Le meraviglie di Milano/Note
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Traduzione dal latino di Ettore Verga (1921)
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NOTE
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(1) Le indicazioni cronologiche contenute in questo esordio lasciano intendere che Bonvesino incominciò quest'operetta dopo il febbraio del 1288 e la finì sui primi del 1289.
(2) Per le etimologie del nome di Milano vedi le note 112 e 113.
(3) Allude alla "Storia dei Longobardi" di Paolo Diacono.
(4) Poichè lo stesso Bonvesino dica più avanti che le case in Milano eran circa 12.500, si può argomentare che una metà di esse non aveva pozzo, e si serviva dei pozzi pubblici.
(5) Questi coperti, caratteristici nell'edilizia medioevale, eran piazzette davanti alle case nobili con atrii o portici, d'onde il nome. Di parecchi ci han conservato memoria le antiche carte. Un coperto dei Castani era sulla strada tra il Carrobio e il convento di Santa Marta; in Porta Romana era un coperto di S. Vittore ed uno dei Baroni era in parrocchia di S. Giovanni in Conca. Si ricordano anche i coperti di S. Fedele, degli Zavattari, di S. Sebastiano (anno 1217), di San Marcellino (carta dello stesso anno). Sul corso di Porta Ticinese esisteva ancora nel 1470 un antichissimo coperto di diretto dominio dei parrocchiani di S. Sisto. Sull'ingresso della contrada dei vairari (o lavoratori di vaio), presso il Broletto nuovo (piazza Mercanti), era molto frequentato il coperto dei Giordani. La maggior parte dovettero scomparire nel secolo XVI quando il governatore Ferrante Gonzaga fece un repulisti dell'antica Milano. Il coperto dei Figini, in niazza del Duomo, fu l'ultimo a scomparire: fu abbattuto circa sessant'anni or sono per far posto alla Galleria Vittorio Emanuele ed ai portici settentrionali.
(6) Era costume delle città medioevali di con centrare le funzioni della vita pubblica nella piazza princinale. Milano, riavutasi dalla distruzione del Barbarossa, sentì il bisogno d'una più grande piazza che sostituisse quella dell'antico Arengo situato accanto al Duomo, e fosse il centro della vita cittadina, Corte del Comune, come la chiama Bonvesino, vita ormai complessa ed esuberante. Nel 1228 il Consiglio del Comune ne decretò la costruzione nella località che prese più tardi, e tuttora conserva, il nome di piazza dei mercanti. Sorse prima, 1228. il palazzo centrale, chiamato ai tempi nostri della Ragione, coll'ampio porticato sottostante compiuto nel 1233, nel qual anno si mise mano alla costruzione del salone superiore ove ora ha sede l'Archivio notarile. Sorsero poi tatti intorno altri edifici in modo da formare quella piazza rettangolare, chiusa, e comunicante coll'esterno per mezzo di cinque porte corrispondenti alle cinque arterie della città; la qual piazza mantenne l'antico aspetto fino al suo malaugurato smembramento, cominciato fra il 1867 e il 1870.
Gli altri edifici furono costrutti in quest'ordine: nel 1251 la casa per gli uffici e le carceri del Podestà, che occupò il lato verso la piazza del Duomo e parte dei due laterali e notizie date dallo storico Tristano Calco, del secolo XV, quantunque vaghe, lasciano credere che il benemerito Podestà Riva, a cui si deve la suddetta costruzione, promovesse anche quella di parte almeno dei due lati verso S. Margherita e verso il Cordusio. Nel 1272 sorse la torre fatta costrurre da Napoleone della Torre. Nel 1316 fu riformata, per volere di Matteo Visconti, la loggia degli Osii dalla quale, come pur dice qui Bonvesino, si leggevano al pubblico i bandi e le sentenze. Nel 1336 Azzone Visconti fece compiere il lato verso via Orefici con un edificio a portici occupato più tardi dalle Scuole Palatine.
All'infuori del citato accenno del Calco, nessuna notizia precisa e sicura ci ha indicato in quali anni sia stato costrutto il lato verso S. Margherita, dall'una e dall'altra parte della torre, che fu poi riedificato di pianta nella forma attuale su piani dell'Architetto Seregni, tra il 1564 e il 1654; ma questo prezioso passo di Bonvesino ci lascia intendere che, quand'egli scriveva, nel 1288, quel lato era compiuto; e, poiché egli ci presenta già la piazza come recinta da ogni lato da edifici, è pur lecito supporre che la costruzione di Azzone Visconti, del 1336, sia state piuttosto una riforma di edifici preesistenti.
Per maggiori notizie sulle vicende della piazza mercanti vedi il mio volume: La Camera dei mercanti di Milano nei secoli passati, Milano, Allegretti, 1914.
(7) Meglio che circolare, la forma della città dopo la costruzione del fossato di cinta scavato a mezzo il secolo XII, era ovale, come può vedersi dalle antiche piante topografiche.
