Le rive della Bormida nel 1794/Capitolo XIX

Capitolo XIX

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CAPITOLO XIX.



Lo sposo di Bianca, veduto da Mattia partire a quel modo cruccioso sul suo cavallo; aveva pigliato la via, che sulla cresta dei monti, a ridosso del castello, menava a Montenotte; e che si vede anche ai dì nostri, angusta ma piana e ombrata di bei castagni. Egli ne aveva corso un tratto, poi giù per un traghetto era disceso a valle, non ruzzolando più per le buone gambe della bestia, che per l’avvedutezza propria; e s’era messo in sull’altra, alla volta di C.... in riva al torrente. Cavalcava così raccolto e pensoso, che più non l’era stato Giuliano tornando da quel borgo, occupato la testa e il cuore dell’amor suo, quella prima sera descritta in sul principio di questo racconto. Passando vicino agli alloggiamenti delle soldatesche, non rispondeva al saluto delle guardie, nè a quello dei compagni; e tirando diritto, ora di trotto ora di galoppo, attraversava il villaggio di R..., che il sole era andato sotto del tutto. Allora spinse un po’ più la corsa, per giungere a C.... prima che fosse suonato il deprofundis; sapendo per pratica, che a quell’ora ognuno di quelle parti soleva chiudere la porta di casa sua. Il borgo, dove non era più tornato da quasi un mese, gli apparve dinanzi nell’ombra dell’antico castello, sul quale un quarto di luna posava la sua luce di striscio e poca, come la guardatura d’un occhio socchiuso e bieco.

«Non t’avessi mai visto — sclamò egli più coll’ [p. 353 modifica]anima che colla voce, — non t’avessi mai visto, villaggio malaugurato!»

E trapassato il ponte, che suonò cupo come per rispondere a quelle afflitte parole; fu sotto l’androne che metteva dentro al borgo; poi di là per la via più destra alla porta del signor Fedele.

I tempi erano tornati a correre grossi; e il capo supremo dell’esercito Alemanno, che alloggiava in C.... aveva bandito di quei giorni, che all’avemaria della sera gli abitanti del borgo si fossero ritirati, e badasse a non andar fuori senza recarsi in mano un lume, chè guai! Di che non è a dire se le vie dopo le ventiquattro rimanessero deserte; e fu proprio sorte, se il cavaliere, appunto fermandosi, vide venire un tale che portava una lanterna affumicata per modo, che si vedeva appena; quasi egli avesse voluto obbedire e insieme far dispetto a sua Eccellenza il generale dell’Impero.

«Fatti in qua» disse a colui il cavaliere smontando; e dategli in mano le briglie del cavallo, piantando lui e la bestia a spaurirsi a vicenda, salì dallo suocero, franco di passo.

Gli speroni e la guaina della sciabola battuta contro i gradini, stridevano come voci di malaugurio. Il signor Fedele, che sedeva in sala facendo certi suoi conti colla memoria, al lume d’una lucernetta, la cui fiamma per essere nudrita d’olio di noce, s’agitava fumicosa spandendo intorno un odore molesto; balzò in piedi a quel suono, corse sul pianerottolo, e levandosi alta la lucerna sopra la spalla, si chinò per vedere meglio chi fosse colui che saliva.

«Oh! siamo noi! — sclamò ravvisando l’Alemanno, al quale non voleva più dare del lei, e non sapeva per anco dare del tu: — chi desse retta al cuore non isbaglierebbe mai! ci pensava or ora.... Ma siamo soli?

«Solo! — rispose l’Alemanno arrivando in cima alla scala e fissando in viso tra ciglio e ciglio il signor Fedele. Il quale vedendosi guardato a quel modo, mostrando grande ansietà nella voce e nell’atto, gli chiese: [p. 354 modifica]

«O che abbiamo, genero, che siamo così annuvolati?

«Nulla! — rispose l’altro; e mettendosi da sè dentro la sala, soggiunse:

«Vorrei parlare colla zia.

«Ma che è avvenuto qualche malanno a Bianca? — gridò il signor Fedele, rimanendo colla lucerna in mano, curvo e colla faccia illuminata di sotto in su malamente: — se è diciamolo a dirittura; che sebbene padre, so accettare dal Signore il bene e il male, e benedire la sua santissima mano!

