Le femmine puntigliose/Atto II

Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Camera prima nella locanda, con bauli e robe su’ tavolini.

Don Florindo, Pantalone e Brighella.

Florindo. Subito, Brighella, ma subito, subito, senza perder tempo, va alla posta, fa attaccare al mio carrozzino quattro cavalli, e fa che il postiglione venga qui col legno immediatamente.

Brighella. Ma volela partir subito? Senza disnar?

Florindo. Non cercar di più, fa quello che ti ordino e torna con la risposta.

Brighella. Vado senz’altro. (Oh che matti! Oh che matti! Qualche volta i troppi bezzi i fa dar volta al cervello). (da sè, parte)

Pantalone. Donca la vol andar via?

Florindo. Quando ritorna a casa la mia signora consorte, voglio [p. 142 modifica] che trovi il carrozzino pronto, e che ritorni meco a Castellamare.

Pantalone. Perchè sta resoluzion repentina?

Florindo. Non voglio soggiacere a maggiori affronti. Ne ho sofferti abbastanza.

Pantalone1. Ma, la me perdona, l’esser pontiglioso xe proprio delle donne; vorla esser pontiglioso anca ela?

Florindo. Il mio risentimento non può chiamarsi puntiglio, mentre, come voi m’insegnate, il puntiglio non è che una pretensione o ridicola, o ingiusta, o eccedente. Ma io non ho che a dolermi del trattamento che qui ricevo, e voglio assolutamente partire.

Pantalone. Se la se fusse degnada de accettar le mie esibizion, no ghe sarave successo sti inconvenienti.

Florindo. Dite bene; quella pazza di mia moglie, col fanatismo della nobiltà in capo, mi vuole esposto agli scherni e alle derisioni.

Pantalone. E ela la xe tanto debole de lassarse guidar da una donna? Da una donna che gh’ha sta sorte de pregiudizi in testa? Da una donna che va cercando el precipizio della so casa?

Florindo. Io sono un uomo di buon cuore. Amo mia moglie, e cerco di compiacerla.

Pantalone. Amar la muggier xe una cossa bona; ma no bisogna amarla a costo della propria rovina2. Un mario che ama troppo la muggier, e che per sto troppo amor se lassa tor la man, se lassa orbar, el xe a pezo condizion d’un omo perso per una morosa3. Perchè della morosa, illuminà che el sia, el se ne pol liberar; ma la muggier bisogna, co el l’ha segondada a principio, che el la sopporta per necessità: e se la morosa [p. 143 modifica] per conservarse la grazia dell’amigo qualche volta la cede, la muggier, cognossendo aver dominio sul cuor del mario, la comanda, la vol, la pretende; e el pover’omo xe obbliga a accordarghe per forza quello che troppo facilmente el gh’ha accordà per amor.

Florindo. Sentite, signor Pantalone, è vero che amo teneramente mia moglie, come vi ho detto; ma se devo dirvi la verità, non è stato l’amore che ho per lei, che mi abbia unicamente indotto a venir a Palermo.

Pantalone. Xela vegnua per negozi? La podeva vegnir senza muggier4.

Florindo. Veramente vi sono venuto più per impegno che per volontà. Quasi tutti i mercanti del nostro rango, prendendo una moglie ricca e di buon parentado, come la mia, sono in una specie di obbligo di far un viaggio con essa, di condurla in qualche città capitale, per darle divertimento e per far quello che fanno gli altri.

Pantalone. Questa xe la più forte rason de tutte. Per far quel che fa i altri, andar in malora per complimento, farse burlar per usanza. Questa xe la rovina dei omeni, questo xe el desordine delle fameggie. Per far quel che fa i altri, se se precipita, se se descredita. A cossa serve le zoggie che costa un tesoro, e che tien morto un capital che poderave fruttar? Per far quel che fa i altri. Perchè se va in malora? Perchè se fallisse? Per far quel che fa i altri. E per far quel che fa i altri, s’ha da far mal! Scusa debole, scusa fiacca, che no fa altro che colorir in ti omeni la mala inclinazion. Se volè far quel che fa i altri, no ghe aveu tanti esempi de zente che opera ben, de zente savia e prudente? Perchè no feu quel che fa questi, e voleu far quel che fa quei altri? Sior Florindo, ve parlo con amor, con libertà da pare, che ve posso esser. Tolè esempio dai boni, no ve curè5 dei cattivi. Perchè [p. 144 modifica] le critiche dei cattivi le finisse presto, con rossor de quei medesimi che le fa, e le lode dei boni le dà credito, le consola e le stabilisse la quiete dell’omo savio e da ben.

Florindo. Voi dite bene, signor Pantalone; ma se sapeste che cosa vuol dire aver una moglie d’intorno, che non s’acquieta mai, forse forse compatireste anche me.

Pantalone. Mi, per grazia del cielo, non ho avù de sta sorte de rompimenti de testa, perchè no m’ho mai volesto manriar; ma me par, che se fusse sta maridà, m’averave volesto inzegnar de far a mio modo.

Florindo. Ma come avreste fatto?

Pantalone. Con una somma facilità, senza andar in collera.

Florindo. Per amor del cielo, ditemi come avreste fatto.

Pantalone. L’averia lassada dir, senza responderghe e senza abbadarghe.

Florindo. E se tutto il giorno vi fosse stata intorno a tormentarvi?

Pantalone. Averia procurà de star con ela manco che fusse pussibile; saria stà in tel mio mezzà, a tender ai mi negozi.

Florindo. E se a tavola non avesse fatto altro che rimproverarvi?

Pantalone. Quattro bocconi in pressa, e via.

Florindo. E se a letto non vi avesse lasciato dormire, per tenzonare6 e gridare?

Pantalone. Saria andà a dormir in t’un’altra camera.

Florindo. E se vi fosse venuta dietro per tutto a strillare, a mortificarvi?

Pantalone. L’averia bastonada. (con impazienza)

Florindo. Bastonare una donna civile?

Pantalone. Bastonarla in una camera serrada, che nissun savesse gnente, per salvar el decoro; ma bastonarla.

Florindo. E poi?

Pantalone. E po la sarave vegnua via umile umile, come un7 agnelletto.

Florindo. Dunque mi consigliereste bastonare mia moglie? [p. 145 modifica]

Pantalone. No digo sta cossa. No son capace de darghe sta sorte de conseggi. Ma una cossa ghe avverto, e po vago via. Le donne le xe come la pasta da far el pan, o troppo tenera, o troppo dura, o bazzotta8 Co l’è troppo tenera, bisogna manizzarla con delicatezza e metterghe della farina, per ridurla a podersene servir. Co l’è bazzotta, ognun xe capace de domarla; ma co la xe dura, ghe vol la gramola e boni brazzi per gramolar. Sior don Fiorindo, a bon reverirla. (parte)

SCENA II.

D. Florindo, poi Arlecchino.

Florindo9. Veramente il signor Pantalone dice bene. Son uomo, sono marito, tocca a me a comandare. Mia moglie dovrà principiar da oggi a fare a modo mio. Saprò farmi obbedire, saprò farmi stimare. Non dico di bastonarla, perchè ella forse bastonerebbe me; ma troverò il modo di ridurla, senza strepito e senza violenza10. Ehi, moro, dove sei?

