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I III
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II.

Una di quelle sere si faceva una gran festa sul lago. Dei battelli illuminati, ornati di palloncini alla veneziana, lo solcavano in tutti i sensi. Da Arona si erano staccati diversi piroscafi pieni di signore e signori venuti a posta da Milano. [p. 20 modifica]

Molti di questi battelli avevano a bordo una banda, che suonava allegramente le polke e gli inni popolari: poi, fuochi di bengala, luce elettrica, canti e spari.

Sulla spiaggia, i paeselli e le ville erano illuminati.

I contadini si accalcavano nei larghi per godere il più che potevano di quel divertimento gratuito.

Villa Pianosi, a detta di tutti, splendeva come un brillante.

I battelli che passavano davanti, si fermavano perchè la gente potesse vederla bene, e la gente applaudiva a quella meraviglia di eleganza e di lusso.

Nell’interno, la villa non era meno splendida, nè meno animata. Fin dal mattino era cominciato l’arrivo degli ospiti, non tutti forse invitati, ma tutti egualmente bene accolti.

Gilda non s’era potuta sedere un momento in tutto il giorno, altro che all’ora del pranzo.

Ora che il gran da fare era terminato, godeva anche lei lo spettacolo di quella scena fantastica dall’alto dell’ampia terrazza. In quella folla di sconosciuti poteva riposarsi.

Si sentiva contenta e serena, come non le accadeva più da un certo tempo. Quella giornata le aveva fatto bene, con la attività violenta e le distrazioni tumultuose in cui l’aveva trascinata.

Quel vortice, quel chiasso, costituivano forse l’elemento più propizio all’equilibrio de’ suoi nervi?

Ella non pensava a farsi questa domanda; ma se qualcuno gliel’avesse fatta, avrebbe forse risposto francamente con una affermazione. [p. 21 modifica]

I giorni addietro erano stati per lei pieni di un tormento misterioso, di una inquietudine sorda c opprimente. Nel silenzio, nella uniformità, ella ascoltava troppo sè stessa, sentiva troppo fortemente i palpiti del suo cuore. Nel frastuono ritrovava la calma e poteva osservare gli altri.

Molto da osservare c’era, in quella società, come in tutte: cose ridicole e cose buone: tipi simpatici e macchiette comiche.

L’attenzione di Gilda era attirata specialmente dal circolo fitto che molti uomini formavano intorno alla padrona di casa e a una signora sua amica, venuta da Milano la sera innanzi. Si chiamava Laurina Mantrilli, e aveva cantato alla Scala nell’ultimo carnevale. Parevano molto intime, lei e la signora Edvige, e punto gelose l’una dell’altra, quantunque tutte e due bellissime. Forse dissimulavano perfettamente. Forse si erano divise il campo, o avevano qualche vincolo misterioso. Era facile vedere però che la Mantrilli indirizzava i suoi strali di preferenza ai giovani ricchi o ai ricchi ancora scapoli, quantunque innanzi negli anni.

Edvige invece, già maritata e nella pienezza delle soddisfazioni materiali, voleva farsi un’aureola artistica, attirando a sè l’attenzione degli uomini più stimati per il loro ingegno, e insieme a questa anche la buona amicizia dei giornalisti, i quali sono, per così dire, i veicoli della gloria, quantunque spesso rimangano oscuri.

Quella sera appunto, nella occasione della festa fantastica, di cui bisognava fare il resoconto, il giornalismo era largamente rappresentato sul lago. Il Banchiere e la sua signora avevano com[p. 22 modifica] binato le cose con molta diplomazia, in modo di riunire nella loro casa, sotto la rubrica estesissima di amicizie personali, tutti i più bei nomi della stampa milanese e torinese, e vari corrispondenti di giornali italiani delle altre città e di giornali stranieri, senza nessuna distinzione politica. L’importante era che tutti i giornali, che avrebbero parlato di quella festa, portassero ai sette cieli la raffinata ospitalità del Banchiere Pianosi e la magnificenza con cui aveva decorata la sua villa; esaltando nel medesimo tempo, con discreta idolatria, la bellezza e lo spirito della signora.