(8) Avverte il Novati che, essendo in questo punto il manoscritto guasto e pressochè illegibile, non ci permette di definire l'esatta misura del giro del fossato.
(9) Non si tratta qui, avverte il Novati, degli antichi sobborghi, già da gran tempo incorporati alla città, ma, bensì del circondario esterno, dei cosidetti Corpi Santi, che cominciavano allora a svilupparsi e formarono poi intorno alla città undici gruppi di case.
(10) Qui Bonvesino storpia il nome di Galla Placidia, figlia di Teodosio il Grande e madre di Valentiniano III. e le attribuisce la fondazione della Basilica di S. Lorenzo colle colonne, ancor oggi esistenti, mentre la tradizione raccolta dal cronista di poco a lui posteriore, Galvano Fiamma, le attribuisce solo la costruzione della edicola dove tuttora esiste la pretesa tomba di lei, e chiama S. Lorenzo un tempio d'Ercole fatto costrurre dall'imperatore Massimiano. L'origine della basilica e la storia del bel colonnato sono ancora oggi problemi discussi: molti credono che la chiesa ottagona venisse fondata utilizzando la grande sala centrale delle terme fatte costrurre dall'imperatore Massimiano, del cui peristilio il colonnato sarebbe un residuo. Altri hanno preteso trattarsi d'un edificio eretto appositamente colla caratteristica forma poligonale bizantina com'è S. Vitale in Ravenna.
(11) Per meglio comprendere questo elenco delle terre che, sebbene facessero parte del territorio milanese, non dipendeiano dal Comune, ma erano soggette, temporalmente e spiritualmente, all'arcivescovado o ed altri Corpi ecclesiastici, si ricordi: che Porlezza, Valsassina, Lecco, Valsolda, il Vergante erano feudi dell'arcivescovo di Milano; la valle di Blenio e la val Leventina appartenevano al clero della Chiesa milanese, Campione d'Intelvi, Limonta e Civenna costituivano un feudo del monastero S. Ambrogio di Milano; la Valtellina, col capoluogo Tellio, faceva parte del territorio milanese come la valle di S. Martino in provincia di Bergamo; e ne facevan parte altre terre della odierna provincia di Novara, oltre Galliate e Trecate che qui Bonvesino rammenta le quali ultime eran soggette ai preti decumani della Chiesa milanese; Cannobio, oggi compreso nella diocesi di Novara, fino a tempi recenti fu sottoposto alla giurisdizione della Chiesa di Milano.
(12) Il celebre monastero di S. Maria di Chiaravalle, dei frati Cistercensi, adiacente a Milano, era stato fondato da S. Bernardo stesso nel 1135, secondo la tradizione.
(13) Lacune nel testo.
(14) Il testo dice "in carastii dies" : che cosa questo carastii voglia dire neppure Novati sa spiegare: si tratta forse di un errore del trascrittore. Il testo di Bonvesino sembra dire che v'era una giornata dell'anno destinata a far la rassegna dei malati, e che questo giorno cadesse in quaresima gli sembra di poterlo desumere dal nome di "hospitale sanctae quadragesimae" dato talvolta a quell'ospedale. Comunque sia, il testo lascia intendere che la rassegna si faceva nel tempo in cui era massimo il concorso degli infermi.
(15) Intende l'ospedale pei lebbrosi di S. Lazzaro, fuori di Porta Romana.
(16) La Società degli Umiliati si divideva in tre ordini dei quali il secondo qui menzionato era il principale per digniltà. La casa di Brera era stata eretta avanti il 1159.
(17) I quattro Ordini principali stabiliti in Milano prima della nascita di Bonvesino sono : i Domenicani venuti nel 1221 a insediarsi nella basilica di S. Eustorgio, i Francescani, venuti pure nel 1221 in un convento, con annessa chiesa, da loro fabbricato vicino alla basilica di S. Nabore, poi gli Eremitani o Agostiniani che iniziarono nel 1255 la costruzione della loro chiesa di S. Marco e dell'annesso convento, i Carmelitani cui fu assegnato nel 1268 un luogo nel borgo degli Ortolani.
(18) Il commercio milanese era già a questo tempo d'una attività sorprendente. I mercanti milanesi, e lombardi in genere, frequentavano, desiderati e rispettati, le principali città e le più cospicue fiere d'Europa. Documenti ci parlano della loro frequenza alle famosissime fiere di Champagne e di Brie, le quali decaddero quando essi le disertarono per preferire quella Lione. Nei principali centri commerciali stranieri tenevano loro rappresentanze. Documenti di questo periodo bonvesiniano menzionano, per esempio, un Alberto Medici, rappresentante, o Console, dei negozianti milanesi alla fiera di Nimes, nel 1277, e un Ruggero Casati, nel 1288, proprio nell'anno in cui Bonvesino scriveva.