Arlecchino. Comandar, patron.

Florindo. Hai finito di spazzare i miei panni? Sono all’ordine per riporli?

Arlecchino. Mi aver fatto tutto.

Florindo. Presto dunque, riponi ogni cosa in quei bauli, che or ora abbiamo a partire.

Arlecchino. Come! Partir avanti magnar?

Florindo. Si mangerà per viaggio.

Arlecchino. Ah patron, se mi andar viaggio senza magnar, cascar morto in mezzo de strada.

Florindo. Via, mangerai qualche cosa prima di partire. Sbrigati e termina que’ bauli.

Arlecchino. Dove star maledetto Brighella?

Florindo. Brighella è andato fuori di casa, d’ordine mio. [p. 146 modifica]

Arlecchino. E mi far tutto? Ma se mi fadigar come aseno, seguro voler magnar come porco, patron. (va, e torna con un abito da uomo)

Florindo. Oh, come vuol arrivar nuova a mia moglie questa mia risoluzione!

Arlecchino. Patron, sentir carrozza; vegnir patrona, (con l'abito)

Florindo. Presto, presto, termina il baule; e s’ella t’ordinasse diversamente, seguita a fare il fatto tuo. Dille ch’io te l’ho comandato, che sei in necessità d’obbedirmi; e avverti bene, che se non eseguirai i miei ordini, ti caricherò ben bene di bastonate.

Arlecchino. Per so grazia, no per mio merito.

Florindo. Voglio terminar di vestirmi, per esser pronto a partire. (parte)

Arlecchino. (Mette l’abito nel baule; se ne va a prendere un altro da donna, e mentre va per riporlo, incontra quelli che vengono.

SCENA III11).

Donna Rosaura, il conte Onofrio e detto.

Rosaura. Che cosa fai? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Metter in baula.

Rosaura. Ma perchè?

Arlecchino. Patron comandar.

Rosaura. Non istanno bene gli abiti nel guardaroba?

Arlecchino. No star ben roba a Palermo, se patron andar per viazzo.

Rosaura. Come? Il padrone in viaggio?

Arlecchino. Andar Castellamar subito, senza disnar.

Onofrio. (Oh, questa ci vorrebbe!) (da sè)

Rosaura. E se egli vuol andarsene, per che causa ha da portar seco la roba mia?

Arlecchino. Andar patron, andar patrona e anca povera moretta senza disnar. [p. 147 modifica]

Onofrio. (Peggio). (da sè)

Rosaura. È impazzito mio marito?

Arlecchino. No saver altro; mi metter in baula.

Rosaura. Porta via quell’abito, ponilo dov’era.

Arlecchino. Oh, no poder.

Rosaura. Portalo, dico, che è roba mia.

Arlecchino. No certo, mi no lassar.

Rosaura. Se non lo porti, l’avrai a far meco.

Arlecchino. Se no metter baula, aver da far con patrugna.

Rosaura. O portalo dov’era, o con questo bastone te lo farò portar IO. (prende il bastone di mano al Conte)

SCENA IV12.

Florindo con bastone, e detti.

Florindo. O metti quell’abito nel baule, o ti rompo le braccia. (ad Arlecchino)

Arlecchino. (Star fresca, star fresca). (da sè)

Rosaura. Che intenzione avete, signor consorte?

Florindo. Che andiamo immediatamente a casa nostra.

Onofrio. Senza desinare?

Rosaura. Come? Perchè?

Florindo. Or ora verrà il postiglione col carrozzino attaccato13.

Rosaura. L’ho da saper ancor io. Porta via quell’abito. (ad Arlecchino, minacciandolo)

Florindo. Lascia lì quell’abito. (al medesimo, minacciandolo)

Rosaura. E perchè vorreste fare una simile bestialità?

Florindo. Perchè degli affronti ne ho ricevuti abbastanza.

Rosaura. Niente per altro? Porta l’abito nel guardaroba. (ad Arlecchino, come sopra)

Florindo. Metti L’abito nel baule. (al medesimo, come sopra) [p. 148 modifica]

Arlecchino. (Star fresco, star fresco). (da sè, con paura)

Onofrio. Amico, queste risoluzioni repentine sono per lo più sconsigliate e importune. Pensateci un poco. Fate una cosa; desinate e frattanto avrete luogo a riflettere. (a Florindo)

Florindo. Vi ho pensato tanto che basta. E voi, signor conte Onofrio, in questo non ci avete da entrare.

Onofrio. C’entro, perchè siete mio buon amico.

Florindo. Se foste mio amico, non mi avreste piantato qui come un villano, obbligandomi a venire a piedi, quando voi andavate in carrozza.

Rosaura. Veramente mio marito non dice male, e se non avessi avuto riguardo alla contessa Beatrice, non sarei nemmen io venuta nella vostra carrozza.

Florindo. Ho piacere che ancor voi comprendiate la verità14. (a Rosaura) Metti quell’abito nel baule. (ad Arlecchino, come sopra)

Rosaura. Lascia stare. Portalo nel guardaroba. (al medesimo, come sopra)

Onofrio. Io resto stordito di questa cosa. Non ci ho abbadato. Se mi dicevate qualche cosa, vi dava volentieri il mio posto, ed io sarei stato qui ad aspettarvi, e mi sarei divertito col vostro cuoco.

Rosaura. Sentite? Non l’ha fatto a malizia, non l’ha fatto per disprezzo, ma con inavvertenza. Vi domanda scusa, che cosa volete di più?15 (a don Florindo) Moro, va via con quell’abito. (ad Arlecchino)

Florindo. Fermati. (ad Arlecchino) Ma che abbiamo da fare in Palermo? Che cosa possiamo sperare da queste dame?

Rosaura. Oh, se sapeste, marito mio, quante cortesie ho ricevute, voi stupireste. Non è vero, conte Onofrio?

Onofrio. Verissimo.

Rosaura. Vi era la contessa Eleonora: che galante16 dama! Vi era la contessa Clarice: che dama compita! Mi hanno fatto tante finezze; mi hanno fatto sedere in mezzo di loro, non si [p. 149 modifica] saziavano di lodarmi. Oggi verranno a farmi visita. Stassera verrano tutte alla festa di ballo dalla contessa Beatrice, staranno colà a cena, e noi balleremo e ceneremo con tutte le dame.

Onofrio. E voi ci manderete il vostro salvaggiume e il vostro cuoco17. (a Fiorindo)

Rosaura. (Tutto voglio che mandiate, tutto, anche la cera per il festino). (piano a Fiorindo)

Florindo. Ma come tutto in una volta queste dame si sono mutate?

Rosaura. Basta che una dia principio, tutte le altre corrono dietro. Siamo obbligati alla contessa Beatrice18.

Arlecchino. Porto, o metto? (a Fiorindo e Rosaura)

Rosaura. Vanne.

Florindo. Fermati.