«Vorrei parlare da solo a sola colla zia:» pregò l’Alemanno.

«Allora passiamo da lei, che è sull’altana con Margherita, a pigliare le infreddature:» disse il signor Fedele un po’ insospettito; e accompagnò il genero attraverso l’andito che metteva in sull’altana. Là, chiamata Margherita, le fece salutare il cognato rispettosamente. Poi lasciò che questi se n’andasse da sè dov’era la zia Maria, e deposta la lucerna in un lato dell’andito, se ne tornò in sala colla figliuola, tutta rimescolata di quel mistero.

Damigella Maria sedeva al suo posto usato, sotto la cupoletta dei luppoli, mesta per certo fruscio di foglie secche, che il vento le faceva sentire intorno. Quel fruscio le parlava dell’inverno; il quale, sebbene non fosse che mezzo settembre, già su quei monti s’annunziava vicino. Oh il tristo inverno che sarebbe stato quell’anno! Non potersi più sedere in quel posto, a udire la gente passare allegra pel vicolo; chiudersi in una stanza a canto al fuoco; udire l’ore scoccate con suono spento, dalla campana coperta di neve; vivere come sepolta viva, e non avere più Bianca! Pensava a queste cose, e già le pareva di patirle tutte; quando udito il passo dell’Alemanno, che veniva a lei, e la voce del cognato che chiamava Margherita, provò non seppe neanch’essa qual contentezza. Questa volta si sentiva il caso di dirgli tutto l’animo suo; egli capitava proprio in buon punto! Se [p. 355 modifica]non si risolveva a tenere la promessa, lasciando che Bianca tornasse a vivere vicina a lei; se non la rimenava a C..., se non veniva a starvi anch’egli per sempre, poveretto lui!

Egli le si fermò dinanzi, e alla poca luce che la coglieva traverso le foglie della cupoletta, vedendola starsi col viso sporto, come per chiedergli che volesse, cominciò a dire rispettoso:

«Signora zia..., se qui niuno ci può ascoltare, io vorrei dirle una cosa....

«Parli, — rispose subito commossa damigella Maria, esperta a conoscere ogni più secreto moto dell’animo altrui, solo a udirne la parola: — niuno qui può ascoltarla, parli, comandi....» E così dicendo, cercava colla sua la mano di lui.

Tanta cortesia della cieca, riusciva nuova e dolcissima all’Alemanno; perchè dal giorno in cui essa s’era chiarita, che egli ospite ed infermo nella palazzina, coll’aiuto del padre Anacleto, aveva vinto l’animo di Bianca, e stabilito il parentado; più che parole aspre non s’era inteso mai dire. Ora forse la donna mite, indovinava nell’accento di lui, più assai dolore che ei non volesse mostrare: e in cambio di sorgere superba e rimprocciosa, vedendo avverati i suoi tristi presagi; s’addolcì tutta e provò per lo sposo di Bianca, misto a compassione, il primo senso d’affetto.

Egli sedè, vinto dai modi di lei, che gli tornava in quel momento cara, quanto gli era parsa uggiosa e molesta altra volta; e parlando più basso che potè, le disse:

«Io comincio col chiederle perdono d’averle tolta la sua nipote, e so quanta consolazione fosse per lei l’averla vicina. Mi accordi questo perdono, chè se no non oserei più parlare, svergognato d’una colpa, che forse è la più nera della mia vita....

«Che dice mai? — interruppe la cieca — che dice mai, colpa! Ella ha cercato la felicità, e al mondo ve [p. 356 modifica]n’è così poca, che per averne noi dobbiamo toglierne agli altri. Mi spiacque che Bianca abbia sposato uno non dei nostri luoghi, sì...! ma poi..., più di lei ci ha colpa il Padre Anacleto.... che gli ha ingannati ambedue!

«O zia, — sclamò sospirando l’Alemanno — proprio non le spiaceva che io sposassi Bianca per altro pensiero?

«Pensiero...! — rispose la cieca, che alla maniera con cui veniva interrogata da lui, non avrebbe nè mentito nè taciuto per nulla al mondo: — V’era anche questo, che Bianca si voleva bene con un giovinetto quaggiù della nostra vallata; e mi pareva che sposando uno, quando il suo cuore era già d’un altro, potesse andare incontro a qualche mal passo....

