Lugrezia romana in Costantinopoli/Atto I

Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Sala regia con trono alla turchesca, preparato per l’incoronazione di Mirmicàina.

Albumazar, Maimut e Popolo.

Albumazar. Olà, principi, nati

Del mio sangue reai, benché bastardi,
Soldati, eunuchi, popolo, canaglia,
Udite il mio comando: oggi ciascuno,
Benché sia maomettano,
Se brama il mio favor, parli italiano.
Maimut. Salachalabacham...
Albumazar.   Taci, insolente,
Tu ancor devi obbedir, e se ostinato
Ti mostrerai ancora,
Io ti farò cacciar un palo... basta.

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M’intendesti? Raffrena il pazzo orgoglio;

Io son Albumazar, e così voglio.
Maimut. Dir almanco ragiuna
Perchè bolir che nu parlar taliana.
Albumazar. Udite: io destinai
All’onor del mio trono
Una donna italiana, onde vogl io,
Che per darle piacer, nel suo linguaggio
Ciascun le porga riverenza e omaggio.
Maimut. Alachalabalà... no, no, perduna,
Mi aver lingua fallata. E chi star questa
Che ti voler sultana?
Albumazar.   È Mirmicàina.
Maimut. (Uhzchaimakan). Che dir? Voler ti schiava
Crear nostra patruna? E che bolir
Che dir Costantinupola?
Albumazar.   Non voglio
Delli sudditi miei rendermi schiavo.
Taci, così ho risolto, anzi m’ascolta:
Voglio che tutti i Turchi
Tornino a usar la barba,
Per il tempo preterito già usata;
E voglio che si taglino i mustacchi,
Per far all’idol mio tanti pennacchi.
Maimut. Ti bolir che Maometto
(Urchibinachabai) faccia1 vendetta.
Che matto amor! Che novità star questa!
Albumazar. Mi pagherai l’ardir colla tua testa. (sfodra la la sciabla
Maimut. Seialascatocacai...
Albumazar.   Ma che rimiro?
Ecco la bella mia che a me sen viene.
Non voglio in questo giorno
Col sangue di costui recarle noia.
Vatti a far ammazzar per man del boia.

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Maimut.   Ischinai Scialacabalai

  Uzchimoch iraschimintoch2.
  Ah ah, lacabà,
  Trimotensciacà,
  Marmute, fripute,
  Scialacabalà. (parte con Guardie

SCENA II.

Albumazar, poi Mirmicaina con seguito di Donne turche.

Albumazar. Vieni, bell’idol mio;

Il monarca d’Oriente umiliar brama
Dinanzi a te la coronata fronte.
Mirmicaina. Serva: la reverisso.
Albumazar. Al cor d’Albumazare
Fece piaga mortal la tua beltade.
Mirmicaina. Infatti siora mare
Sempre la mel diseva,
Che per la mia bellezza
Mi meritava el titolo d’Altezza.
Albumazar. Che Altezza! Imperatrice
Sarai di questo impero: oggi le chiome
Tu fregerai del glorioso segno,
Cui la suora del sole impose il nome.
Mirmicaina. Se la vuol che l’intenda,
No la me parla turco.
Albumazar.   Anzi destino,
In grazia tua, far che il mio regno tutto
Dell’idioma italiano oggi si servi.
Mi spiegherò più chiaro:
Io voglio, come s’usa alle regine,
Coronar colla luna il tuo bel crine.

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Mirmicaina. Un strologo dasseno me l’ha dito,

Che doveva trovar una fortuna
In dove che se venera la luna.
Albumazar. Orsù, passiamo al soglio.
Mirmicaina. Cossa mo xe sto soglio?
Albumazar.   Egli è il mio trono.
Mirmicaina. Ah! ah! l’intendo adesso:
Soglio e trono in Turchia vol dir l’istesso.
Albumazar. Sì, mia cara; non più, dammi la destra.
Mirmicaina. La destra?
Albumazar.   Sì, la mano.
Mirmicaina. Ah, la vol3 la man destra.
Albumazar.   Appunto quella.
Mirmicaina. La diga, caro sior, mo quala xela?
Albumazar. L’una e l’altra di loro
Serve in segno d’amore,
Basta però che tu mi doni il core.
Mirmicaina. E1 cuor mi gh’ò paura
De non averlo più.
Albumazar.   Per qual cagione?
Mirmicaina. Son passò diti pestrin4,
Ho visto un caidalatte5, e dalla voggia
Gh’ò lassa suso el cuor.
Albumazar.   Non dubitare,
Avrai al tuo comando
Tutte le vacche mie.
Mirmicaina.   So siora mare
Se n’averà per mal.
Albumazar.   Io di mia madre
Già non ne penso un’acca;
Anch’io, per compiacerti,
Non sdegnerei di trasmutarmi in vacca.
Mirmicaina. Za che la gh’ha per mi tanta bontà,

