Lezioni elementari di numismatica antica/Introduzione

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Prefazione Monete di famiglie
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INTRODUZIONE.


§. I.

Oggetto della Numismatica antica.


La Numismatica antica ha per oggetto le Monete, che furono coniate dalle vetuste nazioni per lo più Greche, e Romane, e che vengono di tanto in tanto dissotterrate. Queste rimasero sepolte o per alcuno di quei molti accidenti, che ben’è facile immaginare, o in grazia di quella superstizione, che induceva a collocare entro le tombe delle Monete accanto ai cadaveri, oppure nelle urne cinerarie, o per la precauzione di nascondere all’avidità dello straniero i tesori adunati. A quest’ultimo intento si dee realmente attribuire la maggior parte di somiglianti scoperte. Non son già molt’anni, che nelle vicinanze di Brest nella Bretagna minore si trovarono da trentamila monete antiche, e nella contea di Foix da sessanta mila rinchiuse in vasi di creta. Volfango Lazio riferisce essersene estratte ai suoi giorni da un fiume in Transilvania quarantamila tutte d’oro, la maggior parte delle quali portava l’epigrafe greca di Lisimaco Re di Tracia1. Dacchè per somiglianti incontri n’è provenuta una sì prodigiosa quantità di antiche Monete, le quali naturalmente formano appena una scarsa porzione degli erarj d’allora, potendosi più facilmente trovare fino a cento diverse Monete di Augusto, di Nerone, o di Durazzo città in que’ tempi non molto riguardevole nell’Illiria, che una sola di Carlo Magno, di Ottone, Enrico, ed altri Imperatori in Germania del basso secolo, ne viene chiara la conseguenza essere non solo di una somma dovizia l’oggetto della Numismatica antica, ma doverlo divenire ancora più in appresso, poichè il suolo ne offre quasi giornalmente Monete di tuttora ignoto argomento.


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§. II.


Limiti della Numismatica antica.


Tutto il mercimonio facevasi in origine per via di concambj, stantechè si contraponea ciò che aveasi di superfluo, di qualunque genere ei si fosse, contro quello di cui si avea bisogno, e sovrabondava ad altrui; e perchè un tale concambio era soggetto a varie difficoltà, si devenne a un ritrovato, per cui col mezzo di segnali arbitrariamente scelti e sanzionati dal governo si potesse negoziare ogni specie di mercanzia. Fu a questo intento preferito sopra ogni altra materia il metallo, perchè esso oltre al noto valore intrinseco resiste più a lungo per la sua durezza, e riceve facilmente l’impronta che se gli vuol dare o per fusione, o per martello. Ecco d’onde venne il metallo monetato. Il vantaggio che ne derivò parve troppo plausibile per farne onore all’industria d’un mortale; talché se ne volle attribuir l’invenzione a Saturno, a Giano, e ad altre fittizie Divinità: fin’ora però non si saprebbe fissar l’epoca della monetazione, come non si può fissarla per tanti altri utili ritrovati. Quello che abbiamo di certo si è che fin’ai tempi d’Omero si praticava il concambio di merci con merci; il valore delle manifatture veniva regolato dietro ad un tale sistema. Un tripode di bronzo, per esempio, è presso di lui valutato dodici buoi, e quattro soltanto una femmina industriosa di mano.

Le monete antichissime, delle quali si possa asserire con certezza l’età, sono unicamente quelle dei Re di Macedonia, de’ quali Alessandro I. e Archelao I. precedono di cinque secoli la venuta di G. C. Esiste per altro un gran numero di Monete Urbiche specialmente della Magna Grecia, e Sicilia, nelle cui impronte, e iscrizioni si hanno incontrastabili indizj di una provenienza assai più remota. Fra quelle si distingue la Moneta incusa di Sibari in argento (vedi Tav. 1. n. 1.), dalluno dei cui lati si vede un Bove in rilievo colla iscrizione al di sotto VM, e dall’altro vedesi lo stesso ma in incavo; la qual maniera di coniare era in uso ne’ remotissimi tempi della Magna Grecia. L’iscrizione VM denota quel secolo, in cui si scriveva M in luogo di Σ, e V in luogo di Υ, e di più l’uso originale degli Orientali di portare scrivendo la penna da destra a sinistra, poiché VM vale quanto ΣΥ, dalla quale sillaba iniziale vien accennata la famosa città di Sibari nella Magna [p. 3 modifica]Grecia. Peraltro non si può fissar niente di preciso con tali monete, siccome prive di una data Cronologica da poterne rettificare l’Epoca. Si comprende da questo che l’antica Numismatica presa dalla sua origine non ha un certo confine.

La Numismatica comune però de’ Secoli posteriori corre di pari colla Storia, poichè si estende fino alla decadenza dell’Impero Occidentale, il quale terminò con Romolo II. nel 476. Con Carlo Magno comincia la Numismatica dei bassi tempi, e con Massimiliano I. la moderna.

Tanto basti aver detto riguardo ai limiti del Regno Numismatico dell’Epoche antiche. Dei confini se ne tratterà alla VII Sezione.


§. III.


Metallo delle Monete antiche.


La materia delle antiche monete fu come in oggi l’oro, l’argento, e il bronzo, Per una legge di Licurgo si vuole introdotta una monetazione di ferro, e si pretende lo stesso ancor di Bisanzo. La sperienza però non ha comprovata una somigliante notizia, la quale sperienza sebbene fosse fondata non avrebbe vigore di pruova, perchè la ruggine inimica del ferro non avrebbe lasciate pervenire quelle monete infino a noi. Le antiche monete che ci restano son tutte de’ tre citati metalli, siccome lo dichiara il gran numero di quelle di Augusto, nel di cui rovescio soli nominati i Triumviri ispettori della Monetazione che vi portano il titolo IIIVIR . A. A. A. F. F. cioè Auro. Argento. Aeri. Flando. Feriundo (V. tav. 1. n. 2.)

Oro ed argento erano presso i Greci e i Romani della miglior lega: presso a’ Romani però accaddero rilevanti variazioni per l’argento, la cui bontà intrinseca andava diminuendo col diminuire delle interne forze dello stato. Da Settimio Severo Imperadore in poi la lega ignobile vi entrava già notabilmente. Dopo Alessandro Severo la moneta era più composta di rame che non di argento; dal che ne venne la denominazione di Numi Aerosi, oppure incoctiles pel rame che vi era mescolato. Da Claudio Gotico fino a Diocleziano più quasi non si vede argento, e solo per dargliene l’apparenza si copriva la moneta di una fogliuccia di stagno e si sottoponea al martello.

Le monete di Bronzo sono in parte composte di bronzo fino, e in parte miste di una estranea lega di rame, per [p. 4 modifica]cui ogni serie di questa classe appare variamente colorata. Si è nudrita lungo tempo l’idea di monete fatte di metallo di Corinto. Secondo l’asserzione di Plinio, e L. Floro, si è creduto che nell’incendio di quella Capitale sotto Lucio Mummio Acaico l’oro, l’argento, e il bronzo liquefatti, e concorsi a unirsi in una massa nelle regioni più basse avessero poi data la materia alle belle statue, e vasi detti Corinziaci; ma posciachè nella decomposizione chimica di tali supposte monete non si è trovata alcuna particella d’oro, si è dovuto rinunziare al vecchio pregiudizio.

Poichè all’oro non può la ruggine recar nocumento, le medaglie di un sì nobile metallo riescono di una stupenda conservazione. Per l’argento non è possibile il garantirnelo onninamente: pel bronzo poi non v’è remissione. In un solo caso ne vengono risparmiate, quando cioè restano sepolte in una qualità di terreno che le ha vestite di una finissima spoglia, per cui anco nella minima forma le più sottili masse della capigliatura, e i più leggieri tratti delle lettere, vi sono rimasti intatti perfettamente. Una tal tinta ch’e tutta produzione della natura inimitabile malgrado ogni più studiato artifizio, riesce varia ne’ suoi colori, bruno, cilestro, violetto, o smeraldino. E siccome ha spesso un bel lucicante, che sembra una inverniciatura perfetta, le si è dato il nome di vernice, ossia di patina, la quale a medaglie di tale natura aggiugne un credito, e valore considerabile.