«Oh! no.... no.... — proruppe l’Alemanno — mal passo per cagion mia mai! Ma quel giovane era degno di lei?

«Se degno!... Era del primo casato di D....

«Proprio di D....?»

Queste parole furono dette in guisa, che damigella Maria ne rimase tutta rimescolata; e presa la mano dello sposo di Bianca, parve che non potendo leggergli negli occhi, volesse sentire al tatto, indovinare al respiro, che cosa ei pensasse.

«E lei — disse poi tremando — lei perchè m’ha colta alla sprovveduta...? Appunto...! quel giovane era di D.... e Bianca è a D...; che fu, mio Dio, che fu? Per carità badi, essi non s’avevano mai parlato, glie lo dico io....

«Le credo....

«Mai.... non saprei mentirle, non faccia a Bianca niun male!

«Un soldato non fa male a una donna mai...! — rispose l’Alemanno; — eppoi il torto fu mio... e basta!»

Ciò detto si levò e partì, lasciando la povera donna che non sapendo che farsi per rattenerlo, o piangere o pregare; sperò che si sarebbe fermato in sala dal signor Fedele. Ma egli attraversato l’andito, vi si fermò tanto da stringere [p. 357 modifica]la mano a Margherita, dandole uno sguardo con cui pareva volersela portar via; strinse anche quella dello suocero ma un po’ lentamente, e senza dir nulla si mise giù per le scale. Trovò alla porta il cavallo abbandonato dal borghigiano, che non parendogli vero di potersi levare la briga di quel focoso animale, l’aveva legato a una campanella lì fuori; montò in sella e partì frettoloso.

Il signor Fedele rivenne dallo stupore in cui l’avevano messo i portamenti del genero, udendo lo scalpitare del cavallo sull’acciottolato della via. Ma mentre si lanciava alla finestra per chiamarlo chi sa con qual grido, si vide dinanzi damigella Maria, venuta in sala a gran fatica; avendo pel turbamento quasi perduta la pratica della casa.

«Ed ecco — sclamò essa, poichè si sentì vicina al cognato; — ecco a che ne siamo colla vostra ambizione!

«Sì — gridò il signor Fedele, guardando a squarciasacco la cieca, e spaurendo Margherita che tremava a verga a verga: — Fatemi le tragedie anche voi, che mi stanno bene! A che ne siamo via, dite?...

«Ne siamo a questo — proseguì damigella Maria — che quella povera sventurata della vostra figliuola, se l’aveste lasciata sposare chi voleva essa, non finirebbe come finirà....

«Tisica; ammazzata o peggio! — urlò il signor Fedele; — capisco! Vi sarà a D..., quel suo giacobino sciagurato, cui Dio mandi tutti i malanni! Ebbene..., se essa avesse osato disonorarmi....

«Cognato! — interruppe la cieca, troncandogli la parola colla maestà dell’atto; e poi dolcemente disse alla nipote: — Margherita, vattene in camera....»

La giovinetta obbedì lagrimosa, e i due stettero zitti finchè i passi di lei furono uditi lontani. Allora damigella Maria ripigliò severa:

«Cognato, io non avrei creduto mai che voi foste tal padre da pensare brutte cose del sangue vostro!

«Io? — rispose il signor Fedele, inarcando le ciglia [p. 358 modifica]quasi maravigliato, e tenendosi l’indice della destra appuntato al petto, proprio come avrebbe fatto dinanzi al giudice dei fatti suoi, che avesse potuto leggergli in faccia.

«Voi, sì! e se io non v’interrompeva, non avreste avuto rispetto, neanco per quella innocente, che era qui ad udirvi...

«O voi — disse egli risolvendo l’atteggiamento in cui era rimasto, in una crollata di spalle stizzosa, — voi dunque che sospetti mi siete venuta a ficcare in capo...?

«Io dissi onestamente; e giusto! — sclamò la cieca; e narrò in breve il colloquio avuto coll’Alemanno, nulla aggiungendo, nulla tacendo. Il signor Fedele ascoltava, rischiarandosi in faccia man mano ch’essa diceva.