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La prego d’una grazia.

Albumazar.   Arbitra sei;
Comandarmi tu puoi, pregar non dei.
Mirmicaina. M’è stà ditto per certo, che in Turchia
No se possa magnar carne porcina;
Mi ghe son matta drio6, onde la prego
Dar licenza che possa
Impenirme la panza,
Col magnargliene un poca alla mia usanza.
Albumazar. Via, tu sarai contenta: andiamo al trono.
Già impaziente sono
Di stringerti al mio seno: oggi Bisanzio
Alla nuova mia sposa il capo inchina.
Mirmicaina. Largo, largo, patrone, alla regina.

SCENA III.

Ruscamar e detti.

Ruscamar. Salamelech.

Albumazar.   Addio: parla italiano.
Ruscamar. Segnor, in questo puntu7
Mi aver fatto gran presa; aver trovada
Su spiaggia de mar Bianco
Femena8 bianca e bella,
Con tanto bel musin, che parer stella.
Albumazar. Dimmi, dove si trova?
Mirmicaina. Via, sior Albu... no m’arecordo el resto.
Sì, sior Albumazar, via, cossa femio?
Andemio, o non andemio?
Albumazar. Aspetta ancora un poco. Ove si trova?
Ruscamar. Star in propria mia9 casa,
Ma star a to comando. Oh, se ti vedi

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Sta schiava, te prometto

Che Mirmicaina no valer un peto10.
Albumazar. Ho desio di vederla. È forse questa
Turca come siam noi?
Ruscamar.   No, star taliana.
Albumazar. Come ha nome?
Ruscamar.   Lugrezia, e star romana.
Albumazar. Vado dunque a vederla;
S’ella più di costei mi sembra bella,
Io risolvo lasciar questa per quella. (in atto di partire
Mirmicaina. Oe, patron, se burlemio?
Andemio, o non andemio?
Albumazar. Per ora non si può;
Aspetta ancora un poco, e tornerò.
Mirmicaina. Adesso son in gringola11;
Se me scampa la voggia,
Poi anch’esser che mi più no ve voggia.
Albumazar. Eh non v’è dubbio; allora
Ch’io ti dessi12 un amplesso,
Il tuo cuore per me saria lo stesso.
  Gallinetta che s’adira
  Col suo gallo innamorato,
  Se lo vede sconsolato,
  Tutt’intorno a lui s’aggira,
  Cantuzzando coccodè.
  Ei la sgrida, e la gallina
  Al suo gallo umil s’inchina,
  Dimandandogli mercè.
  Gallinetta etc.

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SCENA IV.

Mirmicaina e Ruscamar.

Mirmicaina. Orsù l’aspetterò, ma voggio intanto

Provar se saverò far da regina.
Vôi sentarme13 un pochetto. Oh che cussin
Morbido e molesin14! Fin che l’aspetto,
Poderave quassù far un sonnetto.
Ruscamar. Uhi, Mirmicaina, no me cognossir15?
Mirmicaina. Coss’è sta Mirmicaina? Che maniera
Xe questa de parlar? Oe dimme, avemio
E1 cebibo16 magnà forsi in baretta17?
Ruscamar. Perchè star in favor de gran segnure,
Aver tanta superbia? Ti star schiava
Come le altre; mi t’aver ligada;
Mi aver cambia to nome: Mirmicàina
Adesso star, ma prima star Fiorina.
Mirmicaina. Quel che xe sta, xe sta: mi son regina.
Ruscamar. Via, se ti star regina, e mi aver gusto:
Ma se po Albumazar
Te no volesse più,
Recòrdete, mia cara,
Che mi te voler ben, che Ruscamar
So cor per amor to18 sente brusar.
  Quel viso tondo
  Star cussì caro,
  Che in tutto el mondo
  Mai più veder.
  Star bianca e bella,
  Occhio aver moro,
  Come una stella
  Tanto lusér.