Dal maggiore o minor numero delle monete d’oro, che son pervenute fino a noi, ovvero dalla lor privazione, si deduce lo stato di opulenza delle Capitali d’allora. Non si saprebbe produrre una sola moneta d’oro di quegli, antichi Re di Macedonia, finche rimasero in povera condizione: da Filippo II. però, il quale introdusse molto oro ne’ suoi stati, da Alessandro Magno di lui Figliuolo, e da Lisimaco Re di Tracia assai potente, se n’è fatta coniare una quantità prodigiosa. Altrettanto si può argomentare delle famose Città di Siracusa, Taranto, e Cirene, le cui copiose monete d’oro attestano l’antica dovizia. Non è per altro questa regola senza eccezione; poichè dei monarchi della Soria, de’ quali è notissima la potenza, pochissime di tali monete si veggono; e nissuna se ne potrebbe attribuire con certezza ad Atene la metropoli per così dire di tutta la Grecia. Della potentissima Roma non vi è quasi nessuna moneta d’oro fino all’epoca degli Imperatori, dopo i quali si fece pur sì commune. La maggior parte consisteva in [p. 5 modifica]argento, e bronzo. Per buona sorte le Città greche incominciarono la loro monetazione dall’oro, ed argento, e terminaron col bronzo. Nell’età lor più rimota non era neppur concesso alla moneta di bronzo il corso; e appena usò un Demagogo introdurla in Atene a’ tempi della guerra del Peloponneso che venne bentosto abolita. All’opposto s’incominciò a Roma col bronzo, e gradatamente si passò all’argento, e all’oro. La ragione più verisimile pare indicarne, qualmente le Città greche incominciarono a batter moneta al lor che si videro pervenute a una florida consistenza; e si dovettero nel loro decadimento appigliare per forza alla moneta di merito inferiore; Roma però cominciò nella sua ristrettezza sotto di Servio Tullio colla moneta erosa, e l’andò poscia arricchendo a misura dell’interno proprio ingrandimento.


§. IV.


Peso, valore, e modulo delle antiche monete, prima le Romane, poscia le Greche.


Dietro alla testimonianza di Plinio si cominciò a batter moneta sotto il Re Servio Tullio, e fu in bronzo. Una tal moneta de’ Romani veniva ripartita alla maniera appunto dei loro pesi; Il peso (pondo) consisteva in una libbra in latino chiamata As, il quale veniva suddiviso in oncie XII. La mezza libbra si chiamava Semis. Il segnale su di una libbra era una lineetta perpendicolare I; la metà segnavasi S, siccome lettera iniziale della parola Semis. Quando la moneta era di 1, 2, 3, 4, 5 venivano in essa effigiati altrettanti globetti. Dalla prima istituzione, e anche un pezzo dappoi l’As veniva riguardato egualmente come peso, e moneta: ma a poco a poco questa moneta venne a riuscire assai inferiore di peso di prima. L’asse venne improntato dall’una parte colla testa bifronte di Giano, e dall’altra con una nave, a significare che Giano era approdato nel Lazio da oltremare in qualità d’ospite (V. tav. I. n. 3. 4. 5.).

La moneta di argento cominciò a Roma pochi anni avanti della prima Guerra Punica. Consisteva nel denario, quinario, e sesterzio. Il denario veniva così denominato perchè valeva denos asses, ossiano dieci libbre di Bronzo (una decussi ): così il quinario cinque libbre, e la di lui metà, chiamata sesterzio due libbre e mezzo, precisamente a tenore del Latino vocabolo. Il segnale del denario era [p. 6 modifica]un X, del quinario V, del sesterzio IIS a indizio del numerato degli assi, cui ognuna di tali specie di moneta si ragguagliava (tav. I. n. 6. 7. 8.). Negli anni più remoti tutte tre queste monete di argento portavan la testa di Pallade nel diritto, e i Dioscuri, ossiano Castore, e Polluce al rovescio. Più tardi però si devenne secondo le circostanze ad altri tipi arbitrarj, come vedremo nelle monete delle famiglie. Sui Quinarj si rappresentò per lo più una Vittoria, per cui ebbero la denominazione di Vittoriati.

I Romani contarono a sesterzj le loro somme: ma una tal maniera di esprimersi portò qualche confusione, quale convien togliere per ben intendere gli autori classici; il che si otterrà coll’uso delle tre regole quì sotto notate.

1. Se la parola sesterzio è posta in genere mascolino per esempio, tercenti sestertii vi si sottintende numi, e tanti sesterzii si devono calcolare, quanti n’espone il numero arabico, o romano, il quale nel caso presente dice 300.

2. Se la parola sestertius è posta nel genere neutro del numero plurale, per esempio trecento sestertia, convien per ottenerne il vero calcolo moltiplicare il numero per 1000; e allora trecento sestertia vengono a fare 300,000 sesterzj.

3. Se la parola sestertius è posta nel genere neutro di numero singolare, e il numero è formato colla desinenza in ies, per esempio decies sestertium, allora bisogna moltiplicare qui il numero per 100,000, e allora il decies sestertium dà un milione.

Nello scrivere codesti numeri vengono disposti così: IIS trecenti; oppure IIS trecenta; oppure IIS decies. Ma se uno di tali numeri vien espresso unicamente con cifra, allora si rende assai difficile indovinare il numerato. Quando per esempio viene scritto IIS. CCC, si può interpretare la somma in tre modi: sestertii trecenti, sestertia trecenta, sestertium tercenties, e da un somigliante equivoco l’Imperator Tiberio prese appunto motivo di fare la nota burla a Sulpizio Galba fraudandolo della ricca eredità lasciatagli per testamento da Livia sua Madre, e moglie di Augusto. La formola portava che a Galba pervenisse la somma di IIS.D, la quale espressione dovea naturalmente importare IIS quingenties: ma egli volle per economia venisse letto e interpretato sestertia quingena. Per altro la vera lezione del numero vien determinata dalle circostanze.

Quanto spetta al valore del sesterzio di que’ tempi, noi si potrebbe oggidì esattamente determinare, perchè [p. 7 modifica]bisognerebbe prima sapere in qual proporzione fosse in allora il bronzo all’argento, e l’argento all’oro, le quali relazioni si vanno di tempo in tempo alterando. Appena possiamo al presente valutarlo secondo il valore intrinseco attuale dell’argento. Ciò supposto siccome un denario contiene per lo meno 16 kreutzer di Germania (circa 12 ½ baj. Rom.) allora il sesterzio siccome quarta parte del denarius importa 4 kreutzer2, dietro al quale calcolo possiamo assicurarci del quantitativo di ben molte somme che nei classici vengono indicate. Aulo Gellio per esempio racconta che il famoso Bucefalo di Alessandro gli era costato sestertia trecenta duodecim. Svetonio narra che Giulio Cesare pagò una insigne perla sexagies sestertio. Tacito afferma di Nerone aver egli scialacquato in donativi bis, et vicies millies sestertium. Su di una bella moneta dell’Imp. Adriano è rappresentato un littore, il quale sostiene colla sinistra i fasci, e la scure consolare, e colla destra mette fuoco a un mucchio di cedole coll’epigrafe: RELIQUA . VETERA . IIS . NOVIES . MILLies . ABOLITA; vale a dire che Adriano annullò il debito arretrato della Nazione, il quale importava novecento milioni di Sesterzj.3 tav. I. n. 9.)

La moneta argentea dei Greci era la Dramma, d’onde vennero le denominazioni numi didrachmi, tridrachmi, tetradrachmi, allorchè pesavano 2, 3, 4 dramme. Una dramma benchè sorpassasse alquanto il peso del denario Romano si calcolava nondimeno al pari. Le monete inferiori di argento erano l’obolus, donde procedevano il diobolus, triobolus, 2, 3 oboli, hemicbolus, cioè mezz’obolo. Il siclo Ebraico era 4 dramme.

In Roma la moneta d’oro ebbe principio 62. anni dopo quella d’argento. La quantità n’era a’ giorni della Repubblica piuttosto scarsa; ma da Giulio Cesare in poi fino alla decadenza dell’Impero abbondò a segno da comprovare qual fosse la magnificenza di una Roma. Un pezzo d’oro denominato Aureus, pesava qualche cosa più di due nostri zecchini, e si valutava 25 denarj, e perciò 100 sesterzj. Quanto al valore, che i Greci davano alla loro moneta d’oro, non si può esattamente determinarlo.