Come gli parve che avesse finito, proruppe:

«Donne! E voi volevate perdere il conoscimento per simili freddure? Via, datevi pace, cognata; andate a dormire quieta, che domattina di buon’ora io me ne andrò a D...»

E presa la lucerna, se n’andò a chiudere l’uscio da via, piantando (stava per dire al buio) la povera cieca; la quale avrebbe data la vita per poter essere a D..., per potervi andare anche camminando sopra le spine. Ma debole, infermiccia, con quella sua disgrazia degli occhi, che avrebbe fatto giù per quelle strade, di notte, se anco si fosse preso in compagnia qualcuno del vicinato? Si ritirò nella camera dove soleva dormire con Margherita, pensando che quella sarebbe stata una notte pur lunga.

L’Alemanno frattanto cavalcava di buon passo, già vicino a D... e per dire il vero aveva molto combattuto seco stesso per tenersi dal passare al convento, chiamare il padre Anacleto, e giù, senza tanti discorsi, pagargli con una sciabolata sul cranio, il servigio fatto a lui ed a Bianca. Ma quella sua smania s’era risolta in un pensare doloroso alla scoperta del primo amore di Bianca; [p. 359 modifica]scoperta che per lui nasceva come una nube levatasi in un bel giorno di primavera, ad offuscare il sole, quando si ha tanto desiderio di calore e di luce. E rifacendo colla memoria la vita dei mesi passati, rivide sè stesso, quale doveva essere stato da principio, allora quando preso d’amore e non essendogli dato d’avere uno sguardo dalla donna amata; s’era sentito venire addosso tanta malinconia, da non essere più quello d’una volta agli occhi dei commilitoni maravigliati. Rammentò come avesse tribolato molto per cavarsi dal cuore quella montanina, la quale aveva fatto a lui un senso, che da nessuna donna gli era stato mai fatto; e la ostinatezza in cui s’era messo per ottenerne l’amore, mentre essa non badava a lui, gli pareva adesso la maggior colpa che avesse commesso in sua vita, proprio come aveva detto alla zia Maria.

«Folle che io fui — sclamava — a non pensare che in Italia le fanciulle a diciott’anni, hanno il cuore preso da un pezzo! L’ho voluta e mi sta bene. E qual dritto ho io di rimproverare una donna perchè serba memoria d’un uomo che amò, quando i luoghi dove nacque l’amor suo, le stanno sempre dinanzi...!» In questi pensieri l’animo gli ribolliva, e penava a non lasciarsi pigliare dall’ira; ma gli tornavano nell’orecchio le parole della cieca, la quale gli avea accertato che Bianca e quell’altro non si erano parlati mai. Così gli si abbelliva a poco a poco l’immagine della donna sua; e l’amore puro da essa custodito finchè egli non era venuto a turbarla, cominciò a parergli la dote più nobile che Bianca gli avesse portato. Si sentiva quasi disacerbato; si lodava di essere andato dalla zia Maria a sincerarsi l’animo; e col capo pieno di disegni e di pentimenti, non vedeva l’ora di essere a D... per baciare la mano alla sposa e chiederle perdono.

Vi giunse che mancavano poche ore all’alba; e trovò Bianca seduta a piè del letto, in atto che pareva inconsolabile. Al vederla così mesta, egli si fermò sulla soglia [p. 360 modifica]un tratto; ma non potè tenersi che non corresse colle braccia tese verso di lei; e levandola dolcemente in piedi, e guardandola nel volto pallida e segnata di pianto recente, colla voce che seppe fare più dolce, le disse:

«Bianca, e non parli?

«E chi oserebbe parlarvi? Un’altra volta, prima di partire in quella guisa crudele, cacciatemi di casa che sarà meno spregio!

«Odi — rispose il marito — se ho provato il bisogno di correre a C...; se ho voluto parlare alla zia; se torno chiedendoti perdono, io che non lo chiederei a nessuno offeso da me, e piuttosto morirei per punirmi colle mie mani; vorrai che m’inginocchi davanti alla donna mia? Bianca, abbandoniamo e presto queste montagne; soltanto lungi di qui potremo vivere pienamente felici...!

