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II IV
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III.

In quella stessa ora, mentre Gilda, si ritirava nelle sue stanze con Lea, ripensando a tutte le cose che aveva vedute e sentite in quella serata, specialmente alle parole del Banchiere, il cui suono dolce e lusinghiero vibrava ancora nell’anima sua come l’eco di una musica d’amore; la signora Edvige aveva un colloquio molto importante con l’avvocato Paolo Anselmi.

Gl’invitati erano partiti: molti, approfittando dei numerosi battelli, si erano recati ad Arona per ritornare a Milano con l’ultima corsa; altri avevano preso alloggio al grande albergo del Lago; altri erano ritornati ai vicini paeselli, dentro terra, dove abitavano, o s’erano sparsi per le ville. Soltanto Lauretta Mantrilli e l’Anselmi erano rimasti con i signori Pianosi. A quell’ora stavano ancora sulla terrazza, guardando le barche, i battelli illuminati che solcavano il lago perdendosi nella notte, mentre in lontananza si sentiva ancora qualche ritornello di canzone, e 1 eco delle trombe di una banda in ritardo.

Ma a poco a poco, il gran silenzio della notte [p. 39 modifica] e della campagna assorbiva in sè tutti quei rumori sparsi; i lumi erranti, si allontanavano infinitamente e sparivano. Non c’era luna; il cielo limpido e stellato diffondeva un tenue chiarore, che dava a tutto il panorama del lago un carattere fantastico.

La bella cantante, accortasi a tempo che stava per rappresentare la parte penosa del terzo incomodo e pur comprendendo che non poteva lasciare l’amica sua sola con l’Avvocato, fu presa improvvisamente da un accesso di sentimentalismo artistico e andò a mettersi al pianoforte che era nella sala attigua, le cui porte spalancate davano sulla terrazza.

La voce sonora dell’istrumento empì l'aria di capricciose fantasie, coprì benignamente col suo rumore anche le parole troppo vivaci che di tratto in tratto venivano scoccate in mezzo al dialogo tempestoso, cui Edvige aveva trascinato l’amico suo.

«Trascinato» è la parola giusta, poichè egli non si era lasciato prendere che riluttante. Come tutti gli uomini che non possono rendere conto delle proprie azioni senza andare incontro a rimproveri di chi crede avere qualche diritto sul loro cuore, l’avvocato Anselmi odiava le spiegazioni.

— Roba da sartine! - diceva in tono sprezzante. — Le donne di spirito non ne domandano mai, come non ne danno.

Ma Edvige crollava le spalle. Non era già una educanda, che volesse lasciarsi imporre dai suoi giudizi! Se chiedeva una spiegazione, gli è perchè aveva diritto di esigerla.

E da donna risoluta ed esperta della vita, che sapeva il valore del tempo e delle occasioni, ec[p. 40 modifica] citata anche e resa impaziente dalle molte e diverse commozioni della serata, entrò subito in argomento.

— Siete innamorato della piccola istitutrice — disse, parlando francese, mentre il pianoforte tremava sotto a una valanga di note: — che cosa intendete di fare?...

Una scrosciante risata fu la prima risposta del cavaliere.

Ella rimase imperturbabile, mostrando con l’atteggiamento che aspettava una risposta meno evasiva.

— Povera amica mia! — sospirò l’Anselmi, passando improvvisamente da quella grande ilarità a una sentimentale mestizia: povera amica mia, sempre poetica, sempre piena d’illusioni! Ma dunque voi non vi accorgete del tempo che passa? Bel tipo, però!... per Iddio! bel temperamento! Davvero v’invidio. Se vi vedeste in questo momento, siete bella da far impazzire, bella come diciotto anni fa, quando vi ho sacrificato la mia posizione e il mio avvenire...

— Badate a quello che dite!...

— .... Scusatemi, cara, riprese l’Avvocato, in modo insinuante... Era per dire che insomma questa occasione favorevole poteva essere usufruttata assai più piacevolmente... almeno per conto mio.