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SCENA V.

Mirmicaina sola.

Va via, tocco de sporco;

Adesso che mi son regina in regno,
De sta zente incivil più no me degno.
Ma come oggio da far
A trattar da regina? Figuremose
Che vegna un cavalier, e ch’el me diga:
Maestae, me raccomando
Alla so cara grazia. Mi bisogna
Che presto ghe responda:
La me comanda in tele congionture19;
Patron, sior cavalier,
La reverisso infina alle gionture20.
E vu, cossa diseu,
Care mie scarabazze21?
No gh’oi bella fegura?
Vardè che maestà, vardè che grazia!
Certo no ve minchiono,
Propriamente son nata per el trono.
  Son nassua con tanta grazia
  Che compagna no se dà.
  Se cammino son maestosa,
  Se mi parlo son vezzosa,
  Innamoro quando canto,
  E co ballo ancora più.
  Per averme in so consorte
  Tutti i re farave guerra.
  Noghe xe sora la terra
  Altra donna de sta sorte;
  Valo assae più d’un Perù.

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SCENA VI.

Cortile contiguo agli appartamenti di Albumazar, che conduce a quelli
di Ruscamar, e alle carceri.

Maimut fra Guardie, poi Albumazar.
Maimut con impeto si scioglie dalle Guardie, le quali fuggono.

Maimut. Assembrachin Sciallai22

Brinecamà23 Valcai.
(in atto di partire s’incontra in Albumazar
Albumazar. Fermati, temerario.
Dove rivolgi il piede?
Maimut. Temerario star ti: perche bolir24
Che mia testa taggiar?
Albumazar. Il comando obbedisci,
E di più non ardir di ricercar.
Maimut. Voler far festa25 a mi,
E mi testa voler taggiar a ti. (sfodera la sciabla
Albumazar.   Ferma.
Maimut.   Mori.
Albumazar.   Piglia.
Maimut.   Para.
Albumazar.   Cedi.
Maimut.   Cadi.
Albumazar.   Cane.
Maimut.   Bestia.
  Questo colpo
  viene a te.
Maimut.   Ahimè... cascar...
  Mio passo... vacillar...
  Morir... sbasir...
  Vegnir... voler...
  Tornar... ahimè...26 (cade, poi via

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SCENA VII.

Albumazar, poi Ruscamar.

Albumazar. Ti seguirò, t’ucciderò, ribaldo.

Voglio svellerti il core: ohimè, che caldo!
Ruscamar. Segnur, star qua vesina
Lugrezia; se bolir,
Mi davanti de ti farò vegnir.
Albumazar. Venga pur; se mi piace,
Da me sperar potrai
Qual più grande mercè tu bramerai.
Ruscamar. Se ti piaser mia schiava,
E Mirmicaina no bolir, te prego
Mirmicaina donar per moggier mia.
Albumazar. Sì, sì, contento io sono;
Se Lugrezia mi piace,
Mirmicaina ti dono.
Ruscamar.   Oh che contento!
Mi te mando Lugrezia in sto momento. (parte

SCENA VIII.

Albumazar, poi Lugrezia.

Albumazar. Ecco, se non m’inganno,

Quella al certo è Lugrezia; al portamento
La grandezza dell’alma io ben comprendo.
La pace mia da questa diva attendo.
Lugrezia. Dei Spennatinota del Tebro,
Mi raccomando a voi.
Albumazar. Bellissima Lugrezia,
11 volto tuo vermiglio,
Il tuo maestoso ciglio,