Onofrio. Se sapeste quanto ho operato per voi! Basta, ne parleremo con comodo. Non andate ancora a desinare?

Rosaura. Il conte Onofrio oggi favorisce di pranzar con noi.

Florindo. Mi rincresce che, per la risoluzione di partire, non ho fatto preparar nulla.

Onofrio. Oh! cosa avete fatto? Dov’è il cuoco? (a Fiorindo)

Florindo. Sarà in cucina.

Onofrio. Presto, presto; cuoco, dove siete? Cuoco. Animo: legna, carbone, in quattro salti facciamo tutto. (parte)

Florindo. Presto, al cameriere che trovi il bisogno19. (parte)

Rosaura. Presto, la padrona di casa che dia fuori la biancheria. (parte)

SCENA V20.

Arlecchino, poi Brighella.

Arlecchino. Oh, questa star bella. Cossa mo aver da far? Se star qua, no magnar; se metter roba in baula, patrona bastonar; [p. 150 modifica] se portar guardaroba, patron romper brazza. Mi star imbroiada, come pulesa21 in perrucca tegnosa.

Brighella. Dov’è el patron?

Arlecchino. Brighella, star vegnuda a tempo.

Brighella. Cossa voler?

Arlecchino. Tegnir abita. (gli dà l’abito)

Brighella. Cossa aver da far?

Arlecchino. Quel che ti voler. Cussì mi no metter, mi no portar: nè patron, nè patrona mi bastonar. (parte)

Brighella. Costù l’è un gran matto. Vado a avvisar el patron, che el carrozzin l’è pronto. (parte)

SCENA VI.

Camera d’udienza nell’appartamento di don Florindo.

Donna Rosaura sola.

Manco male, che mi è riuscito di acquietar mio marito. L’aveva fatta la risoluzione, e s’io non arrivava in tempo, trovava i bauli sul carrozzino. Per obbligarlo a restare, non è stato mal fatto ch’io gli abbia dipinto diversamente il trattamento delle due dame22. Veramente, mi hanno fatto ingoiare qualche boccone amaro; ma spero che si cangeranno, e quelle buone grazie che non mi hanno usato stamane, spero che le otterrò questa sera. Con le buone maniere, con le parole rispettose e obbliganti, e coi buoni offici della contessa Beatrice, spero d’ottener l’intento. Mi basta una sol volta poter dire di essere stata in una conversazione numerosa di dame, accolta, trattata e ammessa indistintamente con esse. Dopo ciò, me ne vado immediatamente alla patria; ma per conseguir un tale onore, farei qualunque gran sacrifizio. [p. 151 modifica]

SCENA VII.

Brighella e detta.

Brighella. Lustrissima. Gh’è la siora contessa Clarice in carrozza, che ghe manda l’imbassada per vegnirla a reverir, se la se contenta.

Rosaura. È padrona. Chi ha mandato?

Brighella. El braccier.

Rosaura. Digli ch’è padrona, e poi torna qui.

Brighella. A Castellamar donca no se va più?

Rosaura. No, non si va per ora.

Brighella. Se la sentisse, cossa che dise el postiglion.

Rosaura. Bene, che cosa dice?

Brighella. El dise roba del diavolo. El canta de musica come un sopran; (e mi sotto ghe fazzo el basso). (da sè; parte, poi torna)

Rosaura. Si vede che la contessa Clarice fa stima di me; manda a farmi l’ambasciata per il bracciere, e non per lo staffiere.

Brighella23. (Torna) Ghe l’ho dito.

Rosaura. Presto, prepara le seggiole.

Brighella. Subito. (tira innanzi due seggiole della camera)

Rosaura. No, no, va in sala, prendi una sedia grande coi bracciuoli.

Brighella. La servo. (va, e torna con un seggiolone antico e pesante)

Rosaura. Ho imparato come si fa. Non mi fo più burlare.

Brighella. Eccola qua, la pesa che l’ammazza.

Rosaura. Metti lì. (gli addita il luogo)

Brighella. Dove? Qua?

Rosaura. No, un poco più in là.

Brighella. Qua, come el trono.

Rosaura. E qui la mia. (in distanza dell’altra)

Brighella. E qua la soa.

Rosaura. Vanne, vanne, che vien la Contessa. Alza la portiera. [p. 152 modifica]

Brighella.(Figureve cossa che l’ha da far al so paese. L’ha da far inmattir24tutta la servitù). (parte)

Rosaura. Voglio incontrarla sulla porta.

SCENA VIII25.

Clarice e Rosaura, poi Brighella.

Clarice. Riverisco la signora donna Rosaura.

Rosaura. Serva della signora Contessa.

Clarice. Vedete se vi voglio bene, se vi sono venuta a vedere?26

Rosaura. Onor ch’io non merito, grazia ch’io ricevo27 col più rispettoso sentimento del cuore.

Clarice. Avete desinato?

Rosaura. Signora no, non ho desinato. Ho bevuto la cioccolata, e mi riserbo a cenar questa sera dalla contessa Beatrice. Vi supplico accomodarvi.

Clarice. Perchè mi volete mettere in sedia d’appoggio? Questa è sufficiente. (accenna l’altra, che Rosaura teneva per sè)

Rosaura. Di grazia, fatemi quest’onore. Quella è la vostra sedia, e quello è il vostro luogo.

Clarice. Ma se non m’importa.

Rosaura. Ma se vi prego di questa grazia.

Clarice. (Che ridicola affettazione!) (da sè) Per compiacervi, sederò dove volete, (si prova mettersi a sedere, ma col guardinfante non v'entra, a cagione de’ bracci del seggiolone) Signora donna Rosaura, non sono in grado di ricevere le vostre finezze.

Rosaura. Perchè, signora Contessa?

Clarice. Non vedete? I bracci di questa sedia son tanto stretti, che il guardinfante non ci capisce.

Rosaura. (È vero; non so trovare il ripiego). (da sè) Mi dispiace che in questo appartamenro non vi vono altre sedie distinte.

Clarice. E a me non importa niente. Vi dico che sederò qui. (va a sedere sulla sedia che era per Rosaura) [p. 153 modifica]

Rosaura. Siete padrona di servirvi come v’aggrada. Ehi? (chiama)

Brighella28 Lustrissima.

Rosaura. Senti. Con vostra licenza. (a Clarice; poi parla nell’orecchio a Brighella)

Brighella. Lustrissima sì. (parte e poi torna)

Clarice. E voi, signora, non sedete?

Rosaura. Or ora sederò, se mi date licenza.

Brighella. ( Viene con un piccolo panchettino, su cui Rosaura siede29.)

Clarice. (Oh che freddure, oh che caricature!) (da sè)

Brighella. (E viva i matti!) (parte e poi torna)

Clarice. Nel vostro paese, che è porto di mare e porto mercantile, vi saranno delle stoffe d’oro magnifiche e di buon gusto.

Rosaura. Qualche volta ne vengono delle superbe. Ultimamente ne ho presi tre tagli per far tre abiti, che mi lusingo sieno qualche cosa di particolare.

