Elettra (D'Annunzio)/Canti della morte e della gloria
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CANTI DELLA MORTE
E DELLA GLORIA.
I.
la tristezza del popolo latino,
il Sol che muore dietro l’Aventino
4e la notte che abbraccia l’Arce santa.
Ahi che lungi egualmente a Roma, e in quanta
lontananza entro l’ombra del destino
compiuto, sono i Fabi e il lor divino
8Crèmera, Villagloria e i suoi settanta!
Esausto è il latte della Lupa stracca
nelle flaccide mamme, e tutto è spoglio
11dai ladruncoli il fico ruminale.
Acca Larenzia lucra da baldracca.
L’oca senz’ale abita il Campidoglio
14e la talpa senz’occhi il Quirinale.
II.
di pel lupigno, Fàustolo che scorse
il pico verde e quel seguendo accorse
18al loco lupercale umido e nero,
indi prese i Gemelli, uno leggero,
l’altro più grave, e nudi ambo li porse
a Larenzia mammosa, non s’accorse
22che in un pesava il peso dell’impero.
Il peso dell’impero e del delitto
necessario facea grave il fratello
25di Remo, sacro all’augurale volo.
Ei diede al mondo l’Urbe e al cuore invitto
del Guerriero insegnò come sia bello
28con un sogno di gloria restar solo.
III.
si spengono sul suol di Dante a un tratto
come le faci in un festin protratto
32quando il cielo arde di baglior sanguigni.
Vanno lungi da noi l’Aquile e i Cigni:
quei ch’ebber pronta la virtù dell’atto
e quei ch’ebber nel cuore il sogno intatto;
36né si vede che il seme lor ralligni.
Alziamo gli Inni fùnebri, sul gregge
ignaro, alla Potenza che ci lascia,
39alla Bellezza che da noi s’esilia.
Implacabile è il Canto, e la sua legge.
E però leva su, vinci l’ambascia,
42Anima mia. Questa è la tua vigilia.