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Tanto può, tanto vale,

Ch’ha fatto nel mio sen piaga mortale.
Lucrezia. Signor, cotal discorso
M’ha fatto di rossor tinger le gote:
Non soffre esser lodata
Femmina accostumata;
Se tu con sensi arditi
All’onesto cuor mio vuoi mover guerra,
Chinerò per modestia i lumi a terra.
Albumazar. (Bella virtù!) Ma dimmi:
Chi sei? Donde ne vieni? E qual destino
A Bisanzio ti guida? È tua elezione,
O ti condusse il caso?
Lugrezia. Odimi, e inarca per stupore il naso:
Di Lugrezia Romana i strani casi
Uditi avrai; io quella sono, io quella
Che da Sesto Tarquinio assassinata,
Ho fatto senza colpa la frittata.
Albumazar. Dell’illustre matrona
È famosa l’istoria;
Ma come quella sei,
Se Lugrezia Romana
S’ammazzò per non vivere... etcetera?
Lugrezia. Ammazzarmi! marmeo! non fui sì matta.
Finsi sbusarminota il petto,
Ed il ferro mostrai di sangue sporco;
Ma quell’era, o signor, sangue di porco.
Albumazar. Brava! lodo il tuo spirto.
Lugrezia.   A Collatino,
Dolce marito mio, confidai tutto;
Ei si strinse in le spalle,
E disse: Mi consolo,
Che se io sono martinnota, non sarò solo.
Albumazar. Oh dell’età vetusta eroe ben degno!
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Lugrezia. Roma tutta in tumulto

Minacciava ruine, e messer Bruto
Ne volea far di belle, onde risolto
Abbiamo fra noi due fuggir gl’intrichi,
E salvare la panza per i fichi.
Albumazar. Sana risoluzion!
Lugrezia.   Giù per il Tebro
In picciola barchetta
Navigassimo in fretta,
Quando mi sopraggiunse nota un certo male
Con dolori di ventre così atroci,
Che quasi mi pareva esser incinta.
Era il mio caro sposo
Confuso ed agitato;
Ma tutto alfine si disciolse in flato.
Albumazar. Oh che bel caso è questo!
Indi come giungesti?...
Lugrezia.   Ascolta il resto.
Venne la notte, ed un sopor soave
Ci prese entrambi; e tutti due dormendo
Ci trovassimo in mar, non so dir come.
Un impetuoso vento
Ci distacca dal lido,
E fatto il legno mio scherzo dell’onde,
11 mio intrepido cor non si confonde.
Spoglio l’inutil veste,
La getto in mar. Prendo la mia camiscianota,
E con la bianca tela
Al palischermo mio formo la vela.
Collarino stupisce,
Applaude all’invenzione,
E con la spada sua forma il timone.
Albumazar. Oh che ingegno divin!
Lugrezia.   Ma finalmente

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La barchetta si rompe;

Collatin più non vedo, e la sua morte
Pianger io deggio. Ahi rimembranza! ahi sorte!
Albumazar. E tu come salvata?
Lugrezia.   Io dal dolore
Esalainota semiviva un sì gran vento,
Che si sentì nel vicin porto. A questo
Strepito inusitato
L’ammiraglionota sortì, venne, mi vide,
Mi prese, m’asciugò, mi pose in letto,
M’assistè, mi curò;
Cosa poi succedesse io non lo so.
Albumazar. Bella, non dubitar, giungesti in loco
Dove lieta starai.
Lugrezia.   Ah me infelice!
Dov’è il consorte mio? chi me lo rende?
Dove rivolgo addolorata i passi?
Mi vuò romper la testa in questi sassi.
Albumazar. Deh fermati, mia cara;
In me avrai un consorte
Che cangiare farà l’empia tua sorte.
Lugrezia. Come! tu mio consorte! Ah non fia vero!
Giurai... (Ma che giurai? che fo? che penso?
Collatino è già morto,
Lo stato vedovil poco mi piace).
Via, signore, farò quel che ti piace.

SCENA IX.

Collatino e detti.

Collatino. (Che vedo! Qui Lugrezia!

Qui la consorte mia?)
Albumazar.   Sì, sì, mia vita,

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Tu sarai l’amor mio.