La Corporazione dei nostri mercanti è tra le più antiche, se non forse la più antica d'Italia; se ne ha notizia fin dal 1159, e probabilmente erano organizzati anche prima. Essa ebbe una parte preponderante nel promuovere la costruzione di grandi strade attraverso le Alpi. Quando Bonvesino scriveva era da poco aperta, grazie specialmente all' attività dei milanesi che ne furono i principali organizzatori, la via del Sempione e resa sicura ai nostri traffici da trattati colle Autorità del Vallese.
Della fama dei mercanti milanesi nelle grandi città europee restano traccie anche oggi: una delle principali strade della City a Londra conserva ancora il nome di Lombard Street; ad Ulma è tuttora una casa, chiamata in dem Mailand, una a Colonia e detta Meilan, e così sono appellate due a Basilea.
Per maggiori notizie su questo argomento vedi il mio volume citato alla nota 6.
(19) A queste strane etimologie non è da prestar fede. I Capitani e i Valvassori nulla hanno che fare col mondo romano; sono dignità feudali e quindi d'origine germanica. I Capitani erano feudatari maggiori, che ricevevano il feudo o dal Re o da grandi dignitari; i Valvassori erano feudatari di grado inferiore, per lo più vassalli degli altri.
(20) La caccia cogli uccelli da rapina ammaestrati era, e fu per lungo tempo, lo svago preferito dalla nobiltà milanese. Si comprende come i nobili facessero a gara nell'allevare il maggior numero di falconi e d'altri uccelli adatti, anche come ostentazione di lusso giacche', come asserisce il Fiamma, il loro allevamento, a base di galline e di prelibata selvaggina, era costoso.
(21) Osserva il Novati che l'inopia del territorio di Como doveva essere nel sec. XIII già da gran tempo proverbiale e cita un sonetto di Fazio degli Uberti dove la si paragona all'opulenza milanese.
(22) E' probabilmente questo uno scherzo licenzioso. Di tali bisticci compiacevasi la letteratura popolare medioevale.
(23) Nei componimenti popolari o giullareschi, che Bonvesino probabilmente conosceva, torna sovente il motivo della nespola come cibo gradito ai signori e odioso alla povera gente. In uno di questi cantari è detta "nimica dei ribaldi".
(24) Di questa alfaneria il Novati non ha potuto trovar notizie negli scrittori antichi, e pensa si tratti d'un errore di trascrizione che abbia così travisato raphanos agria degli antichi. (25) L'Italia non produceva lane fine, ma le importava dalla Germania e dall' Inghilterra. In Lombardia questo commercio si faceva su larga scala, forse fin dal tempo in cui scriveva Bonvesino, certo nei primi decenni del secolo XIV, della famiglia comasca dei Segazoni. (26) Ornices : specie di uccelli che non saprei bene identificare. Forse coturnici, o gallinacci. (27) Il testo dice fiscedule, parola che non trovo nei glossari. Intendeva forse indicare l' anatra guerguedula, detta in toscano fischione. (28) Il moggio milanese per gli aridi era di otto staia. litri 146,234. (29) Elencando i laghi, Bonvesino, preoccupato di amplificare le ricchezze del milanese, ha tenuto conto anche di qualche stagno; e così per fiumi intende anche le roggie e infimi corsi d'acqua. Inoltre, per questa stessa preoccupazione, non si appaga di citare una sola volta i due grandi laghi Maggiore e di Como, ma ne indica a parte varie porzioni come se si trattasse di altrettanti laghi : così noimna un lago di Cannobio, uno di Garlate e uno di Mandello che son parte il primo del Verbano, i due ultimi del Lario. Il Novati si è assunto la fatica di identificare i nomi di questo elenco che spesso appaiono travisati nel manoscritto; e alle sue note attingiamo. (30) Non c'è un lago di Bobbiate : da questa terra, posta sur una collina, si domina il lago di Varese, che Bonvesino non menziona altrimenti. E può darsi che a questo alluda. (31) È piuttosto uno stagno limaccioso vicino al paesello di Sartirana presso Brivio, in Brianza. (32) Il testo dice "Caprizate" che farebbe pensare a Capriate d'Adda; ma vicino a questo paese non è mai stato un lago. E' più probabile si tratti di Cadrezzate, nel mandamento d'Angera, situato sulla riva del piccolo lago di Monate. (33) In provincia di Como. Il vicino paese porta ancora questo nome. (34) Il testo dice lago "de Conserio" e non par dubbio si tratti di quello di Alserio, altrimenti non menzionato. Conserio è tuttavia una terricciuola oggi scomparsa, che esisteva però al sec. XVII, onde al tempo di Bonvesino si sarà denominato