava le sue divote preghiere, ed implorava, ed offeriva le altrui; ed ora il merito delle limosine, ed ora il valore de’ Sacrifizj v’interponeva. Queste santissime costumanze furono sempre mai la fidata sua scorta nell’ardua consultazione di quelle cause, la decision delle quali assai più dall’esame dipende, e dal giudizio de’ Medici, che non dalle [p. 17 modifica]ragioni, ed autorità de’ Giuristi52. Da queste religiose e pie sollecitudini fu preceduto ed accompagnato il lavoro di quell’accuratissimo voto sopra i lunghi digiuni, il quale meritò prima l’onore di soddisfare al sublime intendimento del gran Lambertini53, e poi la sorte di essere inserito, ed esposto nelle immortali sue opere54. Così nel Beccari ognor congiunti si videro il culto della Religione, e lo studio della Sapienza, l’alta persuasione del divino potere, e l’umile conoscenza della propria infermità. Dove son ora quegli antichi Filosofi, i quali d’ardimento pieni e di fasto le più sottili specolazioni, e le più ingegnose scoperte al solo valore delle imperfette lor menti attribuivano, la pura e sincera luce del vero fra le tenebre disperdevano di una impotente e ridicola presunzione, l’aspetto castissimo dell’onestà colle macchie dell’alterigia e della vanità deformavano, e la dolce fragranza della virtù col mal odore contaminavano dell’ambizione? Vengano al gran confronto, ed apprendan da Lui, qual sia in un Cristiano Filosofo quell’eccelsa dottrina, che col nome si onora di scienza de’ Santi; e come un modesto e fedele riconoscimento della sovrana cagione, da cui deriva, vaglia presso di noi ad agevolarne l’acquisto, e l’uso rettificandone, a nobilitarne eziandio, e a propagarne il possesso. Se non che atti non farebbono quegl’infelici ad iscoprire le vie, e degni certamente non sono d’intender gli arcani, e di conoscere i pregi della Cristiana Sapienza, egualmente sollecita ad illuminar l’intelletto, coll’imprimere in esso i più semplici insieme, e i più elevati principi di un Vero meraviglioso, e di un Bello infinito, e a moderare la volontà, col sottoporla alle leggi di una non incerta, e non volgare virtù. E tanto appunto adoperò sulla mente, e tanto ottenne sull’animo del Beccari, in quella i semi eletti spargendo di rettitudine e di prudenza, da questo i preziosi frutti di buone e virtuose opere raccogliendo. Le quali se io volessi, non dirò amplificando ed ornando, ma noverando soltanto e narrando descrivere, o la copia immensa della materia mi opprimerebbe, o la restante luce di questo giorno ad esporle partitamente non basterebbe. Ma buon per me, che io mi ritrovo nella frequenza, e [p. 18 modifica]parlo al cospetto di sì discreti, e sì benevoli Ascoltatori, i quali, anzi che richieder la mia, mi offeriscono, e mi promettono a gara l’autorevole loro testimonianza. Mi si presentano dall’una parte gli Uomini retti, incorrotti, sinceri; e questi mi rammentano in Lui la semplicità, ed il candore dell’animo, la veracità, e la schiettezza delle parole, la probità, la fede, la integrità delle azioni; e quindi l’esatto studio, ed il costante esercizio dell’onesto, e del giusto, l’abominio, e l’orrore della doppiezza, e della frode, la disapprovazione, e il disprezzo di ogni equivoca, insidiosa, e fallace maniera nel letterario non meno, che nel civile commercio. Sorgon dall’altra gli Spiriti gravi, moderati, prudenti; e questi non solo nel portamento, e negli atti, ma nel sembiante, e negli sguardi rispettabil del pari, ed amabile me lo dipingono, per una certa natural gravità, per un certo decoroso contegno, per una certa non aspra, non orgogliosa, ma placida, ma modesta severità, onde l’interna compostezza, moderazione, prudenza, quasi per vetri limpidissimi, trasparivano. Alzano le loro voci le caritatevoli e pietose Persone; ed oh quali, e quante cose mi narrano della sua tenera compassione verso gl’infermi, della sua liberale misericordia verso de’ poverelli! che dove all’acerbità e pertinacia de’ morbi l’estremo de’ mali aggiugnevasi, la inopia e la fame, ivi più pronta accorreva, e rimedj apprestando, ed alimenti porgendo, più generosa mostravasi la sua pietà: che giorno non passò mai, in ch’egli qualche somma di quel danaro, che all’uopo de’ miseri segnatamente serbava, ai bisognosi, e mendici, i quali a Lui ricorrevano, o lo assediavano, ed impedivan per via, con amorosa providenza non dispensasse: che alle gravi necessità soccorreva de’ Congiunti, e degli Amici, e spesse volte le preveniva; ma sempre con tanta dimostrazione di amore, con tanto studio di segretezza, onde il frutto godessero dell’affinità, e dell’amicizia negli occulti, e spontanei sovvenimenti, senza provare il rossore dell’indigenza, senza sentire la ripugnanza della preghiera, senza soggiacere al pericolo della ripulsa. Che di Lui finalmente non dicono l’Anime timorate e divote, le quali ricercate avendo le traccie, e le [p. 19 modifica]pie costumanze investigate della cristiana sua vita55, non cessano di esaltare l’ardente sua carità verso Dio56, la viva fiducia nella redenzione, e ne’ meriti di Gesù Cristo57, il tenero culto verso la Vergine58, l’affettuosa divozione degli Angeli, degli Appostoli, e d’altri Santi, ad intercessori, e protettori suoi specialmente invocati, ed eletti59. Rimembrano altri la sua frequenza alle Chiese, altri la fedele assistenza al Sacrifizio eucaristico dell’Altare60. Chi l’uso non interrotto delle cotidiane sue preci61, chi l’ordinaria lettura di libri sacri e divoti62, e chi ricorda meravigliando le belle massime di civile istituzione, e di Cristiana morale, ch’ei si propose per suo particolare governo, e lasciò scritte di suo carattere63 in tanta strettezza di tempo, in mezzo a tanti e filosofici, e medici impedimenti. Dopo le quali sì onorevoli, e sì concordi attestazioni io ben mi avveggo, che traendo più a lungo le mie parole verrei soltanto la sazietà crescendo e la noja di chi m’ascolta, senza crescere l’estimazione, e soddisfare nel debito modo al merito dell’argomento. E non è già, che a tutti cara non sia e preziosa la rimembranza di un Uomo, il quale in se stesso rappresentando i tre gloriosi caratteri di eccellente Maestro, di ottimo Cittadino, di virtuoso Cristiano, fu il sostegno e l’onore dell’Accademie, la delizia e l’amor della Patria, l’ornamento della Religione, e il conforto della pietà; ma perchè all’altezza de’ pregi suoi l’umiltà non risponde di un povero dicitore, ed alla celebrità del suo nome l’oscurità non conviene di una volgare eloquenza. E chi vorrà dunque dalla colpa prosciogliermi di avere io medesimo non pure con disuguali forze accettato, ma desiderato, ma chiesto, ma incontrato spontaneamente, e quasi voluto il difficile carico di questa impresa? Ah, ch’io so bene, che, se non altri, vorrà certamente scusarmene il mio Beccari. Egli, che vivendo tra noi con tanta umanità mi accoglieva, con tanta sofferenza mi udiva, con tanta distinzione mi amava; Egli, a cui non fu ignota giammai la sincerità del mio ossequio, la purezza della mia fede; Egli, che tutto quant’è vede palesemente il mio cuore, saprà ben Egli [p. 20 modifica]l’error perdonare, e l’ardimento dell’intrapresa ai movimenti del sangue, agl’impeti dell’affetto, ai trasporti dell’afflizione; e l’esempio del suo perdono varrà fors’anche a meritarmi, siccome spero, l’altrui benigno compatimento. Ed in fine, qual ch’ella siasi per essere la mia sorte, sovrasterà sempre mai all’imperizia, e debolezza dell’Arte l’eccellenza, e bontà della Causa: e potrà bene fra le tenebre dell’oblivione andar negletto, e disperso questo infelice lavoro delle sue lodi; ma starà non pertanto, e vivo ognora e presente si manterrà nella memoria degli uomini il triplice fermissimo fondamento della privata sua gloria, il triplice altissimo oggetto della pubblica ammirazione. HO DETTO. FregioFregio

[p. 40 modifica]Vidit D. Aurelius Castanea Clericus Regularis Sancti Pauli, et in Ecclesia Metropolitana Bononiæ Pœnitentiarius pro Eminentissimo, et Reverendissimo Domino D. Vincentio Malvetio Archiepiscopo Bononiæ, et S. R. I. Principe.


