Le piacevoli notti/Notte VI/Favola I
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FAVOLA I.
Grandi sono l’astuzie e gli inganni che oggidì usano e miseri mortali; ma molto maggiori penso siano quelli, quando l’un compare tradisse l’altro. Dovendo adunque con una favola dar cominciamento a’ ragionamenti della presente notte, hommi imaginato di raccontarvi l’astuzia, l’inganno e il tradimento che fece l’un compare all’altro. E quantunque il primo ingannatore con mirabil arte ingannasse il compare, non però con minor astuzia, nè con minor ingegno si trovò esser gabbato da lui. Il che fiavi aperto, se benigna audienzia mi prestarete.
In Genova, città celebre ed antica, furon ne’ passati tempi duo compari: l’uno di quai chiamavasi messer Liberale Spinola, uomo assai ricco ma dedito a’ piaceri del mondo; l’altro, messer Artilao Sara, tutto dedito alla mercatanzia. Questi molto s’amavano insieme, e tanto era l’amore tra loro, che l’uno senza l’altro quasi non sapea vivere. E se occorreva bisogno alcuno, senza indugio e senza rispetto l’un dell’altro si prevaleva. E perchè messer Artilao era mercatante grosso, e faceva molte facende sì sue come d’altrui, deliberò di far un viaggio in Soria. E trovato messer Liberale, suo cordialissimo compare, amorevolmente e con animo sincero gli disse: Compare, voi sapete, e già è manifesto ad ogn’uno, quanto e qual sia l’amor tra noi, e il conto ch’io sempre fei e ora fo di voi, sì per la lunga amicizia già gran tempo fra noi contratta, sì anco per lo sacramento del comparatico che è tra noi. Laonde avendo io stabilito nell’animo mio di andar in Soria, nè avendo persona di cui maggiormente fidar mi possa, che di voi, con baldezza e fiducia sono ricorso a voi per ottener una grazia, la quale, ancor che sia con non picciolo disconcio delle cose vostre, spero però nella bontà vostra e nella benivolenza è tra noi, non me la negherete. Messer Liberale, ch’era desideroso molto di far cosa grata al compare, senza più distendersi in parole, disse: Messer Artilao, compare mio, l’amore e il comparatico contratto tra noi con sincero e reciproco amore, non richiede tante parole. Ditemi liberamente il desiderio vostro, e comandatemi; ch’io son per far quanto voi m’imporrete. — Io, disse messer Artilao, volentieri vorrei che voi, mentre starò fuori, prendeste il carico di governar la casa mia, e parimenti la moglie, sovenendole di tutto quello le fia bisogno; e quanto per lei spenderete, di tanto sodisferovvi a pieno. Messer Liberale, intesa la voluntà del compare, prima lo ringraziò assai della buona openione che di lui tenea e del conto che facea; dopò liberamente li promise, secondo le deboli sue forze, di essequire quanto da lui li fia imposto. Venuto il tempo di andar al viaggio, messer Artilao caricò in nave le sue merci, e Daria sua moglie, che era gravida in tre mesi, raccomandata al compare, ascese in nave; e date le vele al prosperevole vento, da Genova si partì, e con buona ventura al suo viaggio se n’andò. Partitosi adunque messer Artilao e gitosene al suo camino, messer Liberale se n’andò a casa di madonna Daria sua diletta comare, e dissele: Comare, messer Artilao, vostro marito e mio carissimo compare, innanzi ch’egli si partisse di qua, con grandissima instanza mi pregò che le cose sue e la persona vostra raccomandata mi fusse, sovenendovi di tutto quello che vi fia bisogno. Io per l’amorevolezza, che fu ed è tra noi, li promisi di far quanto mi comandava. Però io me ne sono qui ora a voi venuto, acciò che, occorrendovi cosa alcuna, senza rispetto mi comandiate. Madonna Daria, che per natura era dolcissima, sommamente lo ringraziò, pregandolo che non le mancasse nelle sue bisogna. E così messer Liberale le promise. Continovando adunque messer Liberale la casa della comare, nè lasciandole cosa alcuna mancare, conobbe lei esser gravida, e fingendo di non saperlo, disse: Comare, come vi sentete? Vi par forse strano della partenza di messer Artilao vostro marito? Rispose madonna Daria: Certo sì, messer compare, e molti rispetti, e maggiormente per trovarmi ne’ termini che ora mi trovo: Ed in quai termini, disse messer Liberale, vi trovate? Gravida in tre