Merope (D'Annunzio)/La canzone d'oltremare
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La canzone del sangue | ► |
LA CANZONE
D’OLTREMARE
Così veda tu un giorno il mare latino coprirsi
di strage alla tua guerra
e per le tue corone piegarsi i tuoi lauri e i tuoi mirti,
o semprerinascente, o fiore di tutte le stirpi,
aroma di tutta la terra,
Italia, Italia, |
canto augurale per la nazione eletta [1901].1
o Vittoria senz’ali. Ê giunta l’ora.
3Tu sorridi alla terra che tu predi.
Italia! Dall’ardor che mi divora
sorge un canto più fresco del mattino,
6mentre di te l’esilio si colora.
Oggi più alta sei che il tuo destino,
più bella sei che la tua veste d’aria;
9e di lungi il tuo volto è più divino.
Odo nel grido della procellaria
l’aquila marzia, e fiuto il Mare Nostro
12nel vento della landa solitaria.
Con tutte le tue prue navigo a ostro,
sognando la colonna di Duilio
15che rostrata farai d’un novo rostro.
E nel cuore, oh potenza dell’esilio,
il nome tuo m’è giovine e selvaggio
18come nel grido delle navi d’Ilio.
Italia! Italia! Non fu mai tuo maggio,
nella città del Fiore e del Leone
21quando ogni fiato era d’amor messaggio,
sì novo come questa tua stagione
maravigliosa in cui per te si canta
24con la bocca rotonda del cannone.
Questa è per te la primavera santa
che — dice il dio — “d’ogni semenza è piena
27e frutto ha in sé che di là non si schianta„.
Oggi nova tu sei per ogni vena
sopra l’oblio dell’onta; e nelle Sirti
30ucciderai l’ultima tua sirena.
Come vivremo, o bella, per servirti?
come morremo, o fior delle contrade,
33perché tu c’inghirlandi de’ tuoi mirti?
Del miglior sangue fa le tue rugiade
e serba la promessa d’Oriente,
36se il paradiso è all’ombra delle spade.
Siamo cinti d’oblio. Siamo una gente
fresca e spedita, immemore dei giorni
39squallidi, paziente e impaziente,
immemore dei sonni e degli scorni
quand’ella mendicava il suo preconio
42dal ciompo, tempestando il pan ne’ forni,
e la pace era femmina da conio
che per ruffian s’avea qualche Bonturo
45e un Zanche per mezzano al mercimonio.
Giorni senz’alba, il rullo del tamburo,
lo squillo della tromba, e questa sorte
48che turbina alle soglie del futuro,
vi disperdono. Tuonano sì forte
le volontà, che nella rossa aurora
51non s’ode il crollo delle cose morte.
Ecco il giorno, ecco il giorno della prora
e dell’aratro, il giorno dello sprone
54e del vomere. O uomini, ecco l’ora.
È venuta col rombo del tifone
pel Mar Mediterraneo, più fiera
57che l’astro su la spalla d’Orione,
più colorata che la messaggera
della Celeste. E al grido “Issa! Issa!„
60già tutta l’aria è sola una bandiera.
Emerge dalle sacre acque di Lissa
un capo e dalla bocca esangue scaglia
63“Ricòrdati! Ricòrdati!„ e s’abissa.
E il Mar Mediterraneo, che vaglia
le stirpi alla potenza ed alla gloria,
66in ogni flutto freme la battaglia.
“Ch’io mi discalzi„ dice la Vittoria,
simile a grande mietitrice albana,
69fosca sotto la fronda imperatoria
“ch’io mi discalzi presso la fiumana
di Rumia bella2, dove il suo meandro
72nutre l’olivo a Pallade romana.
Ch’io pieghi e chiuda un ramo d’oleandro
in Lebda, nella cuna di colui
75che suggellò la tomba d’Alessandro.
Ch’io m’abbeveri là dove già fui,
non per l’umide argille alla caverna
78onde il Lete discende i regni bui,
ma per l’aride sabbie alla cisterna
di Roma, che nell’ombra una silente
81linfa conserva e una memoria eterna.
Con me, con me verso il Deserto ardente,
con me verso il Deserto senza sfingi,
84che aspetta l’orma il solco e la semente;
con me, stirpe ferace che t’accingi
nova a riprofondar la traccia antica
87in cui te stessa ed il tuo fato attingi,
con me là dove chi combatte abbica,
perché nella corona io ti connetta
90la foglia della quercia con la spica!