«Questi non furono i nostri discorsi! — sclamò Bianca: — già me ne sono accorta; prima il paese dove io sono nata, poi vi verrò a noia io stessa...!

«Mi verrà a noia la vita! — proruppe egli allora rifatto severo: e fu l’ultima parola, perchè Bianca non osò più aprir bocca; nè a lui parve di poter più dire senza cadere col discorso sopra l’antico amore di lei; amore che non avrebbe mostrato di conoscere a nessun prezzo, più apertamente di quel che aveva già fatto.

Mentre essa tornava a rannicchiarsi timidamente, egli si affacciò al balcone; e il suo sguardo per quella oscurità andò a posarsi sul vicolo della riva sinistra del torrente, dove a quell’ora si vegliava in una sola casa, come si vedeva alle finestre or l’una or l’altra illuminate. «Pare fatto per dispetto!» pensò tra sè; e toltosi dal balcone chiudendone le imposte con mal garbo, si ritirò nella sua camera senza più dir nulla alla sposa.

Quella ove aveva visto i lumi era la casa della signora Maddalena, la quale stava in quell’ora aspettando Anselmo, che venisse a pigliare col calesse Marta e lei; per portarle verso i luoghi della marina, dov’era Giuliano. Perchè dopo le novelle recate da Mattia, la [p. 361 modifica]signora si era sentita entrare una smania, che le pareva di non poter più vivere senza andar a raggiungere il suo figliuolo. La partenza era stata fissata per l’alba; ed intanto che Marta preparava un po’ di roba da portar via, Tecla la aiutava, sentendosi crescere lo sgomento di rimanere sola.

Così le poche ore che mancavano all’alba, passavano volando per la giovinetta, e facendosi secoli per la signora già pronta; la quale guardando Marta affaccendata e rinfronzita, aspettava e sorrideva.

La vecchia vestiva certa sua vesta d’indiana scura, tempestata di fiorellini rossi e minuti, ornata alle ascelle di rigonfi, ai quali si innestavano molti svolazzetti somiglianti ad ale di pipistrelli. Le maniche della veste erano così strette, che le braccia sebbene aduste vi capivano a fatica; un grembiale ampio, d’altra indiana meno scura, le cingeva i fianchi fin sulle reni; e due fazzoletti stampati di frutta e di fiori a colori, assai vivi, le coprivano l’uno il capo, l’altro le spalle, facendo una strana cornice alla sua faccia, massime alla fronte, sulla quale si vedeva un pensiero, piccino ma sempre desto, ma sempre in moto come uno sgricciolo, dare il guizzo tra le grinze che facevano mazzo lì verso le ciglia, in cima a quel suo nasetto, curvo come un rostro, e di espressione diversa da quella sì dolce de’ suoi occhi,

Alfine il calesse arrivò sul piazzale. La signora udendolo si levò in piedi; e voltasi a Tecla le disse: «Mi sento così forte che proprio sarebbe peccato se io non andassi:.. Tu Tecla sta da buona figliuola... tu rimarrai al mio posto. La farai da padrona, e accoglierai i forastieri, se qualcuno ne capiterà, mentre io sarò lungi. Ecco, queste sono le chiavi..., tu le conosci tutte. Dormirai nella camera che ti piacerà meglio, e tuo padre e tua madre ti terranno compagnia. Userai d’ogni cosa come fosse tua; ritirerai la roba dai coloni, ne terrai conto sul libro di casa, darai gli ordini per la vendemmia..., impara a diventar massaia, che quanto a noi chi sa quando ritorneremo. Se [p. 362 modifica]colà si sta nulla nulla bene, non ci verrà in mente di rivenire quassù, no. Allora scriverò che tu mi mandi quello che mi bisognerà, e potrai venire con tuo padre a portarlo. Vedrai i bei paesi! Là, quando noi si muore dal freddo, dalla noia, chiusi in casa dalla neve, là sempre un sole, sempre un’aria dolce, e il mare... Addio Tecla.» E presa tra le mani la testa della giovinetta, che pareva non aver più senso di nulla, la baciò in fronte, e s’avviò verso il piazzale.