Clarice. Li avete portati con voi?

Rosaura. Sì signora, con idea di farmi far gli abiti da un sartore palermitano.

Clarice. Mi fareste il piacere di lasciarmi vedere queste stoffe?

Rosaura. Subito vi servo. Ehi? (chiama)

Brighella30. Lustrissima.

Rosaura. Osserva in guardaroba, che vi sono quelle tre pezze di stoffa d’oro; portale qui, e portaci un picciolo tavolino.

Brighella. La servo subito. (Sta a veder che la lustrissima vol far botteghetta). (da sè) Volela anche el brazzolar31?

Rosaura. Animo, sbrigati.

Brighella. (La vorrà guadagnar el viazzo). (parte, poi torna)

Clarice. Mi dispiace darvi quest’incomodo.

Rosaura. È onor mio il potervi servire.

Clarice. Vi prego d’una grazia; se vedete la contessa Eleonora, non le dite nulla ch’io sia stata qui da voi. [p. 154 modifica]

Rosaura. Sarete obbedita. Ma per qual motivo non volete che mi glori d’aver ricevuto le vostre grazie?

Clarice. Se sapesse ch’io son venuta da voi, senza dirlo a lei, lo avrebbe per male.

Rosaura. È puntigliosa?

Clarice. E come! Basta dire che un’altra volta si è disgustata con me per essermi vestita da estate, senza averla avvisata.

Brighella32. (Col tavolino e le tre pezze di stoffa; poi parte.)

Rosaura. Ecco quanto ho portato meco in tal proposito.

Clarice. Questa è vaga, ma poco ricca.

Rosaura. Riesce meno pesante.

Clarice. Questo è un colore che non mi piace.

Rosaura. È colore moderno.

Clarice. Oh, questa poi mi piace infinitamente.

Rosaura. Veramente non può negarsi che non sia di buon gusto.

Clarice. Quante braccia sono?

Rosaura. Ventiquattro.

Clarice. Il bisogno per un andrienne. Ditemi, ve ne privereste?

Rosaura. Veramente l’ho provveduta per mio uso; ma quando si tratta di servire la signora Contessa, non ho difficoltà di privarmene.

Clarice. Vi ringrazio infinitamente. Quanto vi costa il braccio?

Rosaura. Quando vi degnate riceverla dalle mie mani, non avete da curarvi di saper quanto costi.

Clarice. Oh, non sarà mai vero ch’io la riceva, senza ch’io vi rimborsi del valore.

Rosaura. Non posso meritar questa grazia?

Clarice. No assolutamente.

Rosaura. Quand’è così, per obbedirvi vi dirò ch’ella mi costa tre zecchini il braccio.

Clarice. Non è cara. In tutto quanto importa?

Rosaura. Il conto io non lo so fare.

Clarice. Aspettate, lo farò io. Ventiquattro braccia, a tre [p. 155 modifica] zecchini il braccio. Tre volte ventiquattro. Venti e venti quaranta e venti sessanta. Quattro e quattro otto e quattro dodici; sessanta e dodici quanto fa? Sessanta e dieci settanta, e due settantadue. Importa settantadue zecchini.

Rosaura. E verissimo. Settantadue zecchini33.

Clarice. Stassera vi porterò il denaro dalla contessa Beatrice.

Rosaura. Siete padrona.

Clarice. Che bella stoffa! Non si può far di più. Il disegno è vago a maraviglia, l’oro non può esser più bello. È un drappo che in Palermo non ho veduto il compagno.

Rosaura. Ho piacere che la signora Contessa sia contenta.

Clarice. Credetemi che, oltre il pagamento, mi avete fatto un gran regalo. Bisogna poi dirla, gran Parigi! In Italia non sanno fare di queste stoffe.

Rosaura. Eppure, signora Contessa, assicuratevi che questa stoffa è fatta in Italia.

Clarice. In Italia!34 Dove?

Rosaura. Io so di certo ch’è stata fatta in Venezia.

Clarice. Quando non è di Francia, compatitemi, non la voglio.

Rosaura. Ma s’è tanto bella; se non si può fare di più!

Clarice. Non importa; per esser bella, deve esser di Francia.

Rosaura. Queste altre due pezze sono di Francia, e non hanno che fare con questa.

Clarice. Lo voleva dire che queste due erano di Francia. Vedete che finezza d’oro?

Rosaura. Eh, signora Contessa, è l’opinione che opera. In Italia sanno lavorare al pari di Francia, ma fra noi altre donne corre un certo puntiglio, che la roba forestiera sia meglio dell’italiana; e se i nostri artefici vogliono vendere con riputazione i loro lavori, è necessario dare ad intendere che sono manifatture di Francia, e così sacrificando al maggior guadagno la propria estimazione, si scredita la povera Italia per la falsa opinione degl’Italiani medesimi. [p. 156 modifica]

Clarice. Dite quel che volete; ma io non voglio alcuna stoffa 35, se non è forestiera.

Rosaura. Queste altre due sono forestiere.

Clarice. Non mi piacciono.

Rosaura. Dunque?

Clarice. Dunque scusate l’incomodo che vi ho recato. (s’alza)

Rosaura. Volete privarmi delle vostre grazie?

Clarice. In altro tempo goderò della vostra conversazione.

Rosaura. Questa sera, dalla contessa Beatrice. Credo che vi sarà qualche poco di ballo.

Clarice. Fa invito?

Rosaura. Non lo so. Voi siete attesa.

Clarice. Verrò a vedere. (Mi daranno regola le circostanze). (da se) Signora donna Rosaura, vi riverisco. (s’incammina per partire)

Rosaura. Serva divota. (resta al suo posto)

Clarice. (Non fa grazia d’accompagnarmi nemmeno alla porta?) (da sè, e si ferma)

Rosaura. Signora, vi occorre qualche cosa?

Clarice. Queste tappezzerie l’avete portate voi? (camminando)

Rosaura. Signora no. (la seguita)

Clarice. In quest’altra camera qui, chi ci sta? (camminando)

Rosaura. Vi è il guardaroba. (la seguita)

Clarice. Da questa porta si va in sala? (camminando sino alla porta)

Rosaura. Signora sì. (la segue sino alla porta)

Clarice. Basta così. Non occorr’altro. (parte)

SCENA IX.

Rosaura, poi Brighella.

Rosaura. Ora capisco. Si è voluta far accompagnare sino alla porta. Sin dove arriva il puntiglio! Ambisce di essere complimentata anche per forza, anche in luogo ove nessuno la vede. Non importa, voglio soffrir tutto, per superare il mio punto36. Se [p. 157 modifica] arrivo ad essere ammessa e ben accettata in una pubblica conversazione di dame, son contenta; ma se ciò non mi riesce, prima di partir da Palermo, voglio lasciare qualche memoria di me.

Brighella37 Lustrissima, un’altra visita. L’è qua la signora contessa Eleonora.

Rosaura. La contessa Eleonora? Che stravaganza è questa! E dov’è ella?

Brighella. In carrozza, che l’aspetta la risposta dell’ambassada.