Se tu mi veda oggi nell’armi eretta
sopra la prua, tu mi vedrai domani
93da presso curva al suolo che t’aspetta,
quando pacata come i Decumani
acerrimi, con nude ambe le braccia,
96tu rempierai di semi le tue mani.
Troppo vegliai, avverso la minaccia
del sonno e della febbre, in Ostia morta,
99volta al limo del Tevere la faccia,
tra gli stipiti alzati della Porta
Marina dove a vespero s’aduna
102luce fatale dalle pietre assorta,
io sola con l’anelito, se alcuna
ombra d’iddio scorgessi o udissi entrare
105nella foce la Nave e la Fortuna.
Ah, se tanto vegliai sul limitare
terribile, ch’io dorma un sonno lene
108e breve, sotto l’Arco d’oltremare!
Ch’io sogni il greco sogno di Cirene,
sotto l’Arco del savio Imperatore
111sgombro della barbarie e delle arene,
schiuso al Trionfo, mentre dalle prore
splende la pace in Tripoli latina,
114recando i dromedarii un sacro odore.
O incenso del Deserto alla marina,
profumo delle incognite contrade
117fulvo come la giubba leonina;
aròmati e metalli, armenti e biade,
e Berenice dalla chioma d’oro!
120Il paradiso è all’ombra delle spade.
La palma è la sorella dell’alloro.„
Dice la grande Vergine che squilla
123simile a Clio nel grande aonio coro.
E per noi dalla libica Sibilla,
sotto il cielo voltato dal Titano,
126la sentenza di Dio si disigilla.
Preparate l’aratro cristiano,
preparate la falce per la messe,
129il frantoio e la macina al Soldano,
l’ascia il piccone e il palo ch’ei dilesse,
i gran magli e le macchine forbite
132simili a moltitudini indefesse;
i forni vasti come le meschite
pel ferro dissepolto, le magone
135ov’aspro strida nell’assidua lite;
le fornaci per cuocere il mattone
dei costruttori, in cui porrem l’impronta
138che piacque a Nerva: Roma col timone.
Ogni tristezza dietro a noi tramonta.
Chi latra ancóra nella lorda fossa,
141quando il fato con l’anima s’affronta?
Italia, alla riscossa, alla riscossa!
Ricanta la canzone d’oltremare
144come tu sai, con tutta la tua possa,
come quando sorgeva sopra il mare
in sangue e in fuoco un sol clamor selvaggio
147“Arremba! Arremba!„ e ne tremava il mare,
scrosciando la galèa, preso il vantaggio
e infisso il cuor del capitano al rostro,
150con le vele e coi remi all’arrembaggio.
“Dienai’, Dienai’ e ’l Signor nostro!
Dienai’, Dienai’ e ’l San Sepolcro!„
153cantava la galèa sul Mare Nostro3.
Nel croscio de’ tuoi secoli io t’ascolto.
“Dienai’, Die n’aìti in mare e in terra!„
156Alza nel grido il tuo raggiato volto,
e in terra e in mare tieni la tua guerra.
Note
- ↑ [p. 195 modifica]Sono comento al primo verso i Canti della morte e della gloria, i Canti della ricordanza e dell’aspettazione, il Canto augurale per la nazione eletta, quasi tutto il secondo libro delle Laudi publicato or è dieci anni non invano.
- ↑ [p. 195 modifica]Rumia è una corrente di Tripolitania, che passa per antichi oliveti. Lebda è la romana Leptis Magna ove nacque l’imperatore Lucio Settimio Severo; che in Egitto involò i libri sacri e fece suggellare la tomba del Macedone perché niuno dopo di lui vi discendesse. Nella terra di Bengasi, al Gioh, ove si giunge a traverso un deserto d’argilla, è la caverna che chiude la sorgente del Lete, secondo la tradizione, in vicinanza dei luoghi ove fiorirono gli orti delle Esperidi. In onore della sposa di Tolomeo Evergete, di colei che fece l’offerta della mirabile capellatura assunta tra le costellazioni, la terra s’ebbe il nome di Berenice.
- ↑ [p. 195 modifica]🙦 In un codice già strozziano, ora magliabechiano, si trovano le Sante Parole che si dicono in galea; che così cominciano:
- Dienai’ e ’l Santo Sepolcro;
- Dienai’ e ’l Santo Sepolcro;
- Dienai’ e ’l Santo Sepolcro;
- Dienai’ e l’Agniol san Michele;
- Dienai’ e l’Agniol san Gabriello;
- Dienai’ e l’Agniol san Raffaello:
- Dienai’ e san Piero e san Paolo;
- Dienai’ e l’Appostol san Jacomo;