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Smontato alla porta di casa sua, legò il muletto al martello dell’uscio, e salì tempestando la scala. Appena fu dentro, e vide ogni cosa a suo posto, egli che aveva temuto di trovar la casa già saccheggiata dai birboni del borgo; diede una grande rifiatatona, e chiamò damigella Maria con tal voce, che i vetri delle finestre n’ebbero a stridere come per uno squillo di tromba. La cieca e Margherita comparvero, ed egli affannato: «animo, mettete insieme un po’ di roba, e si parte... son qua i Francesi.

«E Bianca? — chiese damigella Maria.

«Sta meglio di noi! animo! la roba e si parte! — e così dicendo passò difilato nello studiolo; ivi aperse un armadio, ne cavò l’oro, i fogli, le cose di prezzo, e messo ogni cosa in un sacchetto, se lo nascose sotto l’abito, stringendolo al petto come un bambino.

«Eccole qui! — sclamò tornando in sala, e vedendo che la cognata e la figliuola non s’erano mosse — eccole qui, che stanno a fare le scimunite...! animo, a chi dico? chi comanda qui? Partiamo senza roba!

«Cognato — rispose la cieca dolcemente — io e Margherita si resta in casa.

«Ma non sapete che coi Francesi, viene pure quello scellerato di D...»

In quel momento s’udì un suono di tamburi che schiantò le viscere del signor Fedele, e fece impallidire Margherita e la zia.

«O Dio! — disse egli affacciandosi alla finestra — ed io sto qui predicando ai porri...! Se vorrete seguirmi fino a stassera, sarò al Convento.... più in là non so....

E infilata la scala, in un lampo fu al fondo, a cavallo, in cammino; e il passo del muletto, si perse lontano negli altri rumori. Margherita s’affacciò per vederlo, e ruppe in pianto.

Passavano per la via maestra i fanti di Türkeim e di Colloredo, bella e grossa schiera che da quasi un mese alloggiava nel borgo. Usciti in armi all’alba di quel giorno,