il lago. (35) Non vi son laghi di questo nome. Presso il lago del Segrino, vicino a Canzo, è il villaggio di Mariaga; e presso il lago di Pusiano è la cascina Mariaga, di cui si trova menzione anche nel sec.XIV: "cassine de Mayraga" ; il Novati si domanda se all'uno o all'altro di questi laghi alluda l'autore. Ma comunque sarebbe una ripetizione perchè li nomina entrambi. (36) Santa Brigida è un villaggio nella valle Averara in provincia di Bergamo, ma non ha vicino alcun lago. La valle è invece bagnata dal torrente Stabina. (37) Può essere la roggia Spazzola presso Lambrate. (38) Non s'è trovata notizia di questo Andamen che probabilmente sarà stato una roggia. (39) Novati avverte che l'unica notizia da lui trovata di questo « Coironus » è in un privilegio concesso da Federigo I ai pavesi, del 7 dicembre 1191. (40) Nel territorio milanese non si trovano acque di questo nome. Solo in provincia di Bergamo è un Cantone sulla sinistra del Brembo. (41) Neppur il Novati ha potuto identificarlo. (42) E nemmen questo. (43) Idem. (44) Corso d'acqua che prese il nome da un villaggio detto "Rivo frigido" lungo la via da Milano a Bergamo, scomparso. il Rifrigidetto sarà stato un canale derivato da quello. (45) Forse il Liro che passa vicino al villaggio di Consiglio di Rumo nei monti di Gravedona. (46) Non potuto identificare. (47) Il canale cominciato a derivare dal Ticino a Tornavento nel 1179 e condotto, in un primo stadio di lavori, fin presso Abbiategrasso. Ripreso nel 1257 e condotto, per Gaggiano, a Milano. Oggi chiamato il Naviglio Grande. (48) Torrente che nasce dai monti del Varesotto e va a finire nella brughiera di Gallarate. (49) Sarà il torrente Val Mara che scende dai monti della Val d'Intelvi; il nome bonvesiniano Marongia richiama il paese di Maroggia sulla riva destra del lago di Lugano. (50) Non potuto identificare. (51) Idem. (52) Dal paese di Gemonio presso Cuvio (Varese). Affluente del lago maggiore. (53) Questo nome potrebb'essere uno storpiamento di Gravedona, la cittadina lariana presso alla quale sbocca nel lago un torrente. (54) Il Novati pensa al torrente Agno donde nel medioevo la valle si chiamava Agnasca, ora Val d'Agno. O potrebb'essere un errore del copista per Verzasca, valle percorsa da un torrente che si getta nel lago maggiore. (55) Il testo dice Lisca. Ricordando la caratteristica del dialetto milanese che tronca in à la desinenza ate dei nomi di luogo, Bollà, Novà, Osmà, ecc., credo che possa trattarsi di Liscate, paese presso Melzo, menzionato nelle carte medioevali. Novati avanza pure l'ipotesi che si tratti d'un errore per Lisìa o Lixia = Lesa, capoluogo del Vergante, ma mi par meno probabile. (56) Il testo dice Biana. Per la suddetta regione accetterei, senza le riserve del Novati, l'identificazione di questo Biana con Bienate, a cui dialettalmente bene risponde, e Bionà si legge negli Statuti del 1346. Bonvesino avrà voluto indicare qualche torrentello passante per di là. (57) Non potuto identificare. (58) Potrebb'essere uno dei torrentelli che raccolgono le acque delle Groane nel territorio di Senago presso Bollate. (59) Non potute identificare. (60) Accanto a Barasso passa la Guisa che va nel lago di Varese. (61) Una località Scairana si trova in Brianza vicino a Canzo. Ma, quanto ad acque, non è inverosimile l'identificazione colla Scarena, un corso d'acqua oggi ignoto, ma menzionato insieme col nostro Nirone in un documento del 1275 pubblicato dall'Osio. (62) Qui son lacune nel testo. Quale ne sia il contenuto si può ricavare, come ha fatto il Novati, dagli estratti che ne dà Galvano Fiamma nelle sue Cronache, e dai riassunti di alcuni capitoli esistenti in un codice della Biblioteca Ambrosiana, gli uni e gli altri dipendenti da manoscritti differenti, oggi perduti. Si sa così da queste fonti che a tremila ammontavano le ruote dei novecento molini, che ogni giorno si consumavano mille e duecento moggia di farina, che le bestie da soma impiegate a trasportare dalla campagna in città la farina erano più di seimila. (63) Galvano Fiamma accenna a statistiche di cani in Milano e dice che n'erano stati contati 6149 i quali divoravano giornalmente più pane che tutti insieme i cittadini di Lodi. (64) Il sale veniva da Venezia, colla quale Milano aveva convenzioni speciali per questo commercio. Il più antico trattato tra il Comune di Milano e quella repubblica, a noi noto, è del 1268, abbastanza recente quando