Rispetto alla grandezza la moneta di bronzo veniva comunemente divisa in 3. classi, prima, seconda, e terza [p. 8 modifica]grandezza, come ad un dipresso lo rappresentano le dimensioni del n. 3, 4, 5 della Tav. I. In latino si chiamano numi I. II. III. formae; oppure moduli. Que’ pezzi che visibilmente sorpassano la prima grandezza si chiamano Medaglioni, oppure Numi maximae formae, vel maximi moduli; la qual distinzione ha pur luogo nelle monete d’oro, ed argento. Poichè però queste sono osservazioni affatto meccaniche mi danno luogo alla spiegazione che segue.

§. V.

Termini dell’Arte, e Denominazioni.


I Romani denominavano Numus, oppure Numisma un pezzo d’oro dal greco vocabolo νομος Legge, perchè il valore ne veniva per Legge determinato. Un secondo nome era quello di moneta, dalla parola latina monere; perchè dal conio, dalla mole, o da qualche altro annesso indizio denotava il proprio valore. Un terzo era pecunia da pecus, bestiame, perchè secondo Plinio le più antiche monete aveano un bove, o una pecora per impronta.

Le varie classi di moneta antica secondo le varie loro circostanze venivano diversamente denominate, siccome molte ne ricorda Giulio Polluce, delle quali io ne citerò quì soltanto quelle, la cui verità possiamo colle monete istesse confermare. Furono denominate come appresso.

1. Dal tipo. Gli Ateniesi, denominavano Civette le loro monete, perchè portavano comunemente al rovescio quel notturno augello (tav. 6. n. 5.). Da quì ne venne il proverbio sul denaio nascosto sotto al tetto: multae noctuae sub ceramico (id est sub tegulis) cubant. Per l’istessa ragione una moneta del Peloponneso veniva detta la Testuggine (tav. I. n. 10.) donde nacque l’altro scherzevole proverbio: Virtutem, et sapientiam vincunt testudines, che cioè le monete soprafanno la virtù, e la sapienza. I Persiani aveano improntato un Sagittario nella moneta loro (tav. I. n. 11.). Agesilao re di Sparta opponendosi validamente ai Persiani invasori dell’Asia, allorchè vide insorgere contro la sua patria le Città greche sedotte dalle somme vistose loro donate da’ Persiani, si lagnò nella ritirata d’esservi stato astretto da 30m. saettatori. Nell’Asia minore la moneta d’argento venne chiamata Cistophorus per la cesta mistica di Bacco improntatavi (tav. III. n. 8.). Presso a’ Romani i Victoriati così dicevansi pel tipo della vittoria; li Ratiti [p. 9 modifica]per la nave (tav. I. 3.) i Bigati ovvero Quadrigati pel carro a due, ovvero a quattro Cavalli.

2. Dai primi editori di una classe di monete. Filippo II re di Macedonia introdusse la moneta d’oro, e Dario re di Persia fe’ coniare in oro, e argento il Sagittario sovra citato. Da amendue que’ Monarchi provenne la denominazione alla moneta di Filippi, e di Darici, che spesso da Classici vien mentovata.

3. Da qualche circostanza particolare. I Romani aveano delle monete dentate, che diceansi Numi serrati (tav. 2. n. 17.). Erano di argento, e venivano così nominate, perchè il lor labbra era ritagliato a foggia di una sega. Si crede essere stata questo un ritrovato de’ Romani per eludere la malizia de’ Falsarj, i quali battevano una moneta spuria di rame coprendola appena di una laminetta di argento, e doveano così incontrare la massima difficoltà a nascondere la loro frode. Data pure una tale supposizione, sembra essere ciò stato solo un gusto di moda passaggera, poichè si sono battute per lungo tempo monete serrate, dalla storia delle quali si deduce, che non si intendeva di prendersela contro ai Falsarj. Monete concave, numi incusi; sotto al qual nome s’intendono quelle che portano lo stesso tipo da amendue i lati; da uno però in rilievo, ed in incavo dall’altro. La loro classe è doppia; l’una di precisa intenzione del tipario, come lo pruovano molte monete della Magna - Grecia, e in particolare la già citata di Sibaris: l’altra per isbaglio del coniatore medesimo, il quale battè la seconda moneta sulla prima, dimenticandosi di levar quella innanzi di coniare quest’altra. Contorniati o Cotroni; sono una specie di monete così denominate dall’Italiano vocabolo contorno, perchè vi si truova sotto al bordo una linea concava in giro. Sono tutti di bronzo grandi, di conio poco rilevato, e di anche più poco buon gusto. Vennero battuti nei tempi di Roma posteriori, e invece di teste imperiali offrono spesso quelle de’ Re stranieri, come sarebbe d’Alessandro Magno, o quelle di Personaggi illustri dell’antichità Omero, Orazio, Sallustio ec. Il rovescio rappresenta diversi simboli, la maggior parte de’ quali riguarda i giuochi circensi. Ne ho trascelto uno, che da una parte ha il capo del citato Alessandro Macedone; e dall’altra il tipo di Scilla, che secondo la relazione di Omero strascina pe’ capegli fuor della nave i compagni di Ulisse (tav. 1. n. 12.). Sul destino di somiglianti bizzarre monete non convengono per anco fra loro gli eruditi. [p. 10 modifica]Appartengono probabilmente ai giuochi del Circo, di cui ne rappresentano ordinariamente i simboli.

Altre denominazioni verran dichiarate nelle sezioni susseguenti.


§. VI.


Argomento delle Monete antiche.


L’argomento delle antiche monete consiste in ritratti, o immagini, ed iscrizioni che s’incontrano al loro diritto, e rovescio. Ben di rado il rovescio riman senza tipo. Spesso nel rovescio appare una concavità indeterminatamente suddivisa, come l’abbiamo veduta in quella del Peloponneso (tav. 1. n. 10.); ed è questo sempre un segnale della più remota antichità, quando cioè non si sapea per anco la maniera di coniare d’amendue i lati, siccome veggiam pure nell’infanzia della Tipografia, che non si sapea stampare il di dietro dello stesso foglio.


Imagini.


Il diritto mostra d’ordinario una testa sia di una Deità, sia di un Re o Imperatore ec.

I rovesci contengono la gradevole varietà di moltiplici oggetti, ben lontani dalla sterile monotonia, che tanto annoja nella moneta ordinaria de’ bassi, e de’ recenti tempi: Conviene però confessare che molte Cittadi e Re si attennero pertinacemente ad alcuni loro proprj tipi, come Atene alla sua Pallade, e alla sua Civetta; Apollonia, e Durazzo al loro Vitello lattante; Sibari al suo Bove, che guarda indietro; Alessandro alla Vittoria in piedi ovvero a Giove sedente, Lisimaco re di Tracia a Pallade assisa, i tre Tolommei di Egitto al loro Aquilotto. Quì hanno pur luogo non pochi tipi assolutamente nazionali. La Sicilia rappresenta ogni tratto, la sua Trinacria a indicazione dei tre promontori Peloro, Pachino, e Lilibeo, ciascun de’ quali difende una punta di quell’isola triangolare (tav. 2. n. 8.). I Beozj producono il loro scudo intagliato (tav. 6. n. 1.). I Macedonj lo scudo contornato di altri piccoli scudi ovali (tav. 6. n. 1.). Altre nazioni ostentano i Nazionali prodotti loro, per esempio l’Egitto il Cocodrillo, la Fenicia una Palma, Cirene la preziosa pianta Laserpicium. Anche i Greci dilettavansi di tipi allusivi al [p. 11 modifica]nome delle loro città. Cardia in Tracia portava un cuore così esprimendolo il greco vocabolo Καρδια. Side in Panfilia un pomo-granato dal vocabolo Σιδη (Tav. 1. n. 16.) e l’isola di Rodi una rosa dal vocabolo Ῥοδον. Allora non vi si truova per lo più il nome della Città, perchè supplisce il tipo. Perciò tali monete vengon dette parlanti, come si danno ben molte arme parlanti anche nella scienza del Blasone. Un tale scherzo ebbe luogo anche presso a’ Romani poiché veggiamo un martello nella moneta di Poblicio Malleolo; l’ascia in quella di Valerio Ascìcolo; un fiore in quella di Aquilio Floro; una conchiglia (onde se ne trae la porpora) in quella di Furio Purpureone; un piede umano in quella di Furio Crassipede; l’astro del Settentrione in quella di Lucretius Trio, le nove Muse, ed Ercole Mussagete in quelle di Pomponio Musa ec.