L’avvocato Blendano, un giovinetto biondo, molto attillato, aveva preso appunti fin dal mattino, e il suo giornale aveva già ricevuto due telegrammi, nei quali erano descritte fra le altre cose, le toileties che la signora aveva indossate: quella del pranzo, composta di una lunga redingote a fondo di armure, acciaio brunito, con piccoli broccati in forma di romboidi di velluto, fraisè écrasée du matin; poi quella magnifica, tutta in raso crème e blonda ricamata in oro, un vero abbigliamento da dea, con cui aveva fatto la sua comparsa sulla terrazza illuminata da fuochi del bengala rossi: un effetto irresistibile. Nella corrispondenza scritta, poi, egli si riservava di parlare anche delle altre signore, e specialmente degli occhi della prima donna, signora Laurina Mantrilli, al cui splendore impallidiva miseramente il gaz e perfino la luce elettrica.

Un altro giornalista, di tono più grave, l’ingegnere Santini, s’era attaccato al Banchiere, e lo andava interrogando abilmente, avendo l’aria di [p. 23 modifica] chiedergli dei pareri, sul grande stabilimento industriale, cui egli aveva affidato notoriamente mezzo milione la settimana scorsa, rialzando così di punto in bianco il suo credito. Il Banchiere che aveva provocato la intervista e desiderava ardentemente quella réclame, si espandeva molto su certi punti, mantenendo su certi altri una dignitosa riserva, che non isfuggiva al giornalista, il quale l’interpretava chiaramente: su questi punti egli non vuole ch’io parli: perchè? ci sarebbe cantina sotto?

Fra i corteggiatori più insistenti della padrona di casa, l’istitutrice ne aveva notati tre fin dalle prime settimane.

Erano tutti al loro posto anche quella sera. Il primo per meriti personali e importanza politica, l’onorevole Adriani, deputato, poeta e drammaturgo brillante, doveva aver già varcata la curva ascendente nelle buone grazie della signora. Dopo averlo tasteggiato abilmente, s’era forse accorta ch’egli non voleva lasciarsi dominare, e poiché lei neppure voleva essere dominata, lo aveva fatto passare abilmente nella schiera degli ornamenti da salotto, nè più nè meno. Egli s’incorniciava bene nel suo salotto, e la fama che lo rendeva celebre metteva un vivo splendore nella sua aureola di donna intelligente: perciò finché le sue tendenze politiche non lo rendevano incompatibile con altri pezzi d’ornamento, gli prodigava un sufficiente numero di gentilezze.

Quella sera, forse per essere più libera, lo aveva raccomandato alle cure amichevoli della prima donna, la quale eseguiva la sua parte con grazia amabile, e pareva soddisfatta d’averlo ai fianchi. [p. 24 modifica]

La signora Edvige, lei, doveva avere altro in mente. Già i due secondi assidui, un ingegnere e consigliere comunale, giovine alto, bruno, elegante e ambizioso, Achille Ferri, e un poeta tedesco, lungo, smilzo, sentimentale quanto biondo, che mandava corrispondenze ai giornali di Berlino e traduceva la politica estera in un giornale di Milano, certo Michele Krauschnitz, bestia nera dell’onorevole Adriani, si erano accorti che la dama de’ loro pensieri aveva una preoccupazione insolita.

Gilda se n’era accorta prima di loro. Fin dal mattino ella sapeva che la sua signora aveva ricevuto una lettera, e che questa lettera l’aveva fatta piangere. Poi il marito era entrato nella sua camera, e Gilda li aveva sentiti discorrere in russo ad alta voce, in un tono aspro.

È vero che qualche ora dopo erano andati tutti e due incontro agli ospiti, sorridendo amabilmente e non serbando nei loro visi la più piccola traccia di alterazione.

Ma oramai Gilda sapeva troppo bene fino a qual punto i signori coi quali viveva possedessero l’arte di dissimulare e sapessero portare la maschera.

In fondo al cuore li compiangeva. Senza ch’ella potesse penetrare nel segreto della loro esistenza, senza rendersi nemmeno conto de’ propri sentimenti, il suo pensiero era trascinato a occuparsi di quelle due persone, a indagare il mistero di cui intuiva resistenza. Involontariamente se li figurava infelici, tormentati, forse minacciati; specialmente lui. La sua immaginazione agiva sul suo cuore, e forse questo su quella. In ogni modo era [p. 25 modifica] un tranello ch’ella tendeva inconsciamente a sè stessa, occupandosi delle angoscie segrete di quel bel signore dalle maniere così nobili, dall’aspetto imponente col quale viveva sotto lo stesso tetto, e che le dimostrava in tanti modi delicati, spesso quasi inavvertibili, la sua attenzione e la sua simpatia.