Die 7. Julii 1766.

IMPRIMATUR.

Fr. Joseph Maria Pettoni Vicarius Generalis Sancti Officii Bononiæ.


In Bologna


Nella Stamperia di Lelio dalla Volpe Impressore dell’Instituto

delle Scienze.

CON LICENZA DE’ SUPERIORI.

DecorazioneDecorazione

Note

  1. [p. 21 modifica]Quando cessò di vivere il Sig. Beccari, che fu la notte dei 18 ai 19 di Gennaio 1766. circa le ore 5, avea compiti anni 83, mesi 5, e giorni 24; essendo nato il dì 25 Luglio 1682.
  2. [p. 21 modifica]Oltre al vantaggio di una costante, e sempre uguale amicizia, godea l’Oratore la sorte di essere secondo Cugino del Sig. Beccari, grado di parentela non troppo lontano, perchè non abbia a pregiarsene, nè troppo vicino, perchè a Lui non convenga senza taccia di vanità di celebrarne le lodi. Per l’uno, e per l’altro titolo ha ricevute in ogni tempo da esso belle ed illustri dimostrazioni di affetto; e nella morte di Lui un pregevol legato secondo la sua testamentaria disposizione consegnata al Not. Colleg. Giuseppe Maria Borghi li 24 Feb 1764. al num. XVI. ivi = Al mio dilettissimo Cugino il Sig. Segretario Maggiore Flaminio Scarselli per contrassegno di amore, e di gratitudine lascio tutti i Libri degli Autori antichi Istorici, Poetici, ed altri, cioè quelli precisamente, che sono cum notis variorum di stampa d’Olanda per la maggior parte, e in forma ottava, e di più quegli Autori antichi attinenti alle sopraddette materie, che avranno qualche Commentatore, e che possono servire ad un Uomo tanto benemerito delle Umane Lettere; intendendo però, che tanto questi ultimi, quanto gli altri non siano fra quelli, che fossero stati compresi nella visita, e scelta da farsi dal Sig. Bibliotecario dell’Istituto, secondo quello, che ho disposto poc’anzi, cioè al num. XV. paragrafo 8., o non siano da me assegnati ad altre persone in alcuno de’ presenti legati, ed in esso espressi.
  3. [p. 21 modifica]Ne fa fede il magnifico Funerale celebratosi nella Chiesa de’ MM. RR. Can. Reg. del SS. Salvatore il giorno 17 Giugno 1766, e la medaglia, che si prepara, e i busti, e le lapidi, che si va divisando di collocare ad onor d’esso nello Studio, e nello Istituto delle Scienze; e già ne fece ampia testimonianza il mesto, e numeroso accompagnamento del suo cadavero fatto la sera de’ 21 Gennajo 1766 da’ Signori Priori, Lettori, e Scolari dell’una, e dell’altra Università, da’ Signori Professori, et Accademici dell’Istituto, e da’ suoi molti e passati e presenti Discepoli alla Chiesa di S. Maria del Baraccano, dove fu seppellito, e gli fu poi da’ suoi Confratelli della Compagnia del Baraccano in attestato di gratitudine, come dall’infrascritta nota al n. 58, posta, ed incisa in marmo la seguente sepolcrale memoria = [p. 22 modifica]


    Α      ☧      Ω
    hic . requiescit
    jacobus . bartholomaeus
    beccarius
    instituti . scientiarum . praeses
    medicinae . anatomes . et . chemiae
    professor . emeritus
    ex . utr . collegio . doct . art . liberal .
    vir . sapientissimus . et . integerrimus
    qui . vixit . ann . lxxxiii . m . v . d . xxiv
    decess . xv . kal . feb . ann . m . d . cc . lxvi
    — — —
    societas . s . m . ad . baracanum
    fratri . amantissimo . et . b . m . p .

  4. [p. 22 modifica]Non si descriveranno in questo luogo nè il maestoso apparato, nè la eccellente macchina, nè i vaghi ornamenti de’ bassi rilievi, e delle statue, nè tutta la solenne pompa del Funerale sopraccennato. Se si avrà bastevol numero di Associati per la spesa occorrente, se ne darà a parte la descrizione, e l’intaglio della macchina compita. Basti intanto a perpetua lode di chi ha promosso sì nobile e sì raro spettacolo la seguente iscrizione, che nel giorno dell’esequie fu collocata sulla facciata della porta maggiore della Chiesa di S. Salvatore =

    jacobo bartholomæo beccario
    instituti scientiarum præsidi
    philosopho ac medico
    incomparabili
    amici discipuli cives
    justa persolvunt.