Rosaura. Ha veduto la contessa Clarice?

Brighella. L’è arrivada giusto in tempo, che la signora contessa Clarice montava in carrozza. Le s’ha fermà tutte do, le ha fatto un atto d’ammirazion, e po le s’ha parlà sotto vose, ma mi ho sentido tutto.

Rosaura. E che cosa hanno detto?

Brighella. Ha dito la signora contessa Eleonora a quell’altra: Che cosa fate qui? Responde la signora contessa Clarice: Sono venuta dalla mercantessa a comprar ventiquattro braccia di stoffa d’oro. Brava! (ha dito la signora contessa Eleonora:) ed io vengo a comprare della tela d’Olanda.

Rosaura. Possibile che abbiano parlato così?

Brighella. Le ha dito cussì, in coscienza mia.

Rosaura. (Ecco il puntiglio! Una non vuol far credere all’altra d’aver della stima per me. Ma ancora mi convien dissimulare; quando sarà tempo di parlare, parlerò). (da sè) Porta via questo tavolino con queste stoffe, acciò non dica che io vendo la roba a braccio, e di’ al bracciere che venga pure, ch’è padrona.

Brighella. (Che bella cosa! Vegnir a Palermo a spender i so quattrini38 per farse burlar), (da sè; parte col tavolino, poi torna)

Rosaura. Parmi un sogno che la contessa Eleonora venga a casa mia, dopo la scena fatta in casa della contessa Beatrice. O viene per iscusarsi, o viene per insultarmi. Nel primo caso sarebbe troppo umile, nel secondo troppo ardita. Ma siccome [p. 158 modifica] saprei far buon uso delle sue giustificazioni, così saprei anche rispondere alle sue impertinenze. (vedendo ritornar Brighella)39 Ebbene, dov’è la contessa Eleonora?

Brighella. No la s’incomoda, che l’è tornada indrio.

Rosaura. È ritornata indietro? Perchè?

Brighella. Perchè vussustrissima ha fatto aspettar el braccier, avanti de darghe la risposta.

Rosaura. Asinaccio! Sei stato tu che l’hai fatto aspettare.

Brighella. Mi, co la m’ha dito che vada, son andà.

Rosaura. Dovevi andar subito.

Brighella. Mo se la m’ha fatto dir...

Rosaura. Presto, corri, raggiungi la carrozza della contessa Eleonora, dille che il mancamento è provenuto da te, ch’io le domando scusa e che la prego degnarsi di favorirmi.

Brighella. Ma la carrozza la va a forte. La sarà lontana...

Rosaura. Va subito, che ti caschi la testa.

Brighella. Mi son staffier, e no son lacchè. (parte)

SCENA X.

Donna Rosaura, poi il conte Onofrio, poi D. Florindo.

Rosaura. Questo disordine mi dispiace infinitamente. La contessa Eleonora veniva a domandarmi scusa, e il diavolo ha fatto che se n’è andata.
(Il conte Onofrio col tovagliuolo sulle spalle, senza spada, mangiando.)

Onofrio40. Animo, signora donna Rosaura, che la zuppa è in tavola.

Rosaura. Dispensatemi, che oggi non desino.

Onofrio. No? Pazienza, mangeremo noi. (parte)

Rosaura. Ho altro in capo che mangiare. Mi sta sul cuore questo inconveniente colla contessa Eleonora. Spero per altro che si appagherà delle mie giustificazioni, e che ritornerà a visitarmi.

Florindo. Perchè non volete venir a pranzo? (a Rosaura) [p. 159 modifica]

Rosaura. Perchè non ho volontà di mangiare.

Florindo41. Venite almeno per compagnia.

Rosaura. Lasciatemi in pace; non mi disturbate davvantaggio.

Florindo. Vi è successo qualche inconveniente?

Rosaura. Mi è succeduto quello che suol succedere, quando si tiene servitù in casa, che non sa il suo mestiere. Una dama è venuta per visitarmi, Brighella ha tardato a recar la risposta al bracciere, e la dama si è chiamata offesa ed è ritornata indietro.

Florindo. Toccava a voi mandar subito la risposta.

Rosaura. Ho spedito Brighella di volo dietro la carrozza, per far le mie scuse colla Contessa.

Florindo. Eccolo che ritorna.

SCENA XI42.

Brighella e detti; poi il conte Onofrio, che torna come sopra.

Brighella. Ohimè, non posso più. (affannato)

Rosaura. Presto, che ha detto la contessa Eleonora? Vuole tornare a vedermi?

Brighella. La me lassa chiappar fià. Ho corso come un daino, no posso più.

Rosaura. Sbrigati, asinaccio.

Florindo. Via, abbiate un poco di carità. (a Rosaura)

Brighella. Son arrivado alla carrozza, e l’ho fatta fermar. Me son presentà alla dama, ho principià a parlar; l’ha interrotto le mie parole, e l’ha m’ha dito che no la se degna de parlar con un staffìer; mi voleva seguitar a dir, e ela m’ha fatto dar dal cocchier una scuriada in tel muso, e l’è tirada de longo.

Rosaura. Va via di qua. (a Brighella, con collera)

Brighella. Subito la servo. (Questo l’è quel che se guadagnà a servir de sta sorte de matti). (parte) [p. 160 modifica]

Rosaura. Un affronto al mio staffiere?

Florindo. Vostro danno. Impacciatevi con gente par vostra.

Rosaura. E voi ve la passate così placidamente?

Florindo. E che volete ch’io faccia? La dama ha ragione. Quando le volevate fare una scusa, non conveniva mandare uno staffiere.

Rosaura. E chi aveva da mandare, se voi avete licenziato il cameriere?

Florindo. L’ho licenziato stamattina, quando aveva risoluto di andarmene43.

Onofrio. Florindo, venite o non venite?

Florindo. Caro signor Conte, compatitemi, ho sempre di questi maledetti imbarazzi.

Onofrio. Se non vuol venir ella, almeno venite voi.

Florindo. Volete usare questa mala creanza al signor Conte? Non volete venire a tavola?

Rosaura. Il signor Conte mi dispenserà.

Onofrio. Sì, vi dispenso. Anche voi, Florindo, se volete restare, restate; basta ch’io lo sappia; del resto mangerò anche solo, quando si tratta di compiacervi.

Rosaura. Signor Conte, favorite di mandarmi il moro.

Onofrio. Subito ve lo mando. (Oh che cappone! Ha tanto di lardo). (parte)

Florindo. Che cosa volete fare del moro?

Rosaura. Voglio mandarlo a far le mie scuse colla contessa Eleonora.

Florindo. Fareste peggio.

Rosaura. Il moro non è staffiere.

Florindo. È un servitore, è uno schiavo e un buffone.

Rosaura. Dunque andateci voi.

Florindo. Io non vi anderei, se mi deste mille zecchini.

Rosaura. Dunque vi anderò io.

Florindo. A buon viaggio.

Rosaura. E se poi non mi ricevesse?

Brighella44. Lustrissima, el conte Lelio. [p. 161 modifica]

Rosaura. Venga, venga, che viene a tempo.

