Le rive della Bormida nel 1794/Capitolo XX
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CAPITOLO XX.
Il padre Anacleto era parso assai disumano ad Anselmo; ma nei suoi panni, avrebbero avuto il capo alle opere di misericordia ben pochi.
Quel mattino egli aveva appena finito di cingersi il cordone, e già il laico portinaio gli aveva battuto all’uscio della cella, dicendo che il signor Fedele lo voleva giù sul piazzale. Disceso in fretta, aveva trovato costui venuto a cavallo per menarselo a D...; ed egli pensando che s’andasse a fare un po’ di buon tempo dagli sposi, fatta mettere la bardella all’asina della comunità, vi s’era accomodato sopra alla meglio: ma nè partendo, nè tra via quando incontrarono il calesse, nè dopo, il signor Fedele gli aveva detto la cagione vera di quella gita.
Chiacchierando della signora Maddalena, e compiangendola d’essere madre di quel Giuliano, sui fatti del quale tiravano giù a distesa; giungevano a piè del castello, che già l’Alemanno aveva accompagnata in chiesa la povera Bianca, come ogni mattina, a udire la messa. E venutosi a sedere colle gambe spenzolate dal muricciolo del sagrato, stava osservando certe nuvolette, che parevano proprio nascere sulle lontane cime dei monti verso il mare. Erano le stesse nuvolette, che avevano fatto fare ad Anselmo l’improvvisa fermata, che abbiamo veduto. Capiva l’Alemanno che quello era il fumo d’una battaglia, e guardando pensava: «ieri il sagrestano ha pur detto il vero; lassù i miei amici combattono, ed io sto qui inoperoso! Ma questi sono tutti luoghi fatti a posta perchè gli uomini vi si ammazzino tra loro; e un palmo di terra per esservi sepolto, ve lo posso trovare anch’io da oggi a domani. Così resta finita ogni cosa.» Assorto in questi pensieri, egli non aveva badato ai due strani cavalieri, che venivano su per la via torta del castello; e non li vide se non quando furono lì, per arrivare sulla spianata. All’agitarsi delle loro mani levatesi a salutarlo; alla vista del padre Anacleto, che gli sorrideva con aria paterna il sangue gli andò da capo a piedi come un fuoco; dovè fare uno sforzo per rattenersi dal maltrattarlo; e toltosi dal muricciolo, aiutò lo suocero a smontare, ma al frate non disse nulla, nè lo guardò punto.
«O che non mi conosce più? — sclamò questi stendendogli la mano. Allora l’Alemanno si fece più torvo, e rispose asciutto: No!
«Come! — disse il signor Fedele, guardando il genero ma dal naso in giù soltanto, perchè fissarlo negli occhi non avrebbe potuto: — che non conosciamo più il padre Anacleto?
«Che siamo già sulle baie così di buon’ora? — aggiunse il frate, sul medesimo tono del signor Fedele.
«Io, — gli rispose l’Alemanno severo — non credeva mai di trovare in Italia un frate della sua sorta. La prego di lasciarmi in pace.»
E preso il suocero pel braccio, lo trasse con sè. Questi teneva la testa bassa più che non la tenesse il muletto che si menava dietro a cavezza; e quando osò alzarla un tantino, fu per dare alla sfuggita un’occhiata al frate, quasi per dirgli che per carità se n’andasse. Non gli pareva manco vero di non sentirsi anch’esso scacciato; e gli si accaponì la pelle, quando il genero di su la soglia della chiesa, additandogli Bianca inginocchiata dentro gli disse: «Essa è là, ma in questo momento non prega per me!»
Non sapendo che rispondere a questo lamento, il signor Fedele si volse a guardare indietro, ma il padre Anacleto non v’era più. Costui aveva capito che proprio l’Alemanno non faceva per celia; e indovinando così alla grossa la cagione del suo cruccio, s’era ingegnato a voltare l’asina, la quale dopo molte strappate, riuscita a porsi cogli orecchi a quella volta dove aveva la coda; discese di castello con molto travaglio; trapassò il borgo a pie’ di questo; e infilò la via che non credeva dover rifare così presto, con quel po’ di peso sopra la groppa.
«Ah! l’ingrato scortese! — borbottava il frate fuggendo — se questa è la creanza che t’hanno insegnata dalle tue parti, tu devi essere uno di quei baroni, che in dodici non ne fanno uno dei nostri! Io mi sono stillato il cervello per darti una moglie, mi metto a questi passi col po’ di sole che c’è, con questo po’ di marrani paesani tuoi che farebbero ingiuria al paradiso; tutto per venirti a vedere...: e tu mi fai l’accoglienza del lupo? Scacci come uno straccione un frate, che ha dette per te tante bugie...? vai, che ho lavato la testa all’asino; ma nulla nulla che la palla mi balzi destra, se io non le do mio danno, vedrai!»
Facendo queste ed altre querele, il frate s’allontanava da D..., invelenito per quell’accoglienza inattesa. Tirava anche i suoi conti sul bel guadagno avuto in quel negozio; e oltre l’ingratitudine dell’Alemanno, gli sommavano l’inimicizia di quel Giuliano, il quale avrebbe potuto trarlo chi sa in che guai, massime se le cose dei giacobini finivano a bene... Questo pensiero gli faceva sudare le tempia; e Marta che lo credette occupato d’alte cose, quando lo vide la seconda volta passare vicino al calesse, senza dire nè ai nè bai; forse gli fu più giusta di Anselmo, che gli tirò dietro a campane doppie, come abbiamo visto! Al primo guado che trovò varcò il torrente; e maledicendo la propria ventura, e macchinando di ricattarsi sul signor Fedele, si ridusse mortificato al convento.
