Le piacevoli notti/Notte VI/Favola II

Favola II

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FAVOLA II.


Castorio, desideroso di venir grasso, si fa cavare tutti duo i testicoli a Sandro; ed essendo quasi morto, vien dalla moglie di Sandro con una piacevolezza placato.


La favola di Alteria non men graziosamente che prudentemente recitata, mi riduce a memoria una facezia non men ridicolosa che la sua, la quale mi fu da una nobil donna poco tempo fa brevemente narrata. E se io non ve la conterò con quella grazia, con quella leggiadria che mi fu raccontata da lei, mi arrete per iscusa, perchè la natura mi ha denegato quello che a lei copiosamente concesse. [p. 16 modifica]

Sotto Fano, città nella Marca, posta al lito del mare Adriatico, trovasi una villa chiamata Carignano, copiosa di bei giovanazzi e di belle femine. Quivi tra gli altri abitava un contadino chiamato Sandro, il più faceto ed il più piacevol uomo che mai la natura creasse. E perchè egli non si metteva pensiero di cosa alcuna, andasse male o bene che si volesse, era venuto si robicondo e grasso, che le sue carni non altrimenti parevano ch’un lardo vergelato di porco. Costui, sendo già pervenuto all’età di quarant’anni, prese per moglie una feminazza non men piacevole nè men grassa di lui, ed era in grandezza ed in grossezza simile a lui; e non sarebbe passata una settimana, ch’egli non si avesse fatto radere la barba, acciò che più bello e più giocondo paresse. Avenne che Castorio, gentil uomo di Fano, giovane ricco, ma poco savio, comperò nella villa di Carignano un podere con una casa non troppo grande; ed ivi con duo serventi ed una femina per suo diporto la maggior parte della state dimorava. Castorio, andando un dì doppo vespro per la campagna, come spesso far far si suole, vide Sandro che col curvo aratro la terra volgeva; e vedendolo bello, grasso e rubicondo, con viso allegro disse: Fratello, non so la causa ch’io sono sì macilente e macro, come tu vedi, e tu sei robicondo e grasso. Io d’ogni tempo mangio dilicati cibi, beo preciosi vini, giaccio in letto quanto mi piace, nulla mi manca, e desidero più che ogn’altro uomo divenir grasso; e quanto più mi sforzo di ingrassarmi, tanto più mi smagrisco. Ma tu mangi lo verno e cibi grossi, bevi l’acquatico vino, lievi su la notte a lavorare, nè mai lo state hai di riposo un’ora; e nondimeno sei sì robicondo e grasso, che è un diletto a vederti. Onde desideroso di tal grassezza, ti prego quanto so e posso, che di tal cosa mi faci partecipe, dimostrandomi il [p. 17 modifica]modo che tenuto hai in divenir sì grasso; e oltre i cinquanta fiorini d’oro che ora darti voglio, promettoti di guidardonarti di tal maniera, che di me per tutto il tempo della vita tua ti potrai lodare e chiamar contento. Sandro, che aveva dell’astuto e del giotto ed era di rosso pelo, ricusava insegnarli il modo. Ma pur astretto dalle lunghe preghiere di Castorio e dal desiderio di avere i cinquanta fiorini, accontentò d’insegnargli la via. E lasciato di arare la terra, si pose con lui a sedere; e disse: Signor Castorio, voi vi maravigliate della grassezza mia e della magrezza vostra, e credete e cibi esser quelli che smagriscono ed ingrassano; ma voi siete in grande errore, perciò che si veggono molti mangiatori e bevitori che non mangiano ma diluviano, nondimeno son sì macri, che paiono lucertole. Ma se voi farete quel che feci io, presto verrete grasso. — E che fatto hai tu? disse Castorio. Rispose Sandro: Io già un anno mi fei cavare e testicoli; e dall’ora in qua io sono in questa maniera, che vedete, grasso. Soggiunse Castorio: Mi maraviglio che non moresti. — Come morire? disse Sandro. Anzi il maestro che me li cavò, me gli trasse con tanta agevolezza e desterità, che quasi non sentii noia alcuna; e dall’ora in qua sono fatte le mie carni come quelle d’un fanciullo, nè mai mi trovai tanto lieto e contento, quanto ora mi trovo. — E chi fu colui che con tanta destrezza, senza che tu sentesti noja, ti trasse e testicoli? Rispose Sandro: Egli è morto. — Ma come si farà, disse Castorio, se egli è morto? Rispose Sandro: Quell’uomo da bene innanzi che morisse m’insegnò quest’arte, e dall’ora in qua ho cavato e testicoli a molti vitelli, poledri e altri animali, i quali sono venuti a maraviglia grassi; e se volete lasciare il carico a me, farò sì che vi partirete contento. — Ma dubito di morte, disse [p. 18 