Brighella. (Qua no se patisse de indigestion. Sempre in moto.) (parte)

Rosaura. Il conte Lelio mi darà norma, come devo contenermi; andate a tener compagnia al conte Onofrio.

Florindo. Quando mai finiremo d’impazzire? (parte)

SCENA XII45.

Donna Rosaura e il conte Lelio.

Rosaura. Conte Lelio, avete saputo la scena che ha fatto la contessa Eleonora?

Lelio. So tutto, e tutto è accomodato.

Rosaura. Dite davvero? Mi consolate.

Lelio. Siccome la contessa Eleonora si era indotta a farvi una visita per le mie insinuazioni, così è venuta a cercare di me al casino, e mi ha detto che l’avete fatta aspettare tre quarti d’ora.

Rosaura. Non è vero; nemmeno dieci minuti.

Lelio. Basta, l’ho acquietata, l’ho persuasa a venire stassera dalla contessa Beatrice, dove la vedrete e potrete anche voi far le vostre scuse.

Rosaura. Caro Conte, quanto mai vi sono obbligata!

Lelio. Che non farei per meritarmi l’onore della vostra grazia?

Rosaura. La mia grazia vai troppo poco in paragone del vostro merito.

Lelio. Con quanto garbo voi proferite quelle dolci parole46!

Rosaura. Credete voi, Contino mio, che avrò questo piacere di stare tutta una sera in una conversazion di dame?

Lelio. Io ne son quasi certo; questa47 sera alla festa di ballo vi saranno parecchie48 dame.

Rosaura. Ma che cosa dicono di me? [p. 162 modifica]

Lelio. Vi lodano infinitamente.

Rosaura. Mi lodano? Che dicono del mio discorso?

Lelio. Piace a tutti universalmente.

Rosaura. Il mio modo di vestire incontra?

Lelio. Assai.

Rosaura. Spero, che se mi vedranno ballare, faranno miglior concetto di me.

Lelio. Eh signora mia, il vostro discorso è elegante, il vostro portamento è grazioso; ma il vostro volto è adorabile49.

Rosaura. Siete pur grazioso. Andiamo, contino, andiamo a tavola, venite a mangiar la zuppa con me.

Lelio. Mi sono preziose le grazie vostre50. (partono)

SCENA XIII51.

Strada.

Il conte Ottavio, poi un Paggio della contessa Eleonora con viglietto.

Ottavio. Servir dama? Gran miseria al dì d’oggi! Sempre puntigli, sempre puntigli. L’uomo più flemmatico del mondo, quando si mette a servire una donna, ha da perder la pazienza, voglia o non voglia. Ecco un paggio della contessa Eleonora.

Paggio. La mia padrona manda questo viglietto a vostra signoria illustrissima.

Ottavio. Che fa la vostra padrona?

Paggio. Sta alla tavoletta a correggere i difetti della natura. (parte)

Ottavio. Ma il difetto di essere puntigliosa non lo correggerà mai. Vediamo che cosa contiene questo foglio. È molto che, dopo essersi dichiarata disgustata meco, sia stata la prima a [p. 163 modifica] scrivermi un viglietto. Qualche gran cosa conterrà, (legge) Questa sera la contessa Beatrice dà una festa di ballo, ed io sono invitata. Quattro cavalieri si lusingano che sia durevole il mio sdegno con voi, e si esibiscono a gara. Io per altro, che mi pregio sopra tutto della costanza, vi voglio preferire, per non far ridere a spese vostre i vostri rivali. Ed io credo non vi sia un cane che la guardi, e che cerchi di me per non andar sola. Sentiamo il resto. La castellana mi ha fatto un’impertinenza. Il conte Lelio ha fatto il possibile per acquietarmi, ed io ho finto di esser placata; ma questa sera farò conoscere il mio risentimento. Ecco qui; certe signore così fatte osservano minutamente tutti i puntigli, e non abbadano a quello di mantener la parola. Andiamo alla conclusione: Venite dunque immediatamente a mia casa, e se vi preme la mia grazia, se bramate far vedere pubblicamente che non sono sdegnata con voi, venite disposto a persuadermi con qualche segno di pentimento, che vi dispiace avermi fatto adirare, ed allora tornerò con voi quale finora sono stata. Vostra amica sincera, chi voi sapete. Oh, questa è graziosissima! Ella ha bisogno di me, perchè non ha nessuno che l’accompagni; vuol ch’io vada a servirla, e pretende ch’io le domandi perdono di un’offesa sognata52. Che cosa ho da fare? Se non ci vado, commetto un inciviltà. Se ci vado, faccio una figura ridicola. Ma vi anderò, perchè già questa sorta di figure ridicole in oggi sono all’ultima moda. Sono curioso di saper qual sia il dispiacere che la Contessa ha ricevuto da donna Rosaura.53 Già m’immagino, sarà qualche freddura. Mi dispiace la minaccia ch’ella fa di riscattarsi alla festa di ballo; non vorrei che ella suscitasse qualche sconcerto, ed io dovessi entrare in qualche impegno per sua cagione. Ecco il signor Pantalone. Egli è amico della signora donna Rosaura e di suo marito; forse qualche cosa saprà. [p. 164 modifica]

SCENA XIV54.

Pantalone e detto.

Ottavio. Riverisco il signor Pantalone.

Pantalone. Servitor devotissimo, sior Conte.

Ottavio. Ditemi in grazia, quant’è che non avete veduto il vostro amico, il signor don Florindo?

Pantalone. Da stamattina in qua.

Ottavio. Sapete che sia succeduto alcun disordine in casa sua?

Pantalone. Mi no so gnente.55 So che l’aveva destina de partir, e che l’averia fatto da omo a andar via; ma so che quella cara zoggia de so muggier la l’ha tornà a voltar, e la l’ha fatto restar a Palermo.

Ottavio. Io dubito che sua moglie voglia essere la sua rovina.

Pantalone. No la saria una gran maraveggia, perchè per el più le femmene le xe la rovina delle fameggie.

Ottavio. Giacchè voi siete amico di casa sua, voglio farvi una confidenza da uomo onesto. Sappiate che una dama si chiama offesa dalla signora Rosaura; questa sera si vedranno a una festa di ballo, e non vorrei le succedesse qualche disgrazia56.

Pantalone. Mi no so cossa dir. A sior don Florindo ghe voggio ben, e per elo faria de tutto; ma a casa soa son stà adesso, e nol ghe xe. Debotto xe notte, e mi no so dove andarlo a trovar; me sala dir chi sia la dama offesa?

Ottavio. Ve la dirò in confidenza, ma non mi fate autore. È la contessa Eleonora.

Pantalone. Stemo freschi. So che muschietto57 che la xe.

Ottavio. Lo so ancor io pur troppo.

Pantalone. La me perdona, se parlo con libertà. La sa de che umor stravagante che la xe, e la la serve con tanta attenzion? [p. 165 modifica]

Ottavio. Che volete ch’io faccia? Ho principiato a servirla; son nell’impegno, e non so come fare a staccarmi.