Bonvesino scriveva. Il pepe, caro e ricercatissimo, formò la delizia dei palati medioevali. Rappresentava una vera ricchezza e teneva talora persino l'ufficio di moneta. Era infatti costume nel medioevo di assicurarsi per mezzo dei propri fittabili o livellari la provvista di quelle derrate e di quelle merci delle quali meno agevole poteva rendersi l'acquisto sul luogo di consumo. Tra queste erano il pepe e l'incenso, spezie che venivano dal Levante; e così, per esempio, nel marzo del 1134 il monastero di S. Gallo faceva una concessione livellaria a Guido Visconti di Milano, col patto che questi gli corrispondesse ogni anno, a titolo di censo, un marco e mezzo d'argento, 12 libbre di pepe e 12 d'incenso. E nel 1313 una signora milanese dava in affitto livellario a un Airoldi una casa pel canone annuo di L. 15 e sei once di piperata, la quale era una miscela di pepe, zafferano e altre spezie, allora in gran voga. (65) Qui Bonvesino non è esatto. La elezione di Ambrogio, secondo la data comunemente accettata, è da porre al 374 anzichè al 355. (66) Allude ad uno degli antichi cataloghi dei Vescovi milanesi, che il Novati crede di poter identificare nel celebre Codice di Beroldo, conservato nell'Archivio del Capitolo della Metropolitana. (67) Si riferisce al Liher Notitiae sanctorum di Milano del prete Goffredo da Bussero (n. 1220 m. dopo il 1289) dove sono enumerati tutti i santi che avevano chiese e altari in Milano e nella diocesi, con molte notizie sui medesimi. (68) La distruzione di Milano avvenne in realtà nel 452. (69) Le due date 706 e 1001 non sono esatte. La prima di queste due prese di Pavia seguì nel 774 e la seconda nel 1004. (70) Qui è successa una confusione imputabile al cronista Landolfo al quale Bonvesino, in questo punto, ha attinto. Si trasporta nel sec. VI, poco prima della discesa d'Alboino, l'assedio che Milano soffrì nel sec. IX per opera di Lamberto da Spoleto (anno 876). (71) E' più esatto dire per nove anni. (72) Non nel 1161 ma nell'anno seguente. (73) Nella chiesa di S. Eustorgio esiste ancora l'urna marmorea che conteneva i pretesi corpi dei Re Magi. (74) Qui Bonvesino sbaglia. Dopo la battaglia di Legnano, l'imperatore e i milanesi non ebbero più a contendere. Furono invece in buona amicizia. (75) L'annegamento di Federigo avvenne due anni prima. (76) Anche questa data è sbagliata. La battaglia di Campomorto fra milanesi e pavesi ebbe luogo il 23 o 24 maggio del 1061. (77) Questo Martinengo è un'alterazione di "Marcinago", oggi Marcignano, dove fu combattuta questa battaglia nel 1132. (78) Allude alla terribile rotta inflitta dai milanesi ai lodigiani nel maggio del 1111, seguìta dalla completa distruzione dell'antica città di Lodi (Lodi vecchio). (79) È la nota opera di Arnolfo. (80) La battaglia data dai milanesi a Corrado fu il 19 agosto del 1037. Ma l'imperatore non si incamminò per la Germania prima del 1038, dopo esser stato a Roma e nel mezzogiorno d'Italia. (81) Il vessillo di mezza lana si connette probabilmente al mito della troia semilanuta di cui alla nota 113. (82) Federigo II morì invece di dissenteria. (83) Qui Bonvesino non accenna che alla prima parte, fortunata, della spedizione dei milanesi contro Cremona, fatta nel 1217; e tace che, dopo il fortunato sacceheggio, i milanesi furono inseguiti sulla via del ritorno dai cremonesi, i quali raggiuntili ad Azzanello li costrinsero a ritirarsi in gran disordine. (84) Anche qui non si tratta di una vera vittoria dei milanesi. La lunga battaglia di Genivolta, presso Soresina, rimase indecisa (giugno 1234). (85) Qui è un pasticcio cronologico. Una spedizione dei milanesi contro bergamaschi e lodigiani non è registrata da alcun cronista. La data può essere alterata. Novati si domanda se il Nostro non alluda alle scorrerie dei milanesi ne' territori di Bergamo e di Lodi avvenute nel 1158 e nel 1193: può essere dacchè fa menzione della distruzione di Lodi vecchio ancor più antica (cfr. nota 78). Ben s'appone il Novati quando crede non casuale, bensì deliberato il silenzio di Bonvesino circa il principal episodio della guerra di Milano contro Federigo II, la battaglia di Cortenuova, 27 novembre 1217, la quale fu disastrosa pei milanesi che vi perdettero persino il Carroccio. (86) Terricciuola presso Chiaravalle, ora scomparsa. (87) Osserva il Novati che se l'imperatore avesse paventato uno scontro coi milanesi, non avrebbe avanzato verso Milano portandosi a