  5. [p. 22 modifica]Nel 1709 gli fu conferita dal Senato una Lettura di Filosofia, ed egli cominciò subito ad insegnarla; e dopo dieci anni prese a dettare la Medicina, della qual Facoltà fino dal 1712 fu dichiarato Professore ordinario sulle pubbliche Scuole; nè tralasciò mai d’insegnarla sino alla morte, seguita, come si è detto, nel 1766. Conte Gio: Maria Mazzuchelli nell’Opera degli Scrittori d’Italia, sotto il nome BECCARI (Giacomo Bartolomeo) Vol. II. Parte II. In Brescia 1760.
  6. [p. 22 modifica]Apprese l’Umanità, e la Rettorica da’ PP. Gesuiti; ebbe del genio alla poesia, e buona disposizione a compor versi latini, alcuni [p. 23 modifica]de’ quali recitò nell’Accademia letteraria degl’Indivisi, a cui fu aggregato ancor giovinetto. Mazzuch.
  7. [p. 23 modifica]Nel 1697 (in età di 15 anni) cominciò a studiare la Filosofia sotto la direzione del Canonico Lelio Trionfetti; indi la Medicina sotto la disciplina del Dottore Jacopo Sandri, uno de’ più accreditati Scolari del famoso Malpighi. Prese poi la Laurea Dottorale nell’una, e nell’altra Facoltà nel 1704 (in età di 22 anni), e nel 1709 (in età di 27 anni) fu dichiarato (come si è detto) pubblico Professore. Mazzuch.
  8. [p. 23 modifica]Metaphysicas res, eas præsertim, quas recentioris Philosophiæ principes Cartesius, Mallebranchius, Leibnitzius, aliique tradiderunt, sic tenebat, ut explicare docte, si vellet, et profiteri facile posset. Comment. de Bonon. scient. et art. Instituto Vol. I. pag. 15.
  9. [p. 23 modifica]Potrà servire di prova alla verità di questa proposizione tutta la terza parte del presente ragionamento.
  10. [p. 23 modifica]Sotto la direzione del predetto Canon. Lelio Trionfetti, Uomo dottissimo non solamente nella Botanica, ma in tutta la Storia naturale. Mazzuch.
  11. [p. 23 modifica]Accadde circa quei tempi (1704) la riforma dell’Accademia degl’Inquieti sotto il principato del Dottor Morgagni: e fu allora, che fra tutti gli Accademici dodici si elessero, i quali furono chiamati Accademici Ordinarj. Ognuno d’essi avea l’obbligo di far tre Dissertazioni ogni anno, parlando in esse di quelle materie, che appartenevano alla Classe, ove ciascheduno era stato collocato. Il Beccari ebbe luogo fra quei primi dodici eletti, e gli toccò la Classe dell’Istoria naturale. Per quante vicende abbia sofferte l’Accademia, non ha mai egli mancato in alcun tempo all’impegno di recitarvi qualche Dissertazione. Mazzuch.
  12. [p. 23 modifica]Vedi nel Vol. I. Scient. et Art. Instit., ove trattasi de Bononiensis Instituti Academia, i Cap. I. II. III. dalla pag. 33. alla 44. ne’ quali sono registrati i nomi, e descritti i meriti de’ primi Accademici, e degli altri, che furon dipoi in diversi tempi aggregati.
  13. [p. 23 modifica]Ebbe l’Accademia il suo principio nel 1690 in casa del celebre Eustachio Manfredi, dalla quale passò in quella del Dott. Jacopo Sandri, indi al Palazzo Marsigli, poi per un anno presso il Dottor Francesco Simoni, di nuovo in Casa Marsigli, e finalmente nell’Istituto. Vedi i Cap. suddetti, ed in oltre il Cap. IV., dai quali appariscono i luoghi, i tempi, e le varie vicende dell’Accademia.
  14. [p. 23 modifica]Ciò avvenne li 15 Marzo 1714; ed allor fu, che l’Accademia, lasciato l’antico titolo degl’Inquieti, cominciò a chiamarsi l’Accademia dell’Istituto. Vedi il Cap. IV. come sopra.
  15. [p. 23 modifica]Fino dal 1711 fu eletto Professore di Fisica sperimentale nell’Istituto; ma non intraprese ad esercitarla, se non del 1714 dopo la solenne apertura di esso. Mazzuch.
  16. [p. 23 modifica]Nel 1734 passò dalla Stanza di Fisica sperimentale a quella della Chimica, Mazzuch.
  17. [p. 24 modifica]I Maestri del Beccari nello studio delle varie Matematiche discipline furono, sino dal 1699 il Dott. Domenico Pasi, indi il Dott. Vittorio Francesco Stancari, poscia il Dott. Antonio Leprotti da Correggio, che fu Medico dei due Sommi Pontefici Clemente XII., e Benedetto XIV., e finalmente il Dottor Francesco Zanotti. Mazzuch.
  18. [p. 24 modifica]Fu eretta nel 1737 la Cattedra di Chimica nello Studio, come dal Sen. Cons. de’ 16 Nov. 1737, e vi fu destinato nel seguente anno il Beccari colla riserva dell’onorevole titolo di Lettore ordinario di Medicina, come da Rotoli di detto anno, e presso il Mazzuchelli al §. Circa quel tempo etc.
  19. [p. 24 modifica]Si sono in questo luogo accennati soltanto gli scritti, i consulti, e le curazioni del Beccari; ma ognuna di queste parti è bastevole a dimostrare, quanto ei valesse sì nella teorica, che nella pratica Medicina. Vedi il Mazzuch. al §. Fatta la funzione etc. e al §. Cominciò etc.
  20. [p. 24 modifica]Vedi il Mazzuch. al §. Correva nell’anno 1718. etc.
  21. [p. 24 modifica]Fece la funzione della pubblica Notomìa con grandissimo applauso l’anno 1719. Mazzuch al §. suddetto = Correva etc.
  22. [p. 24 modifica]Delle molte Opere dal Beccari composte si legge un Catalogo sul fine delle memorie predette del Mazzuchelli; ond’è superfluo di quì riprodurlo.
  23. [p. 24 modifica]Vedi il num. VI., e VII. del predetto Catalogo, e la Nota 9. presso il Mazzuchelli. Per la edizione di quest’aureo trattato compose, ed inviò l’Oratore da Roma al Sig. Beccari un Sonetto, che ora, a giusta commendazione di esso, non giudica improprio di trascrivere =

    Ampio, e fertil cammino, ove la pura
         Filosofia de’ sacri ingegni è duce!
         Avventurata diligenza, e cura,
         Che d’uno in altro calle al ver conduce!
    Quì s’applaudon tra loro Arte, e Natura;
         Che questa infonde e crea, quella produce
         In varie guise, e sulla faccia oscura
         Desta de’ Corpi ardente e viva luce.
    E già lo suol delle micanti cose
         A TE si volge, e dell’onor novello
         Meravigliando, ti ringrazia, e dice:
    Noi splendiam tua mercè; ma TE felice,
         Di cui null’altro mai lume più bello
         O formò la Natura, o l’Arte espose!