Marta rispettosa più che non fosse mai stata tutta quel tempo, in cui i suoi riguardi verso Tecla erano cresciuti ogni giorno, le disse: «Avete inteso? il Signore vi vuol proprio bene! Pregate per la padrona e per me. Addio.» — E datole anch’essa un bacio, andò a raggiungere la signora, recando una sporticella, nella quale aveva raccolto cacio paesano, pane, frutta, tanto da potersi rifocillare tra via, come se fuori di casa fosse stato il deserto.

Tecla sin dalle prime parole della signora s’era sentita uno sbalordimento, e si reggeva al tavolo, perchè le gambe non volevano tenerla ritta. Ma quando lei e Marta furono scomparse dall’uscio, quel vedersi sola la scosse, e a passi concitati andò fuori per raggiungere la signora. Il calesse partiva in quel punto, portando le due viaggiatrici, le quali si volsero addietro, videro la giovinetta colle braccia tese; la salutarono colla mano, e subito trapassarono l’arco che loro la tolse di vista.

Allora Tecla diede uno sguardo a suo padre, che tutte quell’ore era stato ad aiutare Anselmo ad arnesare; un altro ne diede alle chiavi avute dalla signora, e lasciandole cadere: «no, no! — sclamò — io non voglio, non voglio... O signora Maddalena, o padre mio, rimenatemi a casa vostra!

«Via — diceva Rocco raccattando le chiavi, e non sapendo capire come tanto onore tornasse sgradito alla figlia, — via, che tu sei pazza e tiri i calci al pan bianco... andiamo.» [p. 363 modifica]

E la menava dentro, lieto di quella ventura, parendogli di essere da colono diventato gastaldo copioso d’averi per i belli occhi di lei; e già pensava alle cento cose che avrebbe fatto mentre che la signora sarebbe rimasta lontana; ed in cuor suo tornava ad augurarle la buona andata.

Questa in verità non poteva da principio essere migliore, e il sole s’era alzato di poco, che già il calesse aveva oltrepassata la terra di R... intorno alla quale giostrava una grossa banda d’Alemanni, che sciupavano i prati altrui, immollandosi nella guazza a procacciarsi doglie per la vecchiaia. A un certo punto dove l’aspetto della via era più selvaggio, sorgeva su d’una roccia un pilastrone, nel quale era cavata una nicchia, e un pennello onesto vi aveva dipinto una Madonna Addolorata, che sovrastava ad un viluppo di fiamme e di teste, messe là dal pittore a spasimare nel purgatorio. Quella dipintura sta anco ai dì nostri, che par fatta ieri; e gli abitanti della terra non vi passano dinanzi senza inchinarsele, pensando che in età più tristi toccò chi sa quanti cuori di ribaldi, che facevano guerra alle strade.

Là le viaggiatrici si abbatterono in due personaggi che venivano cavalcando dalla parte di C..., ma non erano due ribaldi; bensì uno frate francescano su d’un’asina lenta, l’altro gentiluomo su d’un muletto, che pareva stizzito d’essere tenuto a paro e sì tardo con quella.

Costoro si scansarono per lasciar largo il passo al calesse, e il gentiluomo alla vista di chi vi era dentro, diede un guizzo, arrossì, nè potè stare che passando oltre non si recasse la mano al cappello. Il frate salutò chinando la testa reverente.

«Oh! oh! — sclamò Anselmo — son mattinieri il signor Fedele di C..., e il predicatore che avevamo a D..., la quaresima passata!» — E girata un tantino la gota sulla spalla, e tenendo un occhio al cavallo e l’altro alla signora Maddalena, soggiunse: — «Forse il signor Fedele va a visitare quella sua figliuola maritata ad uno di quei generali Alemanni, che abita in castello...» [p. 364 modifica]

La signora Maddalena, cui la vista del padre di Bianca aveva tornato a mente l’apparizione di costei all’arco del suo piazzale, s’era sentita correre un gelo per la persona. Ora le parole d’Anselmo le fecero pensare quanto più lieto di lei, doveva essere quel padre che andava a visitare la sua figliuola felice; e non potè frenare un sospiro, Anselmo temendo di darle noia, schioccò la frusta, e tirò diritto al fatto suo: ma ahimè! quella donna che partendo di casa aveva trovato così bello il cielo, i campi, la compagnia; parve ad un tratto condotta a forza e rassegnata a qualche mala ventura. Già tutta l’allegrezza di mezz’ora prima, si mutava nello struggimento degli altri giorni.