Cassino Scanasio. (88) La causa di questa seconda campagna del 1245 contro Milano fu l'atteggiamento dei milanesi dopo che papa Innocenzo IV, nel Concilio di Lione, ebbe deposto Federigo (17 luglio 1245). Avuta questa notizia, i milanesi avevano mandato ambasciatori in Germania ad Enrico Langravio di Turingia, per invitarlo a combattere lo Svevo. (89) Coma è noto la città era divisa in sei regioni, quante erano le Porte principali. Formatosi il Comune, la milizia, necessaria per difenderlo fu divisa in sei legioni, ciascuna comprendente cittadini abitanti nella rispettiva Porta, della quale portava il nome. L'intero corpo, al comando del Podestà, usciva a combattere quando e dove ce ne fosse il bisogno. Ma quando ad un impresa bastasse una parte dell'esercito, si estraevano a sorte coi dadi quella o quelle Porte che vi dovessero partecipare. (90) Pare alluda alla Cronaca di Martin Polono. (91) Il Novati sospetta che questo lombardo Viviano di cui non si ha nessuna notizia, non sia altri che quel Viviano, protagonista della Chevalerie Vivien, che i cantori francesi avevano reso popolare anche in Italia. Il mutamento in lombardo non farà meraviglia quando si ricordi che Orlando fu immaginato Conte d'Angera dai genealogisti viscontei. (92) Bonvesino dice a Firenze, ma equivoca con Ferentino. (93) Guglielnto Pusterla, cittadino veramente insigne di quel tempo, fu Podestà sedici volte in nove Comuni, dal 1190 al 1224, e a Bologna ebbe rinnovata quattro volte la carica. Ne parla il Litta, nelle sue Famiglie celebri: Pusterla. (94) Le fabbriche d'armi di Milano erano già famose al principio di questo secolo e lo furono per gran tempo. Milano era il centro di questa splendida industria in Italia: delle nostre armi son piene, nel medioevo, le tariffe doganali di tutta la Germania; carichi enormi di armature passavano con grande frequenza le Alpi. Le « macchie» son quelle parti delle armi che, essendo destinate a ricevere gli ornamenti e le figure per mezzo del bulino e della azzimina, non erano tirate a pulimento coma si soleva fare per il resto che era ridotto terso e lucente. E i nostri artefici erano famosi nel coprirle di mirabili figure. (95) Ricordiamo il verso di Dante (Purgatorio VIII-80) che accenna a questa usanza : La vipera che il melanese accampa, Queste notizie sono molto importanti perché, contrariamente alla leggenda divulgata poco più tardi da Galvano Fiamma, lasciano intendere che la famosa insegna della biscia viscontea non ha origini gentilizie quale stemma araldico della potente famiglia Visconti, ma, prima di esser tale, fu una insegna comunale offerta dal Comune stesso ripetutamente, in determinate circostanze, a un membro di quella famiglia, in memoria di imprese compiute contro i Saraceni da un antenato della Casata, imprese ricordate da Bonvesino con un accenno generico. Galvano Fiannna volle specificare parlando di un Ottone Visconti che avrebbe valorosamente ucciso un Saraceno portante come distintivo una vipera attorcigliata che egli avrebbe fatto proprio; e in memoria di questo fatto le Autorità milanesi avrebbero concesso il suddetto privilegio. Così la tradizione venne a perdere in verosimiglianza essendo un episodio come quello troppo comune per giustificare così singolare provvedimento; e Galvano svisò la origine dell'insegna facendola diventare un distintivo di famiglia, adottato poi dal Comune, mentre dalle semplici parole di Bonvesino appare il contrario. E Bonvesino dice anche un'altra cosa importante : che la biscia teneva in bocca un saraceno rosso, mentre la tradizionale biscia viscontea, nelle rappresentazioni posteriori, inghiottisce un fanciullo. Gli elementi forniti da Bonvesino hanno indotto un valente studioso milanese, il sac. E. Galli, ad approfondire l'argomento in modo da dare di quella tradizione una interpretazione nuova e molto interessante. Secondo il Galli, il saraceno rosso riporta veramente l'insegna alla prima vittoriosa crociata (1096-1099) alla quale parteciparono largamente le milizie milanesi comandate da Giovanni da Rho, che pel primo piantò sugli spalti della conquistata Gerusalemme il vessillo dei crociati, già fatto proprio dal Comune di Milano. Dopo quella vittoria generale e questa prodezza singolare d'un milanese, una vipera in atto di inghiottire un saraceno poteva in certo modo simboleggiare il lombardo che ha annientato gli infedeli. Ma, pensa il Galli, questa figurazione non dovette