Le aveva preso una mano, e le sue dita sottili e lunghe di voluttuoso rapinato, scorrevano mollemente sul bellissimo braccio nudo.

Ella sostò un momento, come assopita nei dolci ricordi che si risvegliavano nel suo cuore sotto quelle carezze.

Poi rabbrividì, si raddrizzò, e ritirò la mano; [p. 41 modifica] lentamente, però, senza collera e quasi a fatica.

Vi fu una pausa, durante la quale essi parvero ascoltare la voce del pianoforte sempre rumorosa e veemente.

— Voi dunque mi credete ancora capace d innamorarmi, come a vent’anni? — riprese lui in tono sarcastico — credete ch’io abbia ancora il cuore aperto alle purissime sensazioni, la fantasia infiammabile, la mente dedita alle dolci puerilità?... Sono vecchio, mia povera Edvige, decrepito coi miei trentotto anni, e con questa faccia che s’ostina a rimaner fresca, tanto perchè io sia ancora bersaglio alle frecce delle ragazze da marito!

— Eppure — osservò Edvige — io so che l'istitutrice, la quale del resto non si è punto curata di voi, nè del vostro visino fresco, deve difendersi vigorosamente dalle vostre intraprendenze... diciamo pure senili, se vi piace: quanto a me, non ci ho nulla in contrario..

Nella penombra, l’Avvocatino le fece un inchino canzonatorio, ch’ella finse di non vedere.

— Questo contegno, in casa mia continuò Edvige cedendo insensibilmente alla collera che la ragguantava - è semplicemente abbietto.

— E perchè, di grazia?

_ Perchè se aveste un po’ di cuore non dovreste nemmeno pensare a darmi una rivale, dopo tanti anni, dopo quello che ho fatto.... Tanto meno qui sotto ai miei occhi! Poi, perchè Gilda è una povera ragazza, onesta e inesperta, e io non voglio che sia perduta. E se voi tentate di perderla, io la difenderò.

— Capisco. Sono questi i vostri sentimenti uma[p. 42 modifica] nitari, idealmente cristiani e socialisti, con i quali avete tentato di farvi una posizione eccezionale fra le dame benefattrici. Vi ascolto sempre con ammirazione quando vi slanciate con tutta la foga della vostra fantasia su questa magnifica strada, piena di poesia e di pittoresco, e anche di precipizi, con un sangue freddo veramente straordinario. Ma quanto a me, sapete già da un pezzo, la mia ammirazione in questo senso non può essere che platonica... Risparmiate dunque le belle frasi. Io sono libero e se mi potessi innamorare, come dite voi, e come io vorrei, della vostra maestrina, potrei anche sposarla...

— Oh! questo poi mai!...

— .... Meno male! così siete più sincera. Lasciate i discorsoni per le distribuzioni dei premi e le inaugurazioni di nuovi istituti.

— Pensate realmente di sposarvi? — domandò Edvige, sforzandosi a essere calma.

— No. Ma non permetto che mi si faccia una legge. Dovreste ricordarvene.

— Ricordo — disse — il tempo in cui l’amore di una donna era la vostra legge...

— E quella donna eravate voi! Oh! i lamenti delle signore appassionate, quanto seno monotoni nella loro crudeltà! I vostri, cara Edvige, mi rammentano ora quelli della povera marchesa Adelaide. Vi ricordate eh? Come siamo stati cattivi con lei? Giovinetta, allora, voi avevate già tutta l’audacia femminile che assicurò più tardi la vostra posizione nel mondo. La bella voce, il fascino naturale, la speranza di una carriera gloriosa, vi avevano fatta precoce. Foste superba di portar via l’amante alla vostra benefattrice. [p. 43 modifica]

— Mentite! lo interruppe Edvige... — o dimenticate, ch’io ignoravo affatto il vostro basso intrigo...