Intanto il padre di Bianca, rimasto sulla porta della chiesa di D... se la discorreva col genero, che gli aveva fatto riporre il muletto da quel suo servitore, il quale diveniva sempre più afflitto e taciturno, a misura che gli pareva di vedersi dar ragione dal tempo, su quel matrimonio riuscito male. Aspettavano essi che la sposa uscisse di là dentro, dove non erano che due altre donne, inginocchiate lontane tra loro, quasi fossero state gelose di non far indovinare l’una all’altra, la grazia che chiedevano al cielo. L’Alemanno non aveva detto parola sul fatto della sera innanzi, e il signor Fedele non era stato sì matto da entrargliene; anzi temendo d’esservi alfine tirato, finse di spazientirsi del vedere la figliuola star tanto in chiesa; e chiese licenza di salire dal pievano, per una ambasciata che disse d’avergli a fare. Dando gli ultimi tocchi ad un suo disegno, fatto lì per lì, s’avviò frettoloso al presbiterio.
Don Apollinare aveva finito allora la colazione, facendosi dire da Mattia, la terza o la quarta volta, quel che gli era seguito in tanti mesi; e parlando di Giuliano, tanto gli tirava su le calze colle dimande, che il sagrestano per ricattarsi di quella noia, pigliava un diletto crudele a narrargli quanto il giovane fosse ben voluto dai Francesi. Accertava che egli non era buono a far male a un pulcino, ma mostrava di conoscere certi suoi sdegni, certi nemici che l’avrebbero visto all’opera, se mai gli riusciva di tornare a D..., con una mano di quei Sanculotti, i quali parevano pronti a servirlo in ogni suo volere. Il pievano avrebbe voluto mentir per la gola Mattia, delle lodi che dava al giovane; ma sentendosi il cuore appeso a un filo, si ratteneva; e si sarebbe acconciato a barattare i panni con lui, se coi panni avesse potuto pigliarne la sicurtà, e la buona grazia che egli mostrava d’avere da Giuliano.
Donna Placidia ascoltando anch’essa quei racconti, se ne stava colle mani appaiate fra le ginocchia, cogli occhi nel fratello tra pietosa e annoiata: e pensando che i Francesi potevano capitare dall’oggi al domani; lasciava sul tavolino la chicchera, il bricco, tutte le cose di cui il pievano s’era servito; perchè le pareva tempo perduto rigovernarle, avendo forse ad essere uccisa fra un par di giorni, e sentendosi dentro un’anima da salvare.
Mattia era in sul bello delle sue spacconate; quando s’intese su per la scala un passo domestico, e subito apparì sull’uscio del salotto il signor Fedele.
«Ohe! — esclamò balzando ritto il pievano — che sono già a C...?
«Chi?
«I Francesi!
«Manco per sogno!
«Dio lodato! — sospirò il pievano dando un’occhiata di traverso a donna Placidia, la quale nè s’era turbata prima, nè rassicurata poi; e ripigliato animo, tirò l’amico a sedere, in sulla sua poltrona, soggiungendo: — allora segga qui, dove siede sempre la sua figliuola...
«Appunto sono venuto a vederla per essa, e mi abbisogna un servizio...
«Ma due, se posso! — rispose don Apollinare; e allo sguardo dato intorno dal signor Fedele, avendo capito che costui voleva non essere ascoltato da altri, fece un cenno a donna Placidia e a Mattia, i quali se ne andarono di là in cucina.
«Ecco! — prese a dire il signor Fedele, tenendo la persona sporta un tantino verso il pievano, come soleva tenerla verso i clienti, che sempre si faceva sedere di faccia: — jeri sera al tardi capitò a C... mio genero, a farmi una mezza scenata; e ripartì piantandomi come un matto. Io voleva venire qua subito, ma ho aspettato fino a stamane, perchè mi sarebbe parso di dargli appicco a credere che io credessi, quel che egli crede... cioè... che la mia figliuola... basta! Brevemente... questa mia figliuola voleva bene ad uno quaggiù di D...
«Lo so! lo so! lo so! Il figlio della signora Maddalena! — disse il pievano facendo una brutta smorfia, in cui compendiò tutto quel male, che per prudenza non aveva detto, parlando del giovane con Mattia.
«Appunto! Ma io l’aveva promessa, e sebbene essa in sulle prime si mostrasse restìa, si mise di mezzo il padre Anacleto...
«Ma se so tutto!...» tornò a dire il pievano.
«Tanto meglio! Si fecero le nozze... le feste parevano voler durare un anno e un giorno, come quelle dei principi...: ma to! il diavolo se ne immischia, lo sposo porta qui mia figlia... e chi sa? Qualche occhiata, qualche rossore... siamo deboli..., e tra persone che s’abbiano voluto bene... Insomma... signor pievano, ella può rimediare a tutto... quel suo parrocchiano, me lo disse il padre Anacleto, è un giacobino...: se ella lo chiamasse... se lo ammonisse... e sin che mia figlia sta in D... gli vietasse d’uscir di casa...
«E temo che egli chiuderà noi in casa nostra:... e ci brucierà corpo, beni, e ogni cosa...!» sclamò il pievano levandosi in piedi.
«Corpo, beni, ogni cosa! — proruppe il signor Fedele, levandosi anch’esso, cogli occhi strabuzzati e col fiato grosso.