Marta, pur non osando dir nulla, vedendo in faccia alla padrona i segni dell’animo scompigliato, stava tutta occhi, temendo che le pigliasse male. E per questo non badava a un rumore come di tuono lontano, che veniva non si poteva dir bene da qual parte; e quasi non udiva certe esclamazioni, in cui usciva Anselmo, come parlasse a sè stesso.

«O che adesso siamo al temporale? — diceva egli — eppure non veggo una nuvola larga come un luigi d’oro, chi la volesse pagare!» E alzava gli occhi a guardare il cielo, terso da un capo all’altro come uno specchio. Ma quel rumore, quel mugolìo, cresceva cresceva; il pover’uomo stupiva sempre più; e ad ogni svolta donde si potesse scoprire più lontano, avrebbe giurato di vedere spuntare all’orizzonte le nuvole malvagie piene di tempesta.

Mentre egli pensava all’uve, alla grandine e al ricolto pericolante; la signora toccando Marta leggermente col gomito, le additò di là del torrente una viuzza aspra, che menava ad un casale, accovacciato in fondo a una valletta squallida e brulla. Marta guardò, e vide una compagnia di contadini, i quali facevano corteo ad un feretro coperto d’un lenzuolo bianco, e portato da quattro disciplinanti.

«Là c’è un morto; disse segnandosi Anselmo, che [p. 365 modifica]forse udendo qualche verso delle litanie dette dietro quel feretro, aveva posti gli occhi addosso alla comitiva: «il Signore abbracci l’anima sua.» E si mise a bisbigliare qualche preghiera.

L’ora, la vista che facevano quei camminanti, le pietose parole d’Anselmo, rozzo uomo, e buontempone, aggiunsero tanto allo stato della signora Maddalena, che il suo pensiero si arrestò lì. In cambio del morto vide colla fantasia sè stessa al gran passo, e una voce interna le disse: «colui se non altro ebbe il conforto di spirare tra i suoi; ma tu quando sarà la tua ora, dove morirai e come; e in man di chi?» Morire per essere sepolta nella chiesa del suo villaggio, là dove erano stati chiusi suo marito, il suocero, la suocera, tutti i parenti ch’essa non aveva conosciuti, e che avrebbe trovati nel sepolcro e nell’eternità, era cosa cui pensava talvolta anche con certa gioia; ma andare a giacere in altre tombe, quale sgomento!

Essa si sprofondava in questi pensieri; e il calesse giungeva là dove la valle s’allarga improvvisa nella pianura di C..., ampia e deliziosa, com’è descritta in sul principio di questa istoria; e nel lato opposto a quello donde il calesse arrivava, chiusa dai monti di San Giacomo, del Settepani, da tutta la giogaia; sui fianchi della quale, gli uni di là, gli altri di qua, si fronteggiavano da mesi, e assai da vicino, gli imperiali e i repubblicani.

Le selve di quei luoghi aspri, parevano in quel momento incendiate; e al fumo che sorgeva a viluppi in parecchie parti, s’indovinava una battaglia, della quale non si udiva che quel mugolio, parso ad Anselmo di tempesta vicina.

«Oh! oh! — sclamò egli, fermando il calesse così d’un tratto, che le viaggiatrici n’ebbero scossa la persona — altro che temporale! Vegga, vegga, signora Maddalena, non vede che guerra su quei monti lassù?»

La signora Maddalena strappata a’ suoi pensieri lugubri dalla scossa e da queste parole, sporse il capo [p. 366 modifica]guardando da quella parte, verso la quale Anselmo teneva tesa la frusta: e Marta balzata in piedi sul calesse, si faceva colla mano solecchio per vedere meglio quello scompiglio lontano.

«Oh poveretti noi! di lassù a qua non vi sono sette ore di cammino...» cominciava a gridare Anselmo.

«Correte, frustate, chiedetemi il sangue, purchè s’arrivi! — interruppe la signora — mio figlio è lassù... lo sento... lo so... me l’uccideranno! correte..., o Anselmo, non mi volete portare? Oh la guerra! la guerra! anderò da me...!»