L’Avvocatino impallidì sotto questo insulto e fece un gesto minaccioso.

Ella tacque un momento, poi riprese:

— Ignoravo tutto, voi lo sapete bene: avevo respinto con indignazione le proposizioni di suo marito, e non credevo che il mio dovere m’imponesse altro. Quando seppi, e fu quella mattina in cui ella c’incontrò insieme, perchè capii dai suoi rimproveri e dalle vostre risposte di quale natura fosse l’amicizia che vi legava a lei — ebbi orrore di me e di voi; avrei voluto fuggire;ma era troppo tardi, e voi vi siete opposto...

— .... Lo so! Avevo vent’anni e la vita mi pareva facile! Con la laurea di avvocato e per di più il mio talento musicale, mi figuravo che i milioni dovessero piovere nella mia testa. Che cosa perdevo infine? La protezione del Marchese. Bella roba! lo contavo sulla protezione di un mecenate molto più generoso e ricco: il pubblico: io pensavo che il mio genio mi avrebbe aperte tutte le porte del palazzo incantato. E unito a una donna, a una artista della vostra tempra, la quale avrebbe interpretato i miei capolavori musicali, nutrita la mia fantasia, raddoppiate le mie forze, io mi sentivo un gigante, capace di legarmi la fortuna ai calcagni!... Invece m’ero legato alla mia rovina, facendo quasi la vostra. —

Non è forse facile immaginare quanta impotente collera, quanta amarezza velenosa e vero dolore insieme, traboccavano con queste parole dal cuore corroso dell’avvocato Anselmi. La stessa Edvige, [p. 44 modifica] che pure lo conosceva da tanto tempo, ne fu colpita e non trovò subito una replica conveniente. D’altra parte essa non rimpiangeva il passato. Questa specie di rovello non aveva presa sull’animo suo. La vita non le pareva impiegata male. Era nata povera, aveva conosciuto le tristezze della vita zingaresca; poi, grazie al proprio acume ed alla fortuna, aveva potuto sollevarsi fino ad una esistenza agiata, a una posizione brillante e decorosa, senza bisogno di fare troppi sacrifici, nessuno certo che ripugnasse estremamente alla sua indole ardita e avida di sensazioni e di godimenti.

Figliuola disgraziata di un suonatore girovago della Russia tedesca, e di una artista francese, da café chantant, che si era unita a lui per alcuni anni, i suoi ricordi infantili erano pieni di immagini volgari e sinistre, di fame e di freddo patiti nel silenzio e nella solitudine, e interrotti di tratto in tratto da orgie grossolane. A dieci anni, per fortuna aveva perduto il padre; non già perchè fosse morto, ma perchè si era stancato di vivere con sua madre.

Allora questa si lasciò condurre in Italia da un vecchio e ricco signore napoletano, appassionato per il teatro e impresario per divertimento; poi in capo ad alcuni anni soccombette a una malattia di cervello, cagionata da un troppo rapido e assoluto cambiamento di abitudini: dalla miseria alla ricchezza. Edvige rammentava con terrore quel periodo della sua vita. La pazzia dell’ex-cantatrice girovaga era calma e pure spaventevole. Il suo protettore le aveva montata una bella casa e non le lasciava mancar nulla: ma lei che era [p. 45 modifica] stata sempre povera senza inquietarsene e aveva speso tante volte, in una serata, il guadagno di una settimana, appena si trovò nell’agiatezza fu colpita dallo spavento di tornar miserabile, e quindi a poco a poco da una morbosa avarizia che le vietava di mangiare, e la faceva stare a letto tutto il giorno per non consumare i vestiti.

Preso di pietà per la giovinetta intelligente che mostrava buone attitudini artistiche, il generoso signore volle sottrarla allo spettacolo di una simile agonia.