Lugrezia.   Tu il mio tesoro.
Albumazar. Cara.
Lugrezia.   Caro.
Collatino.   (Che indegni!)
Albumazar. (a due Io per te moro.
Lugrezia.
Albumazar. Dammi un amplesso almeno.
Lugrezia.   Oh quest’è troppo.
Albumazar. La mia sposa non sei?
Lugrezia.   Sì, ma...
Albumazar.   Che ma?
Lugrezia. Offender non vorrei la mia onestà.
Collatino. (Forse si pente!)
Albumazar.   Come!
Offender l’onestà con suo marito?
Lugrezia. È vero, m’ingannai;
Dunque, s’io ne son degna,
Prendi un amplesso mio.
Collatino.   Fermati, indegna.
Lugrezia. (Che mirate, occhi miei?)
Albumazar.   Chi sei, che ardito
S’oppone al piacer mio?
Collatino. Collatino son io,
Di Lugrezia marito.
Albumazar. Va al diavolo. Mia cara,
La scena seguitiam.
Lugrezia.   Or più non sono
Libera qual credea; vivo un marito,
Non vuò prenderne un altro;
Son Lugrezia Romana,
Figlia del Culiseo, femmina onesta.
Albumazar. Olà: tagliate a Collatin la testa.
Collatino. Ohimè, Lugrezia, ohimè!
Lugrezia.   Fermate un poco.

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Deh per pietà sospendi

Il decreto bestial; mira a’ tuoi piedi
Quella tua Lugrezina
Delle viscere tue visceronaccia:
Per questo mio sembiante
Ritratto della luna,
Per questo sen ch’in candidezza uguaglia
Il color della paglia,
Per queste luci mie...
Albumazar.   Sorgi, mia cara,
Vincesti, io gli perdono;
La testa in grazia tua, bella, gli dono.
Collatino. (Ohimè! respiro).
Lugrezia.   Il labbro mio vermiglio
Ringraziarti non sa.
Albumazar.   Ma senti, io voglio
Però, che se ne vada.
Collatino. (Lugrezia, di' di no). (piano a Lugrezia
Lugrezia. Ah, s’egli parte,
Morirò disperata.
Albumazar.   Orsù, Lugrezia,
Sentimi, a questo punto io mi riduco:
O ch’egli parta, o che si faccia eunuco.
Lugrezia. Udisti?
Collatino.   Ahi, troppo intesi.
Lugrezia.   Or che risolvi?
Collatino. Il doverti lasciare, il farmi eunuco,
Son due disgrazie grandi,
Che risolver non so.
Lugrezia.   Prendiamo tempo.
Signor, la tua proposta
Merita un gran riflesso;
Avanti sera ei ti darà risposta.
Albumazar. Questo tempo gli do per amor tuo.
Lugrezia. Ritirati, mio bene.

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ì

Collatino.   Ah, non vorrei...
Lugrezia. Di che temi?
Collatino.   Non so: le tue bellezze
Mi fanno paventar.
Lugrezia.   Non dubitare:
Giuro di non far torto al matrimonio.
Io ti sarò fedele
Qual novella Cleopatra a Marcantonio.
Collatino. Così parto contento.
Ahi, mi si spezza il cor! che fier tormento!
  Parto, non ho costanza;
  Nella mia lontananza
  Ricordati di me.
  Buona sera, mia cara Lugrezia,
  Ti ricordo la mia fè.
  Vado, ma nel partire
Il cor meco34 non parte,
Perchè si sta con te. (parte

SCENA X.

Lugrezia, Albumazar, poi Mirmicaina.

Albumazar. Lascia che se ne vada.

Che vuoi far di colui? Tu grande e grossa,
Egli picciolo e magro; in fede mia,
Non potrà farti buona compagnia.
Lugrezia. Ei solo è ’l mio contento,
E non cerco di più.
Albumazar.   Tu dici bene;
Ma sai che finalmente
Da Collatino non puoi aver niente35.

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Io, gioia mia, se la tua grazia impetro,

Io potrò darti la corona e il scettro.
Mirmicaina. Come, el scettro a culìa? Me maraveggio;
No son mi la regina?
No me l’aveu promesso?
Donca, patron, volè mancarme adesso?
Lugrezia. Chi è cotesta sfacciata?
Albumazar.   È un’ignorante,
Che non sa che si dica. Olà, t’accheta:
A Lugrezia, mio ben, la fronte inchina;
Quest’è, se non Io sai, la tua regina. (parte

SCENA XII.