mesi, rispose madonna Daria; ed ho una gravedanza sì strana, ch’io non ebbi mai la peggiore. Il che sentendo, il compare disse: Dunque, comare, voi siete pregna? Così fosse il compare, rispose madonna Daria, ed io sarei digiuna. Dimorando messer Liberale in tali ragionamenti colla comare, e vedendola bella, fresca e ritondetta, in tal maniera del suo amor s’accese, che dì e notte non pensava ad altro salvo ch’a conseguir il disonesto suo desire; pur l’amor del compare lo rimoveva alquanto. Ma spronato dall’ardente amore che lo struggeva, s’accostò a lei, e disse: quanto, comare mia, m’incresce e duole che messer Artilao sia da voi partito, e lasciata pregna, perciò che per la sua presta partenza, egli s’avrà di leggieri domenticato finire la creatura, che nel ventre portate. E da questo forse prociede la mala gravidezza ch’avete. Rispose la comare: Avete voi, o mio compare, cotesta opinione che la creatura che io tengo nel ventre, sia di qualche membro manchevole, e ch’io per questo patisca? — Veramente, disse messer Liberale, io sono di questa opinione; e tengo per certo che messer Artilao, mio compare, sia mancato farle tutte le sue membra intiere. E di qua prociede che uno nasce zoppo, l’altro attratto, e chi in un modo, e chi un altro. — Questo che voi dite, compare, mi va forte per capo, disse la comare; ma che rimedio sarebbe a questo, acciò che io in tal errore non incorresse? — Ah, comare mia! disse messer Liberale; state di buona voglia, nè vi smarrite punto: perciò che ad ogni cosa si trova rimedio, fuori che alla morte. — Io vi prego, rispose la comare, per quell’amore che portate al compare, che mi date questo rimedio; e quanto più presto me lo darete, tanto più vi sarò tenuta, nè sarete causa che la creatura nasca con difetto. Vedendo messer Liberale aver ridotta la comare a buon termine, disse: Comare, gran viltà e scortesia sarebbe che l’amico, vedendo l’amico perire, non gli porgesse aiuto. Potendo adunque io formar lo restante della creatura in quello che manca, vi sarei traditore e vi farei gran torto a non sovenirvi. — Deh! caro mio compare, disse la donna, più non tardate, acciò che la creatura non rimanga impedimentata. Il che, oltra il danno, sarebbe non picciolo peccato. — Non dubitate punto, comare, che servirovvi a pieno. Imponete alla fante che apparecchia la mensa; chè in questo mezzo noi daremo cominciamento alla riforma nostra. Mentre che la fante apparecchiava il desinare, messer Liberale andò in camera colla comare; e, chiuso l’uscio, cominciò accarezzarla e basciarla, facendole le maggior carezze che facesse mai uomo a donna. Il che vedendo, madonna Daria molto si maravigliò; e disse: Come, messer Liberale, fanno così fatte cose e compari colle comare? Ohimè trista! egli è troppo gran peccato; e se non fosse questo, io ve contenterei. Rispose messer Liberale: Qual’è maggior peccato o giacere colla comare, o che nasca la creatura imperfetta? — Giudico esser maggiore quando nasce imperfetta per colpa de’ lor parenti, rispose la donna. — Adunque, disse messer Liberale, voi fareste gran peccato se non mi lasciaste sopplire in quello che mancò il vostro marito. La donna, che desiderava che il parto nascesse perfetto, credette alle parole del compare e non ostante il comparatico, si recò a dover fare e suoi piaceri; e più e più volte si ritrovaro insieme. Piaceva molto alla donna la riforma delle defettive membra, e pregava il compare che non mancasse, come già era mancato il marito. Il compare a cui piaceva il boccone, con ogni studio dì e notte s’affaticava alla riforma della creatura, acciò che intiera nascesse. Venuto il termine del parto, madonna Daria parturì un bambino che in tutto rassomigliava al padre; ed era sì ben formato, che non vi era membro che non fosse in ogni parte perfetto. Di che la donna molto si rallegrava, ringraziando il compare che di tanto bene era stato cagione. Non passò molto tempo che messer Artilao ritornò a Genova; e giunto a casa, trovò la moglie sana e bella: la quale gioiosa e festevole se gli fe’ in contro col fanciullo in braccio, e strettamente s’abbracciarono e basciaro. Intesa messer Liberale la venuta del compare, subito se n’andò