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più nobile con tanta maestrìa; che non se ne scopre, l’inganno, se non quando quella sottile veste se n’è almeno in parte staccata: Chiamansi perciò Numi subaerati ossia monete pelliculate, o foderate, la cui nascosta materia vien denominata l’anima della moneta. Poiché così mascherate celavano la bassa loro condizione, riuscivano a figurare nel commercio qual se fossero moneta sincera. Se ne danno però in oro ben poche, perchè la frode scoprivasi assai più facilmente per la differenza del peso: ma egli è ben più grande il numero delle suberate in argento; anzi è sì considerabile, che non sarebbe fuor di luogo il sospetto, che un tale abuso stato fosse autorizzato da una superiore podestà, se non se ne avessero molti somiglianti esempj fin da’giorni della Repubblica, e da quelli che portano l’effigie de’ migliori fra i Cesari. Plinio e Dione Cassio c’informano che Marc’Antonio, e Caracalla falsificarono nell’accennata maniera la moneta d’oro, e d’argento. Sembra che i Romani abbiano appreso dai Greci un tale artifizio, poiché si hanno delle loro suberate monete de tempi i più remoti. Egli è da far maraviglia sopra tutto, che si trovino perfino monete di bronzo coll’anima di ferro, mentre il guadagno non potea corrispondere a un lavoro così penoso.
Non fu meno indefessa la malizia dei moderni (e lo è tutt’oggi) di falsificare con tale artifizio le monete in modo da farle supporre originali agli amatori inesperti. Chiunque ignora qualmente, dacché si è preso a nostri giorni piacere a raccogliere delle anticaglie, si sono date a un tale indegno mestiere non solo infinite private persone, ma si sono poste in attività in Italia, in Francia, e perfino nell’Asia formali officine ascose in latebre sotterranee a moltiplicare somiglianti aborti, avrebbe luogo a maravigliarsi assai dell’incomprensibile massa di codesti pezzi fraudolenti. Ciò che reca il più alto stupore si è, che non solo furono falsificate quelle monete, il cui merito potea interessare lo smercio: ma quelle altresì, che sono comunissimi, e di nessun valore.
Si è tenuta a tal’uopo una doppia strada. Se ne sono inventate a piacere dietro l’unica traccia della storia; e se ne sono ricopiate dalle forme antiche. Alla prima classe appartengono le monete per esempio di Giulio Cesare col motto famoso: Veni, vidi, vici; della Regina Artemisia coll’edifizio mirabile del Mausoleo; di Didone colla Città di Cartagine; le teste di Milziade, di Temistocle ec. e finalmente le sciocche monete d’argento coll’epigrafe Ebraica