Sorvegliando i bambini degli invitati che giuocavano e ballavano con Lea in un angolo della terrazza, Gilda osservava, ora, il Banchiere che passeggiava in su e in giù discorrendo col suo giornalista. Si erano recati da quella parte per essere un po’ più isolati, e il discorso li assorbiva. Tuttavia, il Pianosi la vide subite, e passando davanti a lei la salutò con un sorriso.

Due altre persone la videro in quello stesso momento, e si accostarono a lei dalla parte opposta.

Uno era l’avvocatino Paolo Anselmi, un amico della casa, non un corteggiatore assiduo della signora, ma forse, a certi indizi, il più ben accolto.

Gilda non lo poteva soffrire; specialmente per questo, che davanti alla signora Edvige era riservatissimo con lei, fingeva di non vederla o la salutava appena; invece, quando gli accadeva di trovarla sola, non le dava pace coi suoi complimenti poco distinti e le sue dichiarazioni libertine. Questo contegno la offendeva crudelmente, come un vero insulto alla sua delicatezza di fanciulla onesta e al suo orgoglio femminile.

— Finalmente la trovo! — le disse porgendole la mano, ch’ella finse di non vedere: — perchè si nasconde così agli occhi di chi non brama altro che vederla? [p. 26 modifica]

Gilda non rispose perchè non aveva ascoltato, la sua attenzione essendo stata rivolta altrove, ma l’avvocatino senti picchiarsi confidenzialmente sulla spalla. Si voltò di scatto e si vide davanti la faccia larga e ridente di mistress Thionny, una ricca inglese che passava tutti gli anni alcuni mesi sul lago Maggiore.

— Vi ho colto, signorino! vi ho colto in flagrante! — esclamava ridendosela allegramente. — Laggiù vi cercavano — aggiunse con piglio ironico — non sanno dove vi siate cacciato; ma io sapevo dove trovarvi: andate, andate, non vi fate aspettare! Con la signorina ci resto io! — Egli prese la cosa in buonissima parte, ridendo, da uomo di spirito, facendo molti complimenti alla buona Mistress per la sua intelligenza e la sua finezza; poi s’allontanò, maledicendola di tutto cuore, consolandosi però col pensiero che la Gilda era sempre là e che lui poteva ritrovarla quando voleva.

Le due donne rimasero in mezzo ai bambini. Esse si vedevano con piacere. La vecchia inglese aveva preso in simpatia quella giovinetta, così inesperta della vita, scaraventata in una posizione tanto difficile, di cui lei non sospettava nemmeno i pericoli.

Mistress Thionny passava fra i suoi conoscenti per una donna originale; vedova da molti anni e senza figli, aveva viaggiato tutta l’Europa, era stata parecchie volte in America e la sua curiosità l’aveva spinta fino in Asia e sulle coste dell’Africa. Da alcuni anni non lasciava più l’Italia: passava l’inverno a Roma o a Napoli; la bella stagione sul lago Maggiore, in una villetta che [p. 27 modifica] s’era comperata nei dintorni di Pallanza. Aveva la passione di schizzare profili e studiare caratteri, non già per servirsene in opere letterarie, ma per suo piacere, per crearsi una perenne compagnia di persone simpatiche. Gilda doveva trovar posto in questo circolo ideale: perciò la stava studiando, e intanto si domandava in qual corpo poteva già aver vissuto quell’anima dolce e appassionata, aperta a tutte le impressioni piacevoli che fanno bella la vita, e nel medesimo tempo pronta a disperarsi e capace di soccombere al primo urto. Chi sa? forse l’aveva già incontrata, amata, sotto un’altra parvenza, o indovinata in qualche figura storica?

Saviamente però, pensando che questi concetti avrebbero potuto renderla ridicola, o farla passare per pazza agli occhi della giovane, ella si guardava bene dal comunicarglieli, limitandosi a farle molte domande curiose sulla sua infanzia e sui suoi ricordi più nebulosi e lontani.

Gilda si divertiva di più ai racconti dei suoi viaggi e dei libri che aveva letti.

Che cosa pensate di quel signore? domandò l’Inglese, appena l’Avvocatino se ne fu andato.