Così Edvige fu messa in collegio, e quivi educata insieme alle figliuole dei ricchi. Aveva sedici anni allorchè una bella signora andò a prenderla per condurla al capezzale del suo benefattore. E alcuni giorni dopo, alla lettura del testamento, si trovò in possesso di un discreto capitale che doveva esserle consegnato quando compiva i vent’anni, o prima se prendeva marito — purchè si conducesse bene.

Inoltre il vecchio la raccomandava a sua figlia, la marchesa Adelaide Barazzini, che se la prese in casa. Ma in quel tempo, il giovane avvocato Anselmi, appassionato dilettante di musica, era l’amico intimo della Marchesa. Edvige si lasciò vincere dalle sue assiduità e in un momento di debolezza, trascinata da un indole irrefrenabile, dimenticò il suo interesse e fuggì con lui, prima di aver compiti i venti anni. La dote andò in fumo; la marchesa Barazzini, e con essa tutti i parenti ed eredi del morto benefattore rinnegarono l’ingrata. L’ingrata crollò le spalle. Aveva ereditata tutta l’audacia e lo spirito d’avventura dei suoi parenti paterni, antichi zingari; tutta la [p. 46 modifica] vanità prepotente e l’astuzia femminile della razza di sua madre. Se Paolo Anselmi confidava nel suo genio per conquistare la fortuna, Edvige da parte sua si sentiva irresistibile, perchè era bella, astuta e piena di desideri e di forza per soddisfarli.

E a lui era fallito il genio, non a lei la bellezza.

Almeno, non ancora.

Per questo le sue preoccupazioni erano tutte per l’avvenire.

Nel passato aveva sempre vinto; ma nel futuro?... Là mancava la sicurezza.

Aveva trentasei anni. Si sentiva giunta all’apogeo del suo sviluppo fisico e intellettuale. Le sue forme avevano una pienezza voluttuosa, nei suoi occhi brillava il fuoco intenso e affascinatore della passione, che sa il suo potere; la sua carnagione aveva la freschezza giovanile; i suoi capelli erano intatti. Eppure!... certi dati la inquietavano.

Non si sentiva più così sola e assoluta padrona in mezzo agli uomini. Altre potenze sorgevano intorno a lei, e con queste bisognava lottare accanitamente; bisognava contornarsi di lusso, di feste, di adulatori per mantenere il prestigio, che una volta — una miseria di qualche anno addietro! — risiedeva tutto in lei stessa.

A volte, ella si diceva, che il suo massimo torto era stato di ostinarsi in quell’amore. L’amore vecchio invecchia. Un amore nuovo l’avrebbe ringiovanita di dieci anni. Ma ella non aveva mai potuto staccarsi da quell’uomo. Dieci anni addietro, dopo di essersi separati — perchè lei, a voler far carriera aveva bisogno di andare all’estero, e lui, per non morir di fame doveva rimanere in [p. 47 modifica] Italia a far l’avvocato — pareva che tutto fosse finito fra loro. Ella era diventata la moglie del Banchiere e si era giurata che l’antico amante non dovesse mai più rivederla. Credeva di aver messo una pietra sul suo passato. E lui pure, l’Anselmi, le aveva dato la sua parola di gentiluomo, che non sarebbe mai più ricomparso nella sua vita, ombra importuna del passato, a ottenebrarle la felicità del presente.

Ma era appena stabilita a Milano nel secondo anno del suo matrimonio, allorchè lo incontrò un giorno sotto ai portici della galleria Vittorio Emanuele.

Voleva sfuggirlo; ma i loro occhi si erano già incontrati; già s’era accorta che egli era pallido, smunto, vestito male, e la pietà improvvisa aveva soffiato rapidamente sulle ceneri dell’antico amore.

Non aveva fortuna quell’uomo, nè con lei, nè solo. E il suo fine giudizio di zingara le diceva chiaramente che era un debole — una vanità impotente e piagnolosa condannata alle mille piccole vigliaccherie che danno appena il pane — e il suo buon senso astuto di avventuriera le consigliava di voltargli le spalle; ma il cuore le batteva con violenza, il sangue era salito alle guancie, e un desiderio irresistibile, reso poetico dalla pietà e dai ricordi, la trascinava verso di lui.

