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parte confortati da qualche adulto, che parlava dalle finestre socchiuse, mossero verso il colle, dapprima alla sfilata, quindi pigliando sicurtà; da ultimo facendo a chi arrivasse primo. Pareva che andassero non a vedere quegli stranieri, creduti mangiatori di bimbi, ma a far galloria; come i dì della settimana santa, che dopo gli uffizi, solevano salire in castello a frotte, suonando un diavoleto di nicchi, di tabelle, di raganelle, per imitare i Giudei andati dietro Gesù in sul Calvario.
Accozzatisi con quei soldati, che erano scorridori Francesi, venuti lassù a spiare la terra; alcuni rimasero sul ciglio del colle a chiaccherare e a ricevere carezze; altri tornarono al basso a portare certi fogli, che, letti dai sapienti, dicevano ai popoli delle Langhe stessero di buon animo, accogliessero i repubblicani per fratelli, perchè tali essi volevano essere a tutte le genti, cui portavano libertà e pace.
Rinfrancatisi alle belle parole del generale Francese, alcuni borghigiani si fecero cuore e salirono in castello. Chi l’avrebbe mai pensato? Di lassù guardando verso mezzogiorno, le colline popolate qua di vigneti baldanzosi, là di castagni antichissimi, scintillavano d’armi percosse dal sole che andava sotto. Il bagliore di quelle armi atterriva; ma se quei Francesi che le portavano, erano come quelli venuti sino al castello, gente più cortese e alla buona, non si poteva immaginarla mai più. Le accuse che loro si facevano da parecchi anni, erano adunque fatte a torto; e così pensando, quei borghigiani si lasciavano menare verso le alture, dove le bande appena arrivate, già lavoravano a far terrati, abbattute, ripari; allegre, pronte, maravigliose a vedersi tanto erano industri.
Su d’una collina, alla quale alcune case leggiadre davano aspetto più domestico; i Francesi avevano fatto sosta in gran numero, e ponevano il campo. Una di quelle casette, ornata la porta e le finestre d’un bugnato di pietra verdastra, e cinta di mortelle che facevano siepe