«Egli verrà coi Francesi che se l’han pigliato per guida! Ah! amico, lo vuole un consiglio da fratello? stia pronto a fuggire..... o si tenga l’olio santo in tasca..... chè s’egli viene quaggiù e ci acchiappa, guai!
«Grazie, signor pievano, — disse tremando il signor Fedele, e uscito a furia dal presbiterio, per poco non montò sul muletto tenuto là pronto dal vecchio servitore, senza risovvenirsi di Bianca nè dello sposo. Ma questi discendeva appunto, ed appariva sulla porta del suo quartiere, respingendo dolcemente la giovane donna, la quale si teneva stretta a lui, e pareva non lo voler lasciare. Egli si spazientiva, e chiamò il suocero, vergognando d’essere veduto in quell’imbarazzo dai commilitoni, che cominciavano a passare frettolosi e affaccendati, e si raccoglievano intorno a una casa, sulla quale sventolava un’ampia bandiera imperiale.
«E adesso che c’è? — sclamò il signor Fedele, correndo verso il genero.
«I Francesi hanno assalito i nostri sui monti del Finale....
«O Dio! — soggiunse il signor Fedele — e farò a tempo a correre insino a C...?
«Purchè si spicci...» disse l’Alemanno scioltosi alfine da Bianca; la quale s’avvinghiò al padre, per non cadere di sfascio: e «deh! gridava dietro lui, non andare, non andare!» ma il marito disparve.
Allora essa si volse a pregare il signor Fedele, ed egli invece facendo ogni sforzo per levarsela dai panni, rispondeva:
«O tua sorella, tua zia, ti pare che le possa lasciar sole...? Non sai chi viene coi Francesi? quel giacobino rabbioso che tu stimavi un santo...! E ci vuole tutti morti, ci scannerà tutti...! m’hanno avvisato...»
Bianca udendo rammentare Giuliano, rimase spossata. Ond’egli riuscito a sciogliersi dalle braccia di lei, corse al muletto, vi fu sopra aiutato alla meglio dai soldati che arnesavano in fretta pei loro ufficiali; e giù pel colle senza badare a pericoli, fu al piano appunto in quella che il calesse della signora Maddalena tornava nel borgo. Non si fermò coi curiosi, ma lavorando di garetto contro i fianchi della povera bestia, prese la via di C... così di buon passo, che se al generale Alemanno fosse bisognato spacciare un messo a quella volta, in gran diligenza; niuno l’avrebbe potuto servire meglio di lui. A mezza via abbattutosi in un ulano che veniva da C... a briglia sciolta; egli ebbe tanta paura del rumor della spada, del lucicar della lancia nel nembo di polvere che si levava attorno a quel cavaliero, che fu a un pelo dal ribaltare; e se il muletto avesse assentito alla strappata che gli diede per cansarsi, sarebbe andato a fiaccarsi il collo giù dalla ripa. Ma come Dio volle, giunse a C... sano e salvo, a vi trovò un bolli bolli mai più veduto. Già n’erano partiti il parroco, il clero, i maggiorenti, e per le vie la folla era stupefatta, come tribù di selvaggi che stesse guardando un eclisse.
Smontato alla porta di casa sua, legò il muletto al martello dell’uscio, e salì tempestando la scala. Appena fu dentro, e vide ogni cosa a suo posto, egli che aveva temuto di trovar la casa già saccheggiata dai birboni del borgo; diede una grande rifiatatona, e chiamò damigella Maria con tal voce, che i vetri delle finestre n’ebbero a stridere come per uno squillo di tromba. La cieca e Margherita comparvero, ed egli affannato: «animo, mettete insieme un po’ di roba, e si parte... son qua i Francesi.
«E Bianca? — chiese damigella Maria.
«Sta meglio di noi! animo! la roba e si parte! — e così dicendo passò difilato nello studiolo; ivi aperse un armadio, ne cavò l’oro, i fogli, le cose di prezzo, e messo ogni cosa in un sacchetto, se lo nascose sotto l’abito, stringendolo al petto come un bambino.
«Eccole qui! — sclamò tornando in sala, e vedendo che la cognata e la figliuola non s’erano mosse — eccole qui, che stanno a fare le scimunite...! animo, a chi dico? chi comanda qui? Partiamo senza roba!
«Cognato — rispose la cieca dolcemente — io e Margherita si resta in casa.
«Ma non sapete che coi Francesi, viene pure quello scellerato di D...»
In quel momento s’udì un suono di tamburi che schiantò le viscere del signor Fedele, e fece impallidire Margherita e la zia.
«O Dio! — disse egli affacciandosi alla finestra — ed io sto qui predicando ai porri...! Se vorrete seguirmi fino a stassera, sarò al Convento.... più in là non so....
E infilata la scala, in un lampo fu al fondo, a cavallo, in cammino; e il passo del muletto, si perse lontano negli altri rumori. Margherita s’affacciò per vederlo, e ruppe in pianto.
Passavano per la via maestra i fanti di Türkeim e di Colloredo, bella e grossa schiera che da quasi un mese alloggiava nel borgo. Usciti in armi all’alba di quel giorno, avevano corsa per tutti i versi la campagna; adesso coperti di polvere, mezzi morti dalla fame, attraversavano il borgo colle bagaglie, coi carri, colle vivandiere, strascico infinito e molesto.
«Se tu piangi — disse la cieca alla nipote — vai pure con tuo padre: ti farò accompagnare da qualcuno...
«Ma non si poteva andare con esso anche noi?