  24. [p. 24 modifica]Quì si parla del Sig. Francesco Maria Galli Bibiena di Filosofia, e Medicina Dottore, e pubblico Professore di Medicina in questa Università, discepolo per singolar maniera distinto, ed amato dal Sig. Beccari; il quale nella sua testamentaria disposizione gli lasciò tutta la ricca e preziosa suppellettile de suoi Mss., oltre ai [p. 25 modifica]Libri Medici per qualunque titolo non necessari alla Biblioteca dell’Istituto, come a’ numeri XVIII. e XIX. ivi. = Parimenti al Signor Dott. Francesco del fu Sig. Francesco Galli Bibiena lascio tutti i libri Medici, che si trovano nella mia piccola libreria, nessuno eccettuato, salvo quelli, che fossero stati prescelti per l’Instituto; e oltre a questi le memorie intorno gl’insetti del Sig. di Reaumur, quando però non fossero compresi nella predetta scelta. XIX. E perchè il medesimo Sig. Dott. Francesco si è guadagnata la mia gratitudine col sollevarmi nelle mie letterarie fatiche, però voglio, che tutti i miei Consulti, che pure sono per la maggior parte scritti di sua mano, restino in pieno suo possesso, e con essi pure quanti altri miei manuscritti, ricordi, annotazioni, e carte: pregandolo, anzi positivamente incaricandolo a tenerli ad uso proprio, e per un tal qual ricordo di me, sicchè non veggano quella luce, a cui non meritano di comparire. A Lui parimente lascio tutte quante le lettere scrittemi da’ miei Corrispondenti, e le rispettive risposte mie. Dalla diligenza, e gentilezza del predetto Sig. Bibiena, che più d’ogni altro ha goduta l’assidua conversazione, e l’intima confidenza del Sig. Beccari, ha l’Oratore ricavate molte, ed insigni notizie di esso, e ne ha poi fatto uso nella Orazione, e nelle presenti Note.
  25. [p. 25 modifica]Ancorchè la cosa sia pubblica e notoria; ad ogni modo merita di essere in questo luogo riferita la testimonianza del Sig. Bibiena, il quale quanto al numero de’ Discepoli del Sig. Beccari afferma, che computandone tra Cittadini e Forestieri ragguagliatamentente dieci, o undici l’anno, arrivano quasi a seicento; e calcolandovi anche quelli, i quali andavano ad udirlo sulle Scuole, e all’Istituto, passano i mille.
  26. [p. 25 modifica]Così attesta il Signor Bibiena; ed aggiugne di essere stato egli stesso compagno di tai discepoli.
  27. [p. 25 modifica]Sarebbe per altro desiderabile, se non anzi dicevole, e giusto, che chiunque ha saputo profittare fino a tal segno della dottrina del Sig. Beccari, si fosse appagato di quella lode, che gli veniva dalla propria diligenza, lasciando, con ingenua dichiarazione, al Maestro la gloria dell’invenzione.
  28. [p. 25 modifica]Dopo S. Giovanni Battista soleva il Sig. Beccari cominciare la Scuola degli Aforismi per istruzione, ed esercizio di quelli, che voleano prendere la Laurea Dottorale; ove è notabile, che sebbene queste lezioni tante volte replicate lo annojassero, facea nondimeno forza a se stesso, non lasciando di ripetere, e di spiegare tutto ciò, che credea necessario a profitto de’ Candidati.
  29. [p. 25 modifica]Somma parimente fu l’assistenza del Sig. Beccari a que’ Discepoli, i quali o sulle pubbliche Scuole, o altrove sostennero Filosofiche, o Mediche Conclusioni.
  30. [p. 25 modifica]Secondo le osservazioni fatte dal Sig. Bibiena, sono circa 25 le Tesi, o più tosto i Trattati esposti dal Sig. Beccari nelle pubbliche disputazioni de’ suoi Scolari. Sarebbe in vero utilissima la raccolta, [p. 26 modifica]e la pubblicazione di essi, e del pari onorevole alla memoria di sì eccellente Maestro.
  31. [p. 26 modifica]Niuno ha tra gli Scolari del Sig. Beccari, il quale non potesse far fede delle particolari di Lui premure nell’istruirli, non tanto nelle Facoltà Filosofiche, e Mediche, quanto nella buona, e Cristiana morale: ma sia lecito in questo luogo all’Oratore di produrre la propria testimonianza; siccome quegli, che avendo da esso per quattro anni ricevute le Mediche istituzioni, ebbe la sorte in quel tempo di udire ancora i suoi virtuosi insegnamenti, e di ammirarne l’uso fedele in Lui stesso, e sempre dipoi nelle frequenti occasioni, che ha avuto, di conversare famigliarmente con Lui; benchè dallo Studio di Medicina, per singolare beneficenza dell’Eccelso Reggimento, chiamato all’onor di servirlo, sino alle primarie graduazioni, nella sua Segreteria, e destinato a professare le Umane Lettere in questa Università. Serba in oltre l’Oratore presso di se un grosso Protocollo di lettere originali del Sig. Beccari a Lui dirette dal 1742 al 1761: tempo in cui esercitò l’uffizio di Segretario dell’Ambascieria di Roma. Le quali lettere non solamente abbondano di scelta dottrina, e di pura e soave eleganza; ma di rara virtù, e di un ardentissimo amore verso la Patria.
  32. [p. 26 modifica]Si vegga la precedente nota al n. (25)
  33. [p. 26 modifica]Sei volumi sono usciti fin ora degli Atti di questa Accademia; e due altri tra poco usciranno alla pubblica luce. Grandissimo onore n’è venuto agli Accademici ne’ loro Opuscoli, e ne’ Commentarj scritti con aurea purità ed eleganza dal precitato Sig. Francesco Zanotti, da cui parimente è composta la Storia dell’Istituto, e dell’Accademia, come Segretario dell’uno, e dell’altra, ed in oggi degnissimo successor del Beccari nella carica di Presidente dell’Istituto.
  34. [p. 26 modifica]Eccone il testimonio nel primo Vol. degli Atti dell’Accademia alla pag. 44. Itaque rei summa erat apud Beccarium, et Galeatium, qui pro eo quantum poterant ad communem salutem incumbentes non parum, ut in malis, profecerunt; duorum enim diligentia Academiam universam ab interitu vindicavit. Fu questa la prima volta, nella quale fu l’Accademia sul punto di sciogliersi, cioè circa l’anno 1710, quando fu ricoverata in casa del Dottor Simoni. Si rinnovò poi dopo lo stabilimento di essa nell’Istituto, e per molti, e diversi motivi, indicati nel secondo Vol. degli Atti dell’Accademia alle pag. 52. 53. 54., e nel V. alla pag. 25., crebbe più volte il pericolo del suo discioglimento; a preservarla dal quale grandemente valse, come a tutti gli Accademici è noto, la diligenza, e l’amore del Sig. Beccari.
  35. [p. 26 modifica]Le beneficenze di Benedetto XIV. verso l’Accademia dell’Istituto appariscono dal Moto proprio segnato li 22 Giugno 1745, e compreso nel Vol. 2. delle Lettere, Brevi, Chirografi di Benedetto XIV. impresso in Bologna 1751. Merita ancora in questo proposito di esser letta la lettera dedicatoria al predetto Sommo Pontefice nel sec. Vol. degli Atti dell’Accademia.
  36. [p. 27 modifica]Nel 1738 vacando la primaria Cattedra di Medicina nella Università di Padova, fu il Sig. Beccari con vantaggiose, ed onorevoli condizioni invitato ad occuparla. Non accettò egli l’invito, non solo in riflesso alle sovrane premure di Clemente XII. per mezzo del Sig. Card. Leg. Giovanni Battista Spinola partecipategli, e delle brame del Senato, e di tutti gli Ordini de’ Cittadini; ma ancora, e specialmente per amor della Patria, dalla quale non ebbe cuore di allontanarsi. In quella occasione gli conferì il Senato medesimo un aumento straordinario. Tutto ciò rilevasi dagli Atti del Reggimento, e narrasi dal Mazzuchelli nella mentovata sua Opera.
  37. [p. 27 modifica]Secondo il Breve di Gregorio XV. degli 11. Agosto 1621. niun Lettore può conseguire la giubilazione, o sia dispensa dal frequentare le pubbliche Scuole, se non dopo di averle assiduamente frequentate per lo spazio di 40 anni. Benedetto XIV. con suo Breve de’ 18. Sett. 1748. lascia in facoltà del Senato di concedere la giubilazione anche in capo ai 30 anni, quando il Lettore abbia sempre insegnato per tutto il tempo suddetto, o abbia data qualche Opera insigne alla pubblica luce.
  38. [p. 27 modifica]Ognuno sa, che il Beccari ha sempre insegnato e sulle Scuole, e nell’Istituto, e in propria Casa; e sa ancora, quante belle Opere ha pubblicate colle stampe: ond’è chiaro il doppio diritto, che avea di conseguire la giubilazione prima de’ 40. anni.
  39. [p. 27 modifica]Tutto questo è verissimo; e l’ultima lezione, ch’ei fece in sua Casa, precedette di soli cinque giorni la di Lui morte: dopo la qual lezione fu trasportato sulle braccia de’ suoi domestici al letto per l’estrema languidezza, dalla quale si sentì preso.
  40. [p. 27 modifica]Questo pure è verissimo, e si vede dalle stesse Efemeridi, o sia Meteorologiche osservazioni scritte di suo carattere. Le più ordinate cominciano del 1720, e portano la depressione, o l’alzamento del Mercurio nei Barometri e nei Termometri, la qualità de’ venti, la quantità dell’acqua, e della neve cadute dal cielo, de’ ghiacci, e di quant’altre Meteore possono venire sotto la ricerca, o la considerazione di un diligente osservatore. Tre volte al giorno osservava costantemente il Beccari i Barometri, e i Termometri; e raccoglieva dagli Avvisi de’ Paesi stranieri le relazioni de’ tremuoti, de’ turbini, delle procelle, e d’altri somiglianti fenomeni in qualunque modo appartenenti a questo studio. Nella mattina dello stesso giorno, in cui morì, volle segnare le altezze de’ Barometri, e de’ Termometri di sua mano.
  41. [p. 27 modifica]Tanto era il Beccari persuaso di una tal verità, che riputava esser cosa non pure utilissima, ma conveniente, o più tosto indispensabile ad ogni Oratore Evangelico il fare nel corso quaresimale una predica ben ragionata, e ben forte sopra i doveri del proprio stato; ed egli fu sempre sì attento, e sì geloso di adempirli in se stesso, che per servire in qualunque modo ai bisogni de’ Cittadini, [p. 28 modifica]giunse insino a negarsi il breve ristoro di un giorno di campagna; essendo solito di dire in ordine alla professione della Medicina, che il Medico deve essere, come il Colombo di gesso nelle Colombaje.
  42. [p. 28 modifica]Egli era, come è ben noto, di temperamento bilioso, e naturalmente portato alla collera. In fatti nella sezione del suo cadavere si trovò la vessica del fiele piena di bile. I Cittadini neghittosi, e poco solleciti del vantaggio, e dell’onor della Patria erano per Lui un oggetto d’intolleranza, e di sdegno, che talvolta lo trasportava ad oneste altrettanto, che fervide declamazioni. In tutt’altro facea virtuosamente forza a se stesso; ed essendogli una volta accaduto di avere nel Collegio de’ Medici una contesa alquanto calda con uno de’ suoi Colleghi, e sospettando di averlo trattato non già con poco rispetto, ma con troppa acerbità, diede all’involontario trasporto un eroico riparo, portandosi nello stesso giorno alla Casa del supposto offeso a chiedergli formalmente perdono.
  43. [p. 28 modifica]E’ indicibile l’allegrezza, che dimostrava il Beccari, e straordinario l’applauso, ch’egli rendeva alla benemerenza de’ Cittadini verso la Patria, e principalmente alle savie provvidenze dell’Eccelso Senato o in onor dello Studio, o in vantaggio dell’Arti, ed a qualunque altro regolamento di pubblica utilità.
  44. [p. 28 modifica]Fu aggregato tra’ Dottori Collegiati Numerarj di Medicina nel 1735, ed eletto Onorario nel Collegio di Filosofia del 1743 tanquam vir famosus non participans.
  45. [p. 28 modifica]Fu già, come altrove si è detto, promosso ad una Lettura di Filosofia in questa Università nel 1709, e poi trasferito ad una Cattedra di Medicina Ordinaria nel 1712, indi a quella di Chimica nel 1738, e registrato tra Professori emeriti di Notomìa.
  46. [p. 28 modifica]Dopo la morte dell’egregio Dottore Matteo Bazani fu eletto il Beccari a succedergli nella carica di Presidente dell’Istituto nel 1750 senza competitore, e come tale fu direttore del buon ordine degli studj, e delle materie, che ivi si trattano. Fu anche Professore prima di Fisica sperimentale, e poi di Chimica, come dalle note al n. 15, e 16.
  47. [p. 28 modifica]Questa aggregazione alla Reale Società di Londra seguì nell’anno 1728, essendo preceduto dianzi fra Lui, ed alcuni membri di quell’illustre Corpo un vicendevole commercio di fisiche osservazioni. Mazzuch.
  48. [p. 28 modifica]I nomi più illustri de’ Letterati stranieri, co’ quali ebbe corrispondenza per lettere, secondo la nota, che ne ha formato il Signor Bibiena da protocolli di lettere esistenti presso di Lui, sono i seguenti disposti per ordine di Alfabeto. [p. 29 modifica]