Pantalone. Gran cossa xe questa! I omeni i xe arrivai a un segno, che debotto no i gh’ha de omo altro che el nome. Le donne le ghe comanda a bacchetta. Per le donne se fa tutto, e chi vuol ottegnir qualche grazia, bisogna che el se raccomanda a una donna. Da questo nasse che le donne le alza i registri, e le se mette in testa de dominar. Le xe cosse che fa morir da rider, andar in conversazion dove ghe xe donne coi cavalieri serventi. Le sta là dure impietrie58 a farse adorar; chi ghe sospira intorno da una banda, chi se ghe inzenocchia dall’altra. Chi ghe sporze la sottocoppa, chi ghe tiol su da terra el fazzoletto. Chi ghe basa la man, chi le serve de brazzo. Chi ghe fa da segretario, chi da camerier59, chi le perfumega, chi le sbruffa60, chi le coccola61, chi le segonda. E elle le se lo dise una con l’altra, le va d’accordo, le se cazza i omeni sotto i piè; el sesso trionfa, e i omeni se riduse schiavi in caèna, idolatri della bellezza, profanatori del so decoro, e scandolo della zoventù.

Ottavio. Signor Pantalone, per dir il vero, le vostre massime sono ottime, la vostra morale è molto giusta.

Pantalone. Sala quante volte che ho fatto de ste lezion anca a sior don Florindo? Ma gnente, no i me ascolta. Onde xe meggio che tasa, che lassa che l’acqua corra per el so canal, e a chi ghe diol la testa, so danno. Anderò a cercarlo, ghe dirò le parole, ma gnanca sta volta no farò gnente; perchè el ghe ha una muggier62 volubile in tel ben, e ustinata in tel mal. (parte)

Ottavio63. Questi vecchi parlano bene, ma non si ascoltano. Conosco anch’io che dice il vero; ma non trovo la via di seguitarlo. Ah sì! La nostra rovina sono i rispetti umani. (parte) [p. 166 modifica]

SCENA XV64.

Sala per il ballo in casa della contessa Beatrice, con lumiere, sedie ed un tavolino in mezzo, con varie candele di cera ed una accesa.

Il conte Onofrio e Servitori che accomodano le candele.
Suonatori per la festa
.

Onofrio. Basta così; la sala è bene illuminata. (Queste sei candele le cambierò collo speziale in tanto zucchero). (da sè; parte colle sei candele, poi torna)

Servitore. (M’immagino che all’ultimo si prenderà anche i moccoli). (da sè, con rabbia)

Onofrio. Via, andate in cucina, preparate ogni cosa, che vogliono cenar presto. Vi raccomando quei cotorni. Dite al cuoco che faccia con essi una buona zuppa. (il servo parte) Vorrei che di questi forestieri ne venisse uno alla settimana.

SCENA XVI65.

Brighella con un bacile di confettura66, ed il conte Onofrio.

Brighella. Con buona grazia de vussustrissima.

Onofrio. Venite, galantuomo. Che cosa avete là sotto?

Brighella. La padrona la prega perdonar la confidenza che la se tiol. La gh’ha sto poco de confettura, e la ghe la manda; la se ne servirà stassera alla festa da ballo.

Onofrio. Benissimo, ha fatto benissimo. Lasciate vedere, (prende due o tre manciate di confetti) Andate, consegnate il bacile alla cameriera.

Brighella. (El gh’ha dà la so castradina). (parte)

Onofrio. Questi sono buoni per divertirsi, mentre ballano67. [p. 167 modifica]

SCENA XVII.

Arlecchino con una guantiera con boccette di rinfreschi, ed Uomini con sorbettiere, ed il conte Onofrio; poi la contessa Beatrice ed il conte Lelio.

Arlecchino. Poder vegnir?

Onofrio. Venir, venir. Che cosa aver?

Arlecchino. Portar acqua per refrescar.

Onofrio. Lassar veder. (prende due boccette e se le beve)

Arlecchino. Maledetto! E mai no crepar?

Onofrio. Tegnir, andar. (ripone le due boccette sulla guantiera)

Arlecchino. Mi andar, e ti mandar. (parte cogli uomini)

Onofrio. Quel vino di Canarie mi ha eccitato la sete.

Beatrice. Ecco le dame che principiano a venire.

Onofrio. Io me ne vado, e vi aspetto a cena. (parte)

Beatrice. Sonatori, principiate la sinfonia. (Sonatori suonano)

SCENA XVIII68.

La contessa Clarice, servita da un Cavaliere che non parla. Altre due Dame con due Cavalieri che non parlano. Beatrice va a ricevere le due Dame, le quali entrano, servite di braccio da’ loro Cavalieri. Entrati che sono, Beatrice fa seder le tre Dame in mezzo, nel primo luogo. I Cavalieri siedono, discorrendo fra di loro, nelle sedie laterali. Lelio siede dall’altra parte, e Beatrice, dopo aver fatto i suoi complimenti colle Dame, va a sedere vicino a Lelio; seguita la sinfonia, e frattanto arrivano

Rosaura e Florindo. Beatrice s’alza, e va a riceverla, e la pone a sedere presso Clarice, poi torna vicino a Lelio. Florindo va presso a’ Cavalieri. Clarice colle due Dame salutano freddamente Rosaura, poi si parlano sottovoce fra di loro. Da [p. 168 modifica] lì a qualche poco Clarice s’alza, e va vicino a Beatrice, e finge parlare con lei; dopo le altre due Dame si alzano, e vanno vicino a Clarice, e lasciano Rosaura sola, e parlano sottovoce con Clarice. Fiorindo s’alza, va per parlare con Rosaura, la quale arrabbiata lo scaccia, ed egli torna al suo posto. Arrivano

La contessa Eleonora ed il conte Ottavio. Beatrice s’alza, va ad incontrarla, e la conduce per sedere presso Rosaura. Ella osserva intorno, e va a sedere in mezzo degli uomini, e resta Rosaura sola. Beatrice, vedendo questo, va ella a sedere presso Rosaura, parlandole piano, e Rosaura scuote il capo. Viene in sala

Un Ballerino, maestro di sala, terminata la sinfonia, ordina a’ Sonatori il minuè. I Sonatori suonano. Il Ballerino per ordine di Beatrice va a prender Rosaura, e con essa balla il minuè. Frattanto che Rosaura balla, tutte le Dame a una per volta partono, e i Cavalieri seguitano le loro Dame. Lelio per arrestarle s’alza, e le seguita. Rosaura, vedendo andar via la gente, prima di terminare il minuè, si rivolta a Beatrice, che va smaniando. I Sonatori si fermano.

Rosaura. Come! A me un affronto di questa sorta? (a Beatrice)

Beatrice. L’affronto lo ricevo io, e lo ricevo per causa vostra.

Florindo. Andiamo, andiamo, me ne farò render conto. (a Rosaura, e parte)

Beatrice. Sia maledetto, quando vi ho conosciuto.

Rosaura. Da una dama della vostra sorte nulla poteva sperar di meglio. (parte)

SCENA XIX69

La contessa Beatrice, poi il conte Lelio, poi il conte Onofrio.