nascere d'un getto al termine della crociata, bensì essere lo sviluppo ulteriore di una insegna preesistente: la vipera; le cui origini possono trovarsi in quel serpente di bronzo, creduto lo stesso innalzato da Mosè, per ordine di Dio, nel campo degli israeliti in mezzo al deserto, che l'arcivescovo di Milano Arnolfo II riportò nel 1002 dalla sua ambasceria a Costantinopoli fatta, a nome di Ottone III, all'Imperatore, e solennemente fece erigere sopra una colonna nella basilica di S. Ambrogio dove è tuttora. Intorno a questo segno, ritenuto la miracolosa reliquia mosaica, sorse un culto superstizioso da parte dei milanesi, che era ancor vivo ai tempi di S. Carlo : e non è inverosimile che, partendo nel 1096 per recarsi a combattere in quegli stessi paesi d'Oriente, essi abbian preso come insegna augurale il serpente che ai tempi di Mosè vi aveva operato strepitosi miracoli. Non è inverosimile che l'arcivescovo Arnolfo II desse, al momento della partenza, al Capitano generale dei milanesi, Giovanni da Rho, lo stendardo benedetto del Comune, e al luogotenente, Vice Conte Ottone, affidasse un altro vessillo benedetto coll'insegna del serpente tanto venerato nella basilica Ambrosiana : la prima, insegna dell'assalto, l'altra quella degli attendamenti. I Visconti (che presero appunto il nome dalla carica originaria nella loro famiglia di Vice Conti dell'Arcivescovado di Mi- lano) adottarono poi l'insegna, che il Comune dava per tradizione a uno di loro, come proprio stemma araldico quando, conseguito il dominio di Milano, assunsero tutti i poteri del Comune. (96) Quasi quattro secoli dacché Bonvesino scriveva, l'arcivescovo cardinale Alfonso Litta (1652-1679) avviò pratiche per riavere i corpi venerati, ma il Nunzio apostolico gli tolse ogni speranza. Questi, in una sua lettera, al nostro Bosca, ricordata dal Novati, dava interessanti particolari sul culto onde a Colonia erano oggetto quei corpi: ogni sette anni dal fondo dell'Ungheria venivano a quella città per venerarli circa cinquemila persone. (97) Allude al Decreto di Graziano, parte II, causa XXIV, questione I, capo 32. (98) Quanto Bonvesino scrive in questo punto è copiato letteralmente dall'Historia mediolanensis di Landolfo. Nel citare la fonte ha scambiato il suo autore con Arnolfo. (99) Allude all'opera di Benzointitolata: Ad Henricum imperatorem, libri VIII. (100) Nel citato Decreto di Graziano, parte I, dist. XVII. e VI. Il passo del Decreto di Graziano nel testo di Bonvesino, quale è riprodotto dal Novati, suona così : "Hoc quoque notandum est quod hoc in Concilio et in alia Sinodo Simachi Papa ante Ravenatem episoopum nullum episcopum suscripsisse et respondisse legitur". Novati non s'é accorto che il detto passo viene a dire precisamente il contrario di quanto Bonvesino asserisce. Tutto è dipeso dall'aver letto "nullum episcopum" al posto di "mediolanensis episcopus" Il sottoscrivere si riferisce alla firma dei decreti formulati nei Concilii e il rispondere al prender la parola alla discussione: e l'una e l'altra cosa i vescovi facevano seguendo l'ordine del loro grado. (101) Questa lettera di papa Gregorio è riportata nel citato Decreto, luogo citato, capo VII. La contesa di precedenza tra le due Chiese di Milano e di Ravenna finì colla vittoria di quest'ultima. Ma gli scrittori milanesi evitano di dirlo. (102) La credenza, annota il Novati, che qui Bonvesino esprime circa l'origine del rito ambrosiano, che cioè S. Ambrogio stesso ne sia stato il fondatore era divulgata e indiscussa al suo tempo in Milano. Ma essa non risponde al vero, come non vi rispondono tutte le altre opinioni sostenute da scrittori antichi e moderni, specialmente da quelli che vollero riallacciare la ambrosiana alle liturgie della Chiesa orientale. I competenti giudicano oggi che essa altro non sia se non l'antichissima romana quale, nel primo secolo dopo Cristo, fu portata da Roma a Milano da chi primo venne a predicarvi il Vangelo. (103) Bonvesino confonde, attribuendo ad un Carlo, che dice figlio di Pipino e padre di Carlo Magno, l'ostilità contro il rito ambrosiano eche invece Landolfo attribuisce a Carlo Magno. E che quest'ultimo tentasse di abolirlo è opinione accettata dagli storici più autorevoli. (104) In realtà, il numero dei vescovi suffraganei della Chiesa milanese era ridotto a diciotto, e anche meno, già da gran tempo. Verso la fine del sec. XII erano i seguenti quattordici: Vercelli, Novara, Lodi, Tortona, Asti, Torino, Acqui, Brescia, Bergamo, Cremona, Savona, Ivrea, Alba, Ventimiglia. A questo tempo s'eran già staccati da Milano: Aosta e Coira, tra il 1073 e il 1085. Genova nel 1132 e Albenga nel 1179. (105) Anselmo da Baggio, già vescovo di Lucca, fu assunto al Pontificato col nome di Alessandro II, 10 settembre 1061. (106) Goffredo, che si crede della famiglia Castiglioni, nipote di Urbano III, eletto papa col nome di Celestino IV il 23 settembre 1241. (107) Uberto, o Lamberto, Crivelli, arcivescovo di Milano, fu eletto papa col nome di Urbano III il 25 novembre 1185. (108) Gli imperatori a cui allude Bonvesino, secondo l'ordine dei nomi, debbono essere P. Aurelio Licinio Valerio Valeriano (253-259) e P. Licinio Gallieno suo figlio (259-268). Ma quanto a Valeriano, il Nostro, o la fonte a cui ha attinto, debbono averlo confuso col figlio "Valeriano junore", osserva il Novati, giacche' quello finì la vita schiavo del Re dei Persiani. L'aver fatti milanesi questi rampolli della vetusta Casa romana dei Valeri, continua sempre il Novati, deve dipendere da una erronea interpretazione dei passi di Trebellio e di Eutropio dove si narra come i due fratelli Valentiniano e Gallieno avessero ugualmente incontrata la morte in vicinanza di Milano (268). (109) I sei cardinali mentovati da Bonvesino sono : Pietro da Rho (a quanto pare) di cui gli storici non sanno con precisione indicare l'età. Fiorì a ogni modo nella seconda metà del sec. XII. Galdino da Sala, personaggio illustre. L'8 maggio del 1166 fu creato arcivescovo di Milano. Morì in odore di santità il 18 aprile 1176. Uberto Pirovano, arcivescovo dall'11 novembre 1206. Goffredo Castiglioni è il già menzionato papa Celestino IV. Conte da Casate, fu creato cardinale da Martino IV nel 1281: morì nel 1287. Petrus Grossus, come Bonvesino lo chiama, appartenne alla famiglia milanese Peregrossi o Petrigossi, creato cardinale nel 1288, proprio quando Bonvesino scriveva. Teologo e nomo politico valente. (110) Raimondo, della famiglia dei Torriani che tenne per molto tempo il dominio di Milano. Candidato all'arcivescovado nel 1259, non riuscì per intrighi di avversari che indussero papa Urbano IV a preferirgli Ottone Visconti. Ebbe in compenso il vescovado di Como, quindi, per protezione di Gregorio X, il patriarcato d'Aquileja. Uomo valente e battagliero, ebbe molta parte nella dura lotta che la famiglia sua sostenne contro i Visconti, i quali trionfarono prima della sua morte.
(111) Il sogno di Bonvesino, di una comunicazione per acqua con Venezia, doveva attendere la sua effettuazione fino al sec. XX. In questi ultimi anni s'è concretato il progetto definitivo e sono già iniziati i lavori per collegare la nostra città al mare e dotarla di un porto adeguato.
(112) Latino mirari, che vuol dire, non già mirare, guardare attentamente, ma ammirare. Di queste strambe etimologie, come già abbiamo osservato, si compiacevano i contemporanei di Bonvesino.
(113) Allude al mito della troia coperta il corpo, per metà, di lana, che avrebbero trovato sulla via i fondatori di Milano, onde il nome in medio lanae = Mediolanum. Stranissima etimologia al pari di molte altre. L'origine del nome Mediolanum, accertata dalla critica moderna, è la seguente : presso i Galli che, se non proprio fondarono la città, primi le diedero un'impronta come capitale della regione cisalpina da loro conquistata, ogni regione aveva un centro politico e religioso chiamato il mezzo : midland = terra di mezzo. I romani, subentrati nel dominio gallico, sostituirono alla prima parte della parola la voce latina corrispondente : medio, e mantennero la seconda latinizzandola nella desinenza : land = lanum. La stessa sorte subirono gli altri midland dei paesi gallici, cosicchè si ebbe un Mediolanun, Eburovicun, = Milano degli Eburovici; un Mediolonum Sequanorum o dei Sequani, che vanno assieme al nostro Mediolanum. Insubrum, o degli Insubri, chè così, in modo completo, si appellava.
(114) Quel Gervasio Corio, che si annuncia con sì puerile bisticcio, è il copista a cui dobbiamo la trascrizione del manoscritto di Bonvesino, cui toccò la ventura di giungere intatto fino a noi. Copista invero non diligentissimo, e lo seppe il povero Novati, sobbarcandosi a non lieve fatica per correggere parecchi suoi strafalcioni. Comunque, rendiamogli grazie; chè, senza di lui, non conosceremmo, nella sua integrità, il simpatico libretto bonvesiniano.