    I sopraddetti nomi bastano da se soli per ogni gran lode, e sono troppo noti alla Repubblica Letteraria, perchè non bisogni diffondersi nelle decorazioni, e ne’ meriti di cadauno de’ nominati.

  49. [p. 29 modifica]Oltre agli Uomini dotti, de’ quali come stranieri si è fatta menzione nella precedente Nota, si potrebbero annoverare i Professori della nostra Università, i quali ebbero sempre in altissimo pregio il sapere, e la virtù del Beccari. Tra gli altri ebbe l’Oratore il contento di dedicargli un Tomo di Tragedie da Lui composte impresso in Roma nel 1755. Nè debbono ommettersi tra più ragguardevoli estimatori del merito di un tant’Uomo i chiarissimi Porporati Gozzadini, Querini, Doria, Archinto, e Galli, de’ quali si conservano le lettere ne’ mentovati Protocolli presso il Sig. Bibiena.
  50. [p. 29 modifica]Distinta fu sempre la benevolenza, e la stima che l’immortal Lambertini dimostrò palesemente verso il Beccari, prima nel suo decennale soggiorno in Bologna, cioè dal 1730 al 1740 come Arcivescovo, ed in appresso come Sommo Pontefice. Due sole prove tra l’altre molte, che potrebbero addursi, in questo luogo si recheranno. L’una di esse è fondata sopra un Breve originale a foggia di lettera indirizzato da Benedetto XIV. al Beccari, tra le carte di cui presso il Sig. Bibiena si è ritrovato, ed è il seguente:

    Foris = Dilecto in Christo filio nostro Jacobo Bartholomæo

    Beccario = Bononiam =


    Intus = Benedictus Papa XIV. Dilecte in Christo Fili noster salutem, et Apostolicam Benedictionem. Abbiamo mai sempre avuto un particolare affetto al celebre Istituto della nostra Patria, ed una distinta stima ai dotti Professori del medesimo, avendo mai sempre creduto, che il predetto Istituto sia un vivo presente distintivo, per cui la Città di Bologna vien [p. 30 modifica]rinomata fra tutte le Città d’Italia, e fuor d’Italia, come Città singolare, ed avendo in atto pratico riconosciuto, che con giustizia ella pur anche ritiene il bel nome di Madre de’ Studj, pe’ belli studj di buona Filosofia anche esperimentale, delle Matematiche d’ogni sorte, e di una ben regolata, ed accreditata Medicina; cose tutte, alle quali tanto contribuisce l’Istituto, e che con tanta lode non mancano i Professori dello stesso di coltivare. Se quel grande Iddio, che senza nostra cooperazione, anzi con sistema totalmente contrario, secondo le regole della umana condotta, al conseguire il Pontificato, ci avesse dato un Pontificato quanto carico di tristi, e funesti pensieri, ed affari in verità superiori alle nostre deboli forze, altrettanto abbondante di ricchezze, e di modo da poter soddisfare alle nostre brame, non già dirette al nostro interesse, o di nostra Famiglia, ma al comodo degli Uomini dabbene, ed alla rimunerazione de’ Letterati, oh quanto crescerebbe di pregio l’Istituto, oh quanto starebbero bene i Professori del medesimo, ed oh quanto o sarebbero cresciuti, o crescerebbero i troppo scarsi assegnamenti del predetti Professori! Ci riconosciamo pur troppo carichi d’imperfezioni, e di peccati, e però non ci vediamo in grado di potere nel tratto di vita nostra sperare di ottenere dalla misericordia di Dio di vedere adempiti i predetti nostri desideri, o perchè non meritiamo in questo mondo veruna consolazione, o perchè se l’ottenessimo, e chi sa, che agli altri peccati non aggiungessimo quello ancora dell’amor proprio cagionato da un poco di superbia, e da una buona dosa di vanagloria? Ciò però non ostante, andiamo riconoscendo nella providenza divina un tratto adorabile, ed a cui ben volentieri ci sottoponiamo, che è di averci data un’occasione di poter dare un contrassegno della nostra stima all’Istituto di Bologna, senza pericolo di superbia, e di vanagloria. La Maestà del Re Filippo V. di Spagna fece anni sono un regalo al fu Duca di Giovenazzo d’una Matrice d’Amatiste, e di una Tazza fatta d’osso del Lioneorno. L’una, e l’altra con molte altre preziosissime suppellettili passarono nelle mani del Cardinal Giudice fratello del Duca; ed avendocene esso ne’ giorni passati fatto un gentile regalo, ed avendolo Noi accettato con dirgli, che l’avressimo mandato all’Istituto di Bologna, ed avendo il Donatore con ogni distinta espressione lodato il pensiere, mandiamo la Matrice, e la Tazza, soddisfacendo al nostro genio, ed al patto accettato dal Donatore, acciò siano collocate, e conservate nell’Istituto in quella Camera, e in quell’Armario, che faranno creduti a proposito. Monsig. Francesco Zambeccari Primicerio di S. Petronio, e Nostro Prelato domestico, è stato incaricato da Noi a portare il regalo, a rappresentare, che per vedere l’interno dell’Amatiste è d’uopo muovere lo ornamento esteriore di bronzo dorato, ed a consegnarlo a Lei, che avrà poi la bontà di presentarlo agli Assunti dell’Istituto, accompagnando il regalo con quelle espressioni, che Noi non le sappiamo suggerire, ma che le saranno suggerite dalla propria naturale eloquenza. Sappiamo esser ella un sottile indagatore delle cose naturali: ma quando a Lei piacesse lo trasportare le indagini dalle fisiche osservazioni ad altri affari, e richiedesse la causa, per cui abbiamo eletto piuttosto Lei, che verun’altro [p. 31 modifica]de’ Professori dell’Istituto, de’ quali abbiamo tanta stima, per adempire in questa commissione le nostre veci, le diremo francamente aver noi ciò fatto non meno per l’affetto, che abbiamo mai sempre portato alla sua Persona, e pel concetto del di Lei valore già reso palese a tutti, che per l’affettuosa tenerezza, con cui sappiamo da essa riguardarsi l’Istituto. E mentre l’abbracciamo con paterno affetto, collo stesso paterno affetto diamo agli Assunti dell’Istituto, ai Professori del medesimo, ed a Lei distintamente l’Apostolica Benedizione. Datum Romæ apud Sanctam Mariam Majorem die 29. Junii 1741. Pontificatus Nostri anno Primo.