«L’ho obbedito una volta, e mi basta... Così non l’avessi fatto, e Bianca sarebbe forse felice. Io di qui non mi muovo, fossi certa di dovervi morire.
«O zia, io morirò con lei! sclamò Margherita, stringendosi alla cieca.
«Eh via che non moriremo...! I Francesi non saranno peggiori degli Alemanni. Andiamo a chiudere la porta, e niuno ci darà noia.»
I fanti continuavano a passare, facendo rimbombar le volte della scala in guisa lugubre; ma il loro aspetto non aveva ancora nessun segno di rotta patita. Soltanto gli uffiziali, vedendo chiudersi le case, e le genti del borgo fuggire, parevano addolorati di non poterle difendere. Poi fu silenzio sin verso l’ora di desinare; silenzio, dico, d’armi e d’armati, perchè i borghigiani rimasti tirarono innanzi a fare per le vie, i capannelli, i lamenti, i sinistri presagi. Ma più sul tardi furono viste altre schiere, venire innanzi spingendo sui muli, sulle barelle, una moltitudine di feriti; e a mirare come erano scomposte, e come correvano ora alla sfilata, ora affollandosi, si capiva che tornavano dalla battaglia seguita il mattino verso Settepani. Affrontate dai Francesi furiosamente, avevano abbandonato le difese dei monti; e rotte, perseguitate, afflitte di molte morti, si rivolgevano anch’esse a D..., dove il generale Alemanno, chiamava tutto l’esercito per messi a cavallo, che venivano come razzi; avendo egli disegnato di far la massa in quel luogo.
Così dalle creste più alte dell’Apennino al piano di C.., la via rimaneva aperta ai Francesi, i quali parevano risoluti di ferire qualche gran colpo in val di Bormida; e calavano con ardire inestimabile, rapidi, improvvisi, nuovi nei modi di guerra, come se il fulmine li guidasse.
Finito lo strascico degli infermi, dei malconci, degli spedati, le vie di C... rimasero mute davvero e deserte. Le famiglie rimaste, si turarono in casa, aspettando ogni minuto di udire i Francesi sfondar le porte. Ma passa un’ora, passane un’altra, questi non arrivavano; nè i più animosi affacciatisi all’abbaino dei proprii tetti, videro gente venire giù per la valle, o polverio o altro segno che l’annunziasse. A poco a poco qualche finestra s’aprì, qualche porta stridè sui cardini, qualche domanda fu scambiata da casa a casa; poi alcuni monelli furono visti farsi cenni da via a via, correre, raccogliersi camminando in punta di piedi, e parlar basso tra loro, come temessero di turbare il sonno a qualcuno. Si consigliavano, s’animavano, facevano alle pagliuzze chi dovesse andare fuori le mura, fino ad un certo punto, a scoprir paese: e uno, due, tre partivano, sparivano, tornavano, recando nulla. Allora presero a lagnarsi ad alta voce degli Alemanni partiti, e dei Francesi non venuti; e fatto gruppo intorno al pozzo della piazza, parevano essi i padri del villaggio, deputati a far le accoglienze alla soldatesca nemica.
Di questo andare il giorno volgeva alla bassa ora; e già nelle case si pensava con più spasimo, al gran tafferuglio che sarebbe stato, se i Francesi fossero capitati di notte: quando tra quei fanciulli del pozzo, qualcuno con viso maravigliato, additò il castello; e tutti si volsero a guardare da quella parte, con tanto d’occhi, silenziosi, gli uni accostandosi agli altri, come i pulcini all’apparire del nibbio.
Tra i ruderi di lassù, si vedevano uomini strani, sporgere il capo, mostrarsi dal petto in su, arrampicarsi fin sugli alti comignoli, agitando armi e fogli che spiegavano al vento, chiamando coi cenni i monelli. Questi consigliatisi tra loro un poco; parte spulezzarono paurosi, parte confortati da qualche adulto, che parlava dalle finestre socchiuse, mossero verso il colle, dapprima alla sfilata, quindi pigliando sicurtà; da ultimo facendo a chi arrivasse primo. Pareva che andassero non a vedere quegli stranieri, creduti mangiatori di bimbi, ma a far galloria; come i dì della settimana santa, che dopo gli uffizi, solevano salire in castello a frotte, suonando un diavoleto di nicchi, di tabelle, di raganelle, per imitare i Giudei andati dietro Gesù in sul Calvario.
Accozzatisi con quei soldati, che erano scorridori Francesi, venuti lassù a spiare la terra; alcuni rimasero sul ciglio del colle a chiaccherare e a ricevere carezze; altri tornarono al basso a portare certi fogli, che, letti dai sapienti, dicevano ai popoli delle Langhe stessero di buon animo, accogliessero i repubblicani per fratelli, perchè tali essi volevano essere a tutte le genti, cui portavano libertà e pace.
Rinfrancatisi alle belle parole del generale Francese, alcuni borghigiani si fecero cuore e salirono in castello. Chi l’avrebbe mai pensato? Di lassù guardando verso mezzogiorno, le colline popolate qua di vigneti baldanzosi, là di castagni antichissimi, scintillavano d’armi percosse dal sole che andava sotto. Il bagliore di quelle armi atterriva; ma se quei Francesi che le portavano, erano come quelli venuti sino al castello, gente più cortese e alla buona, non si poteva immaginarla mai più. Le accuse che loro si facevano da parecchi anni, erano adunque fatte a torto; e così pensando, quei borghigiani si lasciavano menare verso le alture, dove le bande appena arrivate, già lavoravano a far terrati, abbattute, ripari; allegre, pronte, maravigliose a vedersi tanto erano industri.
