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LE FEMMINE PUNTIGLIOSE | 155 |
chini il braccio. Tre volte ventiquattro. Venti e venti quaranta e venti sessanta. Quattro e quattro otto e quattro dodici; sessanta e dodici quanto fa? Sessanta e dieci settanta, e due settantadue. Importa settantadue zecchini.
Rosaura. E verissimo. Settantadue zecchini1.
Clarice. Stassera vi porterò il denaro dalla contessa Beatrice.
Rosaura. Siete padrona.
Clarice. Che bella stoffa! Non si può far di più. Il disegno è vago a maraviglia, l’oro non può esser più bello. È un drappo che in Palermo non ho veduto il compagno.
Rosaura. Ho piacere che la signora Contessa sia contenta.
Clarice. Credetemi che, oltre il pagamento, mi avete fatto un gran regalo. Bisogna poi dirla, gran Parigi! In Italia non sanno fare di queste stoffe.
Rosaura. Eppure, signora Contessa, assicuratevi che questa stoffa è fatta in Italia.
Clarice. In Italia!2 Dove?
Rosaura. Io so di certo ch’è stata fatta in Venezia.
Clarice. Quando non è di Francia, compatitemi, non la voglio.
Rosaura. Ma s’è tanto bella; se non si può fare di più!
Clarice. Non importa; per esser bella, deve esser di Francia.
Rosaura. Queste altre due pezze sono di Francia, e non hanno che fare con questa.
Clarice. Lo voleva dire che queste due erano di Francia. Vedete che finezza d’oro?
Rosaura. Eh, signora Contessa, è l’opinione che opera. In Italia sanno lavorare al pari di Francia, ma fra noi altre donne corre un certo puntiglio, che la roba forestiera sia meglio dell’italiana; e se i nostri artefici vogliono vendere con riputazione i loro lavori, è necessario dare ad intendere che sono manifatture di Francia, e così sacrificando al maggior guadagno la propria estimazione, si scredita la povera Italia per la falsa opinione degl’Italiani medesimi.