    Si è ancor ritrovata la minuta della risposta data dal Beccari al Breve di Sua Santità; e si crede di far cosa grata a chi legge quì trascrivendola, anche per dare un saggio del valore di esso nello scrivere italiano. La risposta è la seguente =

    H
    o data ne’ passati giorni esecuzione ai Supremi ordini della Santità Vostra, presentando in nome suo all’Assunteria dell’Istituto il prezioso regalo, di cui si è degnata la sovrana sua munificenza di arricchirlo. Con quai sensi di profonda venerazione, e di ossequiosa gratitudine sia stato ricevuto, è cosa più, che ad esprimersi, agevole ad immaginarsi. Però così incaricato, come io per pubblica commissione mi trovo, di renderne alla Santità Vostra umilissime graziè, conosco bene quanto mi gioverebbe quella forza, e quel valore di eloquenza, che per mera generosità del suo magnanimo cuore mi viene attribuita. Benchè in questa sì avventurata occasione, volendo pure, siccome è giusto, considerare a parte a parte l’Apostolica sua clementissima Lettera, per quanti altri bisogni avrei io motivo di augurarmela codesta eloquenza? Che non dovrei io dire primieramente dell’onorevolissimo giudizio, che un tal Principe, e di tanta erudizione, e dottrina, non solo ha formato, ma si è compiaciuto di palesare sì apertamente de’ nostri studi, e della maniera, con cui da noi si coltivano? Che dell’amor singolare, e della benignissima considerazione verso l’Ordine nostro, onde arrivi insino a far soggetto di una gran parte delle sue consolazioni, e della felicità del suo glorioso Pontificato le beneficenze, che va meditando a nostro vantaggio? Che delle segnalate e rare virtù della Santità Vostra, che in ogni parte della sua medesima Lettera chiaramente appariscono, e fra l’altre di quella ammirabile moderazione, o per meglio dire profonda umiltà, la quale facendosi vedere in un Personaggio, che, fuori dell’Ottimo, e Massimo Iddio, non ha altri sopra di sè, può giustamente servire a noi, e a tutto il Mondo Cattolico non so se più di esempio, o di confusione? Ma se poi rivolgo il pensiere a quelle grazie, che in me singolarmente ha voluto profondere, troppo m’accorgo, che qualunque soccorso della più fina eloquenza non basterebbe ad ispiegare quei sentimenti di rispettoso riconoscimento, che alla grandezza de’ benefizj, e alla povertà de’ miei meriti si convengono. Per la qual cosa restringendomi ad unire i miei più fervidi Voti a quelli di tutta la Cristianità, della comune Patria, del Senato, e de’ miei Colleghi, prego l’Altissimo a serbare la preziosa Vita della Santità Vostra a que’ tempi,
    [p. 32 modifica]ne’ quali, seguendo gl’impulsi del suo grand’animo, possa mandare ad effetto le amorevoli idee della sua incomparabile beneficenza. E quì per fine prostrato a’ suoi Santissimi Piedi imploro a me, ed a’ miei Colleghi l’Apostolica Benedizione.

    Per altra prova dell’affetto e della stima di Benedetto verso il Beccari vaglia la sincera testimonianza dell’Oratore, a cui dopo la morte di Mons. Leprotti Medico di S. B. si degnò il Santo Padre di nominare, come ben meritevole di succedergli, lo stesso Beccari; ma immediatamente soggiunse, che privandone Bologna sarebbe stata troppo gran perdita per lo Studio: e fece poi quell’ottima scelta, che a tutti è nota, di Mons. Marc’Antonio Laurenti, il quale colla sua vigilanza, avvedutezza, e dottrina ha saputo conservare quella preziosa vita fino alla età di 84 anni a benefizio della Chiesa, e dello Stato, e sa ora sostenere prosperosamente la propria in età di 88 anni a vantaggio, ed onore della sua Patria.