— Non mi piace — rispose Gilda senza alcuna esitanza.

— Che siate benedetta — esclamò la vecchia.— eppure — soggiunse abbassando la voce: — vi sono delle donne che lo trovano molto interessante.

Gilda fece un atto di commiserazione, astenendosi dall’interrogare, perchè credeva di aver osservato anche troppo da sè, e non voleva sentire affermare i suoi dubbi. Parlarono di altro. [p. 28 modifica]

Intanto l’avvocato Paolo Anselmi si dirigeva verso il crocchio della signora Edvige, dove sapeva di essere aspettato. Cammin facendo pero egli non potè a meno di arrestarsi un po con gli amici suoi che si trovavano sparpagliati in mezzo alla folla, e con le belle signore di sua conoscenza. Fra queste, alcune avevano per lui un sorriso speciale, un fare premuroso, misto a un certo timore. Parevano sommesse a lui, pronte a secondarlo ne’ suoi disegni, a giovargli col silenzio o con la parola, a patto ch’egli fosse gentile con loro, o almeno non le pungesse con 1 suoi frizzi scarnificatori e compromettenti.

In fondo al cuore forse lo odiavano.

Una biondina, modellata come un marmo nella sua corazza di raso, gli si accostò sorridendo.

— Come mai così solo, smarrito nella folla?... C’è chi la desidera e mormora contro di lei.

— Ho perduto tutta la sera a cercarla! — rispose lui sfacciatamente.

Ella fece una risatina ironica.

— Sono molto occupati laggiù — disse accennando maliziosamente il crocchio della padrona di casa — e ci dimenticano un po’ tutti. Una buffa maniera di esercitare l’ospitalità! Non faccio per dire, non ho mai visto una padrona di casa come questa, che invece di occuparsi delle signore, le trascura tutte, per non badare che ai propri

L’avvocatino Anselmi strizzò lievemente gli occhi e prendendola per la mano che strinse con sentimento:

— E la libertà — disse — di cui si gode in questo abbandono, la conta per nulla? [p. 29 modifica]

Si salutarono ridendo e scambiando un’occhiata espressiva, da persone che non hanno nulla a nascondersi.

Quando egli arrivò nel circolo dei sapientoni, come i villeggianti usavano chiamare quel gruppo di persone che solitamente circondavano la signora Pianosi, trovò una conversazione animatissima.

Un amico gli susurrò all’orecchio:

— La bella Edvige sta facendo la conquista del professor Rachelli.

Il professor Rachelli, un omino tra i quaranta e i cinquanta, era uno scienziato archeologo che veniva a Milano per la prima volta dal fondo della sua Calabria. La grande città, il movimento straordinario, accresciuto in quei mesi dall’affluenza dei forestieri per l’Esposizione Nazionale, la vita di società a cui lo aveva iniziato un deputato del suo paese, avevano un poco stordito il semplice e modesto uomo. Il suo nome, la fama mondiale ch’ei s’era acquistata, quasi senza saperlo, gli aprivano tutte le porte; una volta presentato e conosciuto, gl’inviti gli arrivavano da tutte le parti. Le belle signore del mondo elegante milanese erano felici di accogliere nei loro salotti quell’erudito così diverso dagli altri, dai modi piacevoli e dalla mente elevata, poeta, e dei buoni, a tempo perduto, con una punta di acerbità giovanile e una succosità boschereccia che contrastavano amabilmente coi grossi riccioli grigi de’suoi capelli, e la sua inesauribile erudizione.

L’onorevole Arbelli, altro meridionale, lo aveva presentato quella sera soltanto in casa Pianosi, [p. 30 modifica] dopo un lungo assedio diplomatico della signora. Per lei, oltre alla smania naturale di ricevere in casa sua un uomo del quale tutti parlavano, si trattava di strapparlo alle conversazioni della contessa Maltesi, dove piovevano tutte le celebrità e dove lei non era mai stata ammessa.

Era un vero chiodo questo ch’ella s’era ficcato nel cervello: distogliere il più che poteva di uomini celebri, letterati, artisti, uomini politici, dalla amicizia della Contessa, per attirarli a sè.