L’oggetto favorito de’ Greci nella monetazione siccome in altri loro monumenti d’arte erano le loro Divinità, quelle in ispecie che si riferivano più da vicino alla loro Religione. Fra le lor pratiche religiose contavano assai que’ giuochi pubblici dietro a’ quali andavano fanatici. Vengono rappresentati sovente sulle monete, o sui vasi con una palma che sporge in fuori da’ vasi suddetti, come premio del vincitore, e vi si leggono le denominazioni de’ giuochi Olimpii, Pizii, Azii, ΟΛΥΜΠΙΑ, ΠΥΘΙΑ, ΑΚΤΙΑ, e altri somiglianti. Ce ne da un’esempio la moneta di Perinto della Tracia citata alla Tav. 1. n. 13.

Presso a’ Romani si truova ne’ tipi molto più di storico, e di simbolico. Ben molti di storici ne vedremo fra poco. Il simbolico in questo consiste, ch’eglino con figure personali, ovvero con segni accessorj rappresentavano le diverse virtù, e tutto ciò che appartiene all’umana felicità, nel che la collezione di monete Romane si mostra al maggior segno doviziosa. Per esempio la FORTUNA vi è figurata da una femmina, che maneggia colla destra un timone da nave, a’ di cui piedi vedesi il modio colle spighe che ne spuntano fuori, e una barchetta, o la di lei prora: SECURITAS un’altra femmina negligentemente assisa in una poltrona coll’uno delle braccia posante sul capo. AETERNITAS altra femina che sostiene con una mano il pianeta del Sole, e quella della Luna coll’altra: oppure una fenice come simbolo della rinnovazione, e simili.

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Iscrizioni.


Queste danno propriamente la vita alle monete, e si distinguono dalle altre produzioni dell’Arte col rappresentare non solo il soggetto all’occhio, ma istruirlo altresì dove, quando, e ad onore di chi siano state coniate; e talvolta esprimono anche piacevolmente in parole il soggetto istesso; dalchè se ne trae lume e certezza contro quelle oscurità e dubbj che la distanza de’ tempi apporta. Ne produrremo alcune delle più comuni, e interessanti.

Nomi delle Teste. Leggesi sulle monete dell’Imperator Adriano HADRIANVS AVGVSTVS, del Re Demetrio ΒΑΣΙΛΕΩΣ ΔΗΜΗΤΡΙΟΥ, di Omero ΟΜΗΡΟС etc. Per un espediente così felice abbiamo i ritratti o veraci, o per lo meno ideali dei Personaggi più ragguardevoli dell’Antichità; dico per lo meno ideali, poiché non si può negare qualmente i ritratti dei Re, e Filosofi più antichi come sarebbero Mida, Minosse, Romolo, Omero, Pittagora ec. sono d’invenzione, come quelli di Giove, Apollo, ed altri. Gli scultori d’allora davano alle Deità loro, e ai loro insigni antenati una certa fisonomia ideale, e la mantenevano successivamente, come si pratica anco fra noi riguardo alle fisonomie del Redentore, degli Apostoli ec. ai quali non si potrebbe applicarne la vera originale che ne è onninamente ignota. Codeste fisonomie ideali però sono sempre un antichità, e per tali furono addottati dagli antichi Artisti.

Nomi de’ paesi, e Città, ove le monete vennero coniate. Su quelle di Macedonia è scritto ΜΑΚΕΔΟΝΩΝ, e su quelle de’ Siracusani ΣΥΡΑΚΟΣΙΩΝ.

La situazione delle Città viene spesso indicata dai vicini fiumi o monti, o da qualche altro segnale. Ciò cade singolarmente in acconcio, allorché si tratta di Città moltiplici, che portano l’istesso nome, per esempio nei caso di Laodicea si comprende adesso, che a Laodicea di Soria, che appunto è situata su di quel mare appartiene quella moneta che denota codesta di lei precisa situazione ΛΑΟΔΙΚΕΩΝ.ΤΩΝ.ΠΡΟΣ.ΘΑΛΑΣΣΗ. De’ Laodiceni che sono presso del mare.

Titoli onorarj delle Città. In questo si svelò propriamente l’ambizione delle Città greche. Per una piccola preminenza, per un titolo di pura ostentazione e vuoto di significato altercavano desse; ne facevano eterne lagnanze, e divenivano mortali nemiche. Ecco alcuni esempj de’ loro titoli. [p. 13 modifica]ΜΗΤΡΟΠΟΛΙΣ Città Matrice. Così denominavansi secondo il senso letterale e formale le Città fondatrici rispetto ad altre che ne traevano la fondazione. Così Tiro era la Metropoli di Cartagine, Corinto di Siracusa. In questo senso Eraclea Città magnifica del Mar Nero prese sulla moneta il seguente titolo in dialetto Dorico ΜΑΤΡΟΣ. ΑΠΟΙΚΩΝ. ΠΟΛΙΩΝ cioè di madre delle Città coloniali. All’opposto le città figlie ne professavan la loro provenienza coll’esporre i simboli delle loro Madri. Siracusa perciò fece coniare il Pegaso il quale era il noto simbolo della di lei Matrice Corinto. Più tardi sotto il nome di Metropoli, si sottintese una città che vantava un certo rango sopra di altre minori, dentro una data estensione di paese, ed esercitava su quella una specie di diritto, come Antiochia nella Soria, Cesarea nella Cappadocia, Nicomedia nella Bitinia etc. Talune presero anche il titolo di primarie della provincia ΠΡΩΤΗ.

ΝΕΩΚΟΡΟΣ. Di questo titolo i Greci specialmente nell’Asia minore fecero pure la più sontuosa pompa, e ciò che sorprende si è il non sapersi neppure al dì d’oggi con certezza qual onore esprimesse. La parola νεωκορος presa a rigore non disegna altro che una persona alla quale incombe la materiale pulizia del tempio. Conviene però che sotto un tal titolo si ascondesse un grande significato4; poichè ben sovente veniva prodotto con tanto impegno e sfarzo. Infatti alcune città si vollero far conoscere distintamente privilegiate col denominarsi nelle loro monete per Neocore la seconda, e la terza volta ΔΙΣ, oppure ΤΡΙΣ ΝΕΩΚΟΡΩΝ. Gli Efesini ci hanno fatto vedere un privilegio anco più sublime dichiarandosi nella moneta gli unici, che fossero stati onorati del titolo di Neocori per la quarta volta: ΕΦΕΣΙΩΝ . ΜΟΝΩΝ . ΑΠΑΣΩΝ . ΤΕΤΡΑΚΙΣ . ΝΕΩΚΟΡΩΝ.