a lui, e l’abbracciò, rallegrandosi del felice ritorno e del ben esser suo. Avenne che trovandosi un giorno messer Artilao a mensa con la moglie, e accarezzando il fanciullo, disse: O Daria, oh come è bello questo bambino! Vedesti mai tu il più ben formato? Guarda che aspetto: mira che viso: considera quegli occhi lucenti come stelle! e così di parte in parte il comendava in tutti gli suoi membri. Rispose madonna Daria: Certo nulla vi manca: ma non già per opera vostra, marito mio; perciò che nella partanza vostra, come sapete, di tre mesi mi lasciaste gravida, e il bambino nel mio ventre restò delle sue membra imperfetto: di che ne portava gran sinistro nella gravidezza mia. Onde noi avemo da ringraziare messer Liberale nostro compare; il qual sollecito e diligente con la virtù sua sovenne all’imperfezione del bambino, sopplendo in tutte quelle parti, nelle quali voi avete mancato. Messer Artilao, udite e ben intese le parole della moglie, stette sopra di sè, e quelle li furono un coltello al core, e subito comprese messer Liberale averlo tradito, e contaminata la donna; e da uomo prudente, fingendo di non aver intesa la cosa, tacque, e in altri ragionamenti si mise. Levatosi da mensa, messer Artilao cominciò tra stesso considerare lo strano e vergognoso portamento del compare, il qual sopra ogn’altra persona amava: pensando giorno e notte con qual modo e con qual via della ricevuta ingiuria vendicar si potesse. Dimorando adunque il passionato in tai pensieri, nè sapendo che strada tenere, pur al fine s’imaginò far cosa che gli riuscì, secondo ch’egli voleva ed era il desiderio suo. Onde disse alla moglie: Daria, fa che dimane tu apparecchi da desinare più lautamente, perciò che io voglio che messer Liberale e madonna Properzia sua moglie e nostra comare venghino a desinare con noi; ma fa per quanto hai cara la vita non parli, sofferendo pazientemente ciò che veder e intender potresti. Il che di fare madonna Daria rispose. Partitosi di casa, andò in piazza, e trovò messer Liberale suo compare, e l’invitò con madonna Properzia sua moglie lo giorno seguente a desinar seco. Egli graziosamente accettò l’invito. Venuto il giorno seguente, il compare e la comare andarono alla casa di messer Artilao, ove furono amorevolmente veduti e accettati. Essendo tutti insieme, e ragionando di varie cose, disse messer Artilao: Comare mia, mentre che si cuoceranno li cibi e apparecchierassi la mensa, voi vi farete una zuppa; e menatala in un camerino, le porse un bicchiere di alloppiato vino ed ella, fattasi una zuppa, senza timore alcuno la mangiò, e tutto ’l vino beve. Poi se n’andorono a desinare, e lietamente mangiorono. Appena che avevano fornito di mangiare, che a madonna Properzia venne sì fatto sonno, che non potea tenere gli occhi aperti. Il che vedendo, messer Artilao disse: Comare, voi ve n’andarete un poco a riposare; forse avete la passata notte mal dormito; — e menòla in un camerino, dove gettatasi sopra un letto, subito s’addormentò. Messer Artilao, temendo che la virtù della bevanda non venisse a meno, e li mancasse il tempo di operar quello che nell’animo nascoso tenea, chiamò messer Liberale; e dissegli: Compare, partiamosi di qua e lasciamo la comare a suo bel agio dormire; che forse per esser ella levata troppo per tempo, ha dibisogno di riposare. Partitisi dunque ambiduo ed andatisi in piazza, messer Artilao finse di voler ispedire certi suoi negozij; e presa licenzia dal compare, nascosamente ritornò a casa. E chetamente entrato in camera dove la comare giaceva, s’approssimò a lei; e veduto che dolcemente dormiva, senza che alcuno di casa se n’avedesse, nè che la comare sentisse, quanto più destramente che puote le levò le anella dalle dita e le perle dal collo, e di camera sì partì. La bevanda dell’alloppiato vino già aveva persa la sua virtù, quando madonna Properzia si destò; e volendo levarsi di letto, vidde che le perle e le anella glie mancavano: e levata di letto, or qua or là cercando e ogni cosa sottosopra volgiendo, nulla trovò. Onde tutta turbata uscì di camera, ed a madonna Daria addimandò se per avventura ella avesse avute le sue perle ed anella, e riservate. A cui rispose