Intanto, dopo l’archeologia e la storia, nelle quali cose Edvige s’era mostrata adorabile, ascoltando con un’ammirazione quasi infantile le spiegazioni e i racconti a cui ella provocava con molta grazia il buon professore, la conversazione aveva sfiorato la letteratura ed era scivolata sulla questione sociale più gradita alle donne: la liberazione della donna.

La bella Mantrilli, che fino a quel momento si era occupata di tutt’altro che di archeologia con l’onorevole Adriani e alcuni altri giovani, formando un «a parte» più allegro, attaccò la questione con violenza, accusando gli uomini di gelosia quasi invidiosa, di ingiustizia e di prepotenza. Adriani trovò galante di sostenerla in questo atto di rivolta, tanto più che il giornalista tedesco Michele Krauschnitz e l’ingegnere Achille Ferri avevano risposto con ardore alle prime botte.

Edvige, strano fenomeno! rimase qualche tempo in silenzio, e quando parlò non parve punto propensa a sostenere le opinioni dell’amica.

Questa defezione fece senso; e Adriani, che in fondo sapeva il giuoco di questa donna e non po[p. 31 modifica] teva vincere un certo rancore, approfittò del momento per investirla furiosamente.

Ma lei quella sera s’era giurata di mostrarsi docile e mite, tenera di cuore e candida d’animo, perchè questo le pareva il miglior mezzo per acquistare la simpatia del Calabrese e avere in lui, ad ogni caso, un ammiratore, tanto più eloquente quanto più convinto.

— Comunque sia, — disse Adriani a un certo punto della disputa — ella non arriverà, spero fino a negare l’utilità, la necessità del divorzio?... Sarebbe troppo strano da parte sua!...

Edvige sentì tutta la perfidia di questa insinuazione e il lieve mormorio che corse fra gli astanti, seguito subito da un involontario silenzio, la fece accorta che l’intenzione offensiva dell’uomo politico non era sfuggita a nessuno.

Eppure ella trovò la forza di dissimulare perfettamente la sua collera e la sua emozione.

Il Rachelli che la guardava cominciò a stimarla per questa potenza di volontà.

— Mio Dio! — esclamò con la sua intonazione più musicale — noi non siamo che povere e deboli donne, condannate a soffrire e piangere, qualunque sia la legge che s’impone al nostro cuore. Questo io so, e nient’altro! Il divorzio, voi dite, è una necessità!... Vi saranno dei casi, io non nego... posso farmi giudice di questi casi, io, caro amico?... Pur troppo vi sono tante mogli infelici! Ma almeno non sono in balìa del capriccio; la loro vita scorre tranquilla nelle pareti domestiche! Se il marito le tradisce, se perdono l’amore, hanno i figli e la casa! E noi donne, se abbiamo cuore, se siamo vere donne, amiamo la casa quasi quanto [p. 32 modifica] i figli, e molte volte perdoniamo facilmente l’infedeltà all’uomo, che ci fa bella e dolce la casa. Voi invocate il divorzio! voi volete ch’io l’approvi! Oh no, mai. Quantunque io non sia che una donna e non aspiri a diventare una donna politica, sono avvezza a considerare le cose dall’alto: penso alla sorte di tante povere fanciulle che resistono all’amore come martiri, se quest’amore non è sanzionato dalla sicurezza del matrimonio; penso che dopo tanti affanni e battaglie segrete, queste povere fanciulle, se finalmente si sposano, sanno ch’è per sempre, che la casa in cui entrano appartiene a loro per tutta la vita, e possono e devono quindi amarla con tutto il cuore e provvedere alla sua prosperità, perchè è certo che nessun altra verrà a rapirgliela, se prima non muoiono! Mettete il divorzio, e la posizione della donna non sarà che peggiorata. La povera fanciulla che avrà combattuto coraggiosamente per la sua virtù e la sua pace, potrà essere ripiombata nella tristezza e nell’abbandono dopo un solo giorno di amore, o cacciata dalla casa in cui avrà vissuto vent’anni, consacrando ad essa tutte le sue forze sacrificandovi tutta la sua giovinezza!... Ciò è semplicemente orribile! —

Ella si arrestò, tutta commossa e vibrante, come se questi pensieri l’avessero profondamente sconvolta.