Beatrice. Un affronto alla mia casa? Come mai risarcirlo? Non si parlerà d’altro per i caffè. Sarò io la favola di Palermo. [p. 169 modifica] Lelio70. Son partite71. Non vi è stato rimedio di trattenerle.

Beatrice. E dove sono andate?

Lelio. Tutte in casa della contessa Eleonora72.

Beatrice. Voglio andarvi ancor io.

Lelio. Non fate; vi rimedieremo.

Beatrice. Voglio andarvi per assoluto73. Se non volete venir voi, non m’importa. (parte)

Lelio. Vi servirò, se così volete.

Onofrio74. Che cosa c’è75? (a Lelio)

Lelio. Perchè la signora Rosaura ha ballato il primo minuè, tutte le dame sono andate via. (parte)

Onofrio. Non vi è altro male? Quando è all’ordine la cena, io non aspetto nessuno. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Manca nell’ed. Bett., fino alle parole di Pantalone: Se la se fusse degnada ecc.
  2. Manca nell’ed. Bett. il dialogo che segue, fino alle parole di Florindo: Quasi tutti i mercanti del nostro ecc. L’ed. Paper, qui aggiunge: L’amor bisogna misurarlo col merito della persona; e no merita d’esser amada una femena che se abusa dell’amor del mario. La senta cossa che arrivo a dir a sto proposito, e la me fazza giustizia. Digo che un mario che ama troppo la muggier ecc.
  3. Amorosa, donna amata.
  4. L’ed. Paper, aggiunge: «perchè no va per el mondo a negoziar colla muggier altro che quelli che fa marcanzia de lumaghe. Fior. Io non intendo questa vostra frase. Pant. Ho gusto che no la l’intenda, perchè la xe una barzelletta che m’è scampada senza che me accorza».
  5. Bett.: e no ve ne curè.
  6. Bett.: tontonare.
  7. Bett.: co fa un.
  8. Bazzotto, «fra duro e tenero, e dicesi comunemente delle uova»: Boerio, Diz. cit.
  9. Nell’ed. Bett. queste parole di Florindo servono a chiudere la sc. I.
  10. Il dialogo che qui segue, manca nell’ed. Bett.
  11. Manca questa scena nell’ed. Bett.
  12. Così comincia nell’ed. Bett. la se. II: «Ros. Ho inteso da Brighella una novità curiosa. Che intenzione avete, signor ecc.».
  13. Segue nell’ed. Bett., più brevemente: «Ros. E perchè vorreste fare ecc. Fior. Perchè degli ecc. Onof. Amico, queste risoluzioni ecc.».
  14. Segue in Bett.: «Onof. Io resto ecc.».
  15. Segue in Bett.: «Ros. Oh, se sapeste ecc.».
  16. Bett.: garbata.
  17. Bett. ha invece: «Ceneremo da noi, ceneremo da noi, e voi mandate il Vostro pesce. Fior. Ma come tutte ecc.
  18. Segue in Bett.: «Onof. Se sapeste ecc.».
  19. In Bett. segue invece: «Ros. Manco male ecc. il trattamento delle due dame». E così finisce la sc. II.
  20. Manca in Bett. questa scena.
  21. Pulese, pulce.
  22. Segue in Bett.: «Brigh. Lustrissima, gh’è ecc.»; e così comincia la sc. III.
  23. Qui comincia in Bett. la sc. IV.
  24. Pap.: mattir.
  25. Nell’ed. Bett. è sc. V.
  26. Bett.: a ritrovare.
  27. Bett.: rimarco.
  28. Comincia in Bett. la sc. VI.
  29. Bett.: (Porta un scagnetto).
  30. Comincia in Bett. la sc. VII.
  31. La mezza canna. [nota originale]
  32. Comincia in Bett. la sc. VIII.
  33. Segue in Bett.: «Clar. Gran bella stoffa! ecc.».
  34. Segue in Bett.: Quando non è di ecc.
  35. Bett.: non porto stoffa.
  36. Queste parole di Beatr. chiudono nell’ed. Bett. la sc. VIII.
  37. Comincia in Bett. la sc. IX.
  38. Bett.: bezzi.
  39. Comincia in Bett. la sc. X.
  40. Qui comincia nell’ed. Bett. la sc. XI.
  41. Comincia in Bett. la sc. XII.
  42. Nell’ed. Bett. è sc. XIII.
  43. Segue in Bett.: «Ros. Dunque andateci voi ecc.».
  44. Comincia nell’ed. Bett. la sc. XIV.
  45. Nell’ed. Bett. è sc. XV.
  46. Segue in Bett.: «Ros. Volete sedere, Contino? Lel. Riceverò le vostre grazie, siedono. Ros. Credete, Contino mio, che averò questo piacere ecc.».
  47. Bett.: a buon conto questa.
  48. Bett.: tutte.
  49. Così segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Ros. Via, Via; non ho desinato, e non volete ch’io ceni. Lel. Voi state sugli scherzi, ed io languisco per voi. Ros. Caro Conte, voi mi fate arrossire».
  50. Le due scene che seguono nell’edd. Bettinelli e Paperini, si possono leggere in Appendice.
  51. Nella ed. Bett. è sc. XVIII, e nella Paper, è sc. XVI.
  52. Segue in Bett.: Son curioso di ecc.
  53. Segue in Bett.: Ecco il signor ecc.
  54. Nell’ed. Bett. è sc. XIX, nella Pap. sc. XVII.
  55. Segue in Bett.: «Ott. Giacchè voi siete ecc.».
  56. Segue in Bett.: «Pant. Me sala dir chi sia ecc.».
  57. Testa bizzarra, difficile. [nota originale]
  58. Bett.: impettorie.
  59. Bett.: cameriera.
  60. Sbruffar, spruzzare: v. Boerio.
  61. Coccolar, vezzeggiare, carezzare ecc.: v. Boerio.
  62. Bett., Pap. ecc. aggiungono: fatta sul gusto delle donne moderne.
  63. Mancano queste parole di Ottavio nell’ed. Bett.
  64. Nell’ed. Bett. è sc. XX e nella Paper, sc. XVIII.
  65. Nell’ed. Bett. è sc. XXI e nella Paper. XIX.
  66. Bett. e Paper. aggiungono: sotto il tabarro.
  67. Segue nell’ed. Bett. la sc. XXII con le parole «Beatr. Ecco le dame che principiano ecc.» Qui si legge in Appendice.
  68. Corrisponde alla sc. XXII dell’ed. Bett., come si vede in Appendice. Nell’ed. Pap. è sc. XXI.
  69. Nell’ed. Pap. è sc. XXII.
  70. Qui comincia nell’ed. Bett. la sc. XXIII.
  71. Bett.: Sono andate.
  72. Bett.: Tutte al casino.
  73. Bett.: assolutamente.
  74. Comincia nell’ed. Bett. la sc. XXIV, ultima di questo atto.
  75. Bett.: Cosa c’è? Cosa è stato?