Su d’una collina, alla quale alcune case leggiadre davano aspetto più domestico; i Francesi avevano fatto sosta in gran numero, e ponevano il campo. Una di quelle casette, ornata la porta e le finestre d’un bugnato di pietra verdastra, e cinta di mortelle che facevano siepe alla spianata; era la villa di don Marco. Il poderetto che le si stendeva a piè giù pel colle, formava il patrimonio ecclesiastico del povero prete; il quale lo coltivava a sue mani, coll’aiuto di qualche giovane dei dintorni, chiamato a far giornata. Egli soleva ritirarsi in quella casetta alla stagione dell’uve; ma quest’anno vi si era confinato già da due mesi, proprio quel giorno, in cui era tornato da D.... dopo aver data alla signora Maddalena la trista nuova del mutamento di Bianca. Quei mesi erano passati; della signora e di Giuliano, non aveva più risaputo nulla; del matrimonio di Bianca gliene avevano parlato i villici, ma egli non ci badò; e siccome quell’anno i vicini non erano venuti a villeggiare lassù, perchè coi tempi che correvano si stava più sicuri nel borgo, pareva al buon vecchio d’essere in una solitudine, proprio come l’aveva sempre desiderata.
Quel giorno della venuta dei Francesi, egli se ne stava, sul vespro, leggendo nel breviario, e pascendo il cuore nella mestizia dei salmi, coll’animo più nell’altro mondo che in questo.... A un tratto udì un vocìo intorno alla casa, e affaciatosi vide sulla spianata una mano di soldati, nuovi all’assise, all’armi, al portamento leggiadro e guerriero.
«Chi siete? — chiese don Marco un po’ turbato.
«Viva la repubblica! viva la Francia! — urlarono quei soldati agitando le armi, e levando in alto i loro cappelli a due punte.
«Viva l’umanità! — rispose don Marco, alzando le mani e gli occhi al cielo; e i soldati a coro — «viva l’umanità!»
Allora il prete discese, portando le chiavi di certo ripostiglio dove teneva in serbo un po’ di vino. Ed ebbe da fare un bel che, cogli abbracciamenti, colle strette, coi baci di quei soldati; i quali, sebbene l’avessero riconosciuto ai panni per un prete, l’acclamavano di gran cuore, e qualcuno forse per canzonatura. Frattanto i più ghiotti invasero la casetta; tra quattro o cinque tirarono fuori un caratello dal ripostiglio, e postolo sulla tavola di pietra in mezzo alla spianata, vi furono attorno avidi, come uno sciame d’api ad un alveare.
Don Marco guardava sorridendo, quando fu visto aprirsi un varco fra i mirti della siepe, un giovane che gli si strinse al collo dicendo: «Buon dì, maestro, mi dia nuove di mia madre!
«Tu? — sclamò don Marco rivenendo dalla sorpresa, e ravvisando a fatica Giuliano che s’era lasciata crescere la barba, e si aveva tagliata la coda; — Tu? Meno male che non entri nel tuo paese coll’armi alla mano! Ma donde vieni.... dove sei stato sino ad ora, che cosa sei?
«Servo da chirurgo la repubblica francese. Mi dica per carità, di mia madre sa nulla?
«Nulla, ma ne sapremo, e come ci stai con costoro? e quelli là chi sono?»
«Sono uffiziali che accompagnano un generale.....
«Andiamo da loro.....»
E tirando Giuliano, s’avviò con lui verso una vetta, alla quale saliva una brigata di cavalieri, alcuni con sì bei pennacchi sui cappelli, che dal tempo dei feudatari i boschi di lassù non avevano più veduto nulla di sì leggiadro.
Quei cavalieri andavano a porsi su d’un poggio, donde si scopriva tutta la valle sino a D....., di cui si vedevano biancheggiare nell’ultima luce del giorno i tre vichi. E guardando verso quelli con grossi cannocchiali, gesticolavano parlando tra loro, forse del brulichìo d’Alemanni, che coll’aiuto di quegli strumenti, vedevano farsi in quel luogo.
Giuliano giunto sul poggio con don Marco, subito pose l’occhio su quei lembo di terra. Ah! lo scoprire da lontano la casa paterna, e colla fantasia e colla memoria figurarsi quello che vi si fa dentro, è pure la dolce cosa! Ed egli volò laggiù coll’anima, e quasi s’inginocchiava colle mani giunte; ma in quella don Marco mettendogli la mano sul braccio, gli accennò di porgere l’orecchio a quel che si diceva da quei cavalieri.
Esplorando coi cannocchiali la valle, essi avevano visto alcuni uomini armati di schioppi, entrare ed uscire dal convento dei Minori Osservanti, lontano di lassù meno che un miglio; e accompagnati da frati che spiccavano bruni sul tufo biancheggiante dei colli, quegli uomini andavano e tornavano con portamenti sospettosi.
«Spacciate una compagnia a quel covo di ladri laggiù! — diceva il capo della brigata, levandosi il cannocchiale dall’occhio e segnando con quello il convento: — fucilino quanti coglieranno armati, monaci o villani. Le donne, i vecchi, i fanciulli, se ve ne saranno, guai a chi torce loro un capello!»
Un cavaliere partì come un razzo, a far l’ambasciata.
Quel fiero comando, quel pronto obbedire, posero don Marco in gran turbamento.