Appajono spesso ancora fra i titoli onorarj delle Città i seguenti ΑΥΤΟΝΟΜΟΣ, quando cioè una Città era padrona di governarsi colle proprie leggi. ΕΛΕΥΘΕΡΑ Libera. Quando alcuna delle Città greche era stata da’ Romani assolta dal pagare i tributi: ΙΕΡΑ sacra; oppure ΙΕΡΑ ΚΑΙ ΑΣΥΛΟΣ sacra e proteggitrice. Veniva detta sacra in rispetto alla Divinità che vi si venerava, e che godea di molta riputazione all’intorno. Ta’era Nicopoli nell’Epiro ΝΙΚΟΠΟΛΙΣ ΙΕΡΑ in grazia del tempio di Apollo, e dei [p. 14 modifica]giuochi Azziaci ivi soliti a celebrarsi. Tale si è chiamata Gerusalemme, la santa Gerusalemme nelle monete ebraiche, secondo il vedremo nelle seguenti sezioni. Asylum, oppure luogo di rifugio era una Città, che aveva il diritto di accogliere per privilegio accordatole que’ delinquenti che vi si ritiravano. L’abuso andò in processo di tempo tant’oltre che Tiberio lo dovette restringere, siccome Tacito lo riferisce. ΝΑΥΑΡΧΙΣ così chiamavansi quelle Città ne’ cui porti stazionava qualche flotta Romana. Molte Città greche, specialmente Asiatiche prendevano il nome di uno o più Imperatori, o per beneficj ricevuti, o per vile adulazione. Tarso in Cilicia si diede nelle monete il none di Adriana ΑΔΡΙΑΝΗ, da Adriano; Commodiana ΚΟΜΟΔΙΑΝΗ, da Commodo; da Severo Severiana ΣΕVΗΡΙΑΝΗ; Antoniniana da Caracalla ΑΝΤΩΝΕΙΝΙΑΝΗ; Macriniana ΜΑΚΡΕΙΝΙΑΝΗ da Macrino, Alessandriana ΑΛΕΞΑΝΔΡΙΑΝΗ da Alessandro Severo.

Magistrati. Ve ne sono di molti sulle monete, per esempio Arconte ΑΡΧΩΝ, Stratego ΣΤΡΑΤΗΓΟΣ, Pritano ΠΡΥΤΑΝΙΣ, secondochè dall’una o dall’altra di queste dignità era amministrato il governo. Vi si truovano anche quelle Magistrature Romane, che reggevano pro tempore la Provincia, come sono il Proconsole ΑΝΘΥΠΑΤΟΣ oppur quelli ch’erano addetti all’Alto ministero de’ templi, come o Sacerdote, o Arci Sacerdote: ΙΕΡΕΥΣ, ΑΡΧΙΕΡΕΥΣ.

Date Cronologiche. Da queste ritrae molto vantaggio la Filologia, perchè rettifica tanti dubbj che nella stona si vanno incontrando. Consistono principalmente nella determinazione degli anni di un’epoca, ovvero del Regno di un’Imperatore, o Re.

1. Un’epoca ovvero Aera è una data ammessa, il cui principio proviene da qualche avvenimento rimarchevole o interessante. Noi Cristiani per esempio abbiamo la nostra dall’Incarnazione del Messia, siccome l’oggetto più segnalato di nostra S. Religione; i Turchi hanno la loro che chiamano Egira, la cui data corrisponde all’anno 622 di G. C. in cui Maometto lor fondatore venne costretto alla fuga. Tra le private famiglie ancora si può formar epoca da un momento di fortuna o di sciagura. Cicerone addottò scherzando (ad epoca) il giorno in cui Clodio era stato ucciso, perchè la morte di codesto suo capitale nemico lo avea messo al colmo della gioja. In seguito a una ben lunga sua Lettera ad Attico appone la data seguente: Post Leuctricam pugnam die septingentesimo sexagesimo quinto, il 765 [p. 15 modifica]giorno dopo la battaglia di Leuctra, sotto al quale simbolo egli intendeva il famoso combattimento fra Clodio e Milone.

Dopo le Olimpiadi, delle quali però non si fa menzione sulle monete, l’epoca favorita fra i Greci Orientali era quella de’ Seleucidi. Seleuco uno de’ migliori Capitani di Alessandro Magno s’impadronì di Babilonia 12 anni dopo la di lui morte. Ciò avvenne 312 anni prima di G C. donde incominciarono i Greci per la maggior parte a notare la loro data, siccome i Ss. Padri altresì presero a fare bene spesso. Dacchè tutto il globo dovette piegarsi sotto al giogo Romano si diedero alcuni casi importanti, ne’ quali anco i Greci dovettero uniformarsi all’epoche appartenenti ai fasti Romani. La battaglia per esempio di Farsalo, nella quale Cesare disfece Pompeo, e quella in cui Ottaviano Augusto sconfisse Marcantonio, e Cleopatra, diedero motivo a varie greche Città di ricominciare un epoca nuova da quell’occasione in poi.

I greci nel loro calcolo si valevano giusta l’antico Orientale costume delle lettere del loro Alfabeto, dal quale traevano le unità, le decine, e le centinaja nella forma seguente.

Unità Α . Β . Γ . Δ . Ε . ϛ . Ζ . Θ . Η ,
1 . 2 . 3 . 4 . 5 . 6 . 7 . 8 . 9
Decadi Ι . Κ . Λ . Μ . Ν . Ξ . Ο . Π . q
10. 20. 10 . 40 . 50 . 60 . 70 . 80 . 90
Centinaja Ρ . Σ . Τ • Υ . Φ . Χ . Ψ . Ω . Ϡ
100. 200. 300 . 400 . 500 . 600 . 700. 800 . 900

Soltanto le cifre del 6, 90, e 900 non si rinvengono nell’Alfabeto odierno. Dacchè ogni lettera costituisce da se stessa un preciso numero si possono da se collocare liberamente ove piace, a principio in fine, a metà; poichè il numero per esempio 237 può disporsi ΣΛΖ, oppure ΛΣΖ, oppure anco ΖΛΣ. Al numerato viene sulle monete anteposta la lettera L siccome iniziale del vocabolo Λυκαβας che vuol dire anno. Si è ritenuta a quest’uso la forma antichissima del greco lambda perchè la recente Λ venne impiegata ad esprimere il numero 30. Perciò si legge ΕΤΟΥΣ; oppure L.Ε — L.ΛΒ — L.Μϛ. — L.ΡΝΘ nell’anno 5 . 32 . 46 . 159. [p. 16 modifica]I Romani certamente aveano un’epoca loro propria, cioè la fondazione della lor capitale 753 avanti la nascita di G. C.: ma non abbiamo che una sola moneta in oro e in bronzo di prima forma, in cui la troviamo notata. Dessa porta nel dritto la testa dell’Imperatore Adriano, e al rovescio una Donna assisa in terra, che tiene colla destra una ruota, e abbraccia colla sinistra tre Obelischi colla iscrizione intorno ANNo DCCCLXXIIII. NATali. VRBis. Primum CIRcenses CONstituti; cioè nell’anno dalla fondazione di Roma 874 furono istituiti i giuochi Circensi per la prima volta onde celebrare il dì natalizio della Città. Gli Obelischi servono a indicare il Circo, del quale erano il principale ornamento; la ruota indica la corsa delle quadrighe (tav. 1. n. 14.). I Romani per altro calcolavano ordinariamente gli anni dai loro Consoli, come gli Ateniesi da’ loro Arconti Sulle monete della Dacia e della Colonia Viminacio l’epoca notata viene espressa così: ANno V. — ANnno XI ec. (tav. 6. n. 10.)

2. Anni del regno di un Imperatore o Re. Sui monumenti Romani gli anni degli Imperatori non vengono espressi immediatamente, come sarebbe a dire anno I . II. III; ma col numero della podestà Tribunizia, la quale gl’Imperatori ogni anno andavano rinovando; il che poi viene a significare lo stesso. Quando infatti sulla moneta di un Imperatore si legge TR. POT. XX. significa realmente essere incominciato l’anno vigesimo del di lui regno, del che nelle monete Imperiali, che si vedranno più sotto se ne avrà sovente l’esempio.