Si parlarono, s’intesero. Fu come un amore nuovo, più acuto, più penetrante del primo.

Vi si abbandonarono tutti e due, con la foga e la spensieratezza, delle nature sensuali, sempre un po’ ingenue; sorvegliandosi nel medesimo [p. 48 modifica] tempo, e nascondendosi, con la furberia accanita degli spostati volgari, che hanno finalmente conquistato un buon posto alla mensa sociale, e non vogliono perderlo.

Edvige aveva presentalo l’Avvocatino al Banchiere suo marito, quale un giovane di grande ingegno, sfortunato perchè onesto, e perseguitato dagli invidiosi che temevano la sua concorrenza; e il Banchiere, animo nobile e confidente, gli aveva subito accordato il suo appoggio.

Ma nessun appoggio, nessuna protezione potevano dare all’avvocato Anselmi le doti ch’egli non aveva. La sua vanità cieca e la sua ambizione sconfinata rimasero sempre deluse.

Guadagnò una notorietà e una agiatezza discreta, rispondenti al grado della sua abilità, e in fondo al cuore rimase uno scontento, un uomo di una onestà problematica, sempre pronto a rovesciare sugli altri l’amarezza che s’accalcava nell’animo suo.

Allorchè il profumo inebbriante di quell’amore rinnovato in circostanze così diverse e che il mistero ajutava a mantener sempre vivo, cominciò a svanire, egli cercò nella galanteria un compenso alle delusioni del suo amor proprio. E vi riesci completamente. Perchè era abbastanza astuto e raffinato alla superficie, abbastanza volgare nell’intimo e impertinente e strisciante nella misura necessaria per affascinare moltissime donne e farsi tollerare dagli uomini; il che basta perchè un intrigante sia accolto da per tutto ed abbia un certo successo nei salotti e nei clubs.

Il silenzio durava fra quei due galeotti della passione; e forse tutti e due meditavano sull’anello [p. 49 modifica] di ferro che li teneva legati e che non potevano infrangere.

Ma se questa lugubre meditazione diventava sempre più acre nell’uomo, la donna non poteva sottrarsi alla influenza dell’ora, del profumo dei fiori, della musica patetica e molle che Lauretta Mastrilli aveva fatto seguire ai pezzi rumorosi: non poteva sottrarsi al fascino delle memorie, le cui immagini seducenti ella vedeva sorgere e spiccare con vivi contorni sul fondo cupo della notte.

Quella specie di sentimentalismo fisico, contro il quale lottava fin dal principio della serata, e che era, in fondo, la parte più umana della sua indole selvaggia ed egoista, l’aveva ripresa completamente.

Un profondo sospiro le uscì dal petto.

— Le tue parole sono molto acerbe, disse mollemente; esse lasciano sottintendere che tu non mi amavi più quando ci siamo ritrovati dopo il mio matrimonio; e questo io non lo credevo, non me l’aspettavo.

Egli represse a stento un movimento di stizza e la parola sgarbata che gli correva alle labbra.

— Non ho detto questo, io! mormorò, e voi esagerate, al solito delle donne. Se foste un po’ meno poetessa e più ragionevole, dovreste aver capito o almeno capire adesso, che quello non poteva essere più l’amore schietto, onnipotente, che ci aveva acciecati nella prima giovinezza, quando voi eravate una fanciulla pura ed io non avevo che ventun’anni. Fu una ricaduta violenta, una passione, se volete, ma, via, siamo franchi, una passione di tutt’altra natura di quella prima, seb[p. 50 modifica] bene deliziosissima e tale che, sotto certi rapporti dura ancora...

Edvige lo interruppe.