Fra gli astanti scoppiò un grido di approvazione. L’ingegnere Ferri consigliere comunale e il poeta tedesco Michele Krauschnitz, che l’avevano ascoltata a bocca aperta, si slanciarono per essere i primi a stringerle la mano, e nella furia caddero quasi ai suoi piedi. [p. 33 modifica]

L’avvocato Blendano, il giornalista giovinetto che aveva già mandato due telegrammi sulle toilettes e l’illuminazione, terminò di tracciare le ultime righe del discorso che aveva religiosamente stenografato, poi chiuse il suo notes con aria di soddisfazione e andò a presentare il suo più bel complimento.

Anche l’avvocatine Anselmi venne a deporre rispettosamente il suo omaggio di amico; ma per quanto Edvige fosse corazzata, ella non potè a meno d’impallidire, mentre gli domandava dove s’era nascosto fino a quel momento.

E Rachelli?... Dov’era? Non si curava di lei? non le presentava i suoi omaggi?

No. Era invece Adriani che s’inchinava, confessandosi vinto dalla sua eloquenza femminile.

— Avete visto il professor Rachelli? — domandò lei distrattamente e senza dare alcuna importanza a quell’atto di sommessione.

Lo ritrovò più tardi in un altro gruppo, con l’Anselmi, Mistress Thionny, Gilda e la piccola Lea.

Egli diceva qualche cosa di gentile alla bimba, ma i suoi occhi parevano affascinati dall’incantevole figura della istitutrice.

Edvige ne fu doppiamente punta. In quel momento due piroscafi si fermarono davanti alla villa, le bande suonarono e i fuochi pirotecnici solcarono il cielo di razzi corruscanti in mezzo a una ben imitata pioggia di fiori.

La folla degli invitati si buttò verso il parapetto della terrazza e quelli che non arrivarono a prender posto sul davanti scesero in giardino per accostarsi alla riva.

Edvige approfittò del movimento per afferrare il braccio del Professore e condurlo con sè. [p. 34 modifica]

— Venga giù — disse — vedremo meglio.

Egli si lasciò condurre discorrendo con entusiasmo della splendida festa, del paese bellissimo, unico al mondo, ricco di donne incantevoli, di panorami deliziosi. La Lombardia lo aveva ammaliato, diceva egli allegramente, e in verità non voleva lasciarla più per un pezzo.

La signora Pianosi si credè che quello fosse il momento opportuno per invitarlo a rimanere alcuni giorni con loro, dacché quella località aveva la fortuna di piacergli.

Egli si fece serio, la ringraziò vivamente, ma protestò alcuni affari imprescindibili per cui doveva trovarsi a Milano il domani.

— Ebbene — insistè la signora — ritorni appena li avrà sbrigati.

Egli non promise, non s’impegnò: disse che avrebbe fatto ogni sforzo per procurarsi tanto piacere, ma temeva assai che non gli riescisse. Si capiva che voleva esimersi da ogni impegno senza mancare di gentilezza.

La signora Pianosi ebbe il tatto di non insistere.

— Ella non è dunque della mia opinione nell’argomento su cui si discuteva poco fa? — gli domandò finalmente, mentre i battelli e le bande si allontanavano, e la folla si perdeva lungo il viale del giardino.

— Le interessa di saperlo?

— Moltissimo! Ella è tale uomo la cui disapprovazione, se me la sono attirata, come dubito, dovrà essere nel medesimo tempo una lezione, e schiudermi un altro orizzonte d’idee, ben più vaste e luminose, che modificheranno essenzialmente le mie convinzioni. [p. 35 modifica]

Egli non potè sopprimere un leggero movimento di dispetto: non gli piaceva di essere trattato come un uomo volgare, e l’adulazione lo stomacava. Si fermò su due piedi e la guardò fisso in viso.

Ma ella lo guardava con i suoi grandi occhi azzurri, trasparenti e sinceri: e il bel viso roseo era illuminato da un sorriso dolce e ingenuo, come quello di una bambina.

— Io non sono che un archeologo, — disse il Professore dopo un momento di silenzio — e la mia opinione in tali argomenti non ha alcun peso. Tuttavia, dacché mi fa l’onore di dare tanta importanza alle mie parole, le dirò la verità. Quando sento dire che la soggezione in cui la società moderna vuole ancora tenute le donne, e quindi la indissolubilità del matrimonio, sono nell’interesse delle donne stesse, non posso a meno di pensare a ciò che mi fu detto una volta da un Musulmano. Si parlava della posizione di schiave che hanno le donne in Turchia, ed io, come qualunque buon Europeo, non potei trattenermi dal dire francamente che quella era una cosa abbominevole. Ebbene, il mio Musulmano mi rispose con altrettanta franchezza che avevo torto, e cercò di provarmi con molto sottili argomenti che la legge turca era tutta in favore delle donne, poiché altrimenti molte di esse sarebbero cadute in balia dei più furbi e violenti, per essere poi abbandonate vigliaccamente alla miseria e al vituperio, come in Europa.