I Greci però espressero gli anni degli Imperatori, o dei Re loro colle cifre sovraccennate: per esempio ΕΤΟΥΣ, oppure L. Γ. – L. Ι, oppure scritto per intiero L. ΤΡΙΤΟΥ. ΔΕΚΑΤΟΥ, nel terzo ovvero nel decimo anno del loro regno. In questo genere abbiamo la bella e lunga serie delle monete Imperatorie battute in Alessandria di Egitto da’ giorni di Augusto fino a Diocleziano, e che denotano l’anno preciso del loro Impero. Al rovescio per esempio di una moneta di Trajano é rappresentato il fiume Nilo giacente, che tiene colla destra una cornucopia, e nella sinistra una canna, e al di sotto v’è un Coccodrillo colla nota L. Δ; cioè l’anno quarto del regno. Al dissopra poi leggesi ιϛ ossia il numero 16, a significare che in quell’anno il Nilo avea fatta la felicissima alluvione di sedici cubiti, del che se ne dirà di più in appresso. (Tav. I. n. 15.) [p. 17 modifica]Prima di chiudere questa materia mi conviene accennare una specie di conj che vengono chiamati

Contromarche. Vi s’intende una seconda impressione proporzionatamete però assai minore della principale, che o dall’uno o dall’altro lato venne impressa più tardi sulla moneta già coniata: in Latino diconsi signa incusa. Consistono in figure, o iscrizioni, e talora nell’uno, e nell’altro. Se ne incontrano talvolta due, e anche tre sul medesimo lato, e senza alcun riguardo al decoro della moneta, strapazzandosene talvolta l’impronta barbaramente. Si osservi per esempio la moneta della Tav. 1 n. 16. Il pomo granato l’assicura essere di Side nella Panfilia: nel bel mezzo della faccia di Pallade vi è la contromarca di un turcasso e un arco coll’epigrafe ΠΕΡΓΑ, l’iniziale del nome Pergamo Capitale della Misia. Le contromarche sulle monete Romane son perlopiù quelle di TI . AUG, oppure VES . IMP, vale a dire Tiberius Augustus, Vespasianus Imperator. Bene spesso contengono l’epigrafe misteriosa NCAPR, le lettere della quale sogliono interpretarsi per iniziali delle seguenti parole: Numus Cusus Auctoritate Populi Romani perchè non si seppe dir di meglio, e si volle pur dir qualche cosa. La più verisimile cagione di queste sostitutive impronte sembra essere, che a questa moneta riguardata prima come straniera, siasi voluto accordare un corso legittimo in paese. Di tutt’altra specie son le monete coniate posteriormente con affatto novella impronta d’amendue i lati. Dacchè però l’impronta novella veniva segnata su quello dei due lati, che avea maggior rilievo, quello ch’era più basso venne risparmiato, e rimase tuttavia conoscibile. Simili pezzi a cagione del secondo lor conio possono venir chiamati Ridoppj, oppure Recusioni; in Latino realmente diconsi Numi recusi.

§. VII.

Lingue sulle antiche Monete.


Sono osservabili fra i molti, il linguaggio Fenicio, il Greco, e il Latino; e ciò non solo perchè le monete in maggior parte le rappresentano: ma perchè queste le propagarono altresì molto al di la della loro antica regione. Fia bene perciò il trattarne alquanto in dettaglio, e così potranno bastare poche parole per le altre lingue. [p. 18 modifica]Lingua Fenicia. Di questa generalmente si valsero i Fenicj sulla loro moneta, prima che ne fossero scacciati dai successori d’Alessandro Magno, e poscia dai Greci. Poiché i Fenicj facevano anticamente un vasto commercio, e aveano erette delle piazze, e delle Colonie ne’ più remoti paesi, la loro lingua era stata adottata nella maggior parte delle spiagge del Mediterraneo. Si hanno difatti delle monete di molte Città di Spagna specialmente di quel Cades, al dì d’oggi Cadice, di cui si erano impadroniti, nelle quali si legge l’iscrizione fenicia. La lingua Punica, che si parlava in Cartagine Colonia notissima de’ Fenici, era figlia della lingua fenicia, la quale si trova sulle eleganti monete d’oro e d’argento coniate in quella parte dell’Isola di Sicilia, che apparteneva ai Cartaginesi, come e da vedersi nella tav. 1 al n. 17. Per altro non si è potuto finora, malgrado gli sforzi più calorosi dell’ingegno, pervenire a una decisa intelligenza di queste due lingue, e rimane anche poca speranza di pervenirvi in appresso.

Lingua Greca. I Greci, ch’erano da principio una popolazione assai limitata (poichè la loro patria cominciava dalla Tessaglia a Settentrione, e finiva a mezzogiorno colla penisola del Peloponneso) fecero portenti nell’ampliazione della Nazione loro. Cominciarono dal popolare tutte l’Isole dell’Arcipelago; quindi passarono al possesso della Sicilia; poi si estesero alle costiere della bassa Italia nei tre mari; quindi occuparono quelle dell’Epiro, Illiria, Tracia, Asia minore, e del Mar Nero, ossia Ponto Euxino fino alla Tauride, e alla Colchide col piantarvi delle Colonie. Fondarono la magnifica Cirene in Africa, nelle Gallie Marsiglia, e di la Emporia, e Roda in Ispagna. Portarono dappertutto colla Religione costumi ed arti anche la loro lingua, delle quali colonie si possono addurre in numero monete di una età lontanissima. Fin’ora si erano attenuti i Greci, come già si è detto, alle sole costiere: ma il grande Alessandro s’inoltrò in appresso fin nel centro del Continente, e spinse la prodigiosa sua corsa perfino all’Indie. I Generali Macedoni, i quali ne divisero alla di lui morte le ampie conquiste introdussero ovunque la greca favella, e d’allora in poi se ne valsero nelle loro monete i Lidj, Frigi, Cappadocj, Sirj, Fenicj, Egiziani, e perfino alcune Provincie di la dell’Eufrate e del Tigri iscrissero sulla loro moneta questo linguaggio.

La scrittura greca da’ tempi di quel Cadmo, che avea introdotto nella Grecia l’Alfabeto fenicio, fino ad Alessandro [p. 19 modifica]Magno soggiacque a grandi variazioni. Chi non ne fosse istruito lo ravviserà certamente spesso nelle iscrizioni delle monete. Si ammette da taluni come Latina per esempio l’epigrafe HIMERA sulle monete antichissime della Città Siciliana di questo nome (tav. 1 n. 18), e nondimeno dessa è in purissimo greco, ma greco della più antica data. I greci antichissimi usavano la lettera Η prima di cambiarla in un Ε come l’usavano i Latini servendosene amendue di aspirazione; e così pure il greco antico Rho corrispondea perfettamente alla lettera R dei Latini. La posteriore maniera di scrivere ΙΜΕΡΑ è perciò di un greco moderno. Di consimili esempj se ne danno innumerabili sulle monete, e servono a confermare ciò che dice Plinio; che le più antiche lettere greche aveano la più grande analogia colle latine. Per averne però chiara nozione è necessario studiare la greca paleografia, ossia la maniera di scrivere de’ Greci antichi.

Lingua Latina. Con questa soltanto veniva da prima inscritta la moneta Romana. A misura che i Romani spedivano Colonie nelle provincia conquistate, vi facevano regnare la lingua nativa per lingua dominante. Così per esempio a Corinto, sì tosto che Giulio Cesare l’ebbe eretta in Colonia, la moneta vi fu coniata con latine iscrizioni, malgrado che quella Città fosse nel centro della Grecia. Fuori di questa circostanza i Romani lasciarono alle Città greche piena libertà di ritenere nelle loro monete l’idioma nazionale. Quando poi sotto all’Imperator Gallieno tutto venne sconvolto il Romano Impero cessarono le Città greche di batter moneta, e vennero determinate alcune città dell’Impero suddetto per le zecche, nelle quali la moneta si batteva unicamente per le paghe militari necessarie a quella provincia, e ciò sempre con iscrizione Latina.

Esiston tutt’ora

In Europa l’antico linguaggio Ispanico. Desso ha sulle monete il proprio alfabeto, il quale però non è fino ad ora conosciuto5. Il Gallico antico formato di lettere Latine miste di greche tolte in prestito dalla Città di Marsiglia stata occupata ora dai Romani, ora dai Greci6. [p. 20 modifica]In Asia: L’idioma Ebraico nei sicli, e loro suddivisioni rispettive. Le iscrizioni furono prese dall’Alfabeto Samaritano, come io mostra il siclo alla tav. 1. n. 19, in cui da una parte vedesi una specie di calice coll’Epigrafe Siclo d’Israele; e dall’altra tre fiori uniti in uno stelo coll’epigrafe Jerusalem Kedoschah, la Santa Gerusalemme. Tutti i sicli, che anno un epigrafe Ebraica colle lettere Siriache, colle quali è stampata la sacra Bibbia, sono fittizj, e impostura de’ nostri tempi. L’idioma Partico, cioè quello che si trova sulle monete dei Re Parti, e quello di Persia che s’incontra su quello de’ suoi Monarchi, esiste benissimo; senza però, che fino al dì d’oggi se ne abbia l’intelligenza.7

In Africa. Sulle monete della Numidia si presume trovare il di lei nazionale idioma, il quale forse concorse a formarne col Punico un solo.