Mirmicaina e Lugrezia.

Mirmicaina. Tiolè sto canelao 36,

La regina vu se de gnababao.
Lugrezia. Un canelato a me? Femmina sciocca,
Se mi levo una scarpa,
T’insanguino la bocca.
Mirmicaina. Provève, vegnì avanti,
Siora botta candiota37.
Lugrezia. Tu non mi fai paura,
Pertica mal formata.
Mirmicaina. Varè38 là, che bel folpo39!
Lugrezia. Mirate là, che sacco mal legato
Mirmicaina. Tasi, muso da can.
Lugrezia.   Faccia da gatto.
Mirmicaina.   Giusto appunto come un gatto,
  Mi te vogio sgrafignar.
Lugrezia.   Com’anch’io, cane arrabbiato,
  Sì, ti voglio divorar.

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Mirmicaina.   Devorarme?

Lugrezia.   Sgrafignarme?
(a due   Alle prove, alle prove;
  All’arme, all’arme.
Mirmicaina.   Gnao gnagnao.
Lugrezia.   Bu bu bu.
Mirmicaina.   Euh, gnagnao.
Lugrezia.   Uzh bu bu.
Mirmicaina.   Tiò su, sta sgrafignada.
Lugrezia.   Piglia questa morsicada.
Mirmicaina.   Oimè el mio brazzo.
Lugrezia.   Oimè il mio occhio.
Mirmicaina.   Vengo.
Lugrezia.   Torno.
(a due   Vien pur su.
Mirmicaina.   Gnao gnagnao.
Lugrezia.   Bu bu bu. (battendosi entrano


Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. Nell’ed. Valvasense, molto scorretta, è stampato: fazzia.
  2. Nelle edd. Tevernio (t. III, 1753) e Zatta (t. 43, 1795) è stampato: traschi-mintoca.
  3. Zatta: vuol.
  4. Luogo dove si vende il latte e dove si fa il burro: Boerio.
  5. Cao de latte significa il capo o fior di latte, o anche la panna: Patriarchi a Boario.
  6. Amare o desiderare pazzamente una cosa. Drio, dietro. V. Boario.
  7. Così sulle varie stampe.
  8. Tevernin e Zatta: Femmina.
  9. Edd. Guibert e Zatta: In mìa propria.
  10. Nelle vecchie edizioni è stampato petto, in grazia della rima.
  11. Allegra e vogliosa: vol. I, 194, XII, 197 ecc.
  12. Valvasense e Tevernin: dassi.
  13. Sedere.
  14. Morbido e dolce al tatto: v. Boerio.
  15. Zatta: cognossiva.
  16. Zibibbo.
  17. "Si dice di chi si prende troppa confidenza”: Boerio.
  18. Per amor tezo.
  19. Nelle occasioni; e qui In ogni bisogno. Manca nel Dizionario del Boerio.
  20. Forse qui ginocchia, come crede C. Musetti. Manca nel Boerio.
  21. Sgualdrinacce "delle più sudicie": Boerio.
  22. Tev. e Zatta: Scillai.
  23. Tev. e Zatta: Brinecama.
  24. Nelle edizioni del Settecento ora è stampato bollir, e ora bolir.
  25. Nelle edd. del Settecento: testa.
  26. Così è stampato nell’ed. Zatta. Nelle edizioni precedenti si va a capo ad ogni parola.
  27. Così l’ed. Valvasense. Nelle edd. Guibert e Zatta: Dei pennati. Lugrezia parla spropositatamente e buffonescamente.
  28. Forma dialettale: bucarmi.
  29. Becco: v. Crusca.
  30. Valvasense: sopragionse e più sotto: giongesti.
  31. Zatta: camicia.
  32. Valva».: essalai.
  33. Edd. Valvas. e Tevernin: Armiraglio.
  34. Nell’ed. Valvasense, spropositatissima, è stampato mezo; e così nell’ed. Tevernin.
  35. Così il testo.
  36. Atto triviale di scherno: v. specialmente vol. XX, p. 86, n. c e Boerio.
  37. Botte di Candia: dicesi di donna piccola e grossa. V. Boerio.
  38. Guardate.
  39. Polpo. Alludesi alla grassezza.