E fece atto di discendere dal calesse, ma non le riuscendo ricadde sul sederino, cogli occhi fuori di punto, colle labbra aperte, come se volendo gridare non lo potesse.

Marta, che in quell’abbandono le aveva cinta la vita colle braccia tremanti, la guardava e non sapeva trovare una parola da dirle. E la signora alzando gli occhi in lei si lamentava con un filo di voce: «ah veramente, io fui sempre una donna malvagia, nevvero Marta? Io ho afflitto mio padre, mia madre, mio marito, non ho santificato le feste, uccisi, rubai..., perchè se no, il Signore non mi tormenterebbe in questa maniera!» E fissando il cielo colla rampogna nello sguardo, abbandonava la gota sulla spalla della fantesca sbigottita, e le sussurrava acconciandovisi come una bambina! «oh! come mi sento male!»

Marta accennò ad Anselmo che desse di volta pian piano; dubitando forte di portarla viva a D... tanto era il martellamento che le sentiva dal cuore: e Anselmo obbedì. Coll’anima tutta negli occhi, e nelle mani, reggeva le briglie del cavallo, facendolo cansare ogni ciottolo, ogni fondo, che fosse per dare al calesse qualche scossone: e fu tanta la sua gentilezza di cuore in quel ritorno doloroso, che in un punto della via, in cui la persona della signora rimase tutta irraggiata dal sole già alto e cocente; discese, strappò da certi castagni della ripa molte [p. 367 modifica]fronde, e di queste si mise a fare sul capo dell’infelice un poco di rezzo. La signora capiva, e stando sempre col capo appoggiato in sulla spalla di Marta, cogli occhi chiusi, tendeva la mano per ringraziarlo, non si sentendo di potergli parlare. S’adoprava egli in questo fatto con gran cura, quando vide comparire il padre Anacleto: solo, mogio, curvo sull’asina; non gli sarebbe bisognato altro che cavalcare colla coda di questa fra le mani, per parere invece che da D..., tornato dalla berlina.

«Oh! il Signore ci manda quel buon frate» bisbigliò Marta cui s’allargava il cuore, e affrettava col desiderio il passo dell’asina che era assai lento; ma il frate venuto innanzi, passò senza badare al calesse, e forse anche senza rammentarsi della storia del Samaritano.

«Sorte che il Signore ci ha fatto un buon par di braccia anche a noi! — disse Anselmo — che se no costui non ci darebbe una mano, manco a pagarlo...!» e avendo finito di intrecciare le frasche, tornò a sedersi al suo posto e il calesse ripigliò la via.

Di là ad un’ora, Anselmo fermava il cavallo sul piazzale della signora Maddalena, che sarebbe stato affollato da quanti vedevano quel ritorno e offrivano servizio; se Marta non avesse pregato la gente di starsi, perchè non era nulla. E la gente si ratteneva rispettosa, ma andava pel borgo a spargere la mesta novella della signora.

Tecla che se ne stava in sala dove s’era seduta il mattino nè si era più mossa, sbigottita della propria solitudine; udito il rumore delle ruote, corse verso l’atrio, di che animo si può immaginarlo. Il suo primo pensiero fu che la signora avendo incontrato tra via Giuliano, se ne rivenisse con lui; ma ohimè! la vide come era abbandonata sulla spalla di Marta, e le parve morente. Se non proruppe in un grido, fu perchè la fantesca glielo spense coll’atto della mano; e la povera signora fu portata da loro, da Rocco, dalle persone amiche arrivate affannose, nel proprio letto. Vedeva, udiva, avrebbe potuto parlare, ma provava una dolcezza ineffabile, a [p. 368 modifica]sciarsi vincere da certa stanchezza accidiosa, che le si diffondeva per la persona, e sentiva come una nebbia che l’avvolgesse. Sorrise a tutti..., accomiatò tutti collo sguardo; e rimasta sola con Marta e con Tecla, fissò il ritratto del marito che pendeva alla parete di faccia all’alcova, e parve cominciare con lui un discorso, e dirgli che era venuta indietro, per morire nel letto su cui anch’egli era morto.