Da questi pochi tratti si viene a comprendere facilmente l’estensione Geografica della Numismatica antica. Non si hanno monete se non di que’ paesi, dove parlati venivano i linguaggi introdotti: di quelle popolazioni però, che d’altri idiomi si valevano, fuorchè dei sovracitati, e che troppo erano separati dal Mondo colto, non se ne può dare un idea sicura.

§. VIII.

Monete copiate.


Intendo sotto un tal nome quelle monete, le quali per essere state formate o inventate sovra de’ legittimi originali vantano una apparenza di autenticità. Io le riguardo sotto due aspetti; come parti de’ tempi antichi, o come moderni. In allora passavano semplicemente per monete false per una decisa impostura: in oggi si pretende generalmente per interesse di farle accettare per antiche.

L’inganno de’ secoli antichi si manifesta da se stesso sulle monete, le quali sono realmente di rame, ferro, ovvero di piombo, vestito pero di finissima lamina di metallo [p. 21 modifica]più nobile con tanta maestrìa; che non se ne scopre, l’inganno, se non quando quella sottile veste se n’è almeno in parte staccata: Chiamansi perciò Numi subaerati ossia monete pelliculate, o foderate, la cui nascosta materia vien denominata l’anima della moneta. Poiché così mascherate celavano la bassa loro condizione, riuscivano a figurare nel commercio qual se fossero moneta sincera. Se ne danno però in oro ben poche, perchè la frode scoprivasi assai più facilmente per la differenza del peso: ma egli è ben più grande il numero delle suberate in argento; anzi è sì considerabile, che non sarebbe fuor di luogo il sospetto, che un tale abuso stato fosse autorizzato da una superiore podestà, se non se ne avessero molti somiglianti esempj fin da’giorni della Repubblica, e da quelli che portano l’effigie de’ migliori fra i Cesari. Plinio e Dione Cassio c’informano che Marc’Antonio, e Caracalla falsificarono nell’accennata maniera la moneta d’oro, e d’argento. Sembra che i Romani abbiano appreso dai Greci un tale artifizio, poiché si hanno delle loro suberate monete de tempi i più remoti. Egli è da far maraviglia sopra tutto, che si trovino perfino monete di bronzo coll’anima di ferro, mentre il guadagno non potea corrispondere a un lavoro così penoso.

Non fu meno indefessa la malizia dei moderni (e lo è tutt’oggi) di falsificare con tale artifizio le monete in modo da farle supporre originali agli amatori inesperti. Chiunque ignora qualmente, dacché si è preso a nostri giorni piacere a raccogliere delle anticaglie, si sono date a un tale indegno mestiere non solo infinite private persone, ma si sono poste in attività in Italia, in Francia, e perfino nell’Asia formali officine ascose in latebre sotterranee a moltiplicare somiglianti aborti, avrebbe luogo a maravigliarsi assai dell’incomprensibile massa di codesti pezzi fraudolenti. Ciò che reca il più alto stupore si è, che non solo furono falsificate quelle monete, il cui merito potea interessare lo smercio: ma quelle altresì, che sono comunissimi, e di nessun valore.

Si è tenuta a tal’uopo una doppia strada. Se ne sono inventate a piacere dietro l’unica traccia della storia; e se ne sono ricopiate dalle forme antiche. Alla prima classe appartengono le monete per esempio di Giulio Cesare col motto famoso: Veni, vidi, vici; della Regina Artemisia coll’edifizio mirabile del Mausoleo; di Didone colla Città di Cartagine; le teste di Milziade, di Temistocle ec. e finalmente le sciocche monete d’argento coll’epigrafe Ebraica [p. 22 modifica]da cui tanti inconsiderati proseliti si lasciano ingannare. Per poca attenzione che si usi, è facile sfuggire la frode. Si scorrano soltanto i cataloghi de’ Musei più accreditati per riconoscere siccome spurj que’ tipi, che ne vengono esclusi. Il lavoro della seconda specie è fatto con artifizio incomparabilmente più fino. La pratica generale è di formare d’antiche monete una matrice, in cui vien fusa la copia nel metallo che piace. Poiché le monete antiche, pochissime eccettuate, sono di conio, non è difficile di ravvisare nelle falsificate qualche indizj del gettito. Il gettito si fa conoscere in una moneta fusa dalle minutissime concavità, che rimnangon sul campo a cagione dell’arena, di cui è la matrice composta; mentre le monete coniate riescono liscie perfettamente. Più; nel gettarle non riescono mai le parole, e le figure di quel taglio vivo, e netto; e scuopronsi nel contorno i segni della lima impiegata a fare sparire le due congiunture delle forme surrettizie. Non riuscendo il nascondere onninamente si fatto vizio, gli ingannatori più astuti si prevalgono di monete veramente antiche, e col soccorso del bulino sostituiscono la testa di un altro Imperatore cambiandone anche l’epigrafe; talché di un’Augusto per esempio di seconda forma col rovescio S. C. che vale cinque soldi, ne formano un’Ottone di Antiochia del prezzo di 20. Scudi; oppure segano due monete legittime per unire alla testa di un Cesare il rovescio che appartiene ad un altro, creando così un fenomeno nel regno Numismatico non per anco saputo. Altri poi dalla moneta antica ricopiano un conio novello, il quale, più che riesce somigliante, produce all’Artefice un più ricco bottino. I due falsificatori Padovani celeberrimi Cavino, e Bassiano portarono due secoli sono l’emulazione del bell’antico nei loro conj a un grado sì eminente, che in questa parte riscuotono anche in oggi l’ammirazione de’ Conoscitori.

Troppo vi vorrebbe a enumerare tutti gli artifizj, de’ quali la sordida avarizia sì è servita per sorprendere gli amatori. Chi ne volesse maggiori dettagli legga nella vita de’ Romani Imperatori del Sig. de Beauvais ciò, ch’egli ne ha scritto alla fine del terzo volume; e si assicuri che malgrado i molti lumi, ch’egli ha dati in questa materia, non se ne sa per anco abbastanza a sfuggire gl’inganni; a meno di avere un’occhio da lunga sperienza edotto a distinguere gli originali dalle contrafazioni. Ciò basti per altro a mettere in diffidenza i principianti contro le insidie degli Anticagliari. Si assicuri pure il dilettante novello, che per [p. 23 modifica]un Ottone di bronzo, un Pescennio, ovvero un Gordiano Africano veramente antico, che si desidera in originale, gliene verranno prima alla mano migliaia di falsi. E siccome simiglianti pezzi riguardati per i più rari, e interessanti di una raccolta si pagano a molto prezzo, si guarderanno bene di non precipitare nell’acquisto di una moneta, che non ha, fuori del meschino valore metallico, nessun merito affatto.


§. IX.

Vantaggi della Numismatica Antica.


Allorchè tre secoli sono si cominciò con piacere a ridestare le sciente, e le arti omai del tutto sopite, si fissò attento il guardo sulle monete antiche. Il vantaggio che se ne sperava era molto lusinghiero. Cronologia, Storia, Geografia, Mitologia, Nozion delle Lingue, costumi, e usanze ne vennero confermate, e arricchite. La testimonianza delle antiche monete viene preferita a quella pure di un migliore classico, e l’autorità loro è decisiva; poichè le pruove delle monete antiche sono contemporanee, e non si può loro obbiettare quel pregiudizio, che è comune a tutti gli Scrittori antichi, d’essere stati malamente letti, e peggio rescritti dai successivi Copisti, o Amanuensi.

Desse sono altresì la voce dell’intiera nazione, d’ordine della quale furono coniate, e si procacciarono un pubblico e costante concetto. L’Iconologia, ossia la dottrina spettante le imagini degli antichi, è tutta opera della numismatica; poichè quasi unicamente sulle monete si trovano alle teste uniti i rispettivi lor nomi. Anche le Arti Belle vi trovano uno straordinario profitto per l’esatto disegno e rara bellezza del conio, in grazia del quale si hanno presso che da ognuno in sommo pregio le antiche monete, e in ispecie le greche.