modifica]Castorio. — Come di morte? rispose Sandro. I vitelli, i poledri e gli altri animali, a’ quai trassi i testicoli, non sono per questo già morti. Castorio, che era più che ogni altro uomo desideroso di venir grasso, si lasciò consigliare. Sandro, vedendo il voler di Castorio fermo e saldo, ordinò che sopra la fresca erba subito si stendesse ed aprisse le gambe. Il che fatto, tolse un coltellino, che come rasoio tagliava, e presa la cassa di testicoli in mano e con oglio commune ben mollificata, destramente diede un taglio; e messe due dita nel luoco inciso, con tanta arte e con tanta destrezza gli cavò ambi i testicoli, che quasi non sentì dolore. E fattogli certo empiastro mollificativo con oglio e sugo d’erbe, il fece levar in piedi. Castorio, già fatto cappone anzi eunuco, mise mano alla borsa, e cinquanta fiorini li donò; e tolta licenza da lui, a casa fece ritorno. Non era ancor passata un’ora, che Castorio, fatto eunuco, incominciò sentire il maggior dolore e la maggior passione che mai uomo sentisse; nè poteva trovar riposo, perciò che di dì in dì aumentava il dolore, e la piaga s’immarciva, e rendeva un fetore, che chi s’approssimava a lui, sofferire non lo poteva. Il che venuto all’orecchi di Sandro, fortemente temette, e si pentì aver tal errore commesso, dubitando di morte. Castorio, vedendosi giunto a mal partito, oltre il dolore che avea, salì in tanto sdegno e furore, che voleva al tutto Sandro per uomo morto. E meglio che ei puote, accompagnato da duoi suoi servi, il trovò che cenava; e gli disse: Sandro, tu hai fatta una gentil opera a farmi morire: ma innanzi ch’io moia, faretti sentire la pena del commesso fallo. — La causa, disse Sandro, fu vostra, e non mia; perciò che e preghi vostri m’indussero a farlo. Ma acciò che non paia manchevole nell’opera mia, nè ingrato del beneficio ricevuto, nè sia causa della vostra [p. 19 modifica]morte, domattina verrete per tempo alla campagna: ed ivi porgeròvi aiuto, nè dubitate punto di morte. Partitosi Castorio, Sandro si mise in amaro pianto, e voleva al tutto fuggire, e andarsene in alieni paesi, pensando tuttavia aver gli sbirri alle spalle che strettamente lo legasseno. La moglie, vedendo il marito dolersi nè sapendo la causa del suo dolore, il domandò per che causa sì dirottamente piagnesse. Ed egli di punto in punto le raccontò la cosa. La moglie, intesa la causa del suo affanno, e considerata la sciocchezza di Castorio e il pericolo di morte, stette alquanto sopra di sè; indi, fatta una riprension al marito del pericolo grande che era incorso, dolcemente il confortò, e pregòlo che stesse di buon animo, ch’ella provederebbe sì fattamente, che non li sarebbe pericolo di morte. Venuta l’ora del giorno sequente, la moglie prese i panni di Sandro suo marito, e se li mise indosso, e un capello in capo; ed andatasene alla campagna con e buoi e con l’aratro, si mise a coltivare il terreno, aspettando che Castorio ivi venisse. Non stette molto che giunse Castorio; e credendo che la moglie di Sandro fosse esso Sandro che arasse la terra, disse: Sandro, io mi sento morire se non m’aiuti. Il taglio, che tu mi facesti, non è ancora saldato, anzi è putrefatto, e rende tanto puzzo, che dubito assai di fatti miei; e se non mi porgi soccorso, presto vedrai il fine della vita mia. La moglie, che Sandro parea, disse: Lasciami un poco veder il taglio, che poi provederemo. Castorio, alciata su la camiscia, mostrò la piaga che già putiva. Il che vedendo, la moglie sorrise; e disse: Castorio, voi temete di morte, e pensate il caso esser irreparabile; certo v’ingannate, perciò che il taglio, che mi fu fatto, è maggiore del vostro, e ancora non è saldato, e putisse molto più che la piaga vostra: e nientedimeno mi vedete [p. 20 modifica]robicondo, grasso e fresco come giglio; ed acciò che voi crediate quello ch’io vi dico, vi voglio dimostrar la piaga non ancor saldata. E tenendo una gamba in terra, e l’altra sopra l’aratro, alciossi e panni di dietro; e tratta una rocchetta secreta, inchinò il capo e gli mostrò la piaga. Castorio, vedendo il taglio di Sandro esser maggiore del suo, nè in tanto tempo risaldato ancora, e sentendo il gran fetore che gli veniva al naso, e mirando che egli aveva inciso il membro virile, si rallegrò molto, e pacientemente sofferse ogni dolore e puzzo; nè stette gran tempo che il meschinello si riebbe, e venne grasso, sì come egli desiderava.