«Faranno davvero? — chiese egli a Giuliano spasimando la risposta.....
— Sicuro! — rispose Giuliano — ma non dubiti, correrò io al convento......
«Bravo! — proruppe don Marco — io t’accompagnerò.....
«Che! bisogna andar cauti, chè costoro non sono gente da pigliar a gabbo. Piuttosto ella se ne vada giù nel borgo, persuada gli anziani a mostrarsi amici ai Francesi. Fra poco arriverà il grosso dell’esercito che lasciammo a due miglia di qui.....: vada, ma cauto, le ripeto; al convento ci penso io.»
Mentre essi parlavano, la cavalcata s’era tolta dal poggio; i colli si coprivano di fuochi; e i repubblicani cominciavano a cantare la Marsigliese, salutando la sera e la vigilia d’una battaglia odorata nell’aria.
Don Marco pareva ringiovanito, e separandosi da Giuliano, si fece promettere che si sarebbero riveduti nel borgo. Il giovane partì; pigliando cautamente la via dei boschi, e ora giù per una ripa, ora su per una costa, giunse vicino al convento, certo d’avere fatto assai presto. Ma udendo, nell’arrivare, a un trar di schioppo, un rumore di lamenti, di guai, di voci irate e minacciose, s’arrestò ad ascoltare. Che vi fossero gli Alemanni? Tutt’altro! Lo colse un brivido, gli rimorse d’essere venuto per un giro troppo lungo, si slanciò innanzi risoluto, seguisse quel che poteva seguire. Infilando i pergolati, s’udì spianare in faccia uno schioppo, e una scolta francese gridargli chi fosse.
«Viva la repubblica! — rispose Giuliano cogliendo a fatica fiato bastante, e passò. Giunto in cima di corsa, per la porta allato alla chiesa entrò nell’orto, donde il rumor delle voci veniva più alto; scantonò dietro il coro, e là come un baleno che gli desse negli occhi, vide tre uomini legati in fascio da una grossa fune, un drappello di soldati spianar gli schioppi, una vampa, una nube, e col tuonar di quell’armi udì un grido alto: «oh signor Giuliano!» Dall’orlo d’un calcinaio dov’erano stati posti, i tre caddero sugli avanzi della calce spenta, e la tinsero di sangue: il lume delle torce prese in sagrestia e portate da’ soldati, rischiarava in funebre guisa quei corpi, le mura del refettorio, della chiesa, del campanile che dal mezzo in su torreggiava nel bujo; e sulla cima, allo scoppio delle moschettate, un gufo s’era taciuto, senza osare, povera bestia, pigliare il volo.
Giuliano si arrestò, si asciugò la fronte, e gli parve di sentirsela fra uno strettoio. Di chi era quel grido che più doloroso non lo avrebbe potuto gettare un’anima, voltasi addietro dalla soglia dell’inferno, a chiedergli aiuto? Passò dinanzi ai soldati che ricaricavano l’armi severi, balzò nella fossa, e guardò i morti. Un d’essi era Mattia.
«Che fate? — gridò l’ufficiale francese, correndo verso il calcinaio colla spada sguainata. — Ah! chirurgo, siete voi? Vi paiono morti per bene?
«Sì..... — ma..... e quello lì che cosa aveva fatto? — chiese Giuliano additando Mattia.
«Costui? Era uno spione cui abbiamo già perdonata la vita una volta. Fuggì dal nostro campo due giorni or sono; fu colto qui, i nostri l’hanno riconosciuto..... e si capisce.....»
Questo era un fatto da perderci la mente. Ma come mai Mattia s’era fatto cogliere in quel convento? Era o non era ancora stato a D.....? O forse non poteva essere venuto di là mandato dalla signora Maddalena? Oh! avesse potuto dare metà degli anni che gli rimanevano, per averlo vivo un’altr’ora, Giuliano l’avrebbe fatto, e di che cuore!
Con questi pensieri che gli si azzuffavano nella mente, e col cuore trambasciato, Giuliano si volse per chiedere all’uffiziale ancora qualcosa. Ma questi se n’era andato, e i soldati con lui, nel convento; dove scale e corridoi suonavano di passi e di colpi menati co’ calci degli schioppi, a sfondare gli usci alle celle. Allora egli si avviò da quella parte, e affacciandosi ad una porticina che dall’orto, per un andito, metteva nel chiostro; vide come il terrore della morte scolorava i volti d’una moltitudine di frati, di villani, di donne e di gentiluomini, che parevano cadaveri, tenuti ritti l’uno dall’altro tant’erano stipati. Costoro erano la più parte persone che s’erano venute a rifugiare nel convento; e sebbene sapessero dei Francesi arrivati in C..., credendo che anche per costoro la notte fosse fatta per dormire, s’erano lasciati cogliere, come uno stormo d’allocchi presi alle paretelle. E non avevano avuto tempo d’accorgersi che i repubblicani venivano a quella volta, che già gli schioppi dei villani erano stati strappati dalle loro mani e rotti ai pilastrini dei pergolati; le schiene rimbombarono percosse dalle pugna; le bocche cessarono i guai, per le grandi palmate che vi calarono sopra. A urti, a spintoni erano stati chiusi tutti nel chiostro, dove il rumor delle schiopettate che avevano morto Mattia e i due compagni; loro era parso il segno della fine imminente.