Finalmente le monete antiche ne danno le più sicure nozioni di quel grado, al quale giunsero la pittura e la scultura nelle diverse epoche, e regioni; e sono testimonj parlanti di quanto appena ci hanno lasciato sapere di passaggio gli antichi Scrittori. La Storia ne annunzia, che prima di Fidia le posizioni, e la mossa delle figure erano manierate e forzose; che le ossa e i muscoli venivano a riuscir troppo crudi, e che il disegno ne restava perciò duro e tagliente; e benché fosse giusto nel suo totale, indicava [p. 24 modifica]un genio tuttora incolto. Fidia, e i di lui coetanei si accostarono alla natura assai meglio: ma le lor produzioni riuscivano sempre ancor troppo secche, e senza grazia, fin a tanto che Prassitele, Apelle, e Lisippo, colsero la natura nella sua eleganza, e portarono le bell’arti alla maggior perfezione. Quella veracemente fu l’età d’oro della Numismatica, ch’ebbe principio verso i giorni di Filippo II Re di Macedonia; proseguì sotto al Regno d’Alessandro Magno di lui figlio, e durò qualche tempo ancora sotto a’ di lui successori. Di quanto riferisce la Storia d’allora ne danno le monete un attestato oculare, e ciò non già preso nel suo totale: ma ne vien mostrato in dettaglio e gradatamente l’alterazione del buono stile sulle monete di Repubbliche, o Principi isolati; poiché ne resta fra le mani una serie non interrotta sulle monete della maggior parte di essi dall’età più rimota fino al loro decadimento. Di più: la Storia non ne fa sapere gran cosa di positivo sullo stato attuale delle bell’arti di varie rinomate regioni; come della Magna Grecia, Sicilia etc., e sembra, che voglia piuttosto privare dell’idea del vero buon gusto nelle Arti certe altre provincie, come sarebbe la Beozia, la Bitinia, ed altre. La Numismatica però comprova coi monumenti ch’esistono, qualmente le Arti debbono aver fiorito al più sublime grado nella Magna - Grecia, e nella Sicilia; poiché la moneta comunissima del loro uso giornaliero (de’ Medaglioni di lusso non v’essendo in allora nozione) è di una straordinaria bellezza. Dessa comprova che la Beozia, la Bitinia ec. potevano a buon diritto gloriarsi della idea del Bello, quanto ogni altra pregievole Città della Grecia. Comprova che il buon gusto non regnava soltanto nelle grandi Città della Grecia, dove il lusso le favoriva: ma che si estendeva in ogni qualunque angolo di paese greco, perfino a popolazioni, delle quali appena si conosceva il nome. Quanto ignobile nella Storia non é Sybrizia, una delle menome Città dell’Isola di Creta? Eppure le di lei monete gareggiano colle più eleganti della Grecia. Comprova finalmente, che il Greco era Greco dappertutto, che fa sua propensione ai Bello si manteneva in ogni clima fra le Barbare Nazioni ancora, e si riproduceva anche nella più tarda posterità. Fino da’ primi tempi una porzione degli abitatori di Focea nell’Jonia s’innoltrò nelle Gallie, edificò la Città di Marsiglia, e si stabilì solidamente in mezzo di que’ Barbari; e dopo qualche secoli ancora battè moneta di gusto affatto greco. I Cirenei nell’Africa, Lacedemoni d’origine, [p. 25 modifica]origine, in un paese, in cui le bell’arti non prosperavano, coniarono dopo secoli di lor residenza monete di stile sublime. Alessandro Magno lasciò dietro di se nella Battriana da lui conquistata una Colonia di Macedoni. Chi crederebbe che dopo 200 anni, ch’eglino ritrovavansi in quel paese immediatamente limitrofo all’Indie, ed era del tutto smembrato dalla comunanza greca, ne dovessero pur dare moneta di un greco tanto gustoso, quanto lo possediamo al presente?

Dacché i Romani ridussero in lor potere la Grecia, e appoco appoco anche tutto quanto aveva un’idea di greco smungendone le Provincie, e traducendone a Roma i tesori, ridussero gli artisti greci a restare senza protezione, e senza lavoro nella lor patria, tracollò bentosto la Grecia visibilmente nella barbarie più deploranda. Appena si crederebbe all’aspetto del successivo meschinissimo conio, che le monete battute a’ tempi degl’Imperatori Romani siano un prodotto di quelle Città fortunate, nelle quali avea dominato il gusto, e la passione del Bello. Gli artisti greci passarono a Roma, dove ricchezza e lusso prometteva alle Arti una sede solida e permanente. Finchè Roma fiorì, e si mantenne in vigore, la di lei moneta fu in gran parte di tutta eleganza. Un tale periodo preso dagli ultimi tempi della Repubblica si estese fino a que’ dell’Imperatore Commodo; d’indi in poi la Romana possanza cominciò stranamente a decadere, fino a che l’Impero totalmente snervato fu totalmente rovesciato da’ barbari. Siccome questo accadde a poco a poco: così pur lentamente sparì l’arte della monetazione, il conio della quale sotto degli ultimi Imperatori, in particolare Bizantini, è riuscito di una barbarie insopportabile. Se ne osservi a conferma di ciò un tipo di que’ tempi sgraziati alla Tav. 1 n. 20. Desso porta da un lato Leone III Isaurico, e dall’altro i due figli suoi Costantino, e Leone. O io m’inganno di assai, o in un si fatto disegno non v’è più d’intelligenza, di quello n’abbiano i fanciulli, allorchè vanno schiccherando col carbone i loro sgorbj sulla muraglia. Che poteva per altro aspettarsi di meglio da quel Secolo, nel quale Bulgari, Saraceni, ed altri estranei aggressori erano penetrati nel cuore della poliarchia, e toltole ogni sugo; mentre que’ monarchi imbecilli pensavano di far abbastanza per difendersene a concertare de le processioni, e ad immischiarsi nelle questioni di Teologia, e negli affari di Religione del tutto incompe[p. 26 modifica]tenti alla lor condizione. Dal che si deduce costantemente che le arti e le scienze prosperarono o decadettero a misura che lo Stato fioriva, o degenerava.


§. X.

Divisione principale della Numismatica antica.


La Numismatica antica viene divisa in due classi principali. In monete, che a Roma o altrove, ma sempre per di lei autorità e riguardo, furon battute. II. in monete che fuor di Roma furon battute per autorità, e riguardo di estere Nazioni.

La prima classe delle monete Romane, viene suddivisa I. in monete Consolari, quelle cioè, che furono coniate ai tempi della Repubblica sotto il governo de’ Consoli, prima che si cambiasse in Impero. Si chiamano anche monete di Famiglie, perché la maggior parte delle Consolari ne porta inscritto il nome. II. In monete Imperiali, cioè quelle che contengono il ritratto, o il nome di un Imperatore, Imperatrice, o di un Cesare loro attinente.

La II classe é composta delle monete di popoli esteri di Città o Repubbliche, di Colonie, di Re o altri principi sotto le loro diverse denominazioni.


Note

  1. Possono aggiugnersi i molti depositi ultimamente scoperti di antiche Monete d’oro in Amiens, a Vienna d’Austria, e a Roma; in argento di Re, e Città a Smirne; di famiglie in un campo fuor di Cremona; d’Imperadori in una casa civile presso Milano, siccome di rame a Costantina di Africa ed in tanti altri sotterranei d’Europa. (Nota del Trad.)
  2. Tre bajocchi Romani incirca.
  3. 30. milioni di Scudi Romani..
  4. Si può dir altrettanto del titolo antico di pontefice.
  5. Il Signor de Erro ne ha data nozione col suo Libro poc’anzi stampato in Madrid 1806, di cui è già pronta per le stampe la traduzione dell’Ab. Pelajo in Italiano.
  6. Si consulti l’opera del Sig. Fauris Saint-Vincens in quarto. Aix. Henricy An. VIII.
  7. Leggasi l’eccellente opera „Memoires sur diverses antiquités de la Perse, et sur les medailles des Rois de la Dynastie des Sassanides par A. I. Silvestre de Sacy. Paris Imprimerie du Louvre 1793. in quarto.