Assai risero le donne di Castorio, che era rimaso senza testicoli; ma molto più risero gli uomini, quando la moglie di Sandro gli mostrò la natura, dandogli intendere che ella era Sandro, e oltre che gli erano tratti i testicoli, era anco stato privo del membro virile. E perchè niuno si potea astenere dalle molte risa, la Signora, percotendo mano con mano, fece atto che ogni uno tacesse, e che Arianna con un festevole enimma l’ordine seguisse. La qual, per non parer meno delle altre, così disse:

Ponetevi a boccone, se ’l vi piace,
     Chè a mano a mano vi farò quel fatto.
In man piglio la cosa, ch’indi giace;
     E nel forame ghe lo pongo un tratto.
Non vi tergete punto, state in pace;
     Chè vi prometto, per espresso patto,
Di non venir a fin di questa danza.
     Che d’avantaggio v’empirò la panza.

Agli ascoltanti parve alquanto vergognoso l’enimma da Arianna raccontato. Per il che la Signora, riprendendola con mordaci parole, dimostrò che era non poco [p. 21 modifica]adirata. Ma ella, che era piacevole e faceta, con allegra faccia disse: Signora, a torto vi adirate meco; perciò che l’enimma mio porta seco ridicoloso effetto, e non disonesto. Quando all’infermo volete porre il serviziale, no ’l fate stare a boccone, ciò è col corpo in giù? dopò prendete in mano la cosa, ciò è il serviziale, e rappresentate al forame? E perchè l’infermo contra sua voglia lo riceve, non gli dite che non si torga? e con la decuzione non gli empiete la panza? Adunque il mio enimma non è così disonesto, sì come voi il facevate. La Signora, udita ed intesa l’ottima interpretazione del ridicoloso enimma, s’acquetò; e concesse che ciascaduna dicesse quello le paresse, senza aspettare riprensione alcuna. Cataruzza, a cui il terzo luogo del favoleggiare toccava, vedendo la Signora acquetata, e aver dato ampio campo di ragionare, alla sua favola animosamente diede principio, così dicendo.