  51. [p. 32 modifica]Al num. XV. della testamentaria disposizione del Beccari si legge il seguente legato = Item per dare agli Eccelsi Signori dell’Istituto un benchè piccolissimo attestato dell’umile mia riconoscenza pel benigno gradimento in ogni occasione dimostrato della mia lunga servitù in varj onorevoli impieghi alla mia debolezza in esso luogo commessi, lascio le seguenti cose per se medesime tenui; ma che messe in serie, e conservate in detto luogo possono avere quel pregio, e quegli usi, benchè di non gran momento, che non avrebbero, se dopo la mia morte andassero divise, o disperse. Queste sono: 1. Tutti i disegni del Claustro di San Michele in Bosco fatti anni sono da Domenico Fratta. 2. I disegni fatti dal medesimo Fratta de’ fregi dipinti già da Niccolò dell’Abbate, che esistevano nella Casa o Palazzo Torfanini, e de’ quali si fa menzione nella Storia dell’Accademia Clementina. 3. Tutti gli altri disegni fatti dallo stesso Fratta, e spezialmente di molti camini dipinti da più celebri nostri Pittori. 4. Tutte le Medaglie del S. Urbain, che si conservano in due cassette di pero nere, una delle quali contiene la serie de’ Duchi di Lorena, l’altra varie altre medaglie d’Uomini illustri coniate dal medesimo S. Urbain. 5. Le poche medaglie d’oro imperiali antiche, che si troveranno preso di me, eccettuando però quelle dello stesso metallo, che si trovassero nell’Istituto. 6. Le altre poche medaglie antiche d’argento imperiali, o consolari, o altre, purchè siano antiche anch’esse, e non si trovino fra quelle dello stesso metallo esistenti nella serie dell’Istituto. 7. Così pure quelle poche Medaglie d’Uomini illustri coniate, o fuse in metallo ignobile, cioè bronzo, rame, ottone, stagno, piombo, che mi trovo avere, e che potessero meritare d’essere ammesse nel Museo dell’Istituto. 8. Que’ pochissimi Manoscritti, e que’ pochi libri, che si troveranno nella povera mia Libreria, e i quali libri o per non essere tra quelli dell’Istituto, o per essere di edizione migliore di quelli, che ivi si trovano, o per altro titolo fossero giudicati poter aver luogo in una Biblioteca universale, in cui anche i Libri men rari alle volte non si trovano, e pure vi sono ricercati. 9. La [p. 33 modifica]Lente convessa di diametro circa nove pollici, e il microscopio del Malpighi, purchè secondo il giudizio del Sig. Professor Fisico siano in istato di essere annoverati fra gli strumenti di qualche uso alla sua Stanza. Non può abbastanza ammirarsi la singolare modestia, colla quale è scritto un legato ampio per se stesso, e prezioso, come da ciascuno può vedersi, e da’ Professori medesimi, nelle mani de’ quali è venuto, con ogni ragione testificarsi.
  52. [p. 33 modifica]Oltre lo studio particolare, ch’egli impiegava nelle Scritture Medico – Legali, diligentemente osservando, e notando tutto ciò, che nelle proposte quistioni trovavasi scritto presso gli autori di Medicina, e di Legge, non mettea giammai mano all’opera senza raccomandarsi caldamente al Signore; ed or con limosine, ed ora con sacrifizj implorava lume, ed ajuto a scrivere rettamente.
  53. [p. 33 modifica]Volendo il Sig. Card. Arcivescovo Lambertini acquistar per se stesso, e porgere ad altri un giusto criterio per giudicare, e distinguere fra lunghi digiuni, quali abbiansi a riputare non superiori alle leggi e forze ordinarie della natura, e quali all’incontro soprannaturali e prodigiosi, commise all’Accademia Filosofica dell’Istituto di esaminare a fondo questa difficil materia, e di darne in iscritto il suo parere. L’Accademia deputò a questo esame il Dottor Matteo Bazzani allor Presidente dell’Istituto, e il Dottor Giacomo Bartolomeo Beccari; ma essendo il primo caduto infermo, tutta l’impresa rimase a carico del secondo, come ne fanno fede i Commentarj dell’Istituto Tom. II. Part. I. ivi = Academia negotium commisit duobus lectissimis viris Bazano, et Beccario, sed cum Bazanus in morbum implicitus animum ad bœc vertere non posset, sic rem totam a Beccario suscipi oportuit, quasi uni esset commissa. Premesse adunque le solite opere di Cristiana divozione e pietà, scrisse il solo Beccari il suo voto, e sulla osservazione fondandolo, e sulla ragione, e corredandolo di scelte, e copiose annotazioni, pose la quistion tutta in tanta chiarezza, e con tanta precisione, e prudenza trattolla, che l’Accademia non dubitò di adottarlo per suo, e di offerirlo al Sig. Cardinale, il quale pienamente se ne compiacque.
  54. [p. 33 modifica]Grande argomento di tal compiacenza è l’averlo onorato delle sue lodi, ed inserito nelle sue opere Vedi l’Appendice al Capo XXVII., lo stesso Capit. della I. Parte del Libro IV. de Servorum Dei Beatificatione, et de Beatorum Canonizatione. Lambertini. Si è in oltre fra le carte presso il Sig. Bibiena trovato un biglietto del Sig. Card. al Beccari del seguente tenore: Sig. Dott. Beccari = Casa 26 Nov. 1736 = Il Card. Arcivescovo la riverisce, rimandandole l’annessa dissertazione, che ha letta, ed ammirata con sua grandissima soddisfazione, rendendo distintissime grazie a chi ci ha faticato, e particolarmente a Lei, che sa avervi contribuito il materiale, e il formale. Ha inteso dal Sig. Dott. Pozzi di S. Barbara, che vi sono le annotazioni, e queste si possono o porre nel margine della dissertazione, o dietro alla medesima. E quando fossero lunghe [p. 34 modifica]farebbe assai meglio metterle dopo, colla chiamata eorrispondente fra la dissertazione, ed esse. A Lei apparterrà la decisione, per il quale effetto le rimette le annesse carte, aspettando il favore delle annotazioni disposte o nell’uno, o nell’altro modo, colla remissione della stessa dissertazione. E protestandosi sommamente obbligato resta etc.
  55. [p. 34 modifica]Della Cristiana sua vita si verranno principalmente additando, ed illustrando le prove; giacchè quanto alle altre sovra lodate virtudi, come la rettitudine e la sincerità, la moderazione e la prudenza, la liberalità e la misericordia, queste sono abbastanza palesi, per non avere bisogno di prove; e poi talvolta risiedono, e non di rado si ammirano anche in animi non Cattolici.
  56. [p. 34 modifica]Erano frequenti nella sua bocca certe aspirazioni di tenerezza, e di amor verso Dio, del quale troppo è credibile che tutto ardesse il suo cuore, dappoichè intorno a sì dolce argomento tante istruzioni, e tante regole erasi prescritte il suo intelletto, quante si leggono nella bella raccolta delle varie massime di Cristiana morale: della quale raccolta poco appresso si parlerà.
  57. [p. 34 modifica]Suo istituto, e suo consiglio fu sempre il proporsi in qualunque azione l’esempio, ed in qualunque preghiera i meriti di Gesù Cristo, chiedendo a Dio le grazie, come costuma la Chiesa, per Dominum nostrum J. C.
  58. [p. 34 modifica]Per dimostrare qual fosse la sua divozione verso la Vergine, cade quì in acconcio di riferire, che aggregato egli fino dal 1701 alla Confraternita di S. Maria del Baraccano, ha per lo spazio di 65 anni con assidua, ed esemplare costanza frequentato l’Oratorio, recitato l’Uffizio, e promosso in ogni possibile maniera il culto di quella, non perdonando nè a diligenza, nè a spesa, e col suo zelo accrescendo il numero de’ Confratelli, e coll’esempio animandoli a sostenere gl’incomodi, e i pesi della lor società in onor della Vergine. Ebbe egli ne’ due ultimi anni del viver suo la consolazione di vedersi, come Maestro de’ Novizzi, alla testa di dodici costumati, e scelti Giovani novellamente aggregati alla Compagnia; e volle anche dopo della sua morte lasciare un generoso pegno della sua benevolenza alla Confraternita, ed alla Chiesa del Baraccano, come si raccoglie dalla più volte citata testamentaria disposizione ai numeri XXXV. XXXVI. e XXXVII.
  59. [p. 34 modifica]Oltre il culto particolare verso degli Angeli, e di tutti i Santi Appostoli, nelle feste de’ quali era solito di accostarsi alla eucaristica Mensa, era divotissimo di S. Giacomo, di cui portava il nome, e nel cui festivo giorno era nato, come alla nota (1), non d’altro nella vigilia di esso nutrendosi, che di pane, e di acqua, costumanza da Lui osservata fin nell’ultimo anno della sua vita. Fu pur divotissimo di S. Bartolomeo, di cui parimente portava il nome, visitando ogni giorno, insinchè le forze il permisero, la Chiesa de’ PP. Regolari Teatini a detto Santo dedicata, ed ivi onorandolo, ed a’ SS. [p. 35 modifica]Gaetano, et Andrea Avellino, altri suoi spezialissimi Protettori, raccomandandosi. Venerò ancora, come suo Protettore, S. Francesco di Sales, e come sua Protettrice Santa Caterina de’ Vigri, alla quale dedicò il libro de’ Fosfori, e come sue Interceditrici le sante anime del Purgatorio, per la redenzione delle quali incessantemente pregava. Per l’onor poi a’ Santi generalmente dovuto tanto zelo mai sempre, e tanta sollecitudine dimostrò, che le Monache della SS. Trinità, persuase, e vinte dalle esortazioni, e preghiere di Lui, nel giorno della commemorazione di S. Gio: Colombino Fondatore del loro Istituto si mossero a solennizzarne nella loro Chiesa la festa, e non cessano ogni anno di celebrarla.
  60. [p. 35 modifica]Soleva dire, che avea genio alle Messe, che le Messe gli piacevano; e spesse volte leggeva il trattato di M. Bossuet sopra la Messa, e diligentemente, e divotamente lo meditava; nè tralasciò mai, se non se gravemente impedito, di ascoltarla ogni giorno.
  61. [p. 35 modifica]Subito alzato dal letto s’inginocchiava ringraziando Dio; e prima di mettersi a tavola così la mattina, come la sera recitava ginocchioni co’ suoi domestici e famigliari un De profundis, e poi finita la tavola ritiravasi nella sua Cappelletta a recitare altre preci, senza intermetter giammai questa pia consuetudine.
  62. [p. 35 modifica]Lungo sarebbe l’annoverare tutti i libri, o di morale Cristiana, o di spiegazione sopra il Vangelo, o di sacre Meditazioni, i quali si leggevano, e si ponderavan da Lui. Basti il dire, che si veggono quasi tutti dal lungo uso grumosi, e poco men che consunti.
  63. [p. 35 modifica]L’Autografo di questa bella raccolta si conserva con altre carte di suo carattere tra Mss. della Biblioteca dell’Istituto. Non si crede fuor di proposito di darne quì impressa una copia a perpetua memoria delle virtuose, e cristiane sue massime, e ad istruzione, e profitto delle anime savie, costumate, e divote =

    I.

    Avere sempre un continuo desiderio di amare: perciò chiedere assiduamente il Santo Amore. Domine da mihi hanc aquam.

    II.

    Chi desidera questo desiderio, tronchi ogni altro desiderio di cosa, che non sia Dio. Offerisca perciò spesso ogni suo desiderio a Dio, e se ne spogli alla sua presenza.

    III.

    Le occupazioni, che si fanno per debito del proprio stato, non diminuiscono l’Amor Santo. Bisogna però guardarsi d’intraprenderne altre poco attinenti a noi, ed alla nostra condizione, quando non vi siamo legittimamente portati.

    IV.

    Deesi servire dell’occasioni piccole nella pratica dell’Amor Santo, [p. 36 modifica]le quali fatte con maggior umiltà, e simplicità riescono alle volte migliori delle maggiori.

    V.

    I maggiori affari, e le più grandi tribolazioni devonsi intraprendere elevando i nostri cuori a rimirar Dio, che nella vastissima eternità ci carezza, e amorosissimamente ci ha destinati i mezzi, che vuole seguiamo per la nostra salute, ed in particolare la comodità di fare il bene, o sopportare il male, che allora si presenta: ed allora baciamo l’amata mano, che ce la porge, consentendo anche noi a questa sua giustissima volontà.

    VI.

    Per ricavare da’ benefizi divini calore di dilezione, bisogna = I. Considerarli destinati dalla bontà di Dio a tutti in generale, poi a sè stesso in particolare. II. Bisogna riflettere alla infinita clemenza di Dio, che pensò di farceli fino nella grande eternità, avanti che fossimo. III. Si dee considerare, come il nostro Signor Gesù Cristo, mentre pativa per tutti, ebbe pensiero di meritare questi benefizi per tutti, e fin d’allora pensava di te, pensava a meritarti questo bene, e lo chiedeva per te al suo Eterno Padre.