che no. Per il che madonna Properzia stava molto addolorata. Dimorando la poverella in tal affanno, nè sapendo che rimedio prendere, sopraggiunse messer Artilao; e vedendo la comare tutta affannosa e di mala voglia, disse: Che avete, comare mia, che si forte vi ramaricate? La comare narròli il tutto. Messer Artilao, fingendo nulla sapere, disse: Cercate bene, comare mia, e pensate se in luogo alcuno, che ora non vi soviene, poste le avete, che forse le troverete; e non trovandole, vi prometto da fede di buon compare che io farò tal provisione, che gramo sarà colui che l’avrà tolte. Ma prima che si faccia movimento alcuno, cercate diligentemente in ogni parte. Le comari e le fanti cercaron e ricercaron per tutta la casa, ogni cosa rivolgiendo sottosopra; e nulla trovarono. Il che vedendo, messer Artilao cominciò far romore per casa, minacciando or questo or quello; ma tutti con giuramento dicevano nulla sapere. Dopò, voltosi verso madonna Properzia, disse: Comare mia, non vi attristate, ma state allegra, ch’io son disposto vedere il fine di questo. E sappiate, comare mia, ch’appresso me è un secreto di tanta virtù, che, sia qual esser si voglia che tolte abbia le gioie, io lo scoprirò. Questo intendendo, madonna Properzia, disse: messer compare mio, di grazia vi prego fate l’isperienza, acciò che messer Liberale non mi avesse sospettata, e pensasse di me qualche male. Messer Artilao, vedendo esser venuto il tempo opportuno di vendicarsi della ricevuta ingiuria, chiamò la moglie e le fanti; e dissele che uscissero di camera, e che niuna sia di tanto ardire, che s’approssimi alla camera, se prima non sarà chiamata. Partita la moglie con le fantesche, messer Artilao chiuse la camera, e con un carbone fece un cerchio in terra; e fatti alcuni segni e certi caratteri a modo suo, entrò nel cerchio, e disse a Properzia: Comare mia, state cheta nel letto, nè vi movete, nè abbiate spavento di cosa che sentir potreste, perciò che non mi leverò di qua, che troverò le gioie vostre. — Non dubitate punto di me, disse la comare; che io non mi moverò, nè farò cosa alcuna senza comandamento vostro. Voltatosi allora messer Artilao verso la parte destra, fece alcuni segni in terra: indi alla sinistra ne fece alcuni in aria; e fingendo di parlar con molti, formava varie e strane voci di maniera che madonna Properzia si smarriva alquanto: ma messer lo compare, che di questo se n’avedeva, le dava animo, confortandola che non si smarrisse. Essendo il compare stato nel cerchio per spazio di mezzo quarto di ora, mandò fuori una voce che barbottava, e in tal guisa diceva.
Quel ch’or non trovi e che cercando vai,
Giace nel fondo della val pelosa;
Ch’ivi la tien, chi l’ha perduta, ascosa.
Ma pesca ben, che tu la troverai.
Piacque sì la favola d’Alteria raccontata, che non vi fu altro tutta quella sera che ragionare, pensando con qual astuzia con qual arte l’uno inganasse l’altro: ma la Signora, che vedeva le risa e i ragionamenti troppo oltre prociedere, comandò che al ridere si ponesse fine, e che Alteria con l’enimma l’ordine seguisse; ed ella, senza interporre altra dimora, disse.
Il candido mio nervo duro e forte,
Parte peloso e parte perforato,
Entròvi bianco e asciutto, o dura sorte!
E fuori doppo uscì nero e bagnato.
Onde servir altrui mai non si stanca,
Se ’l duce, che lo guida, non li manca.
Non fu di minor piacere l’enimma d’Alteria recitato, che fusse la favola. E quantunque in apparenza alquanto disonesto apparesse, non però le donne s’ammutirono, perciò che altre volte sentito lo avevano raccontare. Ma Lauretta, che fingeva di non intenderlo, pregòla che l’isponesse. Ma ella sorridendo disse: Signora Lauretta, egli è superfluo portare e crocodili all’Egitto, i vasi a Samo e le nottue ad Atene. Ma pur per farvi piacere, lo isponerò. Dichiarandovi il nervo piloso e perforato esser la penna con cui si scrive; la qual, prima che si mette nel vaso, è bianca e asciutta, ma tratta fuori del vaso, rimane nera e bagnata: e serve al scrittore, che la guida, quanto gli piace. Finita la espositione del bel enimma, Arianna, che appresso lei sedeva, levossi in pie’, ed alla sua favola in tal maniera diede incominciamento.