— Ella crede dunque che... — disse Edvige con impeto e soddisfazione, dimenticando improvvisamente le opinioni che aveva sostenute un momento prima; — ella vuole la donna libera, assolutamente libera e pari all’uomo? [p. 36 modifica]

— ... Ma le pare? rispose il buon calabrese tutto allarmato: Io non voglio nulla. Sono un pacifico archeologo, e grazie al cielo non mi occupo di queste cose. Credo però che in queste questioni complicate sia difficile l’avere una opinione sincera e assoluta: una opinione che non si risenta dei nostri interessi e delle nostre passioni, o dei nostri pregiudizi. Molto facile invece per chi ha talento il discorrere pro e contro e fare effetto sulla folla, secondo il vento che spira.

Per fortuna erano arrivati sotto al porticato in mezzo a un gruppo di persone che si preparavano alla partenza e volevano salutare la padrona di casa. Così la conversazione fu troncata in buon punto.

Gilda intanto era già rientrata in casa con Lea. Attraversando la sala da pranzo incontrò il banchiere. Lea si buttò al collo del suo babbo, tutta eccitata com’era dalla veglia e dalla festa, che l’aveva tanto divertita. Gilda si ritrasse un poco, aspettando che il signore licenziasse la bimba. Egli la pregò ad accostarsi. Le domandò se si era divertita. Gli era parsa malinconica. Aveva torse dei dispiaceri? Non si trovava bene nella loro casa? Se le mancava qualche cosa doveva dirlo. Se aveva qualche motivo di dispiacere doveva rivolgersi a lui; era il padrone, e in casa sua nessuno doveva permettersi di offendere una persona ch’egli stimava e intendeva proteggere.

Confusa, commossa, col cuore che le batteva forte, troppo forte, Gilda trovò appena la forza di rispondere con parole gentili e rassicuranti a una protesta così inaspettata.

Lei era contenta e stava benissimo, e nessuno [p. 37 modifica] l’aveva mai offesa. Gli era grata, oh! infinitamente grata per quell’attestato di stima, ma le bastava: non chiedeva altro; era molto più di quanto aveva sperato.

E lei stessa, senza accorgersi, diventava a poco a poco eloquente, e diceva molto più di quello che avrebbe voluto. Lui, guardandola estatico, beveva le sue parole.

Ma Lea aveva sonno. In piedi, con la testina appoggiata al braccio sinistro del babbo, cominciava a piagnucolare.

— Mi lasci andare — disse Gilda improvvisamente, mutando voce sotto la pressione della mano, ch’egli aveva posata sulla sua spalla.

La bimba ha sonno, ci lasci andare.

Pareva concitata.

Egli ritirò la mano e le porse la bimba, eh ella prese fra le sue braccia.

— Non ho nessuna cattiva intenzione — le susurrò in tono umile e dimesso: — stia sicura; mi è sacra come una sorella: la stimo tanto! E perchè le mie parole di poco fa non le sembrino strane, le dirò che ho notate le persecuzioni di quel bel signorino, e che se continua, saprò metterlo a posto!...

Rievocando queste immagini la sua voce era tornata vibrante: vi si sentiva la collera repressa.

Ella credette necessario di tranquillarlo.

— Oh! per me, Signore — disse col suo bel sorriso di fanciulla spensierata e animosa non c’è proprio di che allarmarsi a questo proposito; quel signorino a cui ella allude, mi pare un po’ vanesio, e punto pericoloso!

I suoi occhi lampeggiarono e parve che dices[p. 38 modifica] sero ingenuamente, fissandosi in quelli di Giovanni, dove si trovava veramente il pericolo.

Egli ebbe una scossa violenta e fece l’atto di abbracciarla.

Ma la fanciulla gli gettò un brusco:

— Buona notte, Signore! — e s’allontanò rapidamente, portando Lea in alto sulle sue braccia, come in trionfo.