    VII.

    Quando si presenterà qualche occasione di esercitare la virtù, mirate brevemente, come la esercitò N. S. quì in terra, poi dite al vostro cuore: Su andiamo, seguiamo, imitiamo il buon Gesù N. S. Dite: ah benchè non avessi altra ragione di far queste cose, mi basta, che il mio Signore me n’abbia mostrato la via.

    VIII.

    Per levare l’amore delle proprie opinioni, bisogna distornarsi da queste prontamente: e. g. Vi cade in pensiero, che un Tale abbia fatto in un modo una cosa, la quale starebbe meglio in un altro, voi levate subito da questo il pensiero, dicendo: Ahimè! che ho che fare di questo?

    IX.

    Dopo aver fatto, o conchiuso una cosa, è imperfezione il discorrerne più con persone massimamente, che siano dello stesso parere.

    X.

    Nelle malattie umiliatevi innanzi a Dio, baciate mille volte la Croce, ch’egli vi manda; esercitatevi spesso nell’amore dell’amabilissima volontà di Dio; fate particolare studio di esser dolce, e soave co’ vostri assistenti.

    XI.

    Le calunnie devono essere da noi sprezzate, rispondendo con una Santa modestia: Chi sa, che per queste non si abbia a glorificar Dio? Amate chi vi calunnia con dolcezza senza turbamento. Lasciate il pensiero al Signore, che ve ne liberi. [p. 37 modifica]

    XII.

    Nelle tentazioni non bisogna contrastare con l’Inimico, ma non artendergli punto, e prostrarsi avanti a Dio, trattenendosi a’ suoi piedi, che egli c’intenderà bene, e ci darà aiuto.

    XIII.

    Ne’ vostri travagli assuefatevi, come se doveste sempre vivere in essi, nè state a pensare, se ne sarete liberato, o no.

    XIV.

    Fate nelle aridità questo esercizio. Posto in ginocchi umiliatevi avanti a Dio, adorando la sua infinità Bontà, che vi ha ab eterno destinato al suo servigio. II. Unite a questa santissima volontà, la vostra, dicendo: O disegno eterno, io vi consacro questa mia volontà per volere quello, che eternamente avete voluto. III. Invocate l’ajuto divino col più profondo del cuore: mio Dio! io sono adunque vostro, ajutate questo mio povero cuore mancante. IIII. Invocate la Beata Vergine Maria, l’Angelo Custode, e tutto il Paradiso. Fra giorno riunite spesso nelle vostre azioni la vostra volontà a quella di Dio, dicendo interiormente così: O mio Dio! Voglio quello, che volete voi. Ma queste parole interiori devono essere dolcemente, saldamente, piacevolmente, e tranquillamente dette, non per modo di Orazioni jaculatorie, o risalti di spirito.

    XV.

    Per avere la pace abbiamo una intenzione molto pura di volere in tutte le cose l’onore, e la gloria di Dio; facciamo quello, che possiamo per questo fine.

    XVI.

    Tenete il vostro cuore in tranquillità in mezzo a’ negozi: non vi mettete prescia di far molto; non vi turbate della vostra inabilità, ed insufficienza; sottomettetevi spesso alla volontà di Dio; che così acquisterete la santa tranquillità.

    XVII.

    Per tranquillarvi dopo aver ricevuto la correzione, o dopo aver avuto qualche torto, umiliatevi avanti Dio, ma d’un umiltà dolce, e piacevole, non mesta, e travagliata; parlategli d’altre cose, poi divertitevi, nè pensate al torto, che vi è stato fatto; che dopo essere pacificato, non vi si suggeriranno più que’ motivi, il più delle volte irragionevoli, di turbarvi.'

    XVIII.

    Per le avversioni l’unico rimedio è il divertirsene, e non farne conto. Non dobbiamo cercare, se abbiamo ragione, o no.

    XIX.

    Fra ’l giorno ne’ vostri offizi osservate, se vi siete impegnato in qualche affetto, e voi subito disimpegnatevi; rendete il vostro cuore a Dio. [p. 38 modifica]

    XX.

    Considerate spesso il vostro prossimo come opera di Dio, e vostro compagno nella Beatitudine; perciò amatelo teneramente.

    XXI.

    Bisogna sradicare la sollecitudine circa le precedenze; disprezzarle, e non curarle. I Santi hanno avvertito, che si parli poco di se, e delle cose sue.

    XXII.

    Fate un esercizio particolare di dolcezza, e di rassegnazione alla divina volontà non per le cose straordinarie, ma per i piccoli difetti d’ogni dì. Preparatevi a questo ogni dì la mattina, il dopo pranzo, la sera. In ciascuno di questi tempi mettete il vostro cuore in positura di tranquillità, e dolcezza.

    XXIII.

    Ciò, che vedete potersi far con l’amore, operatelo pure; ciò, che non si può fare, se non con contrasto, lasciatelo stare.

    XXIV.

    E’ cosa naturale a tutti l’avere proprie opinioni, ed il confirmarle, ed appoggiarle ad ottime ragioni è necessario ad alcuni; ma è poi contrario alla perfezione il volerle stimare, e fare stimare, e ricevere ad altri. Non si debbono dunque amare, onde non ci dobbiamo turbare, se altri le riprova, e le contraddice.

    XXV.

    Per mortificare questa inclinazione, bisogna levarle via gli alimenti. Vi cade in pensiero, che un Tale ha torto di fare a questo modo una tal cosa, e che meglio sarebbe fatta nel modo, che l’avete pensato voi. Distoglietevi da questo pensiero, dicendo fra voi medesimo: Che importa questa cosa a me, mentre non è stata comunicata a me?

    XXVI.

    L’unico rimedio di guarire dal male del proprio giudizio è di non fare conto alcuno di quanto ci venga in pensiero, applicandoci a qualche cosa di meglio; imperciocchè se vogliamo lasciar libertà al pensiero di far riflessioni sopra tutte le opinioni, che ci suggerirà in diversi incontri, ed occasioni, che ne avverrà? se non una continua distrazione, e impedimento di cose più utili, e che sarebbero proprie per la nostra perfezione, rendendoci incapaci, ed inabili a fare l’Orazione.

    XXVII.

    Dopo la Confessione non è più tempo d’esaminarci, per vedere, se si è detto tutto quel, che si è fatto; anzi quello è il tempo di stare attenti con tranquillità appresso Nostro Signore, con cui ci siamo riconciliati, e rendergli grazie de’ benefizi ricevuti, non essendo altrimenti necessario di fare la ricerca di quel, che avessimo potuto scordarci; e similmente dopo di aver reso conto al Confessore, e detto [p. 39 modifica]semplicemente quello, che ci viene in memoria, dopo non si ha più da pensarvi.

    XXVIII.

    Non bisogna essere così sensitivi di volere sempre dire tutte le incomodità, che abbiamo, quando non siano d’importanza. Un piccolo male di testa, ò un piccolo male di denti, che forse ben tosto passerà, se lo volere sopportare per amor di Dio, non bisogna andarlo dicendo per farvi compatire.

    XXIX.

    Che male vi è, se facendo qualche operazione, che non sia mala, per condiscendere al prossimo, riesca o in un modo, o in un altro? Ma vi sarebbe bene, se non avessimo a cuore questa parola del Signore: se voi non diventate come fanciullini, non avrete parte nel Regno di mio Padre.

    XXX.

    L’unico rimedio alle avversioni, che naturalmente abbiamo col prossimo, è una semplice diversione, voglio dire; non pensarvi punto. Ma il male è, che noi vogliamo troppo conoscere, se abbiamo ragioni, o no d’avere avversione a qualche persona.

    XXXI.

    Ricordiamoci delle parole dell’Appostolo Paolo: la Carità non pensa punto di male; volendo dire, che subito, ch’ella lo vede, se ne distoglie senza pensarvi, nè fermasi a considerarlo.

    XXXII.

    Bisogna sottomettersi a far tutto quello, che altri vuole, purchè non sia contro la volontà di Dio.