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fuori un caratello dal ripostiglio, e postolo sulla tavola di pietra in mezzo alla spianata, vi furono attorno avidi, come uno sciame d’api ad un alveare.

Don Marco guardava sorridendo, quando fu visto aprirsi un varco fra i mirti della siepe, un giovane che gli si strinse al collo dicendo: «Buon dì, maestro, mi dia nuove di mia madre!

«Tu? — sclamò don Marco rivenendo dalla sorpresa, e ravvisando a fatica Giuliano che s’era lasciata crescere la barba, e si aveva tagliata la coda; — Tu? Meno male che non entri nel tuo paese coll’armi alla mano! Ma donde vieni.... dove sei stato sino ad ora, che cosa sei?

«Servo da chirurgo la repubblica francese. Mi dica per carità, di mia madre sa nulla?

«Nulla, ma ne sapremo, e come ci stai con costoro? e quelli là chi sono?»

«Sono uffiziali che accompagnano un generale.....

«Andiamo da loro.....»

E tirando Giuliano, s’avviò con lui verso una vetta, alla quale saliva una brigata di cavalieri, alcuni con sì bei pennacchi sui cappelli, che dal tempo dei feudatari i boschi di lassù non avevano più veduto nulla di sì leggiadro.

Quei cavalieri andavano a porsi su d’un poggio, donde si scopriva tutta la valle sino a D....., di cui si vedevano biancheggiare nell’ultima luce del giorno i tre vichi. E guardando verso quelli con grossi cannocchiali, gesticolavano parlando tra loro, forse del brulichìo d’Alemanni, che coll’aiuto di quegli strumenti, vedevano farsi in quel luogo.

Giuliano giunto sul poggio con don Marco, subito pose l’occhio su quei lembo di terra. Ah! lo scoprire da lontano la casa paterna, e colla fantasia e colla memoria figurarsi quello che vi si fa dentro, è pure la dolce cosa! Ed egli volò laggiù coll’anima, e quasi s’inginocchiava colle mani giunte; ma in quella don Marco mettendogli la mano sul braccio, gli accennò di porgere l’orecchio a quel che si diceva da quei cavalieri.