Giuliano guardò quella folla dolorosa, e (non per profanare una credenza) gli pareva d’essere giunto al Limbo, tanti furono gli occhi che si volsero a lui pieni di speranza, forse per qualche segno di somma dolcezza e di mestizia che aveva nel viso. A un certo moto che egli vide farsi in un punto fra quei miseri, ne scoprì due che si stringevano e si turavano nei panni, quasi per nascondersi a lui. Erano il padre Anacleto ed il signor Fedele, i quali avrebbero dato la loro parte di paradiso, pur di non vedere là in mezzo quel giovine, terribile a loro più d’ogni francese. L’aveva pur detto il pievano di D...! Colui veniva a pigliarsi una vendetta, che niuno, salvo uno scellerato par suo, avrebbe saputo pensare! Così sussurrava il signor Fedele al frate; il quale osando allora fissare un tantino Giuliano, credette di vederlo fare il viso d’un beccaio, che affilando i suoi coltellacci, cercasse nel branco un par di pecore, da scannare le prime. Tremavano come foglie di pioppo; fiato non ne avrebbero avuto tanto da levarsi un bruscolo dalle labbra; e il cuore faceva loro tali schianti nel petto, che sarebbe stata crudeltà non ucciderli d’un tratto, o non mandarli liberi a dirittura.
Un senso, che non seppe mai dire di poi se fosse più di pietà o di spregio, si dipinse sul viso a Giuliano; perchè occhi più umiliati non s’erano mai chinati dinanzi a lui. Se gli archi del chiostro, squallidi come oggi sono, serbassero alcun segno delle occhiate di chi in quella notte credè vederli l’ultima volta, certo sarebbe dei quattro occhi del frate e del signor Fedele. Il giovane si rivolse all’uffiziale francese che stava anch’egli in mezzo alla folla, e gli disse: «Capitano, se me li date, questi due gli acconcio io.»
«Ah! ah! — rispose il Francese — avete le vostre vendette da fare? Già siamo nei vostri paesi! Accomodatevi; due più, due meno non fanno caso.»
Giuliano, in mezzo a un gran bisbiglio, prese quei due, li trasse fuori, attraversò la cucina saccheggiata; e uscendo per la postierla di questa, si mise con essi sulla via che menava alla palazzina del signor Fedele. Camminavano muti, essi dinanzi, egli di dietro; e i disgraziati credevano ad ogni passo di sentirsi dar nelle spalle qualche arma, veduta con certo occhio che loro pareva d’aver nella nuca. A un tratto Giuliano si fermò e disse:
«Chi sa dirmi che cosa fosse venuto a far qui quel Mattia che fu fucilato?
«Era venuto per me..., — cominciò il signor Fedele.
«Anzi per me; — interruppe il padre Anacleto — mi portò una lettera...
«Una lettera che parlava di me —» protestò il signor Fedele, subito mordendosi la lingua per l’imprudenza che stava per commettere.
«E per avventura, disse nulla di mia madre...? — incalzò Giuliano, troncando quella brutta gara.
«Oh..... sua madre la vedemmo noi stamane, che veniva a fare una scarrozzata verso C... — rispose il frate facendo la voce rispettosa.
«Grazie! — disse Giuliano; e con quelle due consolazioni di sapere che sua madre stava bene, e che Mattia non era venuto a morire al convento mandato da lei; dava di volta per piantare quei due. Ma allora avvenne cosa che gli fece alzare gli orecchi subitamente.
I colpi di moschetto da cui erano stati uccisi Mattia e gli altri due miseri, avevano messo in sospetto una grossa avvisaglia d’Alemanni, che velettavano i monti di là del convento verso D..., ed erano corsi a quel tetro richiamo. Buon pei Francesi, che avevano posto assai innanzi le loro scolte, le quali diedero voce del nemico vicino: perchè appunto in quella che Giuliano era lì per allontanarsi dal frate e dal signor Fedele, che quasi gli erano cascati ai piedi dallo stupore; le schioppettate incominciarono, le fiamme si levarono alte sopra il convento cui i Francesi avevano appiccato il fuoco, e non si udirono più che grida d’Alemanni accorrenti, grida di Francesi che si ritiravano; voci di poveracci che si chiamavano tra loro fuggendo dal chiostro; e dai monti vicini, urli di villani, e persino qualche suono di nicchio marino, ma rado e restio. Parte degli Alemanni si arrestarono a spegnere l’incendio, parte inseguirono i Francesi, i quali facendo testa quando potevano, rispondevano di grandi schioppettate; e ai lampi di queste si capiva dov’erano gli uni e gli altri; e per l’aria scura solcata da tante palle era un sibilio, che pareva una zuffa di serpenti foiosi.
Giuliano non avendo più nulla a fare in quel tafferuglio, pigliò la via di C... Il signor Fedele e il padre Anacleto, sebbene non invitati, gli tenevano dietro come due bambini timorosi di essere abbandonati in un bosco; e per vigneti e per campi inciampando, ruzzolando, ma sempre alle sue calcagna, in capo a un’ora videro le porte del borgo.
Il grosso dell’esercito Francese vi era giunto sul far della sera, ed aveva posto il campo sul greto del torrente, sotto gli olmi intorno alle mura, come per stringere d’assedio la terra. E riposava sicuro, essendosi buon nerbo di cavalli spinto innanzi sulla via di D..., a fronteggiare gli Alemanni, se qualcosa avessero voluto tentare.
Per certi chiassi a lui noti, Giuliano mise nel borgo quei due paurosi; poi se ne scompagnò per cercare don Marco, col quale erano d’accordo di rivedersi la notte.