— Tacete; — disse, — siete ignobile con le vostre allusioni. Se mi aveste parlato così allora, mi sarei difesa contro di voi e non avrei commesso la bassezza di tradire un uomo leale, che si fidava di me. Se mi aveste parlato così, allora, certo non sarei discesa fino a raccomandarvi al banchiere Pianosi e a farvi proteggere da lui.

Era più che uno schiaffo questa allusione al vantaggio materiale, che lui aveva tirato dai loro amori. Egli lo senti e un vivo rossore gli sali alla fronte.

— Se credete, — disse avvicinandosi a lei coi pugni stretti — che questo rinfacciarmi i vostri benefici sia nobile, è inutile che stiamo qui a discorrere; non c’intenderemo mai più. Del resto signora, questi benefici, oramai non li chiedo più a vostro marito: ho abbastanza del mio e posso andarmene quando voglio.

Ella trasalì sotto a questa minaccia, e senti il potere dello sguardo fiammeggiante con cui egli la fissava.

Era sempre lui, lo spirito freddamente ironico, mediocre d’ingegno ma forte di cinismo, che finiva col dominarla.

Forse la eccitava così.

— Ho avuto torto, — bisbigliò soffiandogli sulla faccia il suo alito caldo e profumato. — Perdonami! Mi avevi detto una cosa tanto crudele!...

E s’appoggiò fortemente sul suo braccio, tutta tremante, come se fosse stata sul punto di svenire.

— Rinuncia al tuo capriccio per quella bam[p. 51 modifica] boccia! — mormorò con voce spirante, avviluppando in uno sguardo pieno di languore.

Egli fece una risatina, e stringendola sbadatamente fra le sue braccia:

— Mi fai pietà! — disse sommessamente — ti perdi in queste sciocchezze, mentre quella ragazza si dà attorno per cacciarti di casa.

Ella lo invitò a spiegarsi con un atto di meraviglia.

— Ti dico che è innamorata di tuo marito e che lui sta innamorandosene.

— È tutto questo? domandò Edvige senza turbarsi.

E spiegò in poche parole la sua tranquillità. Suo marito non era uomo di grandi passioni. Gilda gli piaceva e poteva farle un po’ di corte finchè l’aveva vicina, ma se la mandava via, in otto giorni non ci avrebbe pensato più.

Quanto alla ragazza, era come tutte le ragazze della sua età e del suo stato: sentimentale e civetta insieme, ma troppo furba e troppo borghesemente educata per compromettersi con uno, che non poteva sposarla.

C’era piuttosto un’altra cosa che l’angustiava a proposito del marito. I suoi affari non andavano troppo bene: lei ne era certa. Quella stessa mattina un suo vecchio amico l’aveva informata di certe cambiali. Anzi, si stupiva che lui, il più intimo amico, non la avesse avvertita prima.

Egli si strinse nelle spalle; poi disse asciuttamente che lui difendeva le cause che gli venivano affidate, ma non si occupava di affari di banca: non era abbastanza ricco.

— Del resto, concluse, vedrò d’informarmene e [p. 52 modifica] vi dirò tutto. Ora bisogna lasciarci; la signora Mantriili è stanca di suonare, non bisogna abusare della sua compiacenza.

Si accostarono al pianoforte e complimentarono la brava artista. In capo a un quarto d’ora di conversazione i due ospiti si ritirarono nelle loro stanze.

Edvige trovò il Banchiere alla scrivania con una fila di lettere sparse sul panno verde.

Egli le annunziò che la mattina presto sarebbe andato a Milano, per ritornare la sera, come gli accadeva ogni due o tre giorni. Disse che doveva scrivere ancora, e siccome ella doveva essere stanca la esortò a non occuparsi di lui.

Ella prese il lume e gli diede la buona notte, mentre lui faceva scorrere la penna velocemente sopra un libretto d’appunti. Ma prima ch’ella si fosse allontanata, il galante cavaliere si era levato in piedi e la salutava, accompagnandola fino all’uscio.