Essi non osarono ringraziarlo; ma muro muro il signor Fedele condusse il frate alla porta di casa sua. Salendo le scale, udirono damigella Maria, Margherita e don Marco che parlavano del cognato, del convento, dei Francesi che erano andati a farvi chi sa che tragedia. Esse parevano disperarsi; e il prete si studiava di confortarle, dicendo che anche Giuliano era andato laggiù, ma con animo generoso.
«Margherita, Maria, son qui! son qui! — entrò gridando il signor Fedele; e la fanciulla e la cieca si lanciarono verso di lui; e abbracciamenti e baci e lagrime mescolarono a parole d’affetto, mai più dette là dentro.
«E sono qui per lui! — proseguiva il signor Fedele: — son vivo per quel bravo giovane di D... che mi ha salvata la vita tre o quattro volte!...»
«Oh!... alla fine delle fini, — interruppe il padre Anacleto, stizzito da certe occhiate di trionfo dategli da don Marco: — lodare è bene, ma se non fosse stato colui, tanto ci salvavano gli Alemanni...
«Ingrato! — urlò il signor Fedele; e per la collera non potè manco accorgersi di don Marco, che se n’andava di quella casa, per non dire al frate le amare parole che meritava. — «Dio perdona tutti, ma agli ingrati no!»
E qui cominciò tra loro una contesa, in cui si dissero a vicende parole acerbe, risentite, ingiuriose; rifacendo la storia, dal rabbuffo toccato al frate quel mattino dallo sposo di Bianca, sino alle prime cure poste da lui, a stornar l’animo della fanciulla dall’amare Giuliano.
Intanto don Marco coll’anima piena di gioia per il bel fatto del suo scolaro; giungeva in piazza, dove alla luce di lanternoni e di schiappe di pino accese, vide alcuni cavalieri splendenti d’oro, semplici negli atti e fieri nei volti, i cui lineamenti risaltavano illuminati vivamente da quelle torce strane. Uno di essi discorreva imperioso con qualcuno, che doveva stargli dinanzi, ma che non si vedeva, per essere di certo a piedi e corto della persona.
«Voi non siete venuto ad incontrarci; — rimproverava il Francese, continuando un discorso cominciato prima che Giuliano arrivasse — voi vi ho dovuto scovare come un lupo; voi avete lasciato fuggire la gente dal borgo come se noi si venisse a divorarvi; e forse i paesani vostri che corrono la campagna, gli avete armati voi. Ma ho già fatti punire i frati del vostro convento di laggiù, che invece di Cristi maneggiano tromboni: e se ne ricordino bene, la repubblica Francese vuol bene a tutti, ma guai a chi le contrasta! Voi intanto sarete custodito, finchè mi abbiate fatto trovare cinquanta bovi, cento botti di vino, ventimila pani...
«E in grazia, — rispose ardito colui che non si poteva vedere, ma che don Marco riconobbe alla voce pel Sindaco; un omicciattolo che a pagarlo un quattrino, sarebbe parso buttar via la moneta; — in grazia, signor generale, tutta questa roba dove la piglio?
«Ingegnatevi!
«Ma il buono e il migliore, se l’han portato via gli Alemanni!
«Dovevate opporvi...
«Già... per farmi accoppare da loro, perchè tutt’una mi accopperete voi...!
«Arrestatelo! domani la roba, o faccio appiccar il fuoco al villaggio!
«Ed io vi porterò il tizzo!
«Bravo! — fu lì per esclamare don Marco, ammirando il Sindaco che se la sbrigava così da valent’uomo; ma buon per costui che Giuliano capitava a porsi di mezzo, che se no il Francese l’avrebbe conciato come si poteva immaginare alla rabbia, che gli sbuzzava dagli occhi. Il Sindaco e il Francese che si lasciò chetare da Giuliano, rimasero, che uno avrebbe dato, l’altro si sarebbe accontentato, di quel che si poteva trovare; e quando quella adunanza si sciolse, il giovane si sentì pigliare per la mano, e dire: «ora poi, mi pare che tu abbia fatto anche troppo. Andiamo a casa mia, che tu caschi della stanchezza.»
Chi gli parlava a quel modo era don Marco, che di maraviglia in maraviglia, cominciava a provare per lui un po’ di venerazione.... E Giuliano si lasciava menare non badando dove; ma quando fu nel vicolo del prete, come fumea di bevande acri e stupefacenti, sentì levarsi le immagini delle cose vedute di fresco, mescolate alle memorie rinascenti alla vista di quella casa. Entrando da don Marco s’abbandonò spossato sul vecchio divano; e il prete si diede attorno per ammanirgli un po’ di cena, con pane ed uva, che s’era procacciato a fatica. Ma quando ebbe apparecchiato e chiamò l’ospite, per offrirgli quella grazia di Dio, e farsi raccontar meglio le cose avvenute al convento; lo trovò addormentato di sonno così profondo, che manco una cannonata l’avrebbe svegliato. Egli allora s’ingegnò ad assettare i cuscini del divano, in guisa che non dormisse a disagio; poi fatto coll’indice un cenno, come per fare star zitto qualcuno, tolse di là il lume, e in punta di piedi andò a porsi nella stanza vicina. Ivi chiuse gli occhi anch’esso, e come li riaperse, credè di avere dormicchiato forse un’ora. Ma se gli fosse venuto in mente d’affacciarsi a guardare il tempo, avrebbe udito un rumore venir di lontano, somigliante a quello di mare che si franga tranquillo alla riva. Era l’esercito della repubblica, che ripigliate le